Il 7 Maggioil Teatro Govi di Genova sarà testimone di un nuovo evento rock, organizzato con la
collaborazione di MA1TV/ROCK UP.
La locandina svela il protagonista principale, John Falko,
e i musicisti che calcheranno il palco nel corso della serata.
Per chi non avesse le idee chiare sulla storia di Falko,
propongo una succinta biografia, ma la motivazione dell’evento assume
sapore particolare che emerge nel corso della lunga intervista realizzata da Carlo Barbero e che propongo a seguire.
Da circa un anno il musicista è lontano dalle scene musicali “attive”,
per effetto di seri problemi di salute che sono stati affrontati con coraggio e
determinazione, caratteristiche che spesso vengono a mancare quando ci si trova
a combattere contro qualcosa di sconosciuto, a cui non si sa come trovare
contromisure, e che necessita la messa in moto di reazioni supplementari, mai
prese in considerazione sino a quel momento.
Da quanto emerge dal video, gli antidoti avviati da Falko
appaiono importanti quanto una medicina, e potrebbe essere proprio la musica l’elemento
decisivo per il raggiungimento dell’obiettivo principale, quello che riguarda
la vita.
Da sempre ritengo che gli artisti, in senso generale, non
siano pienamente consci del loro potere, della loro possibilità curativa,
magari temporanea, in grado di dare profondo sollievo a chi li segue; in questo
caso i suoni e le parole possono essere un boomerang, che ritorna al punto di
partenza sotto forma di benessere puro e stimolo verso la positività.
Per scoprire tutto ciò, per verificare gli aspetti demiurgici
che possono calare su un gruppo di persone in piena comunione -pubblico e
musicisti- non resta che partecipare al concerto del 7 Maggio, per verificare
di persona cosa può accadere quando nasce la giusta alchimia musicale.
Bio…
John Falko è un
eclettico artista Torinese residente a Genova in attività da 30 anni, periodo
in cui si è cimentato in parecchie attività musicali, teatrali, cinematografiche
ed organizzative presso società di creazione e gestione di eventi.
Inizia come musicista
nel 1984 suonando la batteria fino ad approdare al gruppo Lythium nel 1995 ( Il
gruppo che vinse il premio della critica nel 2001 al festival di San Remo)
abbandonatolo nel 1998 si dedica ad attività di turnista toccando vari generi musicali
con svariati gruppi tenendo una media di 180 serate all’anno. Nel 2006 dopo un
anno di scuola di lirica incide il suo primo demo da solista di genere Celtic
Dark nel 2014 dopo svariate autoproduzioni di vari generi musicali ispirati
sempre da correnti britanniche esce un album stavolta di Rock italiano edito da
Riserva Sonora Record. Nel 2013 partecipa nel contempo come ospite a varie
manifestazioni come Red Music Festival,ad alcune edizioni liguri del 1° Maggio,
Fiera Internazionale della musica, No al mare di cemento, Zombie Rock Festival,
Rock Targato Italia etc. Attualmente il cd “Spara al tuo nemico” è distribuito
nei principali webstore quali Amazon, Last Fm Spotify, Itunes, Digital Believe
nei negozi di dischi come supporto fisico, il singolo è in programmazione in
alcune radio (Nostalgia, We Want Radio etc.). Contemporaneamente all'attività
musicale inizia nel 1996 con l’amico Lucio Basadonne (protagonista dell’ormai
popolare Unlearning) per contribuire ad un suo cortometraggio di produzione
Genovese, da quell’esperienza ne seguono un lungometraggio indipendente
intitolato "Il pianto della pellicola" capitanato dai registi Marco e
Riccardo di Gerlando ed alcuni corti, compreso Il grande ballo (spot Cgil)
Favola di un cinema, sequiel de Il pianto della pellicola fino al
mediometraggio del 2008 ispirato da uno scritto di Tiziano Sclavi intitolato
Taxi. L'opera fu vincitrice di 18 premi Nazionali e 2 Internazionali. John
Falko ebbe la parte di coprotagonista insieme all’attore torinese Anselmo
Nicolino. Uscito da quell' esperienza molto impegnativa dove dovette perdere 25
Kg per la parte del giornalista dell' incubo si dedica ad alcune piccole piece
teatrali con compagnie di teatro amatoriali formata da alcuni amici per poi
concentrarsi sulla propria attività principale di musicista.
E all’improvviso prendi coscienza che la serata assume il
sapore del momento incancellabile…
Con questa chiosa si riassume l’evento organizzato da OverJoy, guidato da Eddy Juliani,
avente come obiettivo il battesimo di un nuovo progetto, L’Equipe du Pentagram, una sorta di Factory, un centro culturale
multidirezionale che, nelle linee guida, prende spunto dalle gesta di altri,
come è lo stesso Eddy a raccontare.
Enorme pubblico a Il Veliero di Genova, circa 250 persone che hanno cenato in attesa della succosa
parte musicale.
Un canovaccio da seguire, basato sul binomio Marco Zoccheddu e Roberto Tiranti, ma col passare dei minuti è sorta spontanea una
jam d’altri tempi, con protagonisti come Aldo
DeScalzi, Mauro Culotta e… sorpresona, Nico
di Palo.
Nico è presente per caso, come lui racconta, ma ad un certo
punto sente il forte richiamo della musica, e mentre Bruno Parodi -altro pilastro di OverJoy- si cimenta in “Una miniera”, la voce dei primi New
Trolls si aggrega, timidamente, e resterà anche per la successiva “Quella carezza della sera”.
Inutile sottolineare come l’atmosfera festosa, coinvolgente,
da fine settimana, per un attimo diventi qualcosa di tremendamente serio, dove
le storie di amicizia e musica si mischiano, e in un breve lasso temporale nasce lo spazio per lo scorrere del film di una vita.
Non conta la perfezione, la nota sbagliata, il falsetto da
rivedere… tutto sembra funzionare, e i presenti apprezzano, applaudono, si
alzano per un lungo applauso.
E questo è lo spirito che hanno in testa Eddy e i suoi
compagni di viaggio.
Al di là dei significati importanti, che cerco sempre di
scovare in ogni manifestazione del quotidiano, evidenzio la forte personalità -inutile
incensarli musicalmente- del duo Zoc/Desca- veri motori delle serate a cui
partecipano, le qualità del “giovane” Tiranti, nell’occasione propositore,
anche, di un paio di brani del suo nuovo album, e le skills di Mauro Culotta,
anche lui coinvolto senza apparente preavviso.
Genova, capitale della musica, appare viva, anche se i suoi
più importanti protagonisti dimostrano sempre forte senso critico, raccontando
il disagio oggettivo.
Aggrappiamoci allora a persone come Eddy Juliani, che
continuano a credere che le cosa possano trovare un positivo punto di svolta,
cosa possibile quando alle parole fanno seguito le azioni.
Il piccolo frammento video a seguire è precario, viste le
condizioni in cui è stato girato, ma penso possa rilasciare il profumo di una
serata da ricordare.
ReaGente 6 propone un album live, registrato nell’Ottobre del 2013 alla Casa
del Jazz, a Roma. Titolo appropriato… Live!.
Fabio Di Biagio è il leader di un progetto ad ampio respiro, che prevede
coinvolgimenti dai nomi altisonanti, come il chitarrista Amit Chatterjee,a lungo compagno di viaggio di Joe
Zawinul, e David Jackson, il mitico
fiatista dei Van der Graaf Generator, sempre a suo agio sui palchi italiani, felice
di interagire con artisti locali.
L’ascolto del disco, e la lettura delle note disponibili, rilasciano
un messaggio pesante, attuale, e come da sempre accade la musica -senza distinzione
tra sonorità e liriche- si propone come mezzo efficace e utile per
rappresentare concetti che sono alla base del comune vivere e di uno sviluppo sereno
e intelligente della nostra civiltà, capace di afferrare al volo le evoluzioni
e i cambiamenti in atto.
Utilizzo alcune strofe del brano “Black Swan’s Dance” per sintetizzare
le idee e i concetti che sono alla base del team di ReaGente6: “ La diversità è una grande ricchezza, la
diversità aiuta ad allargare gli orizzonti della gente, la diversità ti fa
sentire vivo e bisogna essere sempre orgogliosi della propria differenza”.
Nella realtà esistono macigni da rimuovere per chi ha
testa pensante, e iceberg da sciogliere per chi ha la sensibilità per riflettere…
e che siano sempre di più gli esseri umani in grado di farlo!
La musica proposta è la logica conseguenza: otto tracce che guidano l’ascoltatore
per circa settantotto minuti, singoli periodi lunghi che sono il frutto della libertà
tipica della fase live, soprattutto se uno degli argomenti in gioco è la libertà, in questo caso di tipo
espressivo.
Sul palco trova posto una squadra multi etnica, dove ai due già citati
- Chatterjee indiano e Jackson inglese-
si aggiungono gli italiani -Di Biagio,
Anselmi, Mazzenga, Chiantese e Fortuna-, il libico Alì
Mhagag e il tunisino Marwan
Samer.
Parte “Piattabanda” e inizia un viaggio che non conosce ne barriere ne
confini, dove le culture si miscelano e gli spazi si accorciano, una nave da
crociera -immagine davvero attuale- che attracca in mille porti differenti, e ad
ogni sosta si lascia andare, immergendosi in acque dal colore cangiante,
contaminando ma, soprattutto, lasciandosi contaminare, perché non c’è niente e
nessuno da colonizzare, ma risulta urgente e naturale l’opera di integrazione.
E’ una musica che non ha schemi ed etichette, dove il jazz si miscela al funk,
dove i ritmi si trasformano in odori, e le melodie in colori variopinti.
La tecnica e il talento degli artisti
in gioco è sopraffina, ma è questo il caso lampante in cui il tutto è maggiore della somma delle parti, perché ciò che emerge
è un’immagine globale fatta di gioia e serenità, e in questa picture viene
naturale inserire anche il pubblico presente, che non si può immaginare passivo
e concentrato, ma piuttosto una parte dello spettacolo stesso.
Una piccola nota relativa al mio amico
Jackson, che continua a stupirmi, non tanto per le sue riconosciute skills, ma
per la capacità di mettersi sempre -e umilmente- al servizio della musica,
riuscendo a dare caratterizzazione musicale qualunque sia il genere che lo vede
protagonista, e anche in questo caso, i suoi passaggi contribuisco ad
impreziosire un album davvero importante. E poi lui è particolarmente adatto al
topic, perché da tutta la vita si adopera per far sì che la diversità diventi
una risorsa da cui ripartire.
Grande valore ricoprono solitamente le
immagini e la linea grafica, e spesso la cover, primo elemento di un disco con
cui si entra in contatto, racconta e anticipa ciò che sarà il focus; in questo
caso la continuità è marcata, tanto che la mera -ma attenta- osservazione diventa
lo start di un contenitore musicale che già si avverte nell’aria: magia dell’art
work!
Voto alto per questo LIVE! e per
ReaGente 6, una band da ascoltare e da vedere, possibilmente da una posizione privilegiata,
quella che solo nel corso di un concerto si può assumere.
Esordio discografico per i Glad Tree, progetto che nasce da un’idea
di Marcello Capra a seguito di un
incontro fortunato con musicisti che posseggono evidentemente qualcosa in più
della mera qualità musicale, dal momento che inducono Capra, dopo
anni di proposizione musicale solitaria, a optare per un cambiamento, una
situazione in team, che immagino sia di piena soddisfazione per il chitarrista
torinese.
Vorrei partire da un’immagine -nella speranza di non cadere
nella retorica- che mi pare vincente in questi giorni in cui il mondo è in
pieno subbuglio sociale.
La cover, realizzata da Lanfranco
Costanza, propone un albero dai tre colori che, mescolati, come si apprende
sin dagli esercizi fanciulleschi, danno origine a vere sorprese cromatiche; tutto ciò rappresenta il simbolo dell'incontro delle culture -razze e religioni- che di questi tempi interagiscono sempre di
più, dando luogo a nuove entità umane che sono la risulta di quelle
tradizionali, e che ci piacerebbe tanto fornissero dimostrazione di civiltà,
intelligenza e capacità di convivenza. L’Onda Luminosa
dei Glad Tree -ecco il titolo del disco- emerge dal grigiore quotidiano e
fornisce un esempio positivo e, allo stesso tempo, un simbolo di speranza.
Nove brani, cinquanta minuti di musica che vedono come
protagonisti il già citato MarcelloCapra -pluridecorato chitarrista,
protagonista della semina prog a cavallo tra anni ’60 e ’70-, il flautista
classico -ma con passato in ambiente prog- Lanfranco
Costanza, e il percussionista/cantante indiano Kamod Raj Palampuri.
L’album è figlio del risultato delle performance live, con la
presa di coscienza che la miscela funziona, sia per chi propone che per l’audience,
che generalmente si dimostra attiva, e tutto ciò ha un preciso significato.
Da qui la volontà di registrare quasi totalmente in presa
diretta, una sorta di live in studio di cui ormai usufruiscono in molti, cioè
chi è alla ricerca della ri-creazione di momenti magici che sono attimi
terapeutici di cui è giusto beneficiare.
La base è rappresentata da antichi brani di Marcello,
rielaborati, rivisitati, con buona dose di libertà e improvvisazione, una sorta
di canovaccio da cui partire per privilegiare l’elemento creativo.
Le caratteristiche dei musicisti e la differenza di
provenienza generano brani che rispettano un copione multietnico, dove la
specifica tecnica di Capra si sposa alla classicità contaminata di Costanza e
al ritmo colorato di Raj Palampuri, in
grado di realizzare disegni melodici che, come dice Costanza, un normale
batterista potrebbe non afferrare.
E’ un viaggio in giro per il mondo quello che i Glad Tree ci
regalano, un percorso che ci spinge a visitare luoghi diversi tra loro,
lasciando lo spazio per l’interattività, perché attraverso la nostra mente,
sollecitata da suoni magici, nessun percorso ci può essere vietato.
Difficile disegnare il genere musicale dei Glad Tree, perché non
si può definire correttamente un piatto in cui gli ingredienti musicali sono
estremamente vari, dove non esistono limiti tra rock, folk, classico e
tradizione popolare.
Nonostante queste peculiarità e diversità, l’album è adatto
ad un pubblico trasversale, e se può essere complicato afferrare alcuni
risvolti tecnici, il lasciarsi andare liberamente all’ascolto risulterà alla
fine una bella sorpresa che si potrebbe sintetizzare in “gioia da ascolto”.
Il video a seguire è rappresentativo dell’intero album.
Il primo giorno di
primavera di un pò di anni fa nasceva Giorgio “Fico” Piazza, bassista originale dei QUELLI -sfociati successivamente nella P.F.M.-, musicista protagonista di album
seminali del prog italiano, ma della musica in genere, vista la sua presenza
assidua in fase di registrazione di pezzi di storia della musica italiana, repertorio
di Battisti in primis.
Due anni prima di lui,
ma nello stesso esatto giorno, nasceva Franco
Mussida, altro P.F.M. D.O.C., che ha appena annunciato l’abbandono dalla
band. Giorno fortunato il 21!
Per la settantesima
volta Fico festeggia, e mentre sono immerso nell’atmosfera serena della sua
casa, nei pressi di Lodi, nascono spontanei un paio di pensieri.
Il primo riguarda la
freschezza dell’uomo che ho di fronte, pieno di energia e con progetti
importanti da perseguire, e nasce spontaneo il paragone con i pari età della
mia adolescenza, uomini sfiniti da fatiche e mancanza di percorsi alternativi,
ed è possibile che, oltre al miglioramento generale legato al cambiamento delle
condizioni di vita, sia proprio la musica l’elemento che fornisce energia
supplementare, quella musica che Giorgio ha apparentemente abbandonato per
lustri, per poi tornare da LEI al primo serio richiamo.
La seconda
considerazione mi riguarda invece personalmente, e ritorno ai giorni in cui Piazza era per me un
inarrivabile artista che potevo seguire solo sui giornali specializzati o vedere e ascoltare sui vinili, o in occasione live, ed ora ero a casa sua per partecipare ad un
evento significativo. Il mondo è cambiato!
Tutto è nato da un’idea
della figlia Annalisa, che ha pensato alla sorpresa, certamente adatta alla portata
dell’occasione. Anche alla “colonna savonese” viene chiesta la partecipazione,
per effetto di un’amicizia sviluppata sui canali della musica, in particolare
con la prog band Il Cerchiod’Oro, con cui Giorgio è tornato a
registrare un album dopo moltissimi anni.
La cascina della
famiglia Piazza -e di quella di Annalisa- non è dietro l’angolo, ma una volta
arrivati si ha la sensazione di essere in un luogo in cui si possa realmente
trovare serenità ed elevata qualità di vita.
Tanti gli invitati,
tra familiari e musicisti, e il festeggiato, colpito dalla sorpresa, è apparso davvero soddisfatto.
Ecco uno stralcio del
suo pensiero a metà serata:
Ma un
momento del genere non poteva che finire in musica, seppure improvvisata.
E’ presente un altro membro dei QUELLI, Pino Favaloro, che ritrova la gioia di cantare brani dei Beatles assieme ai Gemelli Terribile - Gino
e Giuseppe - del già citato Cerchio
d’Oro, e poi Franco Piccolini,
anch’esso della band, Rosario De Cola,
Franco Malgioglio, Gigi Colombo, Pino Perna.
Si inventa un repertorio, tra PFM, QUELLI, Beatles, Battisti,
Deep Purple, e per un paio d’ore l'orologio arretra le sue lancette, attraverso
l’opera di giovani -pochi- e meno giovani -la maggioranza- ma l’età anagrafica
diventa un mero elemento statistico.
Qualche esempio…
Una bella serata nel nome dell'allegria, per Fico, certo, ma
anche per tutti noi, nell’occasione presenti privilegiati.
Il tutto è accaduto il 20, un giorno prima del compleanno, ma
un giorno dopo la festa del papà, e “Papà Giorgio” non può che essere
soddisfatto di chi ha pensato ad organizzargli una simile festa!
Quella che racconto
oggi è una bella storia che sa di pura passione musicale.
Cercherò di
sintetizzarla e preparare l’ascolto.
Un paio di anni fa è
stato rilasciato il contenitore “Cosa resterà di me”, immagini, storie,
racconto e brani musicali inediti.
Dieci pictures
utilizzate per scatenare la fantasia e l’ispirazione di musicisti e non solo.
La prima fotografia,
quella che diede origine al progetto, era di “proprietà” di Pino Pintabona,
della BWR, e successivamente sarebbe diventata la copertina di un album prog.
Lo scritto e la musica
diventarono quindi, in modo naturale, “La donna di Pino”, anche se il pezzo
strumentale, di Corrado Rossi, aveva come titolo “The Outer Me”. E per chi non
conoscesse la storia del pluridecorato Corrado ecco un po’ di sua biografia:
A distanza di pochi
giorni dall’uscita del libro ricevo una telefonata di Max Pacini, coautore, che
con una certa emozione mi racconta che il “piano strumentale” di Rossi gli
aveva ispirato una lirica, sollecitata da alcuni accadimenti personali.
Catturiamo il tutto in
auto, col cellulare -è lui che canta- e successivamente proviamo una
registrazione più seria, nel mio box, con l’aiuto di Franco Piccolini.
Max non è un
professionista, ma disegna in modo chiaro la sua idea, senza sbavature e buona
intonazione.
L’idea a seguire è
quella di proporre il tutto ad artista in grado da dare una reale veste
professionale, per il solo gusto di vedere se le cose stanno davvero bene
assieme, per mettersi alla prova in qualcosa di nuovo, certi del valore dei due
singoli ingredienti.
Dopo un paio di
tentativi e promesse non mantenute, l’apparente follia veniva messa nel
dimenticatoio, e lì sarebbe probabilmente rimasta se non avessi, in questi
giorni, casualmente dato lo start al brano, rimasto nel telefono sin dal giorno
della prima prova: l'aver dimenticato a casa gli occhiali mi ha spinto a
pigiare un tasto qualsiasi, forse un segno del destino.
La bellezza della
melodia abbinata ad un testo toccante mi ha portato ad osare, per chiedere ad
una recente amicizia -una straordinaria artista- se avesse voglia di provarci.
Lei è Viola Nocenzi, e
proprio in questi giorni è al rush finale che la porterà alla realizzazione di
un album, e quindi sufficientemente impegnata nel suo lavoro, eppure… dopo
spiegazione e invio del materiale Viola si è prodigata nell’ascolto e
proposizione personale, e nello spazio di un giorno mi ha rimandato il tutto,
interpretato con molto trasporto, con arrangiamenti ad hoc -e qui devo ringraziare le persone che
lavorano con lei, davvero gentili- e con una tecnica di produzione che non
conoscevo, definita “ binaurale”, ovvero una registrazione tridimensionale del
suono, ottimizzata per l’ascolto in cuffia, “riproducendo il più fedelmente
possibile le percezioni acustiche di un ascoltatore situato nell'ambiente
originario di ripresa dell'evento sonoro, mantenendone le caratteristiche
direzionali a 360° sferici”.
Il nuovo album di
Viola Nocenzi nascerà con queste caratteristiche.
Il risultato è
valutabile a seguire (meglio se in cuffia!), e ancora una volta la qualità
emerge dal lavoro di squadra e dal consolidamento di rapporti umani di valore.
Un ringraziamento
speciale a Viola Nocenzi, perché il suo grande e rapido impegno è stato
dedicato ad una musica non sua -fatto per lei inusuale-, percorrendo un genere musicale
che non le appartiene. Eppure il risultato è obiettivamente straordinario, e
sottolineo che anche un rockettaro come
me può rimanere incantato da una melodia e dal modo di proporla.
Un tempo era cosa
comune nutrirsi di jam, per scaldarsi, per terminare una sessione di prove,
pera “agitare”un pubblico in attesa della creazione spontanea e della
dimostrazione di virtuosismo.
Difficile riproporre oggi
queste situazione sui palchi rock, ma nel privato resta un fantastico modo per
divertirsi, e magari far nascere nuove sonorità e inventare brani da ingabbiare
in contenuti più idonei.
Giorgio Cessare Neriha mantenuto questa predisposizione,
e ricordo che la prima volta che lo incontrai, nel suo spazio musicale nella
Genova dei vicoli, coinvolse anche me, che ero di passaggio.
Ma ciò che è successo
alcuni giorni fa è da annoverarsi tra i momenti magici che ogni tanto capitano
nella vita, quegli attimi in cui sembra di poter entrare in contatto e piena
sintonia con qualcosa, con qualcuno, entità reali o immaginarie che a
posteriori si considera come ispiratrici di un atto forse irripetibile.
Nel giorno in cui Daevid Allenci ha lasciato, tre musicisti, non ancora al corrente
dell’accaduto, si ritrovano per suonare in totale libertà.
Alla chitarra il già
citato Giorgio Neri, alla batteria
il suo solito compagno di viaggio Alessio Panni e al basso Luciano Susto.
Ne nasce un brano di
quasi dodici minuti, che riesce a catturare lo spirito del folletto
australiano, un viaggio psichedelico che porta in giro nel tempo e nei luoghi
dove nacque il Pianeta GONG, con
protagonista assoluto il geniale Daevid.
Questa è la musica che
ama Neri, non tutta comprimibile in
un album se si guarda agli aspetti commerciali, ma certamente eredità di tempi
in cui anche la libertà espressiva era proponibile su vinile, ed è forse questa
la strada che Giorgio Neri e friends potrebbero percorrere parallelamente a quelle
standard, perché se questo è il risultato vale la pena insistere.
Ma con quali parole si
potrebbe sintetizzare la magica jam che sto per proporre?
Questa è una jam…
nata nello stesso giorno in cui
Daevid Allen è passato ad altra vita,
e ci piace pensare che sia passato a
salutarci, per ringraziarci e preparare per noi un posto sul ... Pianeta GONG
Ogni volta che mi trovo a commentare le proposte di Claudio
Milano (Nichelodeon), so già che il percorso da affrontare non consisterà solo
nel mero ascolto, ma sarà richiesto qualcosa in più. Quando poi le teste
pensanti sono due, e la seconda è un tal… Francesco Paolo Paladino,
un po’ di preoccupazione sorge spontanea.
Milano, vocalist “estremo”,
scrittore, artista e musicista completo, mi sorprende sempre per talento e
capacità creativa, anche se spesso capto la sua difficoltà nel far comprendere
il suo spirito libero e la sua attitudine all’innovazione, all’alternativa
rispetto allo standard che ci viene proposto quotidianamente.
Paladino è, anche, un
genio della macchina da presa, un regista all’avanguardia, e i suoi movie,
pluripremiati, hanno significati non sempre limpidi, e spingono a mettersi in
discussione, a riflettere, senza avere il tutto servito su di un piatto d’argento.
Ciò che hanno
realizzato in questa occasione è un concept multimediale che prevede un ricco contenitore:
un cortometraggio di Francesco Paladino
-“Quickworks & Deadworks”-, un CD musicale
di Nichelodeon/Insonar -UKIYOE-Mondi Fluttuanti- e il video clip di Claudio Milano “Tutti iliquidi di Davide”. All’interno ricco booklet
e illustrazioni (di Milano).
La ricostruzione
oggettiva dell’intera opera emerge chiaramente dalle parole a seguire dei due “creatori”,
che entrano nel dettaglio, trasformando il loro commento in didascalia vera e
propria.
La cronologia della
sequenza evidenzia la nascita del film, a cui segue il commento musicale.
Mentre riascoltavo e
rivedevo il tutto, a pochi giorni dalla morte di Daevid Allen, dipartita che mi
ha coinvolto emotivamente, mi è venuto spontaneo il parallelo tra mondi -quello
di cui sto scrivendo e quello di Radio Gnome- a cui provo a trovare un comune
denominatore: la pazzia creativa, il superamento della tradizione, una certa
rigorosità di metodo inserita nella libertà espressiva, e la genialità della
soluzione finale.
Il canovaccio su cui
si muovono i protagonisti tratta il tema dei fluidi, acqua, ma non solo, e i termini tecnici marini "Quicworks" e "Deathworks" -ciò
che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non spunta mai- diventano forte
metafora, il simbolo delle incomprensioni che caratterizzano le nostre vite,
aspetti che da chiari diventano scuri, sentimenti che rimangono sommersi per
una vita, a cui basterebbe poco per trovare luce naturale. Punti di vista
differenti e avvelenamenti continui che necessiterebbero soltanto di un po’ di
trasparenza.
Anche “Tutti
i liquidi di Davide” utilizza il pretesto dell’elemento materiale per
spaziare su un macro concetto, quello che descrive la necessità di assoluto
amore, in ogni sua forma, come dice Claudio “… contro ogni razzismo e pregiudizio…”, e così la storia d’amore tra
un uomo e il suo palloncino Davide diventa la sintesi dell’impegno quotidiano
dell’autore, un valore assoluto che richiama ad una condivisione selvaggia.
UKIYOE è un album più breve rispetto alle “quantità”
a cui ci ha abituato Milano, ma il risultato della sua squadra al lavoro è
davvero notevole. Per certi versi più accessibile rispetto ai lavori
precedenti, evidenzia ancora le incredibili doti vocali dell’artista, messe a
disposizione del progetto, dove ogni ospite fornisce un completo contributo in
fase di composizione e arrangiamento. Tra le liriche si segnalano due passaggi
di Rainer Maria Rilke (importante poeta di fine 800) e un estratto dall’Antico
Testamento (Ezechiele 29:4-29:5).
Per il resto… occorre
lasciarsi andare; sarà forse la premessa a condizionare il feeling da ascolto,
ma il senso del “liquido” è qualcosa di presente nell’aria, capace di colpire
non solo l’udito, ma tutti i sensi, e diventa impossibile separare i singoli
pezzi proposti (musica, parole e aspetti video), che rappresentano, nella forma
e nella sostanza, anelli indissolubili.
Ma leggiamo le parole
di Claudio Milano e Francesco Paladino.
L’INTERVISTA
a Claudio Milano
Quale dei tuoi tanti percorsi paralleli ti ha portato verso
UKIYOE?
L'amor proprio. Ero in
ospedale e ho ricevuto una chiamata di Francesco Paolo Paladino che mi ha
proposto un concept multimediale con spese di stampa a suo carico. In prima
battuta ho rifiutato, avevo annunciato, non senza convinzione, di voler fare
solo concerti dopo il box del 2013 con Bath Salts e L'Enfant et le
Ménure. Di concerti non ce ne sono stati, tranne un paio di esibizioni di
livello da turnista, e qualche sfuocato abbozzo del mio repertorio, con
formazioni provvisorie, più una valanga di esibizioni a cappella in chiave di
performance, alcune bellissime, altre tali da portare a vere e proprie
“insurrezioni” del pubblico. Le mie condizioni di salute non sono andate
migliorando. Ho riflettuto sul fatto che avevo poco lavoro, zero relazioni
umane di valore, in seguito al trasferimento obbligato dalla Lombardia alla
Puglia e ho deciso di darmi una ragione per svegliarmi al mattino. Non avevo
forze per dedicarmi da solo agli arrangiamenti di un progetto che volevo fosse
un grande arazzo, un arazzo fatto di caos. Capace di raccontare vita e morte,
come in un dormiveglia, tra crudo realismo autobiografico, lettura della realtà
che la noia in meridione trasforma in “mito”; osservazione distaccata di tanti
omini che altrove si muovono affannandosi inutilmente, “perché tutti si ha da morire” ed è tutto distante, i sogni, gli
affetti e il lavoro desiderati, le invenzioni e le guerre. Questa terra vive di
misticismo misto a paganesimo volgarissimo, in un minestrone assai gustoso, ma
altamente tossico.
Il tema del mare è
qualcosa che ti appartiene da sempre o una nuova e sorprendente scoperta?
Sono nato a pochi
chilometri dal mare, ma di fatto, la terra è stata l'esperienza che ho
interiorizzato di più, complice anche l'aver vissuto in campagna da bambino per
qualche anno. Nessuna sorpresa dunque, ma neanche particolare appartenenza, mi
è bastato riconnettermi a qualcosa parte di me, ma di fatto UKIYOE parla di
acqua più che di mare e in modo ancora più esteso, di fluidi, moti di coscienza
che alterano percezioni, rimescolando la nostra concezione di realtà rendendola
“impermanenza”. Del resto il titolo stesso del disco fa riferimento a un
concetto, quello del ciclo continuo di nascita e di morte a cui i buddisti
hinayana cercavano di sottrarsi nel 1600. Tuttora, anche il buddismo mahayana,
che non parla di allontanamento dai desideri, ma li considera illuminazione,
parla della possibilità del conseguimento di uno stato vitale così elevato
dalla pratica meditativa, da staccarsi completamente da un mondo impermanente e
superare qualsiasi difficoltà, trasformandola in beneficio. L'impermanenza di
fatto rimane, cambia “solo” il modo proprio di affrontarla. Una sorta di
“Surfin Maelstrom” (originario titolo del lavoro), in piena decadenza culturale
ed economica occidentale e con i popoli a lungo,stupidamente,
bistrattati, che presi dalla rabbia cieca sono pronti a farci affondare, ma
senza pensare al modo in cui poi tenersi a galla loro. Le meduse dei miei
dipinti, sono le nostre coscienze e stanno venendo a prenderci.
Mi racconti come si
sviluppa questa volta il tuo lavoro di squadra?
Si è articolato tra
networking, istant composing e un articolatissimo lavoro di sound design,
prevalentemente in due studi, a più di 1000 km di distanza, uno a Fragagnano
(Ta), con Mimmo Frioli dei Karma in Auge e qui è nata la materia, l'altro a
Vedano al Lambro (MB), con Paolo Siconolfi e qui la materia ha preso forma
definitiva. L'evoluzione del tutto però è andata organizzandosi tra Italia,
Belgio (qui vive, la mia sorella elettiva e spirito guida, Erna Franssens aka
KasjaNoova, che E' arte) e Germania, in una quantità di studi e home recording
studios spaventosa. Un disco prende forma in genere attraverso la registrazione
di una sezione ritmica sulla quale incidono tutti gli strumenti e infine la
voce, o da un demo con suoni midi a partire del quale ognuno registra in
location diverse il proprio contributo. C'è ovviamente anche l'opzione della
presa diretta di un intero ensemble. Io, ho proceduto perfettamente al
contrario, incidendo per primo le sezioni vocali e scrivendo a mano, o
partiture integrali per l'arrangiamento, o bozze di esse per due-tre voci
strumentali. Alcuni musicisti hanno avuto un ruolo essenziale e sono stati
Stefano Giannotti (OTEME), Vittorio Nistri (Deadburger Factory), Erica Scherl,
Fabio Zurlo, Alessandro Seravalle (Garden Wall), Josed Chirudli. Giannotti,
Nistri e la Scherl, in particolare, hanno realizzato arrangiamenti integrali
per alcuni brani, che in studio sono stati assegnati, assieme al mio, ad un
canale specifico. Si è provveduto, in maniera quasi performativa, ad alzare ed
abbassare volumi, fino a stabilire presenze, compresenze, assenze, fino ad un
mosaico perfettamente cristallizzato che, in particolare nel brano Marinaio
e in Ma(r)le, ha trovato la sua massima espressione. Fabio Zurlo è stato
responsabile di una virulenta sessione in studio, tra partitura e lunga
improvvisazione, per voce e fisarmonica, che ha definito Into the Waves,
la sezione centrale della suite conclusiva. L'ultima parte della suite, Mud,
è fondata su una composizione elettronica di Seravalle, chiamata
originariamente “Il Male”. Josed Chirudli ha lavorato alla definizione
dell'ossatura strumentale di Ohi Mà, in compartecipazione diretta in
studio con Camillo Pace. L'arrangiamento di Veleno è quasi
esclusivamente mio, quello del singolo Tutti i Liquidi di Davide, si è
organizzato attorno a voci e synth miei e al violino di Erica Scherl. I
Pesci dei tuoi Fiumi è quasi ad esclusivo appannaggio mio e di Vittorio
Nistri. Fi(j)ùru d'Acqua si è andata definendo attorno ad una mia
partitura, dalla quale Giannotti, in Germania, ha sviluppato un processo
compositivo tutto suo, sul quale si è innestato il contributo di Chirudli. Un
vero e proprio processo di cesello in continuo work in progress fino alla
definizione di una forma conclusiva. Maree, null'altro che maree. C'è il
racconto emotivo tipico di NichelOdeon (Tutti i Liquidi di Davide, Veleno,
Ohi Mà), la ricerca sonica e vocale spinta agli estremi di InSonar (I
Pesci dei tuoi Fiumi, Ma(r)le) e qualcosa che rimane a metà (Marinaio
e Fi(j)ùru d'Acqua). Ci sono poi voci assai importanti, quelle di Dalila
Kayros, Stefano Luigi Mangia e Laura Catrani, su tutte. Meno presente il contributo
di Raoul Moretti, impegnato per un tour mondiale di presentazione del suo
elegantissimo Harpscapes, a cui ho preso parte cantando in un brano, Raped
Lands. Una cosa però questa volta è emersa, è stato un lavoro assai
faticoso, a dispetto dei doppi che hanno costituito il box del 2013, che si
sono sviluppati in maniera assai più giocosa, praticamente “perfetta”, come nel
caso di Bath Salts. E' stata necessaria una guida fermissima da parte
mia per non degenerare e avere una direzione chiara. Paolo Siconolfi ha dovuto
organizzare di sana pianta intere partiture, ridisegnandole. Esiste un nostro
storico di e-mail notturne che ammonta ad un numero di diverse centinaia. Lui
lavorava di notte, io di giorno e fino alle 3-4 del mattino, dormendo non più di
4 ore, per 4 mesi e mezzo di fila, tra Febbraio e Giugno, con bonus di 3 mesi,
tra Settembre e Novembre, per il singolo. E' stato anche realizzato un
videoclip per questo, su regia di Pietro Cinieri e mio concept/storyboard (video
a seguire) e i ready made che accompagnano le edizioni limitate del lavoro, mi
accompagnano tuttora, giorno e notte, come in un'accumulo di parti di me donato
a chi ha voglia di entrare a far parte del mio mondo. Assolutamente infantile,
certo, ma senza alcun livello di mediazione a fargli fango attorno.
L’album è impreziosito
da un movie di Francesco Paladino: da dove nasce l’dea?
La domanda andrebbe
riformulata al contrario. Da dove nasce il disco? Cosa peraltro ben espressa,
perché è stata la necessità di legare a un progetto visivo, quello di
Francesco, dei suoni, a far nascere UKIYOE. Il film, originariamente doveva
essere girato nell'arco del mese di Luglio scorso, a Taranto. Non sono stati
trovati dei fondi. Francesco parlava della volontà di trasformare la sua casa
nella stiva di una nave ed effettuare lì le riprese. Poi si parlava di
introdurre nel DVD un suo bel mediometraggio di qualche anno fa, con la
partecipazione dei fratelli Placido. Di fatto, essendo lui a Piacenza e io in
Puglia, non ho seguito tutte le fasi dell'evoluzione del progetto visivo, così
come lui, ha seguito solo in parte quelle della realizzazione del cd. Siamo
persone assai diverse, io assai ordinato nel processo creativo, lui
disordinatissimo quanto vitale, eppure tutti e due necessitiamo di tenere
quanto più possibile “sotto controllo” quello a cui stiamo partecipando, per
sentirlo nostro. So che, il mediometraggio è stato realizzato in tre giorni
(ricordo che in contemporanea Francesco aveva in corso d'opera il suo Son of
Unknown Fish e una miriade di altri progetti esclusivamente video) e che è
la realizzazione più rapida del suo percorso di regista, ma del resto, i tempi
è stato Francesco stesso a definirli, chiedendomi le musiche entro la prima
decade di Giugno e io tutto sono tranne che disposto a protrarre progetti per
anni, senza una casa, un lavoro, una vita sociale, in salute precaria...
UKIYOE, sta tra realtà feroce e sogno, è disco impenetrabile e facile, corto ma
densissimo, è un disastro meraviglioso.
Dietro ai termini
nautici “QUICKWORKS & DEADWORKS” si possono nascondere interpretazioni e
metafore personali: qual è il tuo punto di vista?
Si tratta
rispettivamente delle parti di una nave che rimangono sempre fuori e
sott'acqua. Bisognerebbe chiedere a Francesco, ma credo lui ne abbia dato una
visione assai meno “apocalittica” della mia e più romantica. Lui ama
manifestarsi in modo assai più solare rispetto a me, con una dolcezza
dichiarata. Ha smussato alcuni miei eccessi in fase creativa e ha fatto bene.
C'era un pezzo in cantiere, ad esempio, intitolato “Ho gettato mio figlio da una rupe perché non somigliava a Fabrizio
Corona” e lui è, giustamente, insorto, così come mi ha chiesto di limitare
l'aggressività del mio linguaggio presente originariamente in alcuni testi.
Devo riconoscere che la rabbia ad un certo punto, mi stava portando lontano,
assai lontano...
Che tipo di
sperimentazione o innovazione costruttiva hai realizzato questa volta?
Il processo di
stratificazione della materia sonica, intesa proprio in qualità di “materia”
(alla stessa maniera di quanto adoperato da me per la resa di pannelli, dipinti
e illustrazioni di artwork ed edizioni deluxe del digipack) è stato descritto
nella risposta alla tua terza domanda. Ma c'è anche la progressione da una
iper-forma (Veleno, Fi(j)ùru d'Acqua), un mosaico perfettamente a
fuoco, fino al suo progressivo sgretolamento in detriti (la chitarra di Eugenio
Sanna) e fango (i drones di Seravalle) nella musique concrète di Mud,
che chiude il disco. Tutti i Liquidi di Davide, come una sorta di
riemersione alla realtà dei sentimenti che ci permeano, può essere considerato
tanto origine che conclusione dell'opera, nel suo essere ballata dolcissima e
disperata, un inno alla vita vissuta senza “se e ma”, dedicato ad una persona
che di morte appresso ne ha già avuta abbastanza.
Come giudicheresti
questo tuo prossimo lavoro: una tappa di avvicinamento verso una meta precisa o
un punto di arrivo prima di una nuova svolta?
La manifestazione di un
male viene letta spesso come “origine” dello stesso, ma è in realtà, già soglia
dalla quale ha origine una cura. Il cancro è andato originandosi prima. Allo
stesso modo, che UKIYOE sia naufragio, approdo, o illusione di un avvistamento,
proprio non so dirlo.
Come Claudio Milano sottolinea, tutto parte da un’idea di Francesco Paladino,
che mi ha raccontato a tal proposito…
Ci sono aspetti di noi che a volte emergono chiari, certi
altri che non emergono mai. Quicworks & Deathworks parla di questi aspetti.
Il termine adottato, che è anche il titolo del film, è un termine marinaio che
indica quello che emerge sempre dell'imbarcazione e quello che non emerge mai.
Il film dura 30 minuti ed è uno dei miei lavori estremi, perchè si compone
soltanto di cinque impaginazioni, un prologo tre situazioni e l'epilogo.
Nel prologo due coppie, una di ragazzi, una di persone un pò
più mature, lasciano una banca attraccata ad un molo tropicale. Una voce fuori
campo, la voce di Barbara Burgio, cantante di Seattle, mia carissima amica, che
ha curato la versione inglese del lavoro, ci indica che si tratta di un
attracco di fortuna, la nave probabilmente è in panne; quindi per un caso della
sorte i quattro personaggi sono costretti a convivere in un piccolo spazio, una
sorta di balcone sulla foresta tropicale, tutti insieme. Il film è ambientato
in una sorta di onirico fine 800, che improvvisamente si squarcia su tempi
attuali quando la giovane protagonista, Giada Galeazzi, intona una canzonetta
dei giorni nostri, o quando, nel terzo quadro, una radio racconta la
raccapricciante notizia di due bimbi mangiati da un pitone. Nell’attesa, che
non si sa quanto durerà, i quattro personaggi vengono in contatto e si formano
le alleanze, le amicizie, e le esclusioni, in particolare il personaggio
maschile maturo, che vorrebbe dire, parlare, gridare e che è sempre colto da
crisi di vomito, viene escluso dalla piccola comunità. L’epilogo accompagna i quattro
personaggi di nuovo sulla battigia, da dove erano arrivati, quando il giorno
inizia a tramontare e tutti guardano il cielo in attesa di qualcosa che deve
arrivare.
Gli attori -Carolina Migli Bateson, Gianluca Prati, Giada
Galeazzi e Luka Moncaleano- nei tre quadri in cui la storia si sviluppa
(escludendo la prefazione e l'epilogo, recitano come si diceva a Cinecittà, a
"braccia". Nei giorni di preparazione abbiamo lavorato sul creare quattro
personaggi con identità precise, con caratteri pronunciati, e abbiamo studiato
tre racconti di "massima", spiegando cosa doveva succedere nel tempo
di 7-8 minuti. Poi ho lasciato loro la più ampia libertà di espressione,
potevano fare ciò che volevano, sempre che esprimessero la linea rossa della
storia che avevo individuato. Ci si è messo anche il caso a recitare,
improvvisamente è salito il vento, il cielo si è velocemente liberato e
riempito di nubi, cambiando i colori, il cappello di Giada è volato via... la
scatola delle pastiglie è fuoriuscita dalle tasche di Carolina, suggerendo una
fine alla storia, che non avevo inizialmente pensato. E’ stata una grande
emozione creare questo film, perché in esso sono confluite delle linee
metodologiche che sicuramente applicherò alle mie nuove prossime creature. Si tratta
del mio lavoro più libero, in cui la recitazione è vita, gli attori sono anche
loro creatori e così anche gli imprevisti; le musiche di Claudio sono fantastiche, e
appaiono e scompaiono, a sottolineare certi momenti, certe emozioni certe
tensioni che si creano tra i personaggi. Con Claudio ho lavorato benissimo, è
una colata lavica di idee e lavora veloce come un colibrì. Sicuramente lavoreremo
ancora insieme, perché ci siamo trovati benissimo e tutto è coinciso alla
perfezione, come i pezzi di un puzzle. Amo la musica di Claudio perché è viva, sprizza
energia e voglia di essere curiosa, imprendibile, chiara e definita, eppure misteriosa.