Commento all’album
“Dusketha” – GOAD
(My Kingdom
Music, 2025)
Ci sono album che non si limitano a essere ascoltati: si abitano. Dusketha, il nuovo doppio lavoro dei GOAD, è uno di questi. Non è soltanto un capitolo aggiunto a una carriera che supera il mezzo secolo, ma un vero e proprio viaggio crepuscolare, un attraversamento di ombre e memorie che si fanno musica. Maurilio Rossi, anima e architetto del progetto, continua a intrecciare letteratura e suono con una coerenza rara: Keats, Poe, Lovecraft, Masters e Graham non sono citazioni ornamentali, ma presenze vive che respirano dentro le melodie, come voci che tornano a parlarci attraverso il nastro analogico e le corde di una chitarra.
Il disco si presenta come un’opera monumentale: due CD, diciotto brani, quasi due ore di musica. Eppure, non c’è ridondanza, non c’è dispersione. Ogni traccia sembra un frammento di un mosaico più grande, un tassello di un poema sonoro che alterna intimità e teatralità, confessione e rito. L’ascolto procede come un dialogo tra luce e oscurità, tra il sacro e il profano, tra la fragilità dell’amore e la vertigine del tempo. Non è un album da consumare in fretta: chiede attenzione, chiede silenzio, chiede di essere accolto come si accoglie un testo poetico.
La scelta produttiva è il cuore pulsante dell’album:
registrazioni miste (live e studio), strumenti elettrici e acustici,
trasferimento su nastro analogico e successiva re-digitizzazione. Il risultato
è un calore denso e tridimensionale, con transitori smussati che privilegiano
la voce e le armonie, e un fondo “ferromagnetico” che rende credibile
l’atmosfera gotica senza caricature. Il lavoro del sound engineer Max Cirone
consolida questa estetica con un suono profondo e coerente, evitando il vintage
di maniera e puntando a un classicismo vivo.
La lavorazione è stata lunga e fisicamente impegnativa: bobine analogiche, mix su DAT, rielaborazione digitale, sessioni fra Firenze, Oulx e lo studio Garbatella di Roma. Molti passaggi sono stati registrati “in diretta a distanza”, con ogni musicista nel proprio studio: una modernità che non tradisce la disciplina del nastro, ma la usa per compattare anime e tempi diversi. Piccole “perle” dal passato sono state riprese e risuonate, inclusi materiali legati a The Wood (Lovecraft) e al Tribute to Edgar Allan Poe del 1994, a testimonianza di una continuità autoriale che non vive di citazioni ma di ripresa e metamorfosi.
Maurilio Rossi firma musica, testi, arrangiamenti e
interpreta con voce e strumenti. La grammatica è quella del prog oscuro e
atmosferico, con slanci lirici e incastri modali che preferiscono la
progressione lenta alla proliferazione virtuosistica. L’uso di tastiere e
pianoforte è architrave: dà forma alle camere d’eco in cui chitarre e fiati
respirano. La voce sceglie l’intimità come registro di verità: non cerca la
potenza, cerca la confessione.
I contributi dei musicisti ospiti (Gianni e Martino Rossi chitarre e tastiere, Paolo Carniani e Claudio Nardini alle percussioni, Frank Diddi e Alex Bruno ai fiati e violino) ampliano
gli spazi senza snaturare la centralità autoriale. È una comunità sonora
organizzata, più compagnia teatrale che session band.
Percorso d’ascolto
Il doppio album Dusketha si presta a un ascolto
lineare, ma alcune tracce emergono come nodi tematici e simbolici. Ho scelto di
evidenziare un itinerario che segue la struttura narrativa dell’opera:
apertura, immersione nell’ombra, dichiarazione di poetica, riflessione universale,
intimità, incubo e memoria. Questo percorso non vuole ridurre la ricchezza del
disco, ma offrire al lettore una chiave di accesso che rispecchi la coerenza
interna del lavoro.
- Yes
It Was Love (Message From A Cathedral): apertura che definisce l’estetica del disco,
sacro e profano in equilibrio.
- Alone
Man In Empty Room / Poor Skull (Reverend Brothers): dittico della solitudine e
della colpa, con echi VDGG.
- To
An After Time My Harmonies: dichiarazione di poetica, armonie come messaggera oltre
il tempo.
- Stop
And Consider Life Is But A Day: asse tematico del secondo disco, riflessione sobria e
suite meditativa.
- Hush
My Love (Lullaby For A Woman): ninna nanna adulta, pianoforte e voce senza retorica.
- The
Speed Of My Nightmares: accelerazione dell’ombra, incastri ritmici e tensione
dark prog.
- The Woodkeeper, A Collar Of Red (bonus track): chiusura meta‑autoriale, ponte fra epoche e tecnologie.
Collocazione nella storia di GOAD
GOAD sono storia del prog italiano: dagli esordi fiorentini segnalati da
Freddie Mercury, alle stagioni art‑rock e atmosferiche, al periodo Black Widow,
fino all’attuale fase con My Kingdom Music. Dusketha sta a cavallo tra
queste identità: è dark e poetico, teatrale ma disciplinato, letterario e
concreto. Non cita, metabolizza.
La pubblicazione su My Kingdom Music sancisce anche una
coerenza curatoriale: l’etichetta promuove un’idea di prog che sceglie la
profondità. L’album parla a chi ama Van der Graaf Generator, King Crimson,
Genesis, PFM, Procol Harum, ma non per nostalgia: per affinità di mondo sonoro
e densità emotiva.
Conclusioni
Dusketha è un’opera piena, che chiede tempo e restituisce tempo. È quel raro
doppio album che non disperde il discorso ma lo amplia, grazie a una produzione
che mette il nastro al servizio dell’anima e a una scrittura che rifiuta
l’ovvio. Per chi cerca musica come luogo di coscienza, è un ascolto necessario.
Per i GOAD, è il punto più alto di una continuità che non si è mai
interrotta—solo diventata più vera.
