venerdì 29 febbraio 2008

Colosseum


Un pò di tempo fa ho iniziato il mio personale racconto della musica Progressiva, quella che più ho amato.
Non è un racconto continuativo il mio, ma fatto di escursioni nelle aree più disparate dell'universo musicale.
Oggi mi riallineo parlando dei Colosseum, gruppo inglese di jazz rock, di eccezionale importanza per lo sviluppo Prog.

Ecco la formazione tipica:

Jon Hiseman, batteria
Dick Heckstall Smith, sassofono
Dave Greenslade, tastiere
James Litherland, chitarra e voce
Tony Reeves, basso e voce

Pur essendo quasi del tutto estranei al movimento progressivo, i Colosseum possono vantare uno degli album chiave per la definizione del genere, "Valentine Suite", testo base della musica inglese di transizione tra anni  '60 e '70.
Il resto è musica pregevole, ma estranea al prog, sia quello degli esordi (Those Who Are About To Die), con ancora chiara l'impronta R& B di Graham Bond), sia quella di "Daughter Of Time " e "Colosseum Live", con un suono più rock e duro.
Superflua l'appendice "Fusion" dei Colosseum 2 , con Gary Moore.
La lezione dei Colosseum è stata ripresa dal tastierista Dave Greeslade nella band che porta il suo nome, ma piccole tracce di quello stile rimangono anche nei Tempest di Jon Hiseman, uno dei più grandi batteristi di tutti i tempi.




giovedì 28 febbraio 2008

Joe Walsh


Era una notte, credo, del 1971.
In un rettilineo vicino a casa mia, nei pressi del centro città, una macchina con dentro cinque ragazzi si schianto’ contro un palo.
Non ricordo se ci furono morti, ma sicuramente uno di loro perse l’uso delle gambe.
Quei cinque ragazzi erano ben conosciuti in città, per il loro modo di vivere, da teppisti.
Erano comunque giovanissimi, nella tipica età degli errori sconfinati.
Ricordo che in quel periodo erano attive alcune bande, tutte violente, ma non ricordo se ci fosse l’influenza dei comportamenti d’oltremanica, degli scontri tra Mods e Rokers, raccontati in Quadrophenia.
Per noi ragazzi “tranquilli” rappresentavano un pericolo (a volte risultava difficile camminare per il centro citta’), ma allo stesso tempo accendevano la nostra cusiorita’: chissa’ come vivevano, che rapporto avevano con i genitori, con la scuola?! E che coraggio avevano a sfidare tutto e tutti! In fondo si trattava di celata ammirazione, di ricerca e accettazione del proibito.
Io avevo conosciuto bene quel ragazzo che perse l’uso delle gambe, e lo avevo sporadicamente frequentato in tempi non sospetti. In quegli anni , un elemento turbolento si distingueva da uno calmo per il voto in condotta. Il suo era un 6.
Credo sia ancora in vivo, anche se non lo vedo piu’ dai quei giorni dell’incidente.
Questo episodio mi da l’opportunità di rimarcare quanto sia stretto il legame musica/ricordi.
Girovagando per la rete alla ricerca della musica dei miei inizi, sono capitato su un brano che si intitola “Walk Away” e immediatamente mi è tornato alla mente quell’incidente.
Il motivo del legame non lo conosco, forse erano i giorni in cui ascoltavo assiduamente il brano della James Gang.
Il vinile era “James Gang Live” e l’artefice numero uno era Joe Walsh, chitarrista e cantante incredibile, e protagonista successivamente negli Eagles.
Quanto appena scritto e’ quello che a scuola mi avrebbero censurato come “fuori tema”, se il tema fosse stato musicale o di tipo sociale.
Ma io attribuisco enorme importanza alla capacita’, che e’ propria della musica, di ripresentarmi momenti lontanissimi e spesso dimenticati, con una freschezza che azzera ogni tipo di dimensione temporale.
Vediamo qualcosa su Joe Walsh.


Joseph Fidler "Joe" Walsh nasce a Wichita, nel Kansas il 20 novembre 1947.
Nel 1969 entra a far parte del gruppo James Gang per rimanerci fino al 1972.
In quegli anni il gruppo ha un notevole successo con gli album: Yer' Album (November 1969) James Gang Rides Again (October 1970) Thirds (August 1971) James Gang Live in Concert (November 1971) Passin' Thru (July 1972)
Nel 1976 si unisce agli Eagles, la band country americana che ha venduto più dischi al mondo.
Nel 1978 da solista incide "In the city", resa celebre in quanto uno dei brani principali della colonna sonora di "The Warriors" - 1979 - (I guerrieri della notte) di Walter Hill.
Una delle esibizioni dal vivo più belle che si possono ammirare di Joe walsh è nel DVD "Eagles - The Farewell Live tour - Live from Melbourne".
Joe è anche un attivo radioamatore , ed ha inserito nei suoi album messaggi in alfabeto Morse (Songs For A Dying Planet: "Register And Vote For Me").

Ho rivisto recentemente Walsh nel Crossroad di Eric Clapton (ma di quello parlerò a tempo debito) e devo dire che e’ davvero unico.

Il brano a cui accennavo,Walk Away,ha a mio avviso un’energia non comune, e la miscela tra il sound tipico del trio, basso/chitarra/batteria, e la voce di Joe , e’ da “esplosione”.
Mi piacerebbe davvero poterli ascoltare dal vivo, tenendo conto che hanno rimesso in piedi il gruppo per un tour , nel 2006.
Se arrivassero nei paraggi…..consiglio a tutti di comprare un biglietto.

Ed ora sentiamo Walk Away.





mercoledì 27 febbraio 2008

Un bel Dopofestival



In questi giorni non posso fare a meno di parlare del Festival di Sanremo. Eppure non mi piace!
Due giorni fa ho ricordato un'edizione ( tra l' 87 e l'88, non ricordo bene), in cui c'era un fantastico dopo festival, presentato da Carlo Massarini.
Ho ancora le registrazione su cassetta di quella serata. Mi pare che il contenitore fosse una specie di emulazione circense .
Al centro della pista, a rotazione, Bob Geldoff,Heaven 17,The Smith...
Un po’ di energia pura arrivò dai Simple Red e da Curiosity Kill the Cat.
Anche stasera ho bisogno di un po' di scossa, e ripropongo i due brani di quella sera:

"The Right Thing" e "Misfit".











martedì 26 febbraio 2008

Se Finardi fosse a Sanremo!!!


Come promesso, ieri ho provato a vedere la prima ora del Festival di Sanremo.
Come pensavo ieri, non ho trovato stimoli a proseguire.
Credo di avere ascoltato cose scandalose ... ma forse sono solo prevenuto.
Ho sentito subito la necessità di tuffarmi in qualcosa che mi mettesse a mio agio, ma non sapevo cosa.
Ricercando vecchi filmati legati al Festival, sono incappato in roba da cineteca, in mummie, principi e regine, e poi sono arrivato a i Beatles.
Non ricordavo che George e Paul fossero stati ospiti negli anni 80!!!
Ho risentito le loro interviste, ma... di loro ho parlato da poco e mi prendo ancora un po’ di tempo. Però sentivo l'esigenza di una bella canzone, di una intensa interpretazione, di note per mente e cuore.
Come spesso mi accade sono "caduto" su Eugenio Finardi e sul suo brano "Come in uno Specchio", dal disco "Il Silenzio e lo Spirito".

Non credo ci siano altri commenti e mi auguro che sia riascoltata con piacere e catturata con attenzione da chi la sentisse per la prima volta.

Questo è il mio festival di Sanremo.





lunedì 25 febbraio 2008

Ricordo del Festival di Sanremo (Luigi Tenco)


Questa sera inizierà il Festival di Sanremo.
Io non lo guarderò,come d’abitudine.
Se non sbaglio l’ultima volta che lo vidi per intero  era attorno all’87-88, poco importa la data esatta.
Ricordo bene che alla fine della giornata di gara Carlo Massarini presentava “l’alternativa”, e i protagonisti erano di rilievo assoluto.
Ho anche in mente che a metà serata si proponevano tre gruppi esordienti che avevano vinto non so quale concorso, e tra questi gli Avion Travel, irriconoscibili, per stile e look.
Ho ben impressi i Sanremo della mia adolescenza, quelli impreziositi da presenze importanti.
Non mi riferisco ai miti di casa nostra, Villa, Modugno e Nilla Pizzi… quelli sono l’essenza ed il simbolo della canzone italiana, che piaccia o no.
Parlo invece di artisti incredibili, magari poco conosciuti, che per molteplici motivi, sono passati da quel mitico palco, magari in coppia con cantanti caserecci.
Il primo esempio che mi viene in mente e’ quello della canzone “Paff Bum”, cantata da Lucio Dalla e replicato dagli Yardbirds.
Per chi non lo ricordasse, gli Yardbirds sono quel gruppo in cui hanno suonato tre tra i migliori chitarristi della storia del rock, vale a dire Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page.
Di fatto, gli Yardbids sfociarono nei Led Zeppelin.
Con questi aneddoti si potrebbe andare avanti per ore.
La lista delle personalità e’ infinita, ma direi che di ogni Sanremo si riesce a trovare una piccola perla da conservare.
Di sicuro non rappresenta complessivamente il mio ideale di manifestazione e l’unica cosa che posso fare , anche quest’anno, è non guardarla, o meglio tentare per un’ora della prima serata e poi declinare l’invito che mamma RAI ci fornisce, gentilmente, ogni volta.
Per poter dare un’immagine simbolo del Festival scelgo un anno in particolare, il 1967.
Vediamo qualche nota relativa all’evento.

Il Festival di Sanremo del 1967 si svolse dal 26 al 28 gennaio.
Sede della manifestazione il Salone delle Feste del Casinò.
Vinsero in coppia Iva Zanicchi e Claudio Villa, con il brano "Non Pensare a me".
La classifica finale:

• Al primo posto; Iva Zanicchi e Claudio Villa, con la canzone "Non Pensare a me"
• Al secondo posto; Anna Rita Spinaci, e Les Surfs con " Quando dico che ti amo"
• Al Terzo posto; I Giganti e The Bachelors, con il brano "Proposta"

CURIOSITA':

-Domenico Modugno, si dice che ripudiò il cantante Francese Christophe, suo partner, perché non si ricordò le parole della canzone che dovevano interpretare insieme, il brano "Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore". Il cantante Francese offeso andò via.
-Il 26 gennaio del 1967, primo giorno del Festival, arrivò a Sanremo Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, accompagnato dalla moglie Marianne Faithull.
-Claudio Villa quell'anno eguagliò il record di Modugno che consisteva in quattro vittorie.
Iva Zanicchi, invece, era la prima volta che vinceva dopo aver preso parte per tre volte alla gara canora. Scrissero sui giornali d'allora, che la canzone vincitrice fu scritta a immagine e somiglianza del gruppo "Strangers In The Night".

Ma l’evento drammaticamente più importante fu la morte di Luigi Tenco.
Il cantante si tolse la vita nella stanza N° 219 del suo albergo, "Hotel Savoy". Si sparò un colpo di pistola alla tempia, perché deluso: la sua canzone "Ciao Amore Ciao" fu eliminata.
Il suicidio di Tenco scatenò polemiche, sul valore della manifestazione, e sul giudizio dato in pochi minuti dopo l'interpretazione di una canzone.
Si racconta che Mike Bongiorno, la prima sera dovette convincere Luigi Tenco a salire sul palco del Casinò per cantare,il quale Tenco disse al presentatore : "..canto questa e poi ho finito..oppure la faccio finita.."
Si affermò che un giorno prima ,in un'intervista, avesse dichiarato che non doveva prendere parte al Festival. Chi lo osservò in televisione, assicurò che era terrorizzato, gli occhi erano sbarrati, sembrava dovesse svenire da un momento all'altro. La canzone era bella, fatta per Sanremo, giusta per il Festival.
La morte così entrò con forza al Festival.
Il clima intorno alla manifestazione era del tipo culturale,e andava ad anticipare gli anni della contestazione giovanile.
Il gesto di Luigi Tenco fu visto non come una rinuncia, ma di protesta, con la parola fine, con una ribellione ai giudizi.
I verdetti delle giurie erano contestati e c'era anche lo spauracchio del plagio.
Gli scandali erano costruiti appositamente per i festivals e forse il suicidio di Tenco fu veramente l'atto estremo di protesta per le scelte delle giurie di esperti che hanno fatto "arrabbiare" nel tempo tanti artisti.
Dalida cantava in coppia con lui.

Riporto un stralcio di una sua intervista.

Nessuna storia d'amore è paragonabile a quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento vedova. Dio mi perdoni se non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione musicale. Mi sentivo presa dal quel "rivoluzionario" che nel '64 aveva abbandonato la politica per delusione, e che aveva interrotto gli studi d'ingegneria ,perché sosteneva: "Io non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni". Come tutte le persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era il mio uomo ideale. Come non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale io pretendevo invece di arginare l'impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che avrei dovuto aiutarlo.
Con la fantasia invento i nostri incontri. Lo rivedo per aggiungere manciate di minuti,di giorni, a quei ventott'anni finiti con una crocifissione. Piuttosto ribaldo, mi ripete versi da me già sentiti, quelli del poeta Rimbaud: "Tutto quello che ci insegnano è sbagliato". Che carattere! Allora io trovo pace, convincendomi che Luigi non poteva invecchiare a mediocre livello. Lui somiglia agli eroi, ai quali il destino toglie l'umiliazione della vita terrena e il disagio del progressivo declino fisico.
Era divertente con chi conosceva e scorbutico con quanti gli risultavano estranei.
Con me, anche nell'intimità, là dove le persone si tolgono la maschera lui, accidenti, alla confidenza preferiva insopportabili silenzi.
Era bello e sempre corrucciato proprio come i versi delle sue canzoni. Mi appassionò il fatto di scoprirlo continuamente imprevedibile. Cambiava umore, ribaltava sensazioni al punto di rimettere continuamente in discussione tutto quanto credevo di aver capito di lui.
Quegli improvvisi tuffi al cuore mi permettevano di trovare una perfetta fusione. Immutabile restava soltanto la sua onestà. Perfino esageratamente onesto. E rigido di principi. L'abbiamo perso anche per questo. Luigi ha pagato più del dovuto le proprie innegabili virtù".
Colazione all'albergo Savoy. Luigi scherza, è allegro. Si sente sollevato. Dice d'aver già messo bene radici in un ambiente tanto infido. Immagina la condiscendenza del pubblico, le reazioni colorate dei critici. La canzone è un valido pretesto per raccontare la sua storia. Dentro c'è tutto il suo entusiasmo, la sua giovinezza. Aveva passato giorni e giorni isolato in una torre a cercare accordi giusti e atmosfere toccanti. Naturale che sia galvanizzato per ben figurare. Io, del resto, non ho nessuna paura. Queste le nostre confidenze. Poi lui mi prende per un polso e dice: "Vai a riposare. Devi sentirti in forma, quel palcoscenico è capace di tutto". Alle 19 mi telefona in camera: "M'è presa una strana ansia. A quella 'roulette' andiamoci insieme. Aspettami nella hall". In macchina mi dice che gli si è chiuso lo stomaco. "Prendi una camomilla", lo scongiuro. Invece, a mia insaputa, per domare un'ansia che non si placa, consuma una quantità di tranquillanti, esagera col whisky.
Comincia a sfuggirmi: il mutismo, lo sguardo assente me lo portano lontano. È accaduto qualche altra volta. Gli chiedo: "Perché non parli?", e lui si giustifica:
"È come fuggissi non so dove, per allontanare i traumi della mia infanzia."
Non una parola di più. L'unico mio rimorso è che in quei momenti avrei potuto fare di più, magari sollecitarlo pazientemente a scacciare quegli incubi, a dimenticare quelle vicende che l'avevano segnato in passato. Purtroppo c'è poco tempo. Ecco, lo chiamano: -Dov'è Tenco? Dovrebbe già essere in palcoscenico. Nessuno l'ha visto. Lo cercano. Lo trovano addormentato su una panca. Mike Bongiorno deve spingerlo in scena. Dio mio, quello che canta "Ciao amore ciao " non è Luigi, è un altro, è il suo manichino.
C'è chi ha parlato del terrore del pubblico, per uno come lui non corazzato per esibirsi davanti a platee gremite. Io dico che non è vero. Sapeste che Tenco, simpatico e sbarazzino chansonnier, ho avuto modo di applaudire al microfono della Casina delle Rose, a Roma, nel primo e ultimo Capodanno festeggiato insieme!
Dopo il recital aveva a lungo parlato con me. A Sanremo no. Era come rinserrato nel coma. Pazienza, fossero tutte qui le amarezze di una coppia che si vuol bene.
Aspettiamo il responso delle giurie. Uno accanto all'altra, ma in realtà distanti.
Neppure 40 voti su 900. "Una débàcle", fa lui. E io: "Nella vita un giorno si vince e un altro si perde". C'è il ripescaggio di una canzone, affidato alla giuria dei giornalisti. Lo aiuto a sperare: "Vedrai che andrà meglio". E invece va male e per Luigi è un colpo terribile. Cerca una scusa per andarsene. Vuole isolarsi. "No, andiamo al ristorante", insisto io. Non so più come distrarlo.
Una volta in macchina, guida da sconsiderato la sua Giulia. Rischiamo più volte l'incidente. Non lo riprendo, non gli dico niente, non è il caso. "Parla", chiedo. Non una parola di risposta. Poco dopo essere entrati al Nostromo, ecco il fulmineo voltafaccia. Luigi bisbiglia: "Rientro in albergo a riposare. Sono stanco".
Dovrei avere più autorità e impedirgli di andar via. Però riesce a prendermi in contropiede. Qualche attimo dopo ho un presentimento infernale, pur non sapendo che Luigi ha con sé la pistola. Un grumo d'angoscia m'attanaglia. Subito m'aggrappo al telefono, cerco un taxi, corro al Savoy. Macché: Luigi è sulla strada del ritorno ed è irraggiungibile. "Fai presto", mi dico".
Al bureau chiedo se Tenco è in camera. Non so che sto precipitando nel mio fallimento. Poi, in un attimo, intuisco quello che potrebbe essere accaduto. Quello che dovevo impedire che accadesse. Sono arrivata con dieci minuti di ritardo. Dieci minuti che hanno sconvolto la mia vita. Dapprima vedo i suoi piedi spuntare da dietro il letto e allora penso che sia caduto, colto da malore. Poi il sangue, quell'esplosione di orrore.
Quale il movente? Non solo la delusione per non essere riuscito a far capire il mondo dei giovani, senz'altro qualcosa gli si è spezzato dentro.
A lungo ripeto: "Non può essere vero". Adesso sono io che debbo sottrarmi all'ingorgo di incubi paurosi. Non so andare avanti. Una settimana dopo mi rifugio a Recco, dalla mamma di Luigi. Sento il dovere di farle visita. Ma chi può consolarla? Nessuno. Restiamo a guardarci e a piangere.Capisco che devo andarmene in fretta dall'Italia. Ma non serve a niente. Staccata da lui, non ho più identità. Ha ragione Victor Hugo a dire: 'Quando si perde la persona amata, il mondo si spopola'. E allora, esattamente un mese dopo, un mese che è un'eternità, penso di farla finita anch'io.
Ingoio 75 pastiglie di un tranquillante. Per esser certa di riuscirci, scelgo una stanza d'albergo dopo avere preparato tutto con scrupolo: il testamento dal notaio e una lettera per mia madre. Ventiquattr'ore dopo una cameriera si insospettisce. Da sotto la porta filtra una lama di luce. Da l'allarme. Mi trasferiscono all'ospedale. La prognosi è di cinque giorni. Evidentemente è scritto che io debba sopravvivere per trovare rimedio alle contrarietà.

È il 3 maggio 1987 quando, a Montmartre, Dalida si toglie la vita, a vent'anni dal primo tentativo. Accanto al corpo lascia appena un biglietto:
Perdonatemi, la vita mi è insopportabile


Rivediamo una testimonianza audiovisiva relativa a quel Sanremo 67.


Ho descritto un momento drammatico evidenziando come un piccolo spazio come il Festival, apparentemente frivolo, contenga tutti gli ingredienti della nostra vita: l'amore, la morte, la delusione, la musica,l'orgoglio, l'invidia, l'amicizia, l'arroganza, l'ambizione, il successo, l'insuccesso e... potrei proseguire per molto.
Tutto questo, credo, giustifichi ampiamente l'esistenza del Festival di Sanremo.
Accanto a tanta serietà c'e' l'aspetto ludico e meno impegnativo.
Per proporlo, scelgo pochi secondi di un "cantante" incredibile (l'unico comico vivente capace di farmi ridere anche quando assume ruoli seri).

Parlo di Diego Abatantuono , in questo caso emulatore di Riccardo Cocciante.




Citazione del giorno:
"Come è nobile chi, col cuore triste,vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici" ( Kahlil Gibran)



giovedì 21 febbraio 2008

Bill Bruford


Per la serie....strumentisti prog, presento un altro battersita "fenomeno", dopo Carl Palmer.
Parlo di Bill Bruford che ho avuto la possibilita' di vedere, molti anni fa, a Torino, con i King Crimson.
Vediamo qualche nota.
Bruford è emerso sulla scena musicale nel 1969, come primo batterista degli Yes; con loro incise alcuni album memorabili quali: "The Yes Album", "Fragile" e " Close to the Edge".
Nel 1972, sorprendendo i fan, abbandonò gli Yes al culmine del loro successo accettando l'invito di Robert Fripp e unendosi ai King Crimson, altro gigante del progressive, gruppo in cui suonò dal 1972(epoca di "Larks' Tongues in Aspic"), abbandonando definitivamente solo nel 1999 per dedicarsi completamente al jazz acustico.

Intorno alla metà degli anni 70 collaborò con numerose altre band, inclusi Genesis, Gong e National Healt.
Fra il 1978 e il 1979 suonò in un gruppo chiamato UK, cofondato dallo stesso Bruford e John Wetton (altro ex-King Crimson).
Sempre alla fine degli anni 70 fondò anche un gruppo fusion, chiamato Bruford, in cui suonarono, tra gli altri, Jeff Berlin e Allan Hldsworth; la band incise quattro album fra il 1977 e il 1980.

Alla fine degli anni 80 prese parte al progetto Anderson Brufors Wakeman Howe (ABWH) guidato da Jon Anderson.
Quando gli ABWH riconfluirono negli Yes nel 1991, Bruford si ritrovò quindi, dopo vent'anni, a suonare, anche se per un periodo molto breve, col complesso nel quale era nato musicalmente. Nel 1998 Bruford fu cofondatore col bassista Tony Levin di un altro gruppo fortemente sperimentale, i Bruford Levin Upper Extremities.
In anni recenti, Bruford si è principalmente occupato della sua band jazz Earthworks, fondata nel 1986, nella quale si sono distinti i talenti di Django Bates e Iain Ballamy, e nella quale attualmente suona Tim Garland.

Ascoltiamolo con una batteria poco convenzionale.






mercoledì 20 febbraio 2008

John Mayall


E oggi si ritorna al blues.
Ho già trattato più volte l'argomento e per quanto riguarda l'artista di oggi, John Mayall, sul blog sono disponibili le mie sensazioni legate al concerto a cui ho assistito quest'estate.
John Mayall è stato uno dei più grandi divulgatori di blues moderno in Gran Bretagna.
I suoi Bluesbreakers hanno funzionato da accademia del genere, sfornando musicisti di prima grandezza, come i chitarristi Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor, i bassisti Jack Bruce e John McVie e i batteristi Aynsley Dunbar e Mick Fleetwood.
Con la sua band in continua mutazione é stato il faro ed il generoso maestro di quanti hanno cambiato il corso della musica inglese.
Festeggiato di recente come un'icona, dopo una carriera decennale che lo ha consacrato fra gli uomini-simbolo del Blues, John Mayall è, insieme ad Alexis Korner, il più rappresentativo esponente inglese di questo genere musicale.
Nato il 29 novembre del 1933 a Macclesfield ha studiato arte a Manchester e ha cominciato a suonare boogie woogie al piano quando aveva tredici anni. Secondo una sua stessa confessione la molla che lo spinse a fare della musica una professione fu l'ascolto di un pezzo di Muddy Waters, in cui il geniale chitarrista di colore esprimeva come solo lui sapeva fare tutta l'anima struggente e malinconica del Blues.
Ma la strada per diventare un musicista professionista era decisamente in salita.
Dopo essersi arruolato nell'esercito ed aver passato un periodo in Corea, nel 1961 fonda il suo primo gruppo chiamato prima "Powerhouse four" e successivamente "Blues syndicate".
Nel 1962 si trasferisce a Londra dove forma un nuovo gruppo chiamato "The Bluesbreakers" di cui faceva parte anche John McVie, futuro fondatore dei Fleetwood Mac.
Il primo disco "Crawling up a hill", un 45 GIRI, viene inciso nel 1964 mentre l'anno dopo esce il primo album "John Mayall plays John Mayall". In quello stesso anno porta nel gruppo un ancor giovane Clapton, che aveva lasciato gli Yarbirds poco prima, ed insieme incidono l'album "John Mayall with Eric Clapton" riconosciuto come un dei migliori dischi dell'allora emergente Blues bianco.
Nel frattempo entra nel gruppo anche il bassista Jack Bruce e, dopo l'abbandono di Clapton, fa ritorno John McVie.
Poco dopo entra però nel gruppo anche Peter Green per incidere "A Hard Road", album dalle intense atmosfere: uno dei suoi più riusciti. Tuttavia i rapporti fra i musicisti non sono dei migliori e in sala d'incisione serpeggia una certa inquietudine. Uno stato di tensione che si riversa nel criticato "Blues alone" che John Mayall registra in un solo giorno senza i Bluesbreakers.
Il musicista si riscatta con "Thru' the Years" che racconta i primi anni di Mayall e riporta alcuni pezzi inediti, oltre che l'ultima collaborazione con Green (il quale emigra nei "Fleetwood Mac").
Lo sostituisce Mick Taylor, futuro membro dei Rolling Stones, subito utilizzato per "Crusade". Del 1968 è il doppio album "Diary of a band" che segue la tournée dell'anno prima.
Nascono altri problemi proprio nella band e Mayall scioglie di nuovo il gruppo trasferendosi a Los Angeles dove nel 1969 incide "Blues from Laurel Canyon". Anche Taylor abbandona. Mayall si ritrova in mano una band allo sbando e decide di effettuare una revisione radicale dell'organico. Toglie batteria e chitarra elettrica e inserisce un sax. Con questa formazione incide due titoli "The turning point" (1969) e "Empty rooms" (1970), dischi fortemente influenzati dal jazz. E' un periodo di grande popolarità, anche grazie a pezzi come "Room to move", nei quali si esibisce con l'armonica.
Instancabile, vulcanico, sull'onda del successo crea un nuovo gruppo in cui ancora una volta manipola l'organico, aggiungendo un violino, alla ricerca di nuove sonorità. Il risultato è il doppio album "Back to the Roots" nel quale compaiono anche molti ex compagni.
Nel 1972 registra in diretta "Jazz, Blues, Fusion" e "Moving on", entrambi assai apprezzati dalla critica.
L'anno dopo è la volta del meno riuscito "Ten Years are Gone", il primo passo verso una serie di lavori senza mordente e di scarsa personalità.
John Mayall, in cerca d'ispirazione, se ne va dunque a New Orleans, la patria del jazz, dove insegue nuovi progetti e nuove mescolanze sonore, i cui risultati sono ancora oggetto di dibattito tra i fan. La verità è che la sua vera strada è il Blues, quello è il suo marchio di fabbrica e quello è il genere che si porta nel sangue. Torna allora all'antico amore e i risultati si vedono immediatamente.
Incide due nuovi album che riconquistano i fan: "Chicago line" e "A sense of place", di grande slancio e pregevole fattura. Nel 1993 ritorna con "Wake up call", disco dalle atmosfere più ricercate e moderne. E' il momento del suo grande riscatto dopo un lungo periodo di appannamento.
Nel complesso si può dire infatti che negli anni '90 John Mayall ha pubblicato diversi album che si pongono allo stesso livello dei suoi capolavori se non - come sostengono alcuni - di qualità ancora più alta, perlomeno per i nuovi orizzonti che aprono ad una musica dalle nobili tradizioni come quella Blues.

Ed ora spazio alla musica.






lunedì 18 febbraio 2008

Santana


Oggi dedico un po’ di spazio alla musica di Santana.
Non ho seguito la sua carriera , perché non subisco il fascino della musica rock-latina.
Anche la timbrica della chitarra di Carlos, marchio che lo contraddistingue dagli altri chitarristi, non mi ha mai entusiasmato.
Quando da ragazzo suonavo in un gruppo nelle balere, nella set list trovavano spazio “Samba Pa Ti” e “Oye Como Va”.
Rispetto alla musica liscia, che purtroppo dovevamo proporre, l’assolo di “Samba Pa Ti” era….un’oasi in mezzo al deserto, ma la mia esperienza con quel tipo di suono fini' presto.
Nondimeno , ho sempre ben presente un gioiello.
Come spesso ho raccontato, nel 1970 fui colpito dal film “Woodstock” , e di quel film ho diverse immagini indimenticabili.
Parlo di Hendrix, di Alvin Lee,degli Who,di Crosby e company.
Tra questi artisti ricordo bene Santana e la sua band, in un pezzo incredibile, “Soul Sacrifice”,dove oltre a Carlos, si puo’ godere dell’abilita’ tecnica e della capacita’ di fare spettacolo di un batterista neanche 20enne.
Parlo di Michael Shrieve.


A seguire, un breve biografia di Carlos Santana ed un’intervista recente fatta appunto a Michael Shrieve.
Ovviamente non poteva mancare “Soul Sacrifice”, versione Woodstock!!!

Carlos Santana nasce il 20 luglio 1947 ad Autlan de Navarro, in Messico.
La passione per la musica gli viene infusa da subito, grazie al padre che, essendo un "mariachi", ossia un suonatore vagabondo, lo culla al suono di dolci e malinconiche melodie. In seguito, affiancando il padre nei suoi spettacoli, il primo strumento che imbraccia non è una chitarra, bensì un violino.
Forse è a questa matrice che si può far ricondurre il suo amore per le note lunghe e tenute, sospirate e cantate, così caratteristiche del suo stile e che sono il suo inconfondibile marchio distintivo, uno stile che lo rende unico fra tutti i chitarristi elettrici.
Dopo il violino, dunque, lachitarra, più facile da maneggiare, meno delicata e più adatta al repertorio popolare, ma soprattutto al nuovo genere che si stava imponendo nel mondo: il rock. Di avere un lavoro fisso e regolare non gli passa neanche per la testa, una condizione ormai impensabile e virtualmente insopportabile per uno come lui cresciuto all'ombra di un padre randagio.
Carlos trova invece la possibilità di esibirsi nei locali di Tijuana, un paese del Messico con un numero sufficiente di anime per assicurare una buona circolazione dei clienti.
Negli anni '60, la famiglia si trasferisce a San Francisco, dove il giovanissimo musicista viene a contatto con stili diversi che ne influenzano l'attitudine a mescolare i "generi".
Nel 1966 la "Santana Blues Band" comincia ad acquisire una certa popolarità nel circuito dei locali, ma non solo. Forte di questa base di partenza, riesce a strappare il primo contratto discografico, quello grazie al quale esce il potente "Santana", che, prima in sordina e poi via via sempre più in crescendo, riesce a vendere una considerevole quantità di copie, fino a diventare disco di platino.
Cominciano a fioccare le collaborazioni importanti: nel 1968, ad esempio, prende parte ad un progetto discografico con Al Kooper in cui Santana si ritaglia un ruolo di protagonista.
Diventato ormai un "nome", è candidato nella rosa delle possibili star che dovranno partecipare ad uno dei più grandi eventi musicali del secolo, la celebre kermesse di Woodstock, che attirerà mezzo milione di persone. E' il 1969: Santana sul palco si scatena e offre una delle esibizioni più emozionanti della sua carriera. Il pubblico va in delirio: Santana è riuscito ad imporre la sua miscela di rock e di ritmi sudamericani che dà vita al cosiddetto "rock latino".
Anche la componente mistica e religiosa non è trascurabile nella sua produzione. A partire dagli anni '70 il musicista persegue senza battute d'arresto un percorso musicale permeato di elementi mistici e di ricerca sonora.
In quegli anni esce "Abraxas" che, trainato da brani leggendari come "Black magic woman", "Oye como va" e "Samba pa ti", si piazza al numero uno della classifica americana per cinque settimane di seguito.
L'anno seguente esce "Santana III" (forse il suo capolavoro assoluto), che rimane al numero 1 negli USA per un mese e mezzo. Il musicista si prende una delle numerose "vacanze" dal gruppo per un disco dal vivo col batterista Buddy Miles, cosa non infrequente anche in seguito.
Ben presto, però, emergono dei disagi.
La sovrapposizione tra vicende del gruppo e carriera solista comincia a diventare problematica. Sul piano stilistico emerge un profondo mutamento di stile, tanto che il quarto album "Caravanserai", assomiglia a una lunga suite vagamente jazzistica, fatto che induce alcuni tra i più "rockeggianti" collaboratori del momento a lasciare il gruppo per fondare i Journey.
Santana nel frattempo approfondisce sempre di più i suoi interessi nei confronti della spiritualità, e insieme al compagno di fede John McLaughlin (i due condividono lo stesso guru), realizza un album ispirato a tali tematiche, "Love Devotion and Surrender".
La carriera di Santana è un continuo oscillare tra progetti di fusion con amici come Herbie Hancock e Wayne Shorter e rock più ortodosso, quello preferito dal pubblico.
Negli anni '80 vedono la luce altre incisioni con ospiti prestigiosi, un tour con Bob Dylan e la colonna sonora de "La Bamba" (1986).
Nel 1993 fonda una propria etichetta, la Guts and Grace mentre nel 1994 torna simbolicamente a Woodstock per il 25ennale del festival che lo lanciò; inoltre, incide "Brothers" con il fratello Jorge e il nipote Carlos.
Nel 1999, con alle spalle più di 30 milioni di dischi venduti, cambia casa discografica, e con alcuni ospiti prestigiosi provenienti dall'ambito hip-hop incide "Supernatural" (etichetta Arista), uno strepitoso successo che lo porta a vincere il Grammy Award. Un prestigioso riconoscimento, non c'è dubbio, anche se, per gli antichi fan, l'anziano chitarrista sembra ormai irriconoscibile e irrimediabilmente prono alle esigenze e alle strategie dell'industria "commerciale".

Intervista a Michael Shrieve (carpita in rete)
Lo incontro nella hall di un lussuoso albergo milanese. Michael Shrieve è un distinto signore di mezza età dai modi garbati ed aristocratici. Stento a credere che l'austero gentleman che ho di fronte sia lo stesso selvaggio batterista che con i Santana infiammò il popolo di Woodstock nel lontano ‘68.
Mi basterà però vederlo in concerto la sera stessa con la band dell’ex Police Andy Sommers per tornare indietro nel tempo.
Mr. Shrieve dietro ai tamburi continua ad essere una poderosa macchina del ritmo, un batterista di potenza e precisione impressionanti. Del resto Michael ha sempre goduto fama di sperimentatore e di musicista al passo con i tempi, come testimoniano il suo vecchio sodalizio con il genio dell’elettronica tedesca Klaus Schulze e la sua più recente collaborazione con i più bei nomi dell’avanguardia jazz statunitense, come Bill Frisell, sfociata nell’incisione dell’eccellente CD "Two doors".
Esperienze queste sicuramente stimolanti, anche se, da vecchio fan del latin rock, non ho resistito alla tentazione di dedicare interamente l’intervista alla sua straordinaria carriera i Santana , la band a cui il nome di Shrieve resta indissolubilmente legato.

Ricordi quando iniziasti a suonare la batteria?
Non ricordo esattamente l’età ma fu comunque prima del liceo. Ai tempi ascoltavo molti generi musicali diversi, dal rock'n'roll, al jazz, al rythm’n’blues ed amavo in particolare il suono della batteria, anche se dovetti attendere molto tempo prima di potermene procurare una. All’inizio picchiavo con le bacchette sui tappeti e sugli oggetti che mi capitavano a tiro. Poi mi comprai un rullante e cominciai ad aggiungervi un pezzo alla volta fino a completare l'intero set di una batteria.
Gli strumentisti che più mi influenzarono in gioventù furono alcuni maestri dei primi anni del jazz come Gene Krupa e, tra i contemporanei, Tony Williams, Max Roach, i batteristi di James Brown e lo stesso Ringo Starr, che considero validissimo per il tipo di musica che suonavano i Beatles.

Puoi parlarci della scena musicale californiana di metà anni ' 60, il periodo in cui hai iniziato la tua carriera artistica?
Sotto il profilo artistico quella era un' epoca assai stimolante, proprio il periodo giusto per un giovane che iniziava a suonare. Le menti di tutti erano aperte a parecchi tipi di musica senza barriere tra un genere e l' altro. Inoltre vi era maggiore amicizia tra gli artisti ed era molto diffusa tra musicisti di diversa provenienza la consuetudine di suonare assieme in jam sessions improvvisate. A quei tempi si faceva musica molto più per passione, mentre oggi si pensa più che altro a stipulare un buon contratto discografico, a farsi trasmettere dalla radio le proprie canzoni, a vendere più dischi possibili per non correre il rischio di vedersi rescindere il contratto. E' un autentico circolo vizioso.

Hai suonato in al tre bande prima dei Santana?
Sì, quando ero al college universitario facevo del jazz in una big band e più tardi in formazioni più ristrette. In precedenza, al liceo, avevo suonato anche un po’ di rock'n'roll ma da quando le cose erano fatte più serie mi dedicavo prevalentemente al ryhm'n'blues e specialmente al jazz, la musica con cui mi sono fatto realmente le ossa.

Come hai avuto la possibilità di entrare nei Santana?
Una notte al Fillmore West stavo assistendo ad una super session tra Al Kooper, Stephen Stills e Mike Bloomfield e mi azzardai a chiedere a quest'ultimo se potevo prendervi parte. Pensavo che Mike mi avrebbe invitato a togliermi dai piedi ed invece mi permise di suonare con loro. Il bassista ed il manager dei Santana, che, erano tra il pubblico, si complimentarono per la mia esibizione e mi chiesero se ero eventualmente disponibile ad aggregarmi alla loro band, visto che pensavano di cambiare il batterista. Da quel giorno non accadde più nulla per un certo tempo. Dopo circa sei mesi ritrovai i Santana in uno studio di registrazione dove io stavo lavorando alla mia musica e loro stavano incidendo l’ album di esordio. Durante quel periodo si era creata alI'interno della band una situazione conflittuale perché il batterista aveva assunto degli impegni che lo portavano ad assentarsi per suonare fuori dallo studio. Io invece lavoravo lì stabilmente e cosi i Santana, riconosciutomi, mi invitarono a provare con loro. Suonammo insieme in sala d'incisione tutta la notte e alla fine mi chiesero di entrare nella band. Così a diciassette anni divenni membro dei Santana.

I Santana nacquero come una blues band e poi modificarono il loro sound tanto da creare un nuovo genere musicale: il rock latino. Quando entrasti nella band si era già completata questa evoluzione artistica?
Sostanzialmente sì, perché già allora i Santana suonavano buona parte della musica che sarebbe stata inclusa nel primo album, un’opera che già esprimeva il tipico sound della band. Certo in seguito, con la mia presenza, si elaborò molta altra musica e si svilupparono ulteriormente le idee di base, ma l’impronta latina del gruppo era già ben evidente.

Hai dovuto, cambiare il tuo modo di suonare quando sei entrato nei Santana?
Si, radicalmente, perché in precedenza non avevo mai suonato musica latina. Inoltre nella struttura classica di questo particolare genere musicale il sostegno ritmico viene fornito dalle sole percussioni e non è previsto l'uso della batteria. Quindi ho dovuto adattare il suono del mio strumento a quello delle percussioni e devo ammettere che, una volta raggiunto il giusto amalgama, il mio lavoro è risultato fondamentalmente agevolato dalla presenza di questi altri sostegni ritmici in seno alla band.

Quali erano i rapporti tra i Santana ed il fenomeno del rock psichedelico e il movimento hippy che si erano sviluppati in California negli anni ’60?
Noi non ci riconoscevamo nel filone del rock psichedelico, eravamo solo contemporanei a questo fenomeno musicale e conoscevamo personalmente i membri di gruppi come i Jefferson Airplane ed i Grateful Dead. Il sound di queste band era però ben diverso. dal nostro! Allo stesso modo eravamo estranei al movimento hippy, che pure caratterizzò un'epoca splendida come gli anni ‘60. I componenti. dei Santana, però, non erano tanto degli hippies, quanto dei ragazzi di strada: negri, statunitensi di lingua latina, sudamericani ed un paio di ragazzi bianchi provenienti dalle periferie cittadine.

Ho letto che foste invitati al Festival di Woodstock senza avere inciso alcun disco precedentemente. Come mai questo privilegio?
Ti sbagli, in realtà avevamo già registrato il nostro primo album ,"Santana", che era stato pubblicato poco prima di Woodstock ed eravamo molto popolari, specie in California.

Il festival di Woodstock entrò nella storia della musica e del costume. Avreste mai pensato di divenire protagonisti di un evento di portata storica?
No, ciò che accadde a Woodstock superò ogni immaginazione. A quel tempo si organizzavano moltissimi raduni e noi partecipavamo a gran parte di essi. Cosi ci aspettavamo di esibirci in un festival come qualsiasi altro. Certo, una prima avvisaglia dell'importanza del raduno la avvertimmo quando dovettero portarci sul palco in elicottero in quanto le autostrade vennero chiuse per la congestione causata dallo straordinario afflusso di veicoli. Esibirci di fronte alla platea di Woodstock fu poi un'esperienza fenomenale, ma anche allora non comprendemmo pienamente la portata dell'avvenimento. Fu solo quando uscì il film documentario che fummo consapevoli di quanto era accaduto.

Cosa ricordi della vostra esibizione a Woodstock?
Ricordo che eravamo convinti di dover suonare più tardi ed invece accadde qualcosa per cui fummo chiamati sul palco in pieno giorno. Nonostante ciò tutto funzionò per il meglio. Il nostro era il genere di musica ideale per quel periodo e la gente apprezzò molto il suono, il feeling e la passione della band. Ho un ottimo ricordo di Woodstock, fu un grande momento di amore e liberazione

Sei giunto al successo giovanissimo. Come hai vissuto questa situazione?
Quando hai diciannove o vent'anni ed ottieni molto successo pensi che tutto ciò possa durare in eterno. Poi naturalmente scopri che non è sempre così e ti ridimensioni per forza. Noi abbiamo avuto un successo immediato ed in breve siamo diventati la band numero uno in America; eravamo giovani ed attorno a noi giravano un sacco di soldi, di droghe ed avevamo troppo di tutto. C'è voluto del tempo per rimetterci la testa a posto e tornare ad essere dei veri musicisti e non delle sciocche rock star.

Carlos Santana e stato spesso presentato come leader incontrastato ed unico responsabile di ogni scelta artistica della band. Condividi questa affermazione?
No, I Santana, almeno fino a quando io ne facevo parte, costituivano una band a tutti gli effetti e Carlos non era il leader assoluto. Certo, la sua importanza in seno al gruppo era notevole, ma, ad esempio, anche il tastierista Greg Rolie aveva un ruolo fondamentale nella composizione dei brani e nella scelta degli arrangiamenti. In realtà la musica dei Santana nasceva dal contributo creativo di tutti i membri della band.

Cosa pensi di Carlos Santana come chitarrista e come uomo?
Io e Carlos siamo amici, anche se non potrei giurare che egli conservi dei rapporti altrettanto buoni con tutti i membri originali della band (ride sarcastico n.d.r. )! Insieme abbiamo condiviso parecchi anni di vita spesi girando in tournee e la passione per molti generi diversi di musica. Come chitarrista, poi, lo amo e lo ritengo inimitabile. Penso che nessuno possa suonare come lui !

Come avveniva la registrazione dei dischi dei Santana?
Quando entravamo in sala d'incisione disponevamo di materiale già provato in precedenza e composto da brani con una struttura definita, con un certo spazio lasciato invece agli assolo improvvisati. In studio suonavamo come fossimo dal vivo, eseguendo semplicemente più volte uno stesso pezzo e scegliendo poi la versione migliore. Il suono doveva essere fresco ed intenso; per questo non ricorrevamo ad alcuna sovraincisione, neppure per gli assolo di chitarra che venivano eseguiti con grande perfezione stilistica da Carlos contemporaneamente agli interventi degli altri strumentisti

Tra i dischi che hai inciso con i Santana quali sono i tuoi preferiti?
Ho due album favoriti in assoluto: "Caravanserai" ed "Abraxas”. Quest'ultimo, è stato anche il più venduto tra quelli che ho registrato con la band. Invece per quanto concerne specificamente il mio lavoro sono particolarmente soddisfatto dal modo in cui suono su "Caravanserai” e su “Welcome".

Anch'io apprezzo: moltissimo "Caravanserai", un disco assai innovativo. Come fu concepito questo splendido album?
Mi piace pensare a "Caravanserai" come al mio disco. Carlos ed io ci stavamo orientando infatti in una direzione diversa da quella degli altri membri della band e ci ispiravamo al jazz di Miles Davis, John Coltrane, Weather Report e Pharoah Sanders ed alla musica brasiliana che ascoltavamo in quel periodo con molta passione. L'album riflette la nostra ricerca nell'ambito di questo genere di sonorità ed è il prodotto di un periodo di transizione, caratterizzato da divergenze artistiche in seno alla band, che sfoceranno nello smembramento del nucleo originario del gruppo. Amo ancora "Caravanserai" e penso che sia un grande album, anche se ai responsabili della nostra etichetta discografica non piacque e vendette meno degli altri dischi dei Santana.

Perché la formazione dei Santana in cui hai militato e che giudico la migliore non ha mai pubblicato un album dal vivo nonostante il grande successo che otteneva nei concerti?
E’ una bella domanda, alla quale però non so risponderti. In effetti abbiamo pubblicato solo qualche brano dal vivo in raccolte che includevano anche pezzi di altri artisti, come l'album dedicato ai concerti di chiusura del Fillmore Auditorium di S. Francisco: "Fillmore: the last days”. Comunque, se ti piacciono i Santana degli esordi, apprezzerai certamente gli Abraxas, un gruppo costituito da vecchi componenti delle prime formazioni della band come me, Neal Schon, Greg Rolie, Mike Carabello , Crepito Areas e con la sola assenza di Carlos. Insieme abbiamo inciso un disco che ritengo eccellente, molto vicino al sound dei Santana prima maniera, e stiamo prendendo contatti con le case discografiche per farlo pubblicare.

“Samba pa ti", forse il brano più noto dei Santana, ha suscitato qualche perplessità tra gli appassionati di rock per la sua vena così romantica. Come valuti questa canzone?
Penso che “Samba pa ti" sia una bella canzona classica ed uno degli esempi più alti della capacità di Carlos Santana di suonare dei temi melodici. Certo, forse certa musica non è per tutti, ma magari chi non ama molto il brano adesso lo apprezzerà maggiormente quando avrà qualche anno di più!

Agli inizi degli anni ' 70 la musica dei Santana rispecchiò il misticismo di Carlos, che si era improvvisamente accostato alle religioni orientali. Come spieghi questa infatuazione fideistica da parte del chitarrista?
In quegli anni non solo Carlos, ma anch’io stavo seguendo, sotto la guida di un leader spirituale, una direzione diversa rispetto a quella degli altri membri della band. Penso che questa scelta fu la conseguenza di una nostra reazione all’eccesso di successo, di soldi e di droghe che ci erano piovuti addosso all’improvviso ed un tentativo di ritrovare un equilibrio in noi stessi. Ciò cambiò molte cose all'interno del gruppo, che iniziò ad essere costituito da persone che seguivano individualmente delle idee e dei modelli di vita ben diversi tra loro .

Nello stesso periodo Carlos cominciò a dedicarsi a collaborazioni fuori dalla band con musicisti come Alice Coltrane, John Mc Laughlin, e Buddy Miles. Non pensi che questo dispendio di energia fu la causa del periodo di crisi che iniziò ad attraversare il gruppo?
No, assolutamente. Tutto ciò che accadeva all'interno dei Santana stava già avvenendo per altre cause e l'attività solistica di Carlos non danneggiò minimamente la band.

Perché dopo l'incisione di “Bomboletta” hai lasciato i Santana?
Da una parte perché il carattere di Carlos stava diventando impossibile ed era difficile convivere con lui e dall'altra perché anch'io desideravo esplorare dei nuovi ambiti musicali. Quando ripenso alla mia esperienza con i Santana mi accorgo di come sia stata breve. Quando suonavo con loro pensavo che avrei continuato a farlo per sempre, ma poi il destino e stato ben diverso!





Citazione del giorno:

"Ascolta la tua donna quando ti guarda,non quando ti parla" ( Kahlil Gibran)