sabato 31 marzo 2012

GREG LAKE IN TOUR IN GRAN BRETAGNA CON “”SONGS OF A LIFETIME”



Dopo il tour americano in partenza ad aprile e già’ quasi interamente esaurito, il leggendario Greg Lake di Emerson Lake & Palmer e King Crimson sarà’ in tournèe’ in Gran Bretagna nel novembre 2012 con “Songs Of A Lifetime, – uno show interamente autobiografico, intimo ed interattivo.
Lake, considerato una delle piu’ belle voci del rock, ha cambiato, – sia con ELP che con i King Crimson – il panorama del rock.
Nello show Greg parlerà’ di se’ e della sua storia, e suonerà’ la sua musica più’ conosciuta assieme alla musica che lo ha influenzato.
Il concerto è’ inoltre aperto alla partecipazione del pubblico, in un format di domande e risposte alle quali Lake risponderà’ onestamente; questo format ha già’ registrato un enorme successo lo scorso anno nel tour americano di Emerson & Lake, e quest’anno Greg lo ripropone da solo.

Maggiori informazioni sullo show su www.greglake.com  incluso un link esclusivo per acquistare i biglietti del tour britannico in anteprima dal 29 marzo!
Sono in progetto date europee ed italiane che saranno disponibili su www.greglake.com al piu’ presto.


DATE UK: NOVEMBRE 2012

17                    Glasgow, Lomond Auditorium                   
18                    Newcastle, Mill Volvo Tyne                     
19                    Birmingham, Alexandra                             
20                    Liverpool, Philharmonic                                                  
22                    Cambridge, Corn Exchange                                         
23                    Guildford, GLive                                                                
24                    Southampton, Guildhall                                                 
25                    London, 02 Shepherds Bush Empire


venerdì 30 marzo 2012

Il mondo musicale di Pino Forastiere


Devi assolutamente sentire Pino Forastiere e...”, inizia così il mio avvicinamento a questo straordinario chitarrista… attraverso le parole di un altro virtuoso dello strumento, Claudio Bellato che, come tutti i cultori della buona musica, trova  appagamento nell’opera di condivisione.
Ciò che mi trovo tra le mani, una settimana dopo, è una parte di mondo di Pino Forastiere, due CD, due progetti differenti, ma alla base l’utilizzo della chitarra, sostantivo che evoca le situazioni più disparate, anche per chi non è addentro alle “cose della musica”. Per inciso, sto parlando di “from 1 to 8, disco solista, e “Guitar Republic”, sorta di trio delle meraviglie nel quale Sergio Altamura e Stefano Barone si aggiungono a Forastiere.
Due album sono una consistente porzione di vita musicale  e possono quindi dare una ricca immagine di un artista. Nel caso specifico credo ci sia una importante mancanza che spero di colmare al più presto… la partecipazione ad un’esibizione live. Vediamo perché.
Scrivere di musicisti così talentuosi, dalla preparazione tecnica così lontana dallo standard, mi ha posto un problema di giudizio: è giusto dare un’opinione su qualcosa la cui comprensione di dettaglio non può prescindere dalla buona confidenza con lo strumento? E’ sufficiente il mio “saper suonare” per fornire utili indicazioni? Questo dubbio è svanito in pochi attimi.
La musica di Pino Forastiere è obbligatoriamente musica di settore, elitaria, ma non certo nelle intenzioni. In genere ci si racconta, si passano messaggi, si protesta e si gioisce attraverso i mezzi che si conoscono, che magari si affinano col passare del tempo ma, e questo è il mio feeling del dopo ascolto, hanno nell'occasione  un fine che niente ha a che vedere col mero virtuosismo. Le skills che emergono nel “solo” e nel progetto in trio sono il risultato di anni di studio e duro lavoro, e lo sfoggio delle differenti tecniche-i video a seguire sono rappresentativi e significativi-rispondono alla mia esigenza citata in precedenza, quella di poter assistere ad una performance, e godere appieno dell’aspetto visual.
Fantasia, tecnica, coraggio esecutivo, coscienza della propria forza, sono una parte del contenuto della musica di Forastiere, quello che quasi tutti possono afferrare, ma credo che la differenza tra i musicisti della sua taglia-probabilmente non molti al mondo-e un “comune” fantastico esecutore, risieda nella capacità compositiva, nella possibilità di parlare di sé senza … aprire bocca, arte in cui mi pare Pino sia un maestro, e a quel punto i grandi esempi del passato, l’esperienza accumulata, l’educazione ricevuta, lo studio di anni, diventano un contenitore in cui tutto viene miscelato e messo a disposizione di un obiettivo ben preciso, lontano dal narcisismo musicale, con la  grande soddisfazione personale di emozionarsi regalando emozioni.
Lo scambio di battute a seguire, e la biografia di fine post, forniranno elementi oggettivi su Pino Forastiere e la sua musica.


L’intervista

Un amico comune mi ha parlato di te in termini entusiastici, sottolineando al contempo ciò che è sotto i miei occhi quotidianamente,  e cioè la difficoltà che si trova nel presentare dal vivo la musica di qualità, almeno in Italia. Che differenze trovi tra la situazione di casa nostra e le realtà estere, in cui tu normalmente ti muovi?

Non saprei dire se si tratta di un problema solo italiano. Oggi la qualità non è facile da proporre perché la tendenza è quella di applaudire il riconoscibile, piuttosto che l'unico. L’ enorme quantità di pseudo-arte rintracciabile in internet sta confondendo le idee perché mischia cose fantastiche con cose inutili e brutte offrendole sulla medesima piattaforma, sul medesimo palcoscenico. Dal vivo forse le cose cambiano un po’, ma non è facile tenere pulita una cultura che si sporca ogni giorno di più.

Mi pare di capire che la gestione del tuo lavoro (ma è diffusa l’opinione che la musica non sia un lavoro… Bill Bruford lo spiega bene nel suo libro) abbia una dimensione familiare, e i casi simili sono molti. L’autarchia è diventata ormai una necessità in ambito musicale?

Io amo seguire tutto lo sviluppo del mio lavoro artistico, e quindi l'autarchia è in primo luogo una scelta. Sono fortunato a poter lavorare con mio cognato Gabriele Benigni, che oltre ad essere violinista, compositore, arrangiatore, è anche un mio carissimo amico, e di fatto realizza insieme a me tutti i miei dischi. Però l'autarchia diventa pure una necessità di post-produzione: il mondo della musica non ha più figure di intermediazione, non mi viene in mente un solo direttore artistico degno di tale nome, capace di avere la forza di fare una proposta, di essere affidabile per il proprio pubblico quando mette in cartellone qualcosa che ha scelto. I festival sono la fotocopia l'uno dell'altro; gli agenti, che sono gli unici che capiscono ancora qualcosa, vivono tempi difficilissimi perché oggi il musicista si deve imporre da solo, deve poter esibire un certo numero di click, di “mi piace”. E allora sono fortunato a poter contare anche sul lavoro di mia moglie Stefania, io non sarei capace di stare dietro a queste cose, di “spingere” come si dice oggi.

Suonare, cantare, esprimersi, significa “passare” il proprio messaggio, e le liriche non sono fondamentali. E’ anche naturale che ogni ascoltatore personalizzi e interpreti ciò che gli arriva, e il “prodotto” da neutro si trasformerà qualcos’altro.
Nel caso di un album come “From 1 to 8”, qual è la tua chiave di lettura, al di là della tecnica e del  gusto di cui è intriso?

“From 1 to 8” è il mio disco di sintesi rispetto ad una muscolarità o ad un fuoco specifico, o ad esperienze di altro tipo come il concerto “Why Not?” per chitarra e orchestra,  espresse nei lavori precedenti. Mi piace definirlo un disco “compositivo” e non “performativo”.

L’intimismo dell’album appena citato contrasta col “percorso” di “Guitar Republic”, dove l’interazione con altri musicisti permette di dare un aspetto diverso alla tua “acustica”, tra ritmo e melodia. Quali sono le maggiori soddisfazioni che trai dai due progetti?

Amo entrambe le cose.  La ricerca solitaria nei lavori solistici come la ricerca condivisa con Sergio Altamura e Stefano Barone nel trio. In un certo qual modo proprio l’essere solisti ci permette di condividere lo stesso spazio rispettando le reciproche “solitudini”.

Esistono “enormi “, talentuosi e innovativi chitarristi che hanno fatto la storia del rock, completamente autodidatti. Cosa significa essere un “grande chitarrista”… cosa serve oltre all’educazione scolastica e al talento?

L’educazione - e non solo quella scolastica - ed il talento sono condizioni necessarie. Aggiungerei curiosità e consapevolezza. Essere curiosi può spingerti ad esplorare mondi nuovi, ed essere consapevole può darti il senso della misura… gli autodidatti di cui parli erano dei geni che hanno saputo studiare da soli: e di geni, si sa, ce ne sono pochissimi in giro. Vorrei puntualizzare che con il termine autodidatta si intende “persona che studia autonomamente”, e non “persona che studia pochino perché non ne ha bisogno”.

Quanto è stata e quanto è ancora importante la ricerca e l’applicazione di nuove tecniche chitarristiche? Come si supera la fase umana di autocompiacimento per arrivare ad una vera condivisione?

Per me le nuove tecniche servono solo per esplicitare nuove idee! Non confondiamo il mezzo con il fine. L’autocompiacimento si affievolisce (difficilmente sparisce del tutto) proprio quando si marca la differenza tra ciò che è mezzo e ciò che è fine. Per me l’unica cosa importante è la musica, perché è appunto l’elemento condivisibile.

Esiste uno strumento che ti affascina e su cui ti cimenti, oltre alla chitarra?

Tanti strumenti mi affascinano, ma suono solo la chitarra.

Quali sono stati in origine i chitarristi che ti hanno influenzato… quelli che ti hanno portato sul sentiero dello studio chitarristico?

Ho iniziato a studiare a 7 anni perché era l’unico sentiero che volevo percorrere e non mi ricordo miti che mi hanno introdotto a questo sentiero. Molti chitarristi mi hanno influenzato, certo! Senza Michael Hedges non avrei mai composto e suonato musica per chitarra acustica, ma senza Arturo Benedetti Michelangeli non avrei mai capito l’importanza della qualità del suono e della chiarezza musicale. Sono molteplici le influenze, tra queste  ci sono pochi chitarristi.

Esiste un chitarrista tuo contemporaneo che giudichi una sorta di linea guida, magari irraggiungibile?

Penso che non esistano cose e persone irraggiungibili.

Prova a disegnare il tuo futuro musicale dei prossimi tre anni.

Nei prossimi anni dovrei essere impegnato con il mio amico regista-attore Enrico Frattaroli in un lavoro sui versi de La Voce a te dovuta di Pedro Salinas. Una sorta di melologo attraverso il quale cercherò di esorcizzare la mia antipatia verso la parola, soprattutto quando è accostata alla musica. Sto scrivendo altra musica per chitarra acustica solista, e sto pensando insieme a Sergio e Stefano cose nuove per Guitar Republic. In tutto questo ho già un po’ di tour programmati… spero bastino tre anni per fare tutto. 





Note biografiche dal sito di Pino…(http://www.forastiere.it/)


La musica di Forastiere nasce da una solida formazione in ambito classico, contemporaneo e rock, e sfugge a una precisa definizione di genere. Considerato come uno dei più interessanti chitarristi compositori nel panorama internazionale, virtuoso ex classico con la sei e la dieci corde, Forastiere si è rapidamente affermato anche nel mondo della chitarra acustica per la novità nella scrittura delle sue composizioni e una tecnica esecutiva davvero straordinaria. Di lui il "guru" della critica musicale newyorkese John Schaefer ha detto: "La sua musica è un mix di pattern ritmici incrociati di Steve Reich che incontrano le tecniche di Michael Hedges, il tutto ammirando Eddie van Halen".
Lucano ma ormai romano d’adozione, diplomato in chitarra classica al Conservatorio di Musica Santa Cecilia, oltre che in varie rassegne in Italia Forastiere suona regolarmente per festival e stagioni negli Stati Uniti e in Canada, dove radio e stampa musicale gli hanno dedicato diversi speciali. Nei suoi tour americani ha suonato - tra gli altri - al Canadian Guitar Festival, al New York Guitar Festival, e all'International Guitar Night 2010/2011 (UK, Canada, USA). Nel mese di gennaio 2008 Forastiere ha presentato al Teatro Palladium di Roma il brano per chitarra elettroacustica e orchestra d'archi "Why Not?", eseguito in prima assoluta con la Roma Tre Orchestra diretta da Pietro Mianiti. La registrazione del concerto è divenuta la “title-track” del suo terzo disco solista; dopo “Rag Tap Boom” (2003), “Circolare” (2005) e “Why Not?” (2008), nel 2009 Forastiere ha pubblicato un ispiratissimo DVD live, sempre per l'etichetta statunitense CandyRat.
Sin dagli inizi Forastiere collabora con l'editore John Stropes, storico del finger-style e figura di riferimento internazionale per la chitarra acustica; autore di importanti testi e studioso innovativo, editore di chitarristi come Leo Kottke, Michael Hedges e Alex de Grassi, Stropes dirige il Dipartimento degli studi di chitarra presso la UWM –
Università del Wisconsin, Milwaukee.
I video di Pino in rete contano centinaia di migliaia di viste; uno tra i brani più apprezzati (e rieseguiti come cover) dal popolo di Youtube, “Fase 1”, è stato scelto come sigla del meteo di RaiNews24.
E' infine di recentissima formazione il trio Guitar Republic, con i due chitarristi acustici Sergio Altamura e Stefano Barone; il trio ha appena pubblicato l'album di debutto (Candyrat, 2010) e si appresta a partecipare a tutti i principali festival internazionali di chitarra.

giovedì 29 marzo 2012

ICEBERG-"Caro Tornado"


“Caro Tornado” è il disco di debutto degli Iceberg, giovane band della provincia pavese.
L’intervista e la biografia  a seguire, procurano  chiara luce al progetto, e forniscono una concreta preparazione all’ascolto.
La musica, sia in fase di costruzione che di ricezione, ha delle fondamenta istintive, e le reazioni conseguenti non sono certo basate sulla razionalità, ma un minimo di indagine preventiva, quando se ne ha la possibilità, non può che giovare, per almeno due motivi: la proposta è talmente ampia-e la qualità non sempre eccelsa-che qualche indicazione supplementare può aiutare nella scelta d’ascolto. Ma la cosa a cui  personalmente tengo di più quando mi avvicino ad un nuovo gruppo, è l’apprendimento dell’esistenza di un mondo “nuovo”, tutto da scoprire, che da quel momento diventa in parte mio. Iceberg, come tanti altri artisti di cui mi occupo quotidianamente, non nascono dall’oggi al domani, ed entrare nella loro “casa” dalla porta principale significa venire a conoscenza di un percorso di anni di lavoro e di impegno. Affascinante!
Quali quindi gli indizi precedenti l’ascolto?
Un trio rock(il tipico power trio, chitarra, basso e batteria), un forte amore per una ben specifica musica del passato, una vocazione per la performance live e la necessità di far comprendere alla perfezione i propri testi, passando nel corso degli anni dall’ utilizzo dell’inglese a quello dell’italiano.
Da questo quadretto emerge una marcata anomalia rispetto allo standard dei gruppi che possono trovare collocazione nella stessa famiglia musicale: l’attenzione ai testi.
L’energia che la musica di Iceberg è in grado di rilasciare è già un messaggio… in altro contesto potremmo definirlo ‘il messaggio’. Significa rottura, forza, giovinezza, voglia di cambiare e intenzione di dare contributo concreto alla mutazione… c’è sempre, in qualsiasi epoca, qualcosa da modificare!
Ma le liriche non sempre vengono tenute in seria considerazione, preferendo spesso  il ‘suono’ che solo l’inglese sa regalare, e privilegiando la facilità metrica che la lingua di Albione può dare. E in questo caso invece si dedica del tempo alla creazione di tappe testuali significative, scoprendo alla fine-e questa è una loro indicazione- che si potrebbe quasi parlare di un concpet album, esistendo un saldo filo di collegamento tra le nove tracce.
Gli argomenti? Quotidianità, e che altro si  potrebbe raccontare?! Gli spunti sono talmente tanti che le occasioni non sono mai troppe. Ma se la normalità a volte tragica del nostro presente, e se la denuncia dei problemi del mondo-o personali- si accompagnano alla forza espressiva, quasi devastante, di un certo tipo di rock in ottima salute, il risultato può essere una vera scossa che, immagino, in fase live, sia in grado di trasferire grandi quantità di energia. E in quel momento, non appena tale energia ritornerà sul palco, anche l’Iceberg, temporaneamente, si scioglierà.



Come nasce la vostra passione musicale e quali sono stati i musicisti che vi hanno influenzato a tal punto da spingervi sulla via della musica “attiva”?

Alessandro: Io penso di essermi avvicinato alla musica “tardi”, a 14/15 anni, quando al liceo gli amici iniziarono a passarmi i cd di Nirvana, The Doors, Led Zeppelin e altri gruppi rock stranieri. Cercai subito qualcuno che potesse insegnarmi le basi della chitarra, per suonare sui cd che consumavo. Poi i primi concerti da spettatore e il primo gruppo nel quale suonavo la chitarra, a 16 anni. 
Marco: Posso dire quando ho iniziato a suonare: avevo 14 anni. Ma la passione della musica direi da sempre. Ho iniziato ad ascoltare musica da piccolo, diciamo che ho ascoltato quasi di tutto, ma sicuramente il periodo punk è stato quello che più mi ha più condizionato spingendomi ad avvicinarmi al mio strumento. Suonando insieme ad Ale, anche prima di essere gli Iceberg, ho accolto le sue influenze abbandonando in parte il punk per avvicinarmi ad altri generi, sempre violenti e distorti, ma magari più curati.

La vostra formazione in trio riporta alla storia del rock blues, dai Cream alla Jimi Hendrix Experience. Quali sono le linee guida del vostro progetto?

A: Non abbiamo linee guida precise, siamo nati come trio penso prima di tutto per necessità e fino ad ora non abbiamo avvertito l’esigenza di cercare altri componenti. Sicuramente questa formazione a tre è determinata anche dalla voglia di esprimerci interamente attraverso i nostri strumenti, nessuno dei quali vogliamo passi in secondo piano. Così il basso a volte diventa una seconda chitarra o la batteria regge intere parti di canzone con un determinato pattern. Spero di essermi spiegato.
M: Anche perché tutte le migliori band sono un trio!

Leggendo la vostra biografia si evince che da un certo punto in poi i vostri testi sono passati dalla lingua inglese a quella italiana. Quali i motivi della trasformazione?

A: è stata una “scelta” che ho imposto io al gruppo, in quanto sentivo l’esigenza di comunicare in modo più diretto con l’ascoltatore, e avevo voglia di misurarmi con la scrittura in italiano. Ancora oggi non so se sia la scelta migliore per l’identità degli Iceberg, abbiamo riscontrato pareri discordanti ma penso che non cambieremo di nuovo direzione; inoltre trovo più stimolante lo scrivere in italiano, forse per il fatto che essendo comprensibile a tutti si è più esposti alle critiche e quindi risulta più rischioso ma anche più divertente.

Mi pare di capire che la fase live sia uno dei vostri punti di forza. Che tipo di rapporto riuscite a stabilire con chi vi sta di fronte?

A: Sì, penso che il live sia sicuramente il nostro punto forte. Con gli anni abbiamo maturato quello che è il nostro suono, che anche se non è definitivo, è comunque parte delle canzoni e della nostra proposta. Nei live cerchiamo principalmente di essere noi stessi, ci esponiamo con tutta l’onestà possibile cercando di arrivare a chi ci sta di fronte attraverso le canzoni e il sudore evitando troppe parole o battute studiate a tavolino.   

Lavorare in gruppo presuppone un certo affiatamento. Esiste tra voi anche un forte vincolo di amicizia?

A: Sì siamo molto legati tra di noi e ci frequentiamo anche al di fuori degli impegni musicali. Capitano a volte momenti di tensione, come penso sia nella normalità di ognuno di noi, ma finora abbiamo saputo gestirli senza troppi sforzi. Attualmente non penso avrebbe senso suonare in condizioni di stress o vittime di incomprensioni che porterebbe via spazio alla realizzazione che deriva dall’essere un gruppo musicale, almeno per me.

Che cosa ha significato per voi l’incontro con la New Modern Label di Govind Khurana?

A: Magari ti rispondo tra un annetto! A parte tutto abbiamo cercato fortemente qualcuno che si interessasse agli Iceberg ed in particolare a “Caro tornado”, il nostro primo album, perché volevamo che uscisse dalla cerchia di persone che lo comprano ai concerti e diventasse il nostro biglietto da visita per quante più persone possibili. Govind con la sua New Modern Label si è interessato al progetto, ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a lavorare insieme; lui si occupa della promozione del disco, dell’ufficio stampa e della distribuzione digitale di “Caro tornado”.

Nella vostra discografia esiste un tributo a John Lennon. Omaggio alle sue idee o alla sua musica?

A: Non penso che i due aspetti di questo artista siano scindibili. La cover di Lucy in the Sky with Diamonds è stata prima di tutto un’occasione per misurarci con l’interpretazione di un classico della musica rock ricordando, se ce ne fosse bisogno, che ci sono stati musicisti che hanno scelto di vivere e di credere pienamente nei loro ideali, con tutte le conseguenze che questo può comportare.

Che cosa pensate del proliferare dei Talent Show e dei musicisti che li popolano?

A: Onestamente non ci penso! Magari sbaglio ma non mi hanno mai preoccupato, sono troppo lontani dalla mia idea di musicista e penso che abbiano ragione di esistere ma solo se confinati all’interno dello spazio mediatico che li riguarda, un programma di intrattenimento come un altro. Penso che l’importante sia che le persone ricordino la differenza tra il personaggio che è la star del talent show, e spesso del momento, e l’artista vero e proprio.
M: Mai guardati e condivido il pensiero di Ale: non fanno parte della mia idea di musicista.

E’ ipotizzabile per il futuro pensare all’utilizzo di nuova strumentazione/tecnologia, magari in fase live?

A: Non saprei cosa risponderti, non vogliamo precluderci alcuna possibilità. Più che a nuovi strumenti penserei a nuove soluzioni per arrangiare al meglio i brani con gli strumenti che abbiamo… ma chissà!

Se prendiamo il vostro vocabolario dei sogni, cosa sta scritto alla voce “… da realizzarsi assolutamente entro tre anni…” ?


A: Restando in ambito musicale ti direi qualche palco importante e trovare conferme in un pubblico più vasto, ma tre anni sono troppi!





BIOGRAFIA


2008 – 2009
Il gruppo inizia l’attività live riuscendo, solo con l’autopromozione, a fare un buon numero di date in locali, centri sociali e festival del Nord Italia, raccogliendo sempre ottimi consensi; il trio divide inoltre il palco con il gruppo americano DES ARK, prodotto da J. Mascis, con Joe Lally, bassista dei FUGAZI, e con i gruppi italiani SICK TAMBURO e FRANCESCO-C. Nel 2008 il brano Sunlight viene inserito nella compilation di gruppi pavesi voluta e stampata da Orquestra record.
Nel 2009 continua l’attività live ed il trio partecipa ai concorsi “Bustock”, organizzato dalla Comunità giovanile di Busto Arsizio, e “Fly Zone Rock Festival” organizzato in provincia di Ravenna, vincendoli entrambi.

2010 – 2011
I tre decidono di cantare in lingua italiana, scelta che comporta la riscrittura di alcuni brani oltre alla composizione di nuove canzoni; nello stesso anno la band partecipa alla compilation in tributo a John W. Lennon “A day in the life” con una sua personalissima versione di Lucy in the Sky with Diamonds; la doppia compilation, ideata e prodotta da Downtown Studio di Pavia, raccoglie al suo interno le migliori canzoni di J.W. Lennon, interpretate dai maggiori musicisti della scena musicale pavese. Nell’estate 2011 il gruppo inizia le registrazioni delle canzoni che andranno a comporre il primo album.

2012
A febbraio 2012 è uscito il primo disco degli ICEBERG,” Caro tornado”, registrato e mixato nel loro piccolo studio nella campagna pavese. L’album è composto da 9 brani, tutti in italiano ed è distribuito principalmente durante i live e in digital download. Il CARO TORNADO tour2012 è iniziato ufficialmente il 25 Febbraio 2012, giorno di uscita dell’album.

Formazione: Alessandro Mogni: chitarre e voce / Renzo Carbone: basso e voce/ Marco Monga: batteria




mercoledì 28 marzo 2012

"the Fabius Project"



Gli incontri musicali occasionali possono essere estremamente piacevoli, se si è ben disposti verso il “ non conosciuto”. Ed è stato davvero il caso che mi ha condotto nel mondo di Fabio Brunelli e del suo “the Fabius Project”. E io non perdo mai l’opportunità di allargare le mie conoscenze specifiche.
Leggendo l’intervista a seguire, e analizzando il pensiero di Fabio inserito a fine post, emerge un filo conduttore che unisce la sua  filosofia di lavoro-e di vita- che si riversa, ovviamente, nella musica. A metà tra un “j’accuse” e una richiesta di aiuto (non tanto personale, ma genericamente a favore della musica), si delinea un contesto che appare impossibile da non condividere. Il sunto potrebbe essere… “conserviamo la storia, ma spalanchiamo le nostre porte al nuovo che arriva…”. E di “nuovo” da scoprire nel nostro mondo ce n’è tanto, tantissimo, e di estremo valore, e se cotanto talento fosse stato presente in particolari momenti storici più fortunati, beh, avrebbe forse trovato una più giusta collocazione.
Fabio fa naturalmente parte del nuovo, anche se la sua attuale espressione è il frutto di anni di gavetta, sudore e lacrime.
E’ soprattutto sorprendente il risultato del suo progetto, che ho potuto “toccare” attraverso due CD autoprodotti.
In questo caso il know  how storico, fatto di prog, jazz, rock e molto altro,  non è servito ad alimentare la nostalgia musicale di cui periodicamente tutti un po’ soffriamo (e in dosi limitate non può che essere positivo), ma ad elaborare una personalissima idea che non è sfociata in un tributo alla band dei sogni- e accade spesso -, e nemmeno nella clonazione, più o meno volontaria, del genere che più si  ama. Certo, l’inconscio musicale non si potrebbe cancellare nemmeno se lo si volesse, ma l’operazione di Fabio, secondo la mia interpretazione d’impatto, è la più trasparente possibile. E questo è già un pregio.
Tutto ciò che ho ascoltato è strumentale, e Fabio ci racconta che è la prima volta che accade, essendo i testi colonna portante delle proposte precedenti.
Un musicista “scrive” innanzitutto per se stesso, e ogni traccia inserita in questo progetto appare come il frutto di un’emozione catturata al volo ed elaborata  per essere ingabbiata e vivere per sempre. In fondo che differenza c’è, nel metodo, tra una poesia ed un brano strumentale? Entrambi i prodotti conquisteranno uno spazio significativo perenne, se mossi dalla spontaneità e dalla sincerità a cui accennavo.
Ma lavorare esclusivamente  per sé sarebbe riduttivo, anche se molti, presi dalla delusione, si accontentano. E allora ecco l’interattività, che vale sempre nella musica, ma che nel caso specifico pare elemento imprescindibile all'interno del progetto stesso. 
Non scrivo liriche perché… non utilizzo immagini in movimento perché…”;  Fabio lascia ampia scelta di interpretazione, grande spazio ai trip-legali- personali,  e si racconta, spingendo l’attento fruitore di musica a creare un proprio disegno fatto di forme e colori mutevoli. Come definire la musica di Fabio Brunelli?  Forse nessuna etichetta conosciuta potrebbe racchiudere i veri intenti progettuali e quindi… a ciascuno la propria definizione, mantenendo così saldo il concetto di essenza della musica, intesa come totale scambio tra chi la propone e chi la recepisce.
Sì.. io la chiamerei musica interattiva!




L’INTERVISTA

Iniziamo da Fabio Brunelli… come nasce la tua passione per la musica e quale è stata la scintilla che ti ha trasformato in propositore delle tue idee?

La mia passione per la musica, devo dire folgorante, nasce nel 1974 quando un amico, con qualche anno in più di me, mette sul piatto Burn dei Deep Purple, e  da quel preciso momento in poi non ho fatto altro che divorare dischi e passare tutte le mie giornate ad andare a sentire le prove o i concerti dei miei amici, perché come sai in quegli anni praticamente tutti avevano un gruppo. Mi è stato perciò chiaro da subito che la musica sarebbe stata la mia vita. Ho cominciato in contemporanea a suonare, dapprima  un po’ tutti gli strumenti, perché  tutti i miei amici musicisti mi lasciavano mettere le mani là sopra,  poi in particolare la chitarra in un gruppo prog molto conosciuto a livello locale, la Mensa Comunale, gruppo col quale ho avuto la possibilità di scrivere pezzi e fare concerti .

Come si è evoluta la tua storia musicale, dagli inizi sino a “the Fabius Project”?

Dopo la Mensa Comunale, ho cominciato a scrivere canzoni di vario genere, dal leggero alla dance, al prog, al blues e quant’altro, perché mi è sempre piaciuto esplorare tutta la musica e non un filone soltanto. Nel frattempo ho cominciato anche la professione del musicista, suonando dal liscio al pianobar e con cover band con le quali ho suonato qualunque genere, dal commerciale all’ heavy metal, sino  ai tributi,  accumulando più di 2000 concerti nel corso degli anni, e facendo grande esperienza anche a livello tecnico, perché oltre a suonare facevo molto spesso anche la parte del fonico e arrangiatore. Nel 2009 ho deciso di dedicare tutte le mie energie e conoscenze alle mie composizioni che tuttavia nel corso degli anni erano sempre andate avanti, e che alla fine hanno trovato  naturale sbocco nel Fabius Project.

Quali sono le linee guida di questo tuo nuovo progetto?

In questo progetto confluiscono naturalmente tutte le mie esperienze passate, ma soprattutto cerco di mettere tutto il mio bagaglio di conoscenza al servizio delle emozioni, perché la mia visione della musica, che in tutti questi anni non è mai cambiata, è soprattutto emozione.

Ho trovato nel tuo sito stralci di pensieri di Aristotele che non conoscevo, ma che ho trovato estremamente attuali. Di fatto, concetti di 2500 anni fa possono essere usati per parlare della fase musicale che stiamo vivendo. Tutto ciò è per te triste o rassicurante?

Credo che la musica farà sempre parte della vita delle persone, allora come oggi. Sicuramente da qualche anno è più “consumata” che vissuta come fatto interiore, ma credo che questo rispecchi perfettamente il periodo storico che stiamo vivendo. Prendo atto di ciò più che essere triste o rassicurante, e cerco nel mio piccolo di fare musica che sia più adatta alla riflessione che ad altro uso, a vantaggio di coloro che vogliono ancora viverla in questo modo.

La musica che tu proponi è strumentale. Le emozioni ed i messaggi si possono trasferire, in modo efficace,  con o senza liriche.  Qual è,  in generale, il tuo rapporto con i testi?

Ho sempre scritto musica con testo, ma in questo progetto ho voluto dare più spazio alle sensazioni libere, non vincolate a nessun tipo di condizionamento che il testo può dare. Questo è anche il motivo per il quale, anche nei miei video, c’ è sempre e solo un immagine fissa e non un mini film, per lasciare a chiunque la possibilità di fare il “suo” viaggio e non il mio. In futuro non escludo la possibilità di inserire dei testi nei miei pezzi, alla condizione che siano testi con qualcosa da dire altrimenti meglio un dignitoso silenzio.

Mi puoi fare una tua fotografia relativa allo stato attuale della musica, dai  possibili talenti al businnes che li gestisce?

È sotto gli occhi di tutti che oggi la musica è più un fenomeno usa e getta, dove più che il talento si cerca di offrire qualcosa da poter essere consumato nell’ arco di una stagione o due, finito il giro avanti un altro. È naturalmente un discorso di business, costa molto meno che allevare talenti veri che magari hanno bisogno di due o tre album per tirare fuori quello che hanno dentro. Anche perché oggi, è inutile nasconderlo, pochissimi comprano i cd, quindi penso alle major convenga più allestire un meccanismo fatto di spettacoli televisivi, compilation e mini tour, che hanno ancora un qualche indotto rapido e sicuro, che altro. Questo in generale ovviamente.

Quali benefici e quali problematiche sono legate al mondo di internet, per chi vuole proporre la propria musica?

Internet ha fornito a tutti la possibilità a tutti di potersi proporre al mondo e questa è sicuramente una grande cosa. Lo svantaggio è che non c’è nessun tipo di selezione, perciò ci troviamo di fronte a una offerta gigantesca di musica, il più delle volte fatta in maniera approssimativa. Questo a volte può disorientare il pubblico che tende a non ascoltare più di tanto le nuove proposte, rivolgendo spesso la propria attenzione verso i soliti noti. Questo a discapito di coloro che magari, anche se non conosciuti, hanno qualcosa da dire.

Quanto è importante per te l’utilizzo della nuova tecnologia e lo stare sempre al passo con i tempi? Ami anche la fase acustica?

La tecnologia oggi, se sapientemente usata, permette a chiunque di “lavorare” in casa, e credo che questo sia il futuro di tutti i musicisti per abbattere i costi che si hanno se, per fare un album, si utilizza la stessa filiera del “disco vecchia maniera”. Questo costringerà molti musicisti a diventare anche fonici e arrangiatori di se stessi, mestieri che però non si imparano in due giorni. Per quanto mi riguarda, ho il mio studio fatto su misura per me e non sono alla ricerca costante dell’ultima novità. Nei miei album come avrai potuto  sentire la fase acustica è predominante, il “suonato” è nettamente prevalente a tutto il resto anche perché le chitarre “finte” sono improponibili se non come strumenti secondari. Uso solo la batteria campionata che programmo pezzo per pezzo (non uso quindi loop già fatti) per scelta, perché mi piace fondere qualcosa di elettronico col calore degli strumenti acustici.

Che cosa significa per  te la performance live?

La mia intera vita musicale è stata fin qui basata quasi esclusivamente sulle performance live, e mi trovo quindi a mio agio nel suonare dal vivo. Credo che in  ogni caso, nelle esibizioni si debba cercare di trasmettere qualcosa, più che mostrare le proprie capacità tecniche, anche se so per esperienza che il pubblico ama la performance tecnica. L’ideale è riuscire a fondere entrambi gli aspetti: tecnica, ma senza mai dimenticare la comunicazione.

Cosa prevede il tuo vocabolario dei sogni alla voce … “da realizzare entro tre anni…” ?

Più che sogni (che faccio ovviamente e mi piacciono moltissimo, ma so che quasi sempre sono irrealizzabili … ), mi piace fare progetti che posso rendere concreti, e tra questi vorrei, nei prossimi anni, portare live la mia musica, cercando di farla conoscere a più persone possibili e offrirla così a chi la vuole e si sente con me in sintonia, dando così il mio piccolo contributo alle emozioni, e … credo ce ne sia molto bisogno, oggi più che mai. 




Il pensiero di Fabio Brunelli  (http://www.fabiusmusic.com/)

Ho cominciato ad appassionarmi alla musica nel 1973 e ho amato da subito quella dei tempi e quella  dell’allora recente passato; ho consumato i dischi dei Genesis e di tutti gli altri geni del prog, mi sono entusiasmato coi Weather Report quando ancora avevo ancora i calzoni corti; poi i Deep Purple mi hanno cambiato letteralmente la vita, ed ogni grande musicista che ho ascoltato con avidità  mi ha dato talmente  tanto che ho deciso molto presto che, ad ogni costo, la musica sarebbe stata la mia vita. Tutto questo ricordare il mio passato mi crea sempre grande emozione e un affetto immenso per quella grande musica, e nostalgia per quegli anni di spensieratezza, ma poi penso anche che quello, seppur stupendo, è il passato … siamo nel 2012: voglio ancora rifugiarmi indietro nel quando “si stava meglio quando si stava peggio” o voglio vivere pienamente la vita che ho ancora davanti e fare nuovi progetti per sentirmi ancora vivo, senza guardare agli anni che passano?! Sappiamo tutti che sono tempi difficili e che la reazione  più immediata è lo scoramento e l’inerzia, ma io credo che solo facendo progetti nuovi ai quali dedicarsi con tutte le proprie forze si possa sperare in qualcosa di positivo. Questa idea quasi di paura di vivere il nostro tempo mi viene data dall’osservazione della pubblicazione dei video musicali dei miei amici di Facebook (che sono chiaramente appassionati alla stessa musica che ascoltavo io e che in molti casi è stata il motivo principale  per chiedere l’amicizia), sempre o quasi video di brani dei ‘soliti’ grandi del passato e sui quali ovviamente clicco “mi piace”, ma raramente nuove proposte …. possibile che non ci sia la voglia e il coraggio di emozionarsi con musica nuova?! Quasi come se non ci fosse la possibilità di vivere cose nuove alle quali legare musiche nuove. La musica è la colonna sonora della nostra vita, se non c’è musica nuova da ascoltare  forse vuol dire che non c’è neanche niente di nuovo da vivere. I musicisti devono sforzarsi di proporre qualcosa  di non scontato, che magari sì, tragga ispirazione  dai miti del passato, ma che non ne sia la sterile copia( per fare in questo modo sicura breccia nel cuore del pubblico orfano di tanta passata magnificenza sonora); agli appassionati tocca il compito-e la voglia- di ascoltare  musica che non sia la facile riproposizione  dei propri miti passati, senza paura di perdere le proprie sicurezze e avere così la possibilità di poter così sognare ancora. Per chi la assapora in un certo modo (e sono le persone con le quale ho feeling), la musica è lo specchio esatto di ciò che stiamo vivendo; senza la passione e la voglia generale di qualcosa di nuovo da vivere, saremo costretti ad essere prede del nulla musicale (e non solo quello) proposto dai potenti o a restare “nell’antico”, entrando quasi in una sorta di meccanismo mentale perverso che ci fa rifugiare nel passato perché non c’è niente di nuovo nel presente e nel futuro; viviamo la vita che abbiamo davanti accompagnandola con musica nuova… un augurio e una  speranza per non vivere sempre e solo di ricordi.




lunedì 26 marzo 2012

Pablo e il mare-Miramòr


Miramòr è il secondo album di Pablo e il mare, il primo in trio acustico.
Nell’intervista a seguire, tra le tante cose interessanti emerge la motivazione del titolo del “disco”, un gioco di parole che sottointende un certo modo positivo di vedere la vita. Ulteriore riflessione può derivare dal nome “Pablo e il mare”. Entrare per un attimo nel mondo di una nuova  band, significa avere a disposizione molteplici ingredienti tra cui attingere, e l’idea riassuntiva non tiene solo conto della musica e dei testi, ma di  una serie di “dettagli”-art work, credits, collaborazioni, immagini, biografia ecc.-che contribuiscono a formare una picture ben definita.
Torino, città nativa della band, ha dei contorni delineati, magari in parte frutto di stereotipi, ma la si idealizza con un certo grigiore londinese difficile da scrollarsi di dosso, abbastanza austera, a tratti operosa e concentrata su cose concrete. L’argomento viene affrontato nello scambio di battute tra me e Paolo Antonelli, ideatore del progetto, ma è rilevante il gap tra “luogo di partenza” e nome e musica proposti. L’evidenziazione è necessaria per introdurre l’argomento “canzoni”.
Le trasformazioni che riguardano la filosofia musicale sono il frutto di grandi cambiamenti delle esigenze personali. Fu inizialmente drammatico il passaggio di un famosissimo cantautore, Dylan, da acustico ad elettrico. In tono ovviamente minore, anche il tracciato inverso-da elettrico ad acustico- di Pablo e il mare, è il percorso che deriva, mi immagino, da importanti maturazioni personali. La sintesi di tale stato è racchiusa in  Miramòr, undici tracce che pennellano situazioni quotidiane che sanno di pop rock.
Melodia, ritmo e una voce che sembra fatta apposta per il mood della proposta, sono gli ingredienti che accompagnano i messaggi e la cura dei dettagli. D’impatto l’album potrebbe sembrare rivolto ad un pubblico giovane, ma risulta gradevole sotto ogni punto di vista e quindi adatto ad ogni amante del pop e della musica che riesce a infondere positività, anche se per pochi attimi.
In fondo dovrebbe essere questo il ruolo della musica, far stare bene chi decide di fruirne, e in questo senso Miramòr mi sembra possa fare centro.




L’INTERVISTA

Come ti sei avvicinato alla musica, quale è stata la scintilla che ti ha fatto capire quale fosse la tua vera passione?

Come per tanti ragazzi che fanno musica, le scintille iniziali sono due: un’esigenza espressiva e una vibrante passione. Riassumendo la genesi di Pablo e il mare, negli anni ’90 ognuno di noi militava in giovanissimi gruppi torinesi (io e Marco negli Avenida Perdida e nei Mystica, Andrea nei Trait d’Union). Io scrivevo le mie prime cose e suonavo la chitarra, ma il ruolo mi stava un po’ stretto. Per questo motivo nel 2002 ho costituito intorno alle mie canzoni il progetto Pablo e il mare.

Esiste un musicista o una band che vi  ha influenzato in maniera decisiva?

Un musicista? Duemila direi. Di sicuro l’impronta pop d’autore di artisti italiani come Mario Venuti, Daniele Silvestri, La Crus, ascoltando Pablo e il mare un po’ si percepisce.  Ma il retroterra è profondo: il gusto per il rock degli anni 60 e 70, la new wave anglosassone. E poi la scoperta di nuovi registri, la scoperta della musica mediterranea e contaminata, del reggae, la patchanka, e la nu-acoustic americana, Jack Johnson in testa.  E rimaniamo sempre dei gran curiosi. Io ultimamente ascolto Nick Drake.

La formula acustica è quella che preferisci, ma esistono momenti musicali “elettrici” nella tua vita quotidiana, non obbligatoriamente pubblica?

Assolutamente sì. Ho una predilezione per vibranti chitarre “tarantiniane”, vibrati e riverberi profondi. Ho nel cassetto idee elettriche che chissà se un giorno vedranno luce. Devi sapere che Pablo e il mare è stato una rock band in quintetto/sestetto per anni; “Onde”, il nostro primo disco del 2006, era un disco elettrico. La svolta acustica è arrivata nel 2009, un po’ per scelta, un po’ per “comodo”, vista la situazione asfittica del settore, che dal vivo rende più facili le esibizioni di situazioni “snelle”. Poi, a dirla tutta, la soluzione attuale in trio ci piace: il cajòn al posto della batteria, legato al pianoforte e alla chitarra acustica, sulla mia voce, rappresentano il sound Pablo e il mare. “Onde” conteneva ottime canzoni ma non dava un’idea musicale di insieme coerente con gli stessi risultati di “Miramòr”.

Il mare mi pare argomento sempre presente nel tuo modo di esprimerti. La terra in cui vivi ne è priva. Effetto “compensazione”, obiettivo da raggiungere o cos’altro?

Bella domanda. Ti deluderò, ma non ho ancora trovato risposte. Anzi, l’occasione è buona per cercare di rispondere: di sicuro sono uno di quelli che, fin da bambino, in macchina sulla strada per il  mare, provava quel  “dietro una curva improvvisamente il mare” , come cantava Fossati.  Ma non è una sensazione che provano tutti, questa? In secondo luogo, il mare è quello che a Torino non c’è, e quel che non c’è sta nella sfera dell’immaginazione, della libertà, illusione, visione. E per finire c’è un fatto culturale: il mare è per me un richiamo naturale, ancestrale. Sono nato a Torino ma le origini sono a Sud. Aggiungi a questo che ho viaggiato molto, e questo mi ha dato l’opportunità di vedere mille modi di abitarlo, di viverlo, di amarlo, questo mare.

5)Quanto ti ritieni lontano, o diverso, dai cantautori degli anni ’70?

Ma dai… Il solo pensiero di confrontare la mia scrittura con certi mostri sacri mi imbarazza. Provo a spiegarla così: le canzoni di Pablo e il mare sono pop, con attenzione alla buona scrittura. Mentre per alcuni di questi cantautori vale il contrario. Poi ci sono gli inarrivabili, per i quali la musica e il testo sono entrambi di altissimo livello e nulla, ma proprio nulla è lasciato al caso. Ma è una vecchia discussione, questa…

Riesci a concepire il  passaggio di un messaggio, o comunque di emozioni, attraverso una musica priva di liriche?

Certo, è questo il potere della musica. Chi non si emoziona ascoltando Morricone? Chi non si emoziona ascoltando Misirlou, il tema di Pulp Fiction? Quanto a noi, al momento Pablo e il mare ha in scaletta il tema de “la valse d’Amelie”.

Che giudizio dai dello stato della musica, riferito ai talenti in circolazione?

Alcuni nuovi nomi italiani mi piacciono molto per la sensibilità e l’ironia che mettono. Prendi Brunori o Dente. Bravi anche dal vivo, sono molto espressivi. Quello che per me è il loro limite (parere personalissimo) è questo raccontare sempre  il “particolare”. Io preferisco l’ “universale”, che però sembra non essere più di moda. Parlano sempre un po’ “della loro cameretta”…
Voglio dire, a un trentenne Dente che già scrive: “non mi toccano le cose che non ho mai sentito” preferisco un Lorenzo Jovanotti, che malgrado l’età anagrafica scrive ancora della sua voglia di scoprire, della sua ricerca, del suo istinto navigatore.

 E cosa ti senti di dire a proposito del business musicale?

Non sono la persona più adatta con cui parlare di questo. Se ascolto ” Anima Latina” di Battisti, che è del 1974, capisco che oggi nessun artista da classifica potrebbe permettersi simili libertà compositive. Ma oggi di artisti da classifica ce ne sono pochini. C’è un bel sottobosco indie, che arriva ad alcuni, ma non a tutti. C’è tantissima offerta. Arrancano tutti.

Qual è la tua maggior fonte di ispirazione quando crei una nuova canzone?

Miramòr, il titolo del disco di Pablo e il mare, gioca con le parole Mirar- Mar-Amor.  Mar come Mar, Amòr come Amòr, ma Miràr come apprezzare, immaginare, scoprirsi capaci di sorprendersi. E’ un tema ricorrente, che emergerà anche nei brani della prossime produzioni.

 E ora sogna. Cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?

Dammi un attimo per pensarci… vado?  Vado! Vivere questo mondo, senza perderne un secondo. E cercare di raccontarne qualche frammento a modo mio, indipendentemente dai riscontri. Ah… Nel breve,  invito tutti a non perdersi Miramòr, il nostro disco. I torinesi lo trovano nei negozi di dischi, il resto del mondo può scrivere a mail@pabloeilmare.it  o cercarlo su Amazon e I-Tunes.




Biografia

Le canzoni di Pablo e il mare prendono il largo a Torino nel 2002, guidate dalle idee di Paolo Antonelli, autore di testi e musiche. Il nome della band è preso dal titolo di una delle canzoni più rappresentative, che richiama uno scenario mediterraneo, contaminato, latino e trasognato. Una proposta dalla spiccata vena d'autore, valorizzata dal suono degli strumenti acustici. In una parola: Canzoni. Apprezzate sia dal mondo della canzone d’autore “tradizionale” che dalla fervente scena indipendente.
Le prime tappe vedono Pablo protagonista di "Colonia Sonora" e un progressivo intensificarsi dell'attività live. La partecipazione ad alcuni importanti festivals dedicati al panorama indipendente suscitano curiosità da parte degli addetti ai lavori, che nel 2005 premiano il progetto con la vittoria della XVI edizione di "Rock Targato Italia", il prestigioso concorso indetto da Divinazione, che nelle precedenti edizioni portò alla ribalta i nomi di Timoria, Scisma e Marlene Kuntz.
Nel 2006 vede la luce "Onde", il disco d'esordio legato al clip di "All'alba di ogni giorno" diretto da Tak Kuroha (già regista per Gianna Nannini, Morgan, ecc.). La band suona in diversi locali della penisola e prende parte a vari festivals di rilievo in tutta Italia, a fianco di realtà quali Casino Royale, Africa Unite e Meganoidi.
Nel 2009 parte una nuova era di Pablo e il mare, in trio acustico e rinnovata vena d’autore.
Il tour estivo porta Pablo e il mare in Slovenia. Nel 2010 La band figura nel cast estivo di Spaziale, insieme a Marta sui Tubi, The Niro, Perturbazione.
Il 2011 è l’anno di Miramòr, atteso secondo disco registrato da Pippo Monaro e coprodotto da Luigi Giay/Blumusica.  Il tour promozionale di Miramòr ha preso il via il 25/04 a Torino, in apertura di Subsonica e Niccolò Fabi, davanti a 5000 spettatori, ed è proseguito con venticinque date in Italia.

Formazione
Paolo Antonelli: voce e chitarre (classica, acustica ed elettrica)
Andrea Ferraris: piano elettrico
Marco Ostellino: cajòn e percussioni


COMUNICATO STAMPA

Miramòr è il nuovo disco di Pablo e il mare, trio d'autore e contaminazioni.
Canzoni d'amore e di mare, di acqua passata e vita ancora da navigare.
Un inno alle passioni e all'arte della coltivazione della suprema arte della meraviglia.
Amòr, Màr, Miràr... Miramòr!


Dal 1 settembre disponibile:
- ai concerti di Pablo e il mare
- a Torino, in tutti i negozi di dischi
- sui principali store digitali
-  mail order: mail@pabloeilmare.it

Secondo capitolo della discografia del progetto nato nel 2002 a Torino dalle creazioni di Paolo Antonelli, Miramòr è una ricetta i cui ingredienti  sono il sound acustico e contaminato, l'attenzione al testo e la decisa attitudine pop. Canzoni come intimi effetti personali, che affondano le proprie radici nel cuore del mediterraneo ma volgono lo sguardo oltreoceano. Il lavoro arriva a cinque anni esatti da "Onde", esordio discografico che sulla scia della vittoria della XVI edizione di Rock Targato Italia ottenne larghi riconoscimenti di critica e portò Pablo e il mare sui palchi di importanti festival nazionali. Il secondo capitolo di questa storia, apprezzata dal mondo della canzone d'autore più tradizionale e dalla fervente scena indie nostrana, si compone di 11 brani registrati da Pippo Monaro negli studi subalpini di Blumusica, sotto la supervisione e la coproduzione di Luigi Giay.
La voce e le chitarre di Paolo Antonelli, autore di musiche e testi, sono accompagnate dal ricco set di percussioni di Marco Ostellino e dalle tessiture di Andrea Ferraris, pianoforte e rhodes.
Tra le collaborazioni di Miramòr, il clarinetto di Andrea Sicurella (Banda Elastica Pellizza), le preziose chitarre di Enrico Fornatto, la voce di Emanuela Struffolino e il tocco mediterraneo di Francesco Coppotelli (violini, oud e bouzuki).


Info …

PABLO E IL MARE
Canzone d’autore e contaminazioni in trio semiacustico
sito:   http://www.pabloeilmare.it