martedì 31 ottobre 2023

"Flowers", l'innovazione dei Rolling Stones in una raccolta del '67 (riascoltiamolo nell'articolo)

 


Titolo: Flowers (raccolta discografica)

Artista: The Rolling Stones

Pubblicazione: 1967

Durata: 37:20

Genere: Rock, beat

Etichetta: London Records-ABKCO Records

Produttore: Andrew Loog Oldham


"Flowers" è il decimo album dei Rolling Stones, pubblicato originariamente nel 1967 come una raccolta di brani non inclusi nei loro precedenti album britannici È un disco che offre una panoramica interessante sulle prime fasi della carriera della band, offrendo una miscela di tracce provenienti da diverse sessioni di registrazione ed era destinato al mercato statunitense.

Pubblicato il 15 luglio 1967, è una compilation di successi e brani mai editi prima su LP. Nello specifico, tre brani erano all'epoca ancora inediti: My Girl, ripescaggio delle sessioni per Out of Our Heads, Ride On, Baby e Sittin' On a Fenc,e risalenti alle sedute di registrazione per “Aftermath.

Il titolo fa riferimento alla grafica di copertina, che raffigura degli steli di fiori sotto il viso di ogni membro del gruppo. Fatto curioso e inquietante è che l'unico stelo raffigurato senza foglie è quello sotto la testa di Brian Jones, che sarebbe morto due anni dopo.

Flowers” raggiunse la terza posizione in classifica negli Stati Uniti durante l'estate inoltrata del 1967 e fu certificato disco d'oro.

Nell'agosto 2002 il disco è stato rimasterizzato e ristampato in formato CD e SACD digipak dalla ABKCO Records.

Scendendo sul personale, sottolineo come i brani contenuti nel disco siano realmente rappresentativi del sound della band di fine anni Sessanta, molti conosciutissimi sotto forma di singoli, sicuramente capaci di dare suono e immagini ad un’epoca di importante passaggio culturale e musicale.

Sono questi, PER ME, i veri Rolling Stones! Ma veniamo ad un po’ di oggettività.

L'album si apre con "Ruby Tuesday", una delle canzoni più celebri della band, caratterizzata da un'atmosfera malinconica e da un bellissimo arrangiamento strumentale, uno dei momenti più alti di "Flowers", capace di mostrare il lato più melodico e introspettivo dei Rolling Stones.

Altri brani degni di nota sono "Mother's Little Helper", che affronta tematiche come la società e l'uso di sostanze stupefacenti, e "Let's Spend the Night Together", un pezzo energico e carico di passione. Entrambe le canzoni dimostrano l'abilità compositiva della band nel creare brani orecchiabili e allo stesso tempo significativi.

Tuttavia, è importante evidenziare ancora come "Flowers" sia un album di “raccolta”, e quindi mancante di una coesione tematica o stilistica, tipica degli album in studio tradizionali. La selezione dei brani potrebbe quindi sembrare un po' eterogenea a volte, ma questo può essere attribuito alla sua natura di compilation.

Nonostante ciò, "Flowers" offre un'interessante finestra sul periodo di transizione dei Rolling Stones tra le loro prime fasi come band rhythm and blues e il successivo sviluppo di uno stile più sperimentale e psichedelico. La performance vocale di Mick Jagger è notevole in tutto l'album, così come la potente sezione ritmica composta da Keith Richards alla chitarra e Brian Jones alle tastiere.

In definitiva, si può affermare, sicuri di non sbagliare, che "Flowers" è un album che vale la pena di ascoltare, per gli appassionati della band e per chiunque sia interessato alla musica rock degli anni '60. Pur non essendo un album di studio tradizionale, offre una selezione di brani notevoli e rappresenta una tappa importante nella carriera dei Rolling Stones.

 

Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Tutte le canzoni di Jagger/Richards tranne dove indicato. 

Ruby Tuesday – 3:17

Have You Seen Your Mother, Baby, Standing in the Shadow? – 2:34

Let's Spend the Night Together – 3:36

Lady Jane – 3:08

Out of Time – 4:41

My Girl – 2:38 (testo: Robinson/White)

Back Street Girl – 3:26

Please Go Home – 3:17

Mother's Little Helper – 2:46

Take It or Leave It – 2:46

Ride On, Baby – 2:52

Sittin' On a Fence – 3:03

 


Formazione

Mick Jagger - voce, cori, percussioni

Keith Richards - chitarra elettrica, chitarra acustica, cori, basso in Ruby Tuesday e Let's Spend the Night Together

Brian Jones - chitarra elettrica e acustica, tastiere, basso, koto in Take It or Leave It e Ride On, Baby, dulcimer in Lady Jane, registratore e flauto in Ruby Tuesday

Bill Wyman - basso, cori, organo, percussioni

Charlie Watts - batteria, percussioni






sabato 28 ottobre 2023

Galadriel, il neo prog spagnolo del 1985

 


Parliamo di Galadriel, band di musica progressiva spagnola fondata a Madrid nel 1985 da non confondere con l’omonima prog band australiana di inizio seventies…

Ho trovato in rete questo commento ma lascio giudicare i lettori dopo un po’ di ascolto…

Sofisticata band Neo Prog spagnola, con voci in inglese e spagnolo, sullo stile di Jon Anderson, ma la musica non è come quella degli YES.

Il suono di GALADRIEL è morbido e molto ben elaborato con cambiamenti dinamici e piacevoli passaggi acustici. La loro musica è più nella vena del classico suono progressivo italiano (come i primi PFM, per esempio).

"Chasing the Dragonfly", il 2° album della band spagnola, combina sapori etnici con uno stile neo prog molto banale per un suono complessivo unico. Raccomandato.

Ma forse è meglio ascoltare la loro musica...


DISCOGRAFIA (cliccare sui titoli per ascoltare)


Muttered Promises From an Ageless Pond

1988


Chasing the Dragonfly

1992


Mindscapers

1997


Calibrated Collision Course

2008






venerdì 27 ottobre 2023

26-10 The Who e il manifesto generazionale "Quadrophenia"


Titolo: "Quadrophenia"

Artista: The Who

Pubblicazione: 26 ottobre 1973

Durata: 81:36

Dischi: 2

Tracce: 17

Genere: Opera rock

Etichetta: Track, Polydor, MCA

Produttore: The Who, Kit Lambert, Glyn Johns

 

"Quadrophenia" dei The Who è un album rock epico e senza tempo che meriterebbe un'analisi dettagliata. Ma credo che un disegno superficiale - il mio di oggi - unito al completo ascolto, possa essere più utile alla causa, quella che è finalizzata ad avvicinare i neofiti al rock.

Pubblicato nel 1973, l'album rappresenta uno dei punti più alti nella carriera degli Who e un classico intramontabile del genere.

Si tratta della seconda opera rock della band dopo “Tommy”, ed è anche l'unico album degli Who interamente scritto dal solo Pete Townshend.

L'opera è un concept album che racconta la storia di Jimmy, un giovane mod nella Londra degli anni '60. La trama esplora le sfide e le frustrazioni che affliggono il ragazzo mentre cerca di trovare la sua identità in un mondo caotico e spesso ostile. L'album affronta temi come l'alienazione, la ribellione giovanile, l'amore, l'autodistruzione e l'accettazione di sé.

Musicalmente, "Quadrophenia" è un tour de force. Gli Who dimostrano la loro abilità straordinaria nel creare brani potenti e coinvolgenti, ma ciò  che rende l’album così speciale è l'abilità della band di trasmettere emozioni attraverso la musica. La voce di Roger Daltrey è piena di passione e intensità, catturando perfettamente il tormento interiore di Jimmy. I testi di Townshend sono ricchi di poesia e offrono una narrazione coinvolgente e la sezione ritmica è uno dei punti di forza del disco.

L'album presenta anche una varietà di stili musicali, che vanno dal rock duro ed energetico di brani come "The Real Me" e "5:15" alla delicata ballata "Love Reign O'er Me". L'uso di strumenti orchestrali e arrangiamenti complessi aggiunge ulteriore profondità e dimensione all'opera.

Uno dei punti salienti di "Quadrophenia" è la produzione impeccabile di Kit Lambert e degli Who stessi, capaci di creare un capolavoro assoluto. 

L'album cattura l'anima e lo spirito di un'intera generazione, offrendo una colonna sonora iconica per l'adolescenza ribelle. La sua combinazione di musica eccezionale, testi profondi e narrativa coinvolgente lo rende un album che merita di essere ascoltato e apprezzato ancora oggi.


È stato detto:


“Tutta la grandezza degli Who è racchiusa qua dentro”

 

A distanza di qualche anno, nel 1979, “Quadrophenia” è divenuto un film - diretto da Franc Roddam -, pellicola che ha contribuito e mettere in risalto una cultura, un modo di vivere, un periodo importante amplificato dalla musica degli Who.


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Testi e musiche di Pete Townshend.

 

Lato A

I Am the Sea (strumentale) – 2:08

The Real Me – 3:20

Quadrophenia (strumentale) – 6:15

Cut My Hair– 3:46

The Punk and the Godfather – 5:10

Lato B

I'm One – 2:39

The Dirty Jobs – 4:30

Helpless Dancer – 2:32

Is It in my Head – 3:46

I've Had Enough – 6:14

Lato C

5:15 – 5:00

Sea and Sand – 5:01

Drowned – 5:28

Bell Boy – 4:56

Lato D

Doctor Jimmy – 8:42

The Rock (strumentale) – 6:37

Love, Reign o'er Me – 5:48

 

Formazione

Roger Daltrey – voce

Pete Townshend – chitarra, sintetizzatore, banjo, effetti sonori, voce

John Entwistle – basso, corno, voce

Keith Moon – batteria, percussioni, voce in Bell Boy

Altri musicisti

Chris Stainton – pianoforte (tracce: B2, B3, C1, C3)

Jon Curle – speaker radiofonico


The Who dal vivo nel 1974







giovedì 26 ottobre 2023

Presentazione del libro su Woodstock alla libreria La Torre di Alba (25-10-2023)-qualche immagine e video della serata

 


Il 25 ottobre ha visto la seconda di una lunga serie di presentazioni del libro “Woodstock, ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi” (Andrea Pintelli, Athos Enrile e Angelo De Negri), dopo l’esordio a Cremona presenziato da uno dei tre autori, Andrea Pintelli, mentre per chi scrive, la tappa piemontese, ad Alba (CN), ha rappresentato l’esordio.

Sono molto legato, sin da bambino, a quella zona d’Italia ma, se faccio riferimento ad eventi culturali a carattere letterario, il connubio ha preso il via nel 2011, quando un amico mi procurò la possibilità di proporre il mio primo libro - scritto con Massimo Pacini - intitolato “Cosa resterà di me”. Ieri come oggi la location si chiama Libreria La Torre, anche se il numero civico non è più lo stesso e ora la posizione è molto più centrale.

In questo caso il trait d’union è rappresentato da un’associazione culturale, non solo a carattere musicale, che io per comodità identifico in Enzo Patri, con cui ho collaborato un paio di volte in una sala meravigliosa dove trovano spazio vinili e CD di ogni genere.

La collaborazione tra le due entità - libreria e associazione - porta a sinergie che hanno permesso di realizzare rapidamente questo nuovo incontro.

Ma potevo andare ad Alba senza l’aiuto e l’amicizia di Luciano Boero?

Luciano è un grande musicista, colonna di quella che fu la Locanda delle Fate, e ci è capitato più volte di interagire, non soltanto per opere letterarie musicali, essendo lui, anche, scrittore e saggista.

In questo caso specifico avevamo programmato la possibilità di suonare qualcosa di semplice, qualche brano simbolo di Woodstock, e a distanza avevamo concordato tre pezzi da inserire ad hoc in momenti topici.

Sottolineo che io non sono un musicista, ma lo spirito di base, nella mia idea di presentazione a tema, privilegia il coinvolgimento piuttosto che lo sfoggio di bravura.

Però… un minimo di prova si rendeva necessario, soprattutto per quanto riguardava le voci (cosa necessaria se ci si avvicina alla musica di C.S.N.&Y.).

La mia scelta è ricaduta su “Find the cost of freedom”, molto evocativa ed adatta a disegnare l’atmosfera di quei giorni.

Luciano ha aggiunto un brano dei Beatles coverizzato all'epoca da Richie Havens, “Strawberry Fields Forever”, su cui ho provato a raddoppiare la sua voce, e il gran finale doveva essere “We shell overcome”, il brano manifesto di Joan Baez, potenzialmente in grado di coinvolgere il pubblico con il canto.

Ok, ci diamo un appuntamento pomeridiano per un paio di ore di prove, ma… alla fine non saranno più di trenta minuti, meglio improvvisare!

Però… c’è una novità, una cosa inaspettata.

Luciano, quasi con timore mi chiede se mi farebbe piacere una eventuale partecipazione di un frequentatore di quella zona, una che ha sempre una chitarra in auto, hai visto mai che…

Forse teme un mio irrigidimento al cospetto di una situazione non preparata, ma sarei un pazzo se storcessi il naso di fronte a Paolo Bonfanti, un chitarrista incredibile conosciuto anni fa, che nel tempo ho seguito e, tanto per restare nel tema, ricordo la sua partecipazione genovese ad uno spettacolo realizzato nel 2019, in occasione del cinquantennale dell’evento.

La sua presenza non richiede grandi prove supplementari, pochi minuti nel retro della libreria e stop, e io mi ritrovo indegnamente in mezzo a due professionisti della musica, immaginando che in ogni caso questa band inventata per una sera non la dimenticherò mai più!

A cena tutti assieme e poi si è pronti per condividere il messaggio, almeno si spera, con qualche persona interessata a curiosa.

La libreria La Torre, rivoluzionata nel lay out dopo il fine lavoro, è piena di anime, e quindi… si comincia bene.

Prima di continuare il racconto mi viene da sottolineare la semplicità con cui si è arrivati alla piena efficienza: poche prove musicali, un nano secondo per settare pc/proiettore/chiavetta usb, un regista perfetto, tanti registi perfetti, in grado di  giocare con le luci e muoversi all’unisono ad ogni minimo accenno, quasi fossimo una squadra rodata al lavoro!

L’audience si è dimostrata molto attenta e interessata. Non c’erano giovanissimi, ma credo fosse situazione comprensibile.

Musica e parole, il connubio mi pare funzioni in ogni occasione, e l’apprezzamento che ho rilevato mi ha confermato una formula che si può riproporre con fiducia.

Direi anche una prova di decisa elasticità, tenendo conto che siamo passati più volte da una conduzione che seguiva il filo logico di un Power Point alternata alle domande di Luciano Boero, e alla fine mi è capitato di essere io l’intervistatore dei miei occasionali compagni di viaggio. Penso che tutto questo sia piaciuto ai presenti, anche se il momento topico è arrivato quando Bonfanti ci ha riportato al mondo di Hendrix… due mancini al servizio della musica!

Bene, si finisce in gloria, si fa per dire, con la musica di Joan Baez e persone visibilmente soddisfatte, in una di quelle serate che andrebbero ripetute, anche senza un libro da presentare.

A seguire propongo un paio di video, che esistono grazie all’aiuto di mia moglie:

il primo riguarda la sezione musicale ed è pressoché completo.

Il secondo è una frazione di “parlato”, il minimo indispensabile, tanto per fornire un’idea di cosa potrebbe capitare nelle prossime presentazioni.

Un grazie enorme allo staff della Libreria La Torre, a Luciano, Paolo, Enzio, Gianni, Maura e a tutti i partecipanti che spero di ritrovare presto, con un nuovo libro che è… dietro l’angolo!


La musica...



Un po' di parole...





Il Cerchio D'Oro alla PROG NIGHT di Bistagno il 21 ottobre... qualche commento


Sabato 21 ottobre, a Bistagno (AL) è andata in scena la PROG NIGHT, anticipata dal seguente comunicato…

https://mat2020comunicatistampa.blogspot.com/2023/10/prog-night-bistagno-al-il-21-ottobre.html


Racconta Giuseppe Terribile, basso e voce de Il Cerchio D’Oro:

Da parte mia e di tutti impressioni positive; si tornava al live dopo qualche mese (e non molte prove, per mancanza di alcuni di noi e per il gran caldo), ma aldilà di ciò è stato un bel concerto, anzi un doppio concerto che meritava!

Non conoscevamo i Plenilunio ma si sono dimostrati persone gradevoli (davvero) e bravi musicisti... il loro prog è diverso dal nostro, ma le composizioni scivolavano via bene e si sa, quando la nascita dei gruppi risale più o meno allo stesso periodo, i gusti e i modi di suonare sono quelli conosciuti, anche se loro hanno un paio di forze nuove: il chitarrista, figlio dell'altro originale, e il bassista.

È nato come sempre qualche piccolo problema tecnico ai cambi palco tra diversi gruppi, ma è stata poca cosa.

Siamo stati accolti benissimo sia dagli organizzatori che dal pubblico, che ci ha applaudito apertamente. Abbiamo suonato circa un'ora a testa davanti ad una audience attenta e con diverse persone competenti. Tra gli altri il nostro amico Luciano Boero che, abitando a pochi chilometri, è venuto (in compagnia di un nostro vecchio fan) a farci visita e a vedere per la prima volta i Plenilunio, molto vicini temporalmente parlando a La Locanda delle Fate in cui Luciano è stato protagonista per anni, uniti dal periodo di iniziale attività, gli anni ’70.

Che dire questi scambi di racconti opinioni sono sempre interessanti e quando ci si raffronta in toni molto amichevoli tutto diventa bello!".


Aggiunge Franco Piccolini, tastierista della band…

"Vorrei fare alcune riflessioni personali sulla serata. Intanto la piacevolezza di aver conosciuto dei musicisti bravi e appassionati e aver condiviso con loro questa esperienza, e già tale aspetto è stato per me positivo; inoltre, mi sto rendendo sempre più conto che il prog non ha due facciate della stessa medaglia, come spesso viene detto, bensì tante sfaccettature e che forse non è giusto rimanere dentro i classici parametri per classificarlo. La musica dei Plenilunio ne è un esempio evidente: è buona musica!

Devo dire inoltre che sono rimasto stupito dal piccolo teatro di Bistagno, un palco ridotto ma curato, una struttura che ha tutto salvo, a voler essere pignoli, un migliore rivestimento delle pareti per attenuare gli inevitabili rimbombi, ma mi rendo conto che parliamo di interventi difficili da gestire per una piccola struttura.

L'accoglienza da parte dei gestori è stata ottima; ancora una volta gli angoli di provincia insegnano alle città più grandi che si può fare molto per ospitare eventi particolari, e il calendario del teatro di Bistagno, ricco di appuntamenti interessanti ne è la prova.

Infine, sono rimasto molto contento del fatto che oltre ad un manipolo di fedelissimi del Cerchio, siano arrivati anche ascoltatori nuovi che volevano conoscerci ed altri che, intervenuti per l'altro gruppo, ci hanno apprezzato e sostenuto. Queste dimostrazioni sono per noi, che normalmente non facciamo molti spettacoli dal vivo, la migliore spinta a proseguire e a portare in giro la nostra musica live.

Grazie a tutto il pubblico, siete stati grandi!"


Uno stralcio video dell’esibizione de Il Cerchio D’Oro…





Qualche immagine...

















martedì 24 ottobre 2023

"Keith Emerson disse: 'Perché dovrei unirmi agli Yes quando ho gli ELP?'": la storia dietro il delirante album “Relayer” degli Yes

 


Rick Wakeman era fuori, Patrick Moraz (il nuovo arrivato) era dentro, e gli Yes stavano per fare il loro album più sottovalutato degli anni '70

 

È il 1973 e il cantante degli Yes Jon Anderson è a casa ad ascoltare un paio di album che gli sono appena stati regalati. Sempre desideroso di aggiornarsi su ciò che accade nel mondo della musica contemporanea, rivolge la sua attenzione a “Sing Me A Song Of Songmy”, della compositrice turco-americana Ilhan Mimaroglu. Pubblicato nel 1971, è una zuppa eclettica di suoni elettronici, colonne sonore orchestrali d'avanguardia e il quintetto jazz del trombettista Freddie Hubbard intervallato da parole cantate e parlate che affrontano argomenti che includono l'omicidio dell'attrice Sharon Tate, l'uccisione di studenti disarmati alla Kent State University da parte della Guardia Nazionale e la guerra in Vietnam.

L'altro disco è la colonna sonora appena pubblicata di Vangelis Papathanassiou, “L'Apocalypse des Animaux”. Registrato nel 1970, quando il maestro delle tastiere greche era ancora un membro degli Aphrodite's Child, la musica dalla trama esotica aleggia serena, soffusa di una bellezza scintillante e incontaminata ma intrisa di una malinconia che lo rode. Occupando un universo sonoro completamente diverso rispetto al disco precedente, la natura riflessiva delle melodie agrodolci affascina Anderson e stuzzica il suo appetito creativo.

Mentre ascolta, le cose stanno andando bene per gli Yes. Gli ordini anticipati per la loro prossima uscita, “Tales From Topographic Oceans”, hanno già assicurato che il doppio album raggiungerà lo status di disco d'oro prima ancora che arrivi nei negozi. Un tour nel Regno Unito in gran parte sold-out sta per iniziare e le prevendite per la tappa americana del tour hanno spinto la band in luoghi ancora più grandi rispetto alla loro precedente visita. Con le idee e i temi concettuali che già cominciavano ad emergere per il prossimo progetto della band da affrontare nella mente di Anderson, il futuro degli Yes sembrava davvero molto luminoso. Tutto sommato, cosa potrebbe mai andare storto? Solo sette mesi dopo l'avrebbe scoperto.

Non tutti condividevano il suo stato d'animo. Profondamente annoiato dall'aver girato l'Europa e l'America con quella che vedeva come una serie di idee musicali sparse troppo sottilmente su un concetto troppo inflazionato, Rick Wakeman era infelice da un po' di tempo. Né riusciva a suscitare molto entusiasmo per quella che considerava la direzione influenzata dal jazz-rock verso cui gli Yes sembravano dirigersi. Il 18 maggio, giorno del suo venticinquesimo compleanno e giorno in cui ricevette la notizia che il suo secondo album da solista “Journey To The Centre Of The Earth” era al primo posto delle classifiche degli album del Regno Unito, Wakeman lasciò.

"Il morale era basso e ovviamente la gente era delusa che se ne fosse andato perché Rick era una parte importante della band", ha ricordato il batterista Alan White, parlando con Classic Rock nel 2012. "Penso che avessimo iniziato a lavorare su parte del materiale di “Relayer” prima che Rick se ne andasse, ma aveva l'amaro in bocca dopo aver suonato e portato in tour “Tales From Topographic Oceans”, e immagino che volesse solo continuare con la sua musica. Abbiamo preso atto e ovviamente abbiamo iniziato a cercare una nuova persona e abbiamo iniziato a lavorare come un quartetto per far andare avanti il flusso. Abbiamo passato molto tempo a provare a mettere insieme le idee di base per “Relayer".

Ricordando lo strano timbro esotico de “L'Apocalypse des Animaux”, Jon Anderson ebbe un'idea per un sostituto già pronto per Wakeman. Fece una chiamata per portare Vangelis alle prove in corso a casa del bassista Chris Squire. L'abilità del greco di tessere orchestrazioni e arrangiamenti elaborati, combinata con le sue formidabili capacità come solista, avrebbe dovuto renderlo una scelta naturale per il gruppo. Tuttavia, man mano che le sessioni iniziavano, diventava sempre più chiaro che le cose non stavano procedendo come previsto o desiderato.

"Quando gli dicevamo di suonarla di nuovo, lui diceva: 'Beh, non sarà più la stessa cosa'", ricorda il chitarrista Steve Howe. "Stavamo improvvisando, ma stavamo imparando delle parti man mano che andavamo avanti e penso che sia stato allora che ci siamo resi conto che era un musicista così spontaneo che gli Yes sarebbero stati un problema per lui. Volevamo elaborare un arrangiamento solido e fare affidamento su di lui in qualsiasi momento per suonare qualcosa che avremmo riconosciuto. Vangelis sentiva di non averne bisogno. Avrebbe sempre suonato a braccio, il che sarebbe stato meraviglioso, ma non eravamo un gruppo jazz".

Dopo aver convenuto che non aveva molto senso continuare, Vangelis tornò a Londra lasciando il quartetto a lavorare sul nuovo materiale. Il chitarrista ricorda di aver telefonato a Keith Emerson degli ELP, il cui arrivo nei ranghi della band, se avesse accettato l'invito di Howe, avrebbe potuto cambiare il corso del rock progressivo dell'epoca.

"Mi disse: 'Perché devo unirmi agli Yes quando ho ELP?' Musicalmente sarebbe stato fantastico lavorare con Keith Emerson, ma se le personalità si sarebbero fuse o meno, non lo so. Stavamo iniziando a renderci conto che le personalità nel gruppo sono una cosa molto importante e non importa quanto la musica sembri essere l'obiettivo, non funzionerà a meno che non si vada tutti d'accordo".

Ciò di cui avevano bisogno era qualcuno con una conoscenza quasi enciclopedica degli arrangiamenti dettagliati degli Yes e la capacità tecnica non solo di mettere tutto insieme, ma anche di lanciare alcuni assoli abbaglianti. La persona che corrispondeva esattamente a quel disegno era Patrick Moraz. Il tastierista svizzero era conosciuto nel Regno Unito per le sue esuberanti esibizioni come membro dei Refugee, il trio formato dagli ex compagni di band di Emerson nei The Nice Lee Jackson e Brian Davison dopo che il tastierista aveva lasciato per formare gli ELP.

I Refugee avevano firmato un contratto con la Charisma Records ed erano stati ben accolti in tour, ma non avevano sfondato. Lo stesso Moraz viveva in un seminterrato umido e infestato dai topi a Earls Court a Londra, ed era pratica comune dover camminare per tre miglia fino alla sala prove dei rifugiati. Amava la musica che il trio stava facendo, ma quando arrivò un invito a partecipare a un'audizione con gli Yes, Moraz colse l'occasione e si imbatté immediatamente nel mondo molto diverso in cui vivevano i musicisti della band.

Arrivato in anticipo, ebbe l'opportunità di assistere all'arrivo di ogni membro, uno dopo l'altro nelle loro costose auto. "Stavo parlando con la squadra stradale che si stava occupando del posto e mentre guardavo fuori dal campo vidi Alan White nella sua auto sportiva: era una cosa speciale personalizzata", ricorda Moraz. “Poi Steve è arrivato con la sua auto sportiva Alvin blu metallizzato, guidata dal suo roadie. Poi Jon è arrivato con una Bentley vecchio stile e rara, e poi Chris è arrivato con quella che penso fosse una Rolls Royce Silver Cloud".

Dato che una sala prove si doveva pagare a ore, Moraz rimase colpito dal ritmo lento con cui le persone si sedevano a chiacchierare, fumare e bere tè. "Accordai gli strumenti prima di iniziare a suonare insieme e questo mi diede l'opportunità di suonare intorno a quelle tastiere che Vangelis aveva usato mentre i ragazzi si stavano preparando. Stavo improvvisando, mostrando un po' della mia velocità e abilità, e loro smisero di parlare e si riunirono tutti intorno al piano elettrico e al Moog per guardare e ascoltare. Suonai ogni sorta di cose, incluso un po' di “And You And I”. Ad essere onesti, penso di aver ottenuto il contratto a quel punto, prima ancora che avessimo suonato una nota insieme".

La band gli suonò la sezione vocale di “Sound Chaser”. Moraz era sbalordito. "La suonarono a una velocità incredibile", ricorda. "Poi Jon mi chiese cosa avrei offerto come introduzione al pezzo".

In un attimo l'arpeggio di piano elettrico che apre il pezzo gli cadde dalla punta delle dita catturando immediatamente l'attenzione della band, che gli chiese di spiegare cosa aveva appena suonato con l'obiettivo di integrarlo nel brano.

"Spiegai il ritmo ad Alan e Chris in modo che potessero trovare la risposta alla chiamata della tastiera, per così dire. Suggerii anche a Jon di usare il suo flauto con il quale avrei potuto suonare questi piccoli grappoli veloci". Man mano che il nastro scorreva fecero alcune riprese, all'inizio lentamente, ma poi accelerando man mano che le parti diventavano più familiari. "Poi registrammo l'introduzione in una take che fu usata nell'album finito prima che mi venisse offerto il lavoro".

Alan White era in fermento per le nuove aggiunte alla pista. "La prima volta che Patrick ha suonato con noi, aveva questa sorta di intro jazz prog che è diventata l'apertura di “Sound Chaser”. Non c'era un tempo prestabilito, ma piuttosto qualcosa che si sentiva tra le tastiere e la batteria. Arrivo con il pattern di batteria che è in 5 e 7. Ho avuto modo di conoscere molto bene il lick e l'ho suonato nota per nota sulla batteria intorno al kit".

Da parte sua, Steve Howe ricorda la sensazione che la band fosse ancora una volta al completo, con la recente incertezza e frustrazione che avevano sperimentato ormai alle spalle. "Una volta che abbiamo avuto Patrick, siamo stati operativi; la sua stravaganza ci portò qualcosa di simile a sangue fresco, come avevo fatto io quando mi ero unito e come quando Rick si era unito. Patrick era più che in grado di tenere la parte".

I concetti musicali di Anderson per “The Gates Of Delirium” richiesero tutte le sue considerevoli capacità di persuasione per convincere il resto della band che il pezzo era fattibile. "Il mio obiettivo principale in quel momento era quello di avere un'idea completa prima di mostrarla alla band", dice Anderson. "Suonai la maggior parte del tempo al pianoforte e deve essere sembrato molto strano e non troppo musicale per i ragazzi, dato che non suonavo molto bene in quel momento. Ma mi sembrava di conoscere ogni sezione e il motivo per cui tutto potesse funzionare nel suo insieme. Quindi sono stato molto felice quando hanno deciso di assumerlo".

 

C'era sempre un elemento di lusinga e di esortazione a seguire una linea di indagine musicale, suggerisce Anderson. "Le idee mi venivano molto velocemente e la struttura era qualcosa che stavo imparando a conoscere in quel momento. Quindi ero sempre un passo avanti ai ragazzi mentre stavano imparando l'ultima parte, e io ero nella parte successiva, in un certo senso aprendo la strada; questo è dove stiamo andando, questo è il modo in cui lo faremo, e ci proveremo. Forse funzionerà, potrebbe non funzionare, ma proviamoci. Registrare la scena della battaglia fu un po' caotico all'epoca".

Alan White ricordava quel caos con un certo affetto. "Si estendeva a me e Jon che andavamo in un deposito di rottami e sbattevamo pezzi di metallo al mattino per circa un'ora per vedere cosa suonava bene. In realtà abbiamo costruito un telaio in studio fatto di molle e parti di auto che ovviamente sono finite nell'album nella sezione battle. Era una roba pazzesca".

Anche se si parla molto della natura ambigua dei testi di Anderson, le parole di “The Gates Of Delirium” sono probabilmente tra le più dirette, anche se presentate nella sua sintassi insolita e idiosincratica. Proprio come l'architettura della terza sinfonia di Sibelius aveva influenzato la struttura di “Close To The Edge” e gli scritti del mistico indiano Paramahansa Yogananda, presentatogli dal percussionista dei King Crimson, Jamie Muir dopo che si erano incontrati al ricevimento di nozze di Bill Bruford, avevano aiutato Anderson con l'inquadratura concettuale di “Tales From Topographic Oceans”, “War And Peace” di Tolstoj,  e forse si potrebbe dire che elementi dei collage sonori di Ilhan Mimaroglu abbiano alimentato le idee di Anderson per una suite che tratta della psicologia del potere e dell'ideologia lasciata incontrollata.

"Era ancora un periodo molto triste con il Vietnam che indugiava nella mia mente e la Guerra Fredda. Sembrava che non ci fosse fine al ciclo della guerra in tutto il mondo", dice il cantante.

Vale anche la pena notare che nell'album finito, dopo la tempesta della battaglia, c'è un momento di calma, mentre le nebbie e il fumo iniziano a diradarsi, e la musica ha echi che Anderson ha sentito per la prima volta su “L'Apocalypse des Animaux” di Vangelis. Non è certo un caso che “Création du monde” di quell'album sia stata suonata prima del concerto durante il successivo tour di “Relayer”.

Nonostante l'ambizioso e a volte difficile terreno musicale che ha tracciato, alla sua uscita nell'inverno del 1974 era nella top 5 delle classifiche degli album su entrambe le sponde dell'Atlantico. Contenuto nell'ultima cover di Roger Dean degli anni '70, includeva anche alcune delle loro musiche più spigolose fino ad oggi.

Eppure, lontano da tutte le turbolenze ritmiche e le dissonanze jazz-rock, la traccia di chiusura dell'album, “To Be Over”, irradia un anelito emotivo che dà voce alle inclinazioni più gentili degli Yes senza compromettere il tipo di intensità che avrebbero esplorato pienamente in seguito con “Awaken”. Dal loro debutto fino a “Tales From Topographic Oceans”, la capacità collettiva della band di assimilare e sfruttare idee e influenze diverse appare misurata e incrementale, ognuna costruita sui successi e sulle lezioni apprese dai suoi predecessori, ma in questo contesto “Relayer” si sente il più radicale di tutti e negli anni successivi la sua reputazione e la stima in cui è tenuto ha continuato a crescere.

Parlando nel 2012, Alan White ha valutato l'album come uno dei suoi preferiti. "Eravamo tutti totalmente coinvolti. Eravamo in studio e ogni giorno ci venivano in mente nuove idee. Un album non suona bene se non ti stai divertendo ed è quello che senti quando metti su quel disco: Sì, divertiti".