Questa sera inizierà
il Festival di Sanremo.
Io non lo guarderò,come
d’abitudine.
Se non sbaglio l’ultima
volta che lo vidi per intero era attorno
all’87-88, poco importa la data esatta.
Ricordo bene che alla
fine della giornata di gara Carlo Massarini presentava “l’alternativa”, e i
protagonisti erano di rilievo assoluto.
Ho anche in mente che
a metà serata si proponevano tre gruppi esordienti che avevano vinto non so
quale concorso, e tra questi gli Avion Travel,
irriconoscibili, per stile e look.
Ho ben impressi i
Sanremo della mia adolescenza, quelli impreziositi da presenze importanti.
Non mi riferisco ai
miti di casa nostra, Villa, Modugno e Nilla Pizzi… quelli sono
l’essenza ed il simbolo della canzone italiana, che piaccia o no.
Parlo invece di
artisti incredibili, magari poco conosciuti, che per molteplici motivi, sono
passati da quel mitico palco, magari in coppia con cantanti caserecci.
Il primo esempio che
mi viene in mente e’ quello della canzone “Paff Bum”, cantata da Lucio Dalla e replicato dagli Yardbirds.
Per chi non lo
ricordasse, gli Yardbirds sono quel gruppo in cui hanno suonato tre tra i
migliori chitarristi della storia del rock, vale a dire Eric
Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page.
Di fatto, gli
Yardbids sfociarono nei Led Zeppelin.
Con questi aneddoti
si potrebbe andare avanti per ore.
La lista delle
personalità e’ infinita, ma direi che di ogni Sanremo si riesce a trovare una
piccola perla da conservare.
Di sicuro non
rappresenta complessivamente il mio ideale di manifestazione e l’unica cosa che
posso fare , anche quest’anno, è non guardarla, o meglio tentare per un’ora
della prima serata e poi declinare l’invito che mamma RAI ci fornisce,
gentilmente, ogni volta.
Per poter dare
un’immagine simbolo del Festival scelgo un anno in particolare,
il 1967.
Vediamo qualche nota
relativa all’evento.
Il Festival di
Sanremo del 1967 si svolse dal 26 al 28 gennaio.
Sede della
manifestazione il Salone delle Feste del Casinò.
Vinsero in coppia Iva Zanicchi e Claudio Villa, con il brano
"Non Pensare a me".
La classifica finale:
•
Al primo posto; Iva Zanicchi e Claudio Villa, con la canzone
"Non Pensare a me"
• Al secondo posto; Anna Rita
Spinaci, e Les Surfs con " Quando dico
che ti amo"
• Al Terzo posto; I Giganti e The Bachelors, con il brano
"Proposta"
CURIOSITA':
-Domenico Modugno, si dice che
ripudiò il cantante Francese Christophe, suo
partner, perché non si ricordò le parole della canzone che dovevano
interpretare insieme, il brano "Sopra i tetti
azzurri del mio pazzo amore". Il cantante Francese offeso
andò via.
-Il 26 gennaio del
1967, primo giorno del Festival, arrivò a Sanremo Mick Jagger, leader dei Rolling
Stones, accompagnato dalla moglie Marianne Faithull.
-Claudio Villa
quell'anno eguagliò il record di Modugno che consisteva in quattro vittorie.
Iva Zanicchi, invece,
era la prima volta che vinceva dopo aver preso parte per tre volte alla gara
canora. Scrissero sui giornali d'allora, che la canzone vincitrice fu scritta a
immagine e somiglianza del gruppo "Strangers In
The Night".
Ma l’evento
drammaticamente più importante fu la morte di Luigi Tenco.
Il cantante si tolse la
vita nella stanza N°
219 del suo albergo, "Hotel Savoy".
Si sparò un colpo di pistola alla tempia, perché deluso: la sua canzone "Ciao Amore Ciao" fu
eliminata.
Il suicidio di Tenco
scatenò polemiche, sul valore della manifestazione, e sul giudizio dato in
pochi minuti dopo l'interpretazione di una canzone.
Si racconta che Mike
Bongiorno, la prima sera dovette convincere Luigi Tenco a salire
sul palco del Casinò per cantare,il quale Tenco disse al presentatore :
"..canto questa e poi ho finito..oppure la faccio finita.."
Si affermò che un
giorno prima ,in un'intervista, avesse dichiarato che non doveva prendere parte
al Festival. Chi lo osservò in televisione, assicurò che era terrorizzato, gli
occhi erano sbarrati, sembrava dovesse svenire da un momento all'altro. La
canzone era bella, fatta per Sanremo, giusta per il Festival.
La morte così entrò
con forza al Festival.
Il clima intorno alla
manifestazione era del tipo culturale,e andava ad anticipare gli anni della
contestazione giovanile.
Il gesto di Luigi
Tenco fu visto non come una rinuncia, ma di protesta, con la parola fine, con
una ribellione ai giudizi.
I verdetti delle
giurie erano contestati e c'era anche lo spauracchio del plagio.
Gli scandali erano
costruiti appositamente per i festivals e forse il suicidio di Tenco fu
veramente l'atto estremo di protesta per le scelte delle giurie di esperti che
hanno fatto "arrabbiare" nel tempo tanti artisti.
Dalida cantava in coppia con
lui.
Riporto un stralcio
di una sua intervista.
Nessuna storia d'amore è paragonabile a
quella che ho vissuto io con Luigi Tenco. È il compagno del quale mi sento
vedova. Dio mi perdoni se non ho avuto il tempo di capirlo, di proteggerlo fino
in fondo. Lui era il mio istinto, la mia vocazione musicale. Mi sentivo presa
dal quel "rivoluzionario" che nel '64 aveva abbandonato la politica
per delusione, e che aveva interrotto gli studi d'ingegneria ,perché sosteneva:
"Io
non costruirò mai ponti e case solo per far accumulare
quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni". Come tutte le
persone romantiche che rifiutano di crescere, lui era il mio uomo ideale. Come
non rimanerne soggiogata psicologicamente? Era un fiume in piena del quale io
pretendevo invece di arginare l'impetuosità. Mi sono accorta troppo tardi che
avrei dovuto aiutarlo.
Con la fantasia
invento i nostri incontri. Lo rivedo per aggiungere manciate di minuti,di
giorni, a quei ventott'anni finiti con una crocifissione. Piuttosto ribaldo, mi
ripete versi da me già sentiti, quelli del poeta Rimbaud: "Tutto quello che ci
insegnano è sbagliato". Che carattere! Allora io trovo pace,
convincendomi che Luigi non poteva invecchiare a mediocre livello. Lui somiglia
agli eroi, ai quali il destino toglie l'umiliazione della vita terrena e il
disagio del progressivo declino fisico.
Era divertente con
chi conosceva e scorbutico con quanti gli risultavano estranei.
Con me, anche nell'intimità, là dove le
persone si tolgono la maschera lui, accidenti, alla confidenza preferiva
insopportabili silenzi.
Era bello e sempre
corrucciato proprio come i versi delle sue canzoni. Mi appassionò il fatto di
scoprirlo continuamente imprevedibile. Cambiava umore, ribaltava sensazioni al
punto di rimettere continuamente in discussione tutto quanto credevo di aver
capito di lui.
Quegli improvvisi
tuffi al cuore mi permettevano di trovare una perfetta fusione. Immutabile
restava soltanto la sua onestà. Perfino esageratamente onesto. E rigido di
principi. L'abbiamo perso anche per questo. Luigi ha pagato più del dovuto le
proprie innegabili virtù".
Colazione all'albergo
Savoy. Luigi scherza, è allegro. Si sente sollevato. Dice d'aver già messo bene
radici in un ambiente tanto infido. Immagina la condiscendenza del pubblico, le
reazioni colorate dei critici. La canzone è un valido pretesto per raccontare
la sua storia. Dentro c'è tutto il suo entusiasmo, la sua giovinezza. Aveva
passato giorni e giorni isolato in una torre a cercare accordi giusti e
atmosfere toccanti. Naturale che sia galvanizzato per ben figurare. Io, del
resto, non ho nessuna paura. Queste le nostre confidenze. Poi lui mi prende per
un polso e dice: "Vai a riposare. Devi sentirti in forma, quel
palcoscenico è capace di tutto". Alle 19 mi telefona in
camera: "M'è presa una strana ansia. A quella 'roulette' andiamoci insieme. Aspettami
nella hall". In macchina mi dice che gli si è chiuso lo
stomaco. "Prendi una camomilla", lo scongiuro.
Invece, a mia insaputa, per domare un'ansia che non si placa, consuma una
quantità di tranquillanti, esagera col whisky.
Comincia a sfuggirmi:
il mutismo, lo sguardo assente me lo portano lontano. È accaduto qualche altra
volta. Gli chiedo: "Perché non parli?", e lui si
giustifica:
"È come fuggissi non
so dove, per allontanare i traumi della mia infanzia."
Non una parola di
più. L'unico mio rimorso è che in quei momenti avrei potuto fare di più, magari
sollecitarlo pazientemente a scacciare quegli incubi, a dimenticare quelle
vicende che l'avevano segnato in passato. Purtroppo c'è poco tempo. Ecco, lo
chiamano: -Dov'è Tenco? Dovrebbe già essere
in palcoscenico. Nessuno l'ha visto. Lo cercano. Lo trovano addormentato su una
panca. Mike Bongiorno deve spingerlo in scena. Dio mio, quello che canta
"Ciao amore ciao " non è Luigi, è un altro, è il suo manichino.
C'è chi ha parlato del terrore del pubblico,
per uno come lui non corazzato per esibirsi davanti a platee gremite. Io dico
che non è vero. Sapeste che Tenco, simpatico e sbarazzino chansonnier, ho avuto
modo di applaudire al microfono della Casina delle Rose, a Roma, nel primo e ultimo
Capodanno festeggiato insieme!
Dopo il recital aveva
a lungo parlato con me. A Sanremo no. Era come rinserrato nel coma. Pazienza,
fossero tutte qui le amarezze di una coppia che si vuol bene.
Aspettiamo il
responso delle giurie. Uno accanto all'altra, ma in realtà distanti.
Neppure 40 voti su
900. "Una débàcle", fa lui. E io:
"Nella
vita un giorno si vince e un altro si perde". C'è il
ripescaggio di una canzone, affidato alla giuria dei giornalisti. Lo aiuto a
sperare: "Vedrai che andrà meglio". E invece va
male e per Luigi è un colpo terribile. Cerca una scusa per andarsene. Vuole
isolarsi. "No, andiamo al ristorante", insisto io.
Non so più come distrarlo.
Una volta in
macchina, guida da sconsiderato la sua Giulia. Rischiamo più volte l'incidente.
Non lo riprendo, non gli dico niente, non è il caso. "Parla", chiedo. Non
una parola di risposta. Poco dopo essere entrati al Nostromo, ecco il fulmineo
voltafaccia. Luigi bisbiglia: "Rientro in albergo a riposare.
Sono stanco".
Dovrei avere più
autorità e impedirgli di andar via. Però riesce a prendermi in contropiede.
Qualche attimo dopo ho un presentimento infernale, pur non sapendo che Luigi ha
con sé la pistola. Un grumo d'angoscia m'attanaglia. Subito m'aggrappo al
telefono, cerco un taxi, corro al Savoy. Macché: Luigi è sulla strada del
ritorno ed è irraggiungibile. "Fai presto", mi
dico".
Al bureau chiedo se
Tenco è in camera. Non so che sto precipitando nel mio fallimento. Poi, in un
attimo, intuisco quello che potrebbe essere accaduto. Quello che dovevo
impedire che accadesse. Sono arrivata con dieci minuti di ritardo. Dieci minuti
che hanno sconvolto la mia vita. Dapprima vedo i suoi piedi spuntare da dietro
il letto e allora penso che sia caduto, colto da malore. Poi il sangue,
quell'esplosione di orrore.
Quale il movente? Non
solo la delusione per non essere riuscito a far capire il mondo dei giovani,
senz'altro qualcosa gli si è spezzato dentro.
A lungo ripeto:
"Non
può essere vero". Adesso sono io che debbo sottrarmi all'ingorgo
di incubi paurosi. Non so andare avanti. Una settimana dopo mi rifugio a Recco,
dalla mamma di Luigi. Sento il dovere di farle visita. Ma chi può consolarla?
Nessuno. Restiamo a guardarci e a piangere.Capisco che devo andarmene in fretta
dall'Italia. Ma non serve a niente. Staccata da lui, non ho più identità. Ha
ragione Victor Hugo a dire: 'Quando si perde la
persona amata, il mondo si spopola'. E allora,
esattamente un mese dopo, un mese che è
un'eternità, penso di farla finita
anch'io.
Ingoio 75 pastiglie
di un tranquillante. Per esser certa di riuscirci, scelgo una stanza d'albergo
dopo avere preparato tutto con scrupolo: il testamento dal notaio e una lettera
per mia madre. Ventiquattr'ore dopo una cameriera si insospettisce. Da sotto la
porta filtra una lama di luce. Da l'allarme. Mi trasferiscono all'ospedale. La
prognosi è di cinque giorni. Evidentemente è scritto che io debba sopravvivere
per trovare rimedio alle contrarietà.
È
il 3 maggio 1987 quando, a Montmartre, Dalida si toglie la vita, a vent'anni
dal primo tentativo. Accanto al corpo lascia appena un biglietto:
“Perdonatemi, la vita mi è insopportabile”
Rivediamo una
testimonianza audiovisiva relativa a quel Sanremo 67.
Ho descritto un
momento drammatico evidenziando come un piccolo spazio come il Festival, apparentemente
frivolo, contenga tutti gli ingredienti della nostra
vita: l'amore, la morte, la delusione, la musica,l'orgoglio, l'invidia,
l'amicizia, l'arroganza, l'ambizione, il successo, l'insuccesso e... potrei
proseguire per molto.
Tutto questo, credo,
giustifichi ampiamente l'esistenza del Festival di Sanremo.
Accanto a tanta
serietà c'e' l'aspetto ludico e meno impegnativo.
Per proporlo, scelgo
pochi secondi di un "cantante"
incredibile (l'unico comico vivente capace di farmi ridere anche quando assume
ruoli seri).
Parlo di Diego
Abatantuono , in
questo caso emulatore di Riccardo Cocciante.
Citazione del giorno:
"
Come è nobile chi, col cuore triste,vuol cantare ugualmente un canto felice, tra cuori felici" ( Kahlil Gibran)