Questa volta non c’è un folto
pubblico e nemmeno uno spazio concertistico, perché la location scelta è lo
studio di registrazione di Carlo
Venturino, meraviglioso padrone di casa che ha messo a disposizione la sua
attrezzatura, i suoi locali e… il suo cibo!
Ma ciò che è andato in scena è un
vero concerto, con la ripresa delle “scalette” utilizzate per il recente live e la stessa sequenza di
esibizione.
Ma perché tutto questo? Si potrebbe
chiamare atto di gentilezza e di amicizia verso chi viene da molto lontano, un’amica
la cui passione per la musica progressiva ha portato a bazzicare con buona
frequenza l’ambiente ligure e persino ad intraprendere un viaggio arduo, che
dovrebbe condurre alla conoscenza della lingua italiana: lei è Yoshiko e il paese da cui arriva è il
Giappone.
Nel corso dei suoi numerosi viaggi
nella nostra regione non aveva mai avuto l’occasione di ascoltare Il Cerchio e
i Nathan, e grazie a lei domenica 25
febbraio si è testato qualcosa di nuovo.
Giornata buia per quanto riguarda
le previsioni meteorologiche, quei momenti che diventano un perfetto alibi
quando si preferisce la televisione alle poltrone di un teatro, ma in questo
caso le esigenze erano diverse, e la neve - intensa ma leggera - caduta incessantemente
non ha disturbato le intenzioni delle due band.
Atmosfera anomala e inusuale, a
metà tra esibizione e prova da garage, in un ambiente serioso e capace di
catturare ogni frammento musicale. Ma il clima si è riscaldato con facilità, e
alla fine i musicisti apparivano soddisfatti della riuscita globale.
Essere professionali - e quindi
con la mentalità da professionista - significa anche questo, dare il meglio di sé
in ogni occasione, indipendentemente dall’entità dell’audience.
Tutti contenti quindi, italiani e
non, e immagino che tra i ricordi di viaggio - musicale - di Yoshiko rimarrà
anche questa giornata fatta di tante piccole sfumature che le persone virtuose
riescono sempre a captare.
Da parte mie la “cattura” è, come
al solito, video, e per sintetizzare l’accaduto propongo un paio di filmati che
daranno la dimensione dell’accaduto.
Gli Ubi Maior sono una band giovane, ma
non troppo, nel senso che l’esperienza è davvero significativa e si snoda su
una ventina di anni di attività, periodo considerevole per poter tirare qualche
somma.
Non ho mai avuto la possibilità di
vederli in azione, anche se recentemente ho potuto apprezzare le
caratteristiche della chitarrista Marcella Arganese, impegnata in un progetto
parallelo. Ed è stata proprio Marcella il mio tramite con il gruppo, musicisti
a cui ho posto qualche domanda, in un momento in cui sono già pianificati live
importanti ed esistono le basi per la preparazione di un nuovo album, il quarto
della loro carriera.
Ecco che cosa mi hanno raccontato…
Quest'anno gli Ubi Maior festeggeranno i 20 anni di attività:
possibile riassumere la storia della band.
I primi 5-6 anni sono stati di
apprendistato, passati tra lo studio delle cover e la creazione dei primi
segmenti che faranno parte del nostro primo CD, “Nostos”, qualche anno più tardi. L'avvio è stato abbastanza blando.
Non avevamo la fretta che intravedo oggi di mettersi subito a registrare un CD
per inserirsi nel giro "giusto".
A cavallo fra i due millenni internet
stava giusto decollando, i social così come oggi li vediamo non esistevano ancora.
Ci si affidava ancora un pò alle gloriose fanzine di settore che tanto, e forse
meglio, hanno fatto per il genere. Mandavi il CD-demo, iniziavano le prime
recensioni, c'era il passa parola. Oggi è tutto più veloce. Devi registrare,
avere un CD, martellare, millantare tirature impossibili, proporti in qualsiasi
modo.
Fra il nostro primo CD e il secondo, “Senza tempo”, del 2010, c'è stato
proprio il passaggio decisivo. Finite le fanzine si è passato ai social, ai
portali prog, alla velocità di consumo e di produzione.
Dal canto nostro abbiamo continuato a
fare le cose per bene e con calma, contando solo sulle nostre forze e sulla
produzione chiara e corretta della nostra casa discografica AMS. Noi non compriamo
i like su facebook e non abbiamo mecenati alle spalle.
La prima parte della storia della band
si è conclusa nel 2010 con l'abbandono del nostro primo chitarrista, Stefano
Mancarella, e l'avvento di Marcella Arganese. Marcella è un vulcano d'energia
ed è impegnata oltre che con noi con i Mr. Punch (tribute band dei Marillion “epoca
Fish”) e con gli Hostsonaten di Fabio Zuffanti. “Incanti bio meccanici”, il nostro terzo lavoro, ha segnato un
interessante, quanto lieve, cambio di direzione a livello sonoro: un pò meno
sanguigno hard-prog italico e più attenzione alle atmosfere e agli
arrangiamenti.
Un lavoro più maturo.
Prima di affrontare il futuro vorrei soffermarmi sul vostro ultimo
atto, "Incanti bio meccanici", album inusuale per i contenuti: me ne parlate?
Incanti bio meccanici è un album
decisamente progressivo sinfonico. Meno debitore del glorioso rock progressivo
italiano rispetto agli album precedenti. Sfruttando una forma compositiva
comunque ben radicata negli anni settanta, come la suite, abbiamo però
sviluppato armonie e melodie più originali e più attuali. Abbiamo stratificato
maggiormente i brani, lasciando più spazio al lirismo del singoli strumenti,
come su “I cancelli del tempo” e in “Lo specchio di mogano”. A livello lirico
abbiamo incrociato l'arte onirica del teatro cinetico di Sharmanka con gli
approfondimenti letterari del nostro cantante Mario Moi. I testi sono
decisamente unici nel panorama attuale italiano, di un livello altissimo.
Che tipo di riscontri di pubblico e critica avete avuto in questa
occasione?
Inutile girarci attorno. Il pubblico
che acquista CD negli ultimi 20 anni è diminuito. Esiste ancora ma se anni fa
vendevi 100 oggi vendi 60-70, se va bene. Il riscontro della critica è stato
molto buono. Non tutti i paesi allo stesso modo. Puoi ottenere entusiastiche
recensioni in Giappone e in Germania e magari meno benevole in Belgio o
Olanda...è sempre molto strano e poco prevedibile. Cantare in italiano è sempre
una lama a doppio taglio. Lo era negli anni Settanta e lo è anche oggi.
Non è bello incasellare la musica ma... come definireste la vostra
proposta a chi ancora non la conosce?
Non ho mai avuto paura delle etichette
e non mi da fastidio essere definito prog. E' la musica che facciamo, che
amiamo. Alcuni definiscono il rock sinfonico di oggi regressive anziché
progressive. Ognuno è libero di pensarla come vuole.
Dal canto nostro cerchiamo di non
riproporre semplicemente un genere in voga 40 anni fa. Inseriamo elementi
diversi che completano un puzzle oppure lo rinnovano e lo fanno progredire.
Parlando dei nostri brani, “Teodora” è
senz'altro una suite molto classica dal punto di vista compositivo. “Alchemico fiammingo” e “Lo specchio di Mogano” sono invece più
sorprendenti, pur sempre incasellate in strutture già codificate. Troviamo
tracce di musica melodica anni ‘80 come pure accenni di jazz o riferimenti
etnici. Cerchiamo insomma di essere originali all'interno di una forma d'arte
ben codificata.
Le vostre liriche appaiono di spessore e non un "atto
forzato" (come a volte accade): come nascono i vostri testi? E' un lavoro
di squadra o esiste precisa suddivisione dei compiti?
I testi finali sono opera di Mario
Moi. Non è facile interagire in questo processo creativo. Puoi dare qualche
idea di massima, spunti, come ha fatto Marcella per “Incanti”, ma poi la realizzazione definitiva spetta a Mario. Mario
è molto attento a far combaciare la metrica delle parole col tempo del brano.
Inoltre compone le melodie vocali e tutto ciò che riguarda il violino e la
tromba. Le strutture e la musica di base è opera principalmente mia e di
Marcella. Poi c'è il lavoro di arrangiamento con tutta la band coinvolta.
Come sono i live degli Ubi Maior?
Sono live atmosferici. Cerchiamo di
rendere l'idea del brano e del testo che si sta cantando in quel momento.
Stiamo lavorando a certe idee e vedremo se potranno essere realizzate in
futuro. Ovviamente non è facile fare numerosi concerti. Nel 2016 abbiamo
partecipato sia al grande Festival di Veruno che al Progressivamente di Roma.
Nel 2017 abbiamo suonato al FIM di Erba.
Non abbondano le occasioni e i gruppi sono davvero tanti. Stiamo
tentando di andare all'estero e quest'anno saremo ad aprile in Germania per il
festival di Reichnbach ArtoRock Festival.
Cerchiamo di ottenere il massimo
mantenendo la nostra dignità: non puoi andare a suonare totalmente gratis o
senza una minima prospettiva di rientro, anche perché si abituano i gestori a
pagare sempre meno, e questo rovina la scena musicale abbassando spesso anche
il livello qualitativo… credo che sia bello poter calcare alcuni palchi per
meriti propri e non pagando, poi oggi ci si può accontentare anche di una via
di mezzo.
"Incanti…" è un disco del 2015: cosa bolle in pentola?
Bollono in pentola un pò di brani. Un
paio sono già pronti e li presenteremo nelle nostre prossime esibizioni, uno l'abbiamo
già suonato a Veruno. Stiamo lavorando per il nostro quarto album e sarà
tendenzialmente diverso dal precedente. L'obiettivo è un ritorno a una
struttura più contenuta dei brani, lasciando sempre più respiro agli strumenti
e alle atmosfere. E’ questo Il traguardo per il 2019.
Come ha inciso il recente cambio di line up sulla vostra musica?
La decisione di Walter di lasciarci ci
ha rallentano un pò nella prova dei brani nuovi, ma rientreremo presto nei
ranghi. Il nuovo elemento Gianmaria Giardino è competente e molto giovane e ci
porterà senz'altro nuova linfa ed energia. Lo vedremo nei prossimi mesi.
Che giudizio vi sentite di dare dell'attuale stato della musica in
Italia?
A livello undergroud è un rigoglio di
band, come sempre. In superficie però siamo sempre alle solite. Il RAP e le
cover band la fan da padroni nei festival, nei locali. La gente affolla i loro
concerti perché vogliono ascoltare quello che già conoscono, o forse perché
questa super produzione (resa facile anche dall'utilizzo dei pc) - anche per
riagganciarci alla prima domanda - è una produzione forse troppo desiderosa di
fare e di arrivare, formazioni che durano il tempo di un cd e poi non esistono
più, persone coinvolte in troppi progetti: forse così non si stanno creando
masterpiece (sarebbe bello poter parlare di questo argomento senza pensare a
nomi in particolari ma a tutta la scena italiana). C'è poca voglia di ricerca.
Ci sono alcuni locali coraggiosi che propongono musica originale e band che
compongono la propria musica. Esiste anche uno zoccolo duro di persone che
affolla i festival organizzati in Italia.
Dovrebbero essercene sempre di più. Cerchiamo di ottenere il meglio da
quello che viene offerto.
Quali sono le prossime occasioni per vedere gli Ubi Maior in
concerto?
Se siete in Germania ci vedremo il 7
aprile per l'Art Rock festival di Reichenbach insieme a tanti altri artisti:
tre giornate di sano progressive rock. Abbiamo poi in programma un concerto in
area milanese a marzo, e per inizio giugno al Progs and Frogs festival a
Cascina Caremma. Vi consigliamo comunque di tenere d'occhio la pagina facebook
degli Ubi Maior oppure il nostro sito www.ubimaiorweb.com
Formazione:
Mario Moi - vocals, violin,
trumpet
Gabriele Dario Manzini - keyboards
Gianmaria Giardino - bass
Alessandro Di Caprio - drums
Marcella Zaubermaus Arganese: electric and acoustic guitar
Il calendario mi
fornisce ancora una volta l’occasione per ricordare l’eccellenza musicale.
Compie gli anni oggi Aldo Tagliapietra,
voce storica delle Orme, da alcuni anni super-impegnato in proprio. Quando
entrai in contatto col mondo “Orme” era il 1970, avevo 14 anni, ed ero stato
colpito dal brano pop “Irene”. Di lì
a poco il percorso della band virò decisamente verso un’altra musica,
influenzato dalla partecipazione, come spettatori, al Festival di Wight. E
nacque “Collage” e le Orme entrarono
a far parte delle band seminali che rappresentarono i fervori del momento, in
atto anche in Italia.
Aldo ha la fortuna di
possedere una timbrica particolare che è diventata caratterizzante,
riconoscibile in un nano secondo, probabilmente impossibile da clonare.
Aldo è anche una
persona come difficilmente se ne trovano nel mondo musicale, attenta allo
spirito più che alla materia, ai rapporti umani, alla famiglia – un nucleo il
suo, capace di suscitare sana invidia per il collante che lo unisce, e di cui
sono testimone.
Bassista, chitarrista,
vocalist, frontman, suonatore di sitar, ha dedicato tutta la
sua vita a quella che è definita musica progressiva, siglando assieme ai suoi compagni
di viaggio album storici che oltrepassano la necessità di catalogare ogni tipo
di musica e armonia, perché l’ascolto è sufficiente per l’apprezzamento
immediato.
Negli ultimi anni si è
assistito ad un cambiamento importante, legato alla connessione tra la serenità
personale e i risvolti professionali. Circondatosi di una band di giovanotti, ha
ritrovato la voglia di comporre e di buttare nuova carne al fuoco, evitando di
ripescare, solo, pillole di passato, rilasciando invece due album di inediti ed
un libro… il tutto in due anni! E credo sia pronto un nuovo capitolo!
Frequenti i suoi
concerti in giro per l’Italia e per il mondo, con progetti di varia natura,
perché la musica continua ad essere la sua vita.
Gli chiesi un po’ di
tempo fa: “Cosa scriveresti sul tema: "Tagliapietra e la sua musica futura”? “Spero
di continuare ad avere quell’entusiasmo e quella creatività che mi ha permesso
di arrivare a scrivere musica come faccio ultimamente, per molti e molti anni
ancora”.
Un esempio positivo
per tanti giovani che sicuramente non conoscono ancora Aldo Tagliapietra, ma se
nascesse in loro la curiosità di saperne di più (mi illudo che queste righe
possano servire a questo), rimarrebbero affascinati, ne sono certo, da una voce
senza eguali, capace di trasmettere le emozioni di cui spesso si parla senza
sapere cosa in realtà siano, e una volta entrati in contatto con il suo modo di
porsi sarà difficile dimenticarlo. Questo il suo ultimo lavoro che ho recensito da poco:
La serata del 16 febbraio 2018 resterà
nella storia savonese, e non solo per quanto accaduto in ambito musicale.
Era di
scena la musica progressiva proposta da due band cittadine di lungo
corso, Il Cerchio D’Oro e i Nathan e la
doppia presenza autorizza a definire l’evento un mini “Festival Prog”.
E’
evidentemente una storia di amicizia, rapporto consolidatosi tra le due band
negli ultimi tempi grazie ad un progetto benefico che ha raccolto molti
consensi e… denaro, una somma ben precisa utile all’acquisto di una culla
termica per il trasposto di neonati.
La bellissima notizia
- annunciata in diretta dal palco da Massimo
Pacini, membro del Lions Club Savona
Torretta - è quella che l’obiettivo è stato quasi raggiunto, grazie alla
diffusione di un video rilasciato nell’occasione delle feste natalizie,
catalizzatore di offerte cospicue e condivisioni multiple. Ed è stato proprio
il Dott. Amnon Cohen, Direttore
della Struttura Complessa di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale San Paolo
di Savona e dell’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, a descrivere i
dettagli tecnici di tutta l’operazione, sinceramente sorpreso dal
raggiungimento dell’obiettivo: se è vero che è sempre più difficile vivere di musica, nel senso del “mestiere”, è
altrettanto vero che attraverso di essa si possono fare piccoli miracoli, ed è
questa una dimostrazione significativa.
A completamento
informativo aggiungo che il brano in questione - “Almeno un attimo, il Natale degli altri” - nasce da un’intuizione
di Bruno Lugaro e dal completamento
musicale di Piergiorgio Abba
(Nathan). Il successivo lavoro di squadra ha visto il coinvolgimento musicale
de Il Cerchio D’Oro e quello
organizzativo del Lions Club Savona
Torretta, di MusicArTeam e
l’azione della Croce d’Oro di Albissola
Marina.
Ed ecco l’ultimo atto della serata, occasione che difficilmente si
ripeterà vista la situazione davvero unica…
Ma prima di questo bis
generalizzato sono saliti on stage due veri gruppi omogenei, e si è quindi
assistito ad un paio di ore di musica che ha incollato il folto pubblico alle
comode poltroncine rosse del Teatro, un luogo che ha suscitato in me miriadi di
ricordi, di bambino e di adolescente.
Per chi veniva da “fuori” città o
per chi non ha vissuto quei giorni per mero fatto anagrafico, certi aspetti,
che ho sottolineato prima del concerto, possono essere sembrati poco
comprensibili, ma memoria e musica sono “entità” inscindibili, e se è vero che
è proprio nel campetto adiacente al Teatro che mi sbucciavo le ginocchia ogni
domenica mattina, è altrettanto vero che attorno ai miei 16-17 anni i Salesiani
- così chiamavamo il luogo in quei giorni - era l’unico cinema in cui potevamo
vedere a ripetizione “Yessongs”, “Pink Floyd a Pompei” e “Pictures at an
Exhibition”.
Ma andiamo oltre le mie
rimembranze…
Aprono il concerto i Nathan, attivi da molti anni e dediti soprattutto
alla proposizione di musica progressiva altrui, dai Genesis ai Pink Floyd. Ma
questo è il passato! Nel 2016, dopo una lunga incubazione, nasce il loro primo
album di inediti, “Nebulosa”, per
AMS, e… esplode la creatività, tanto che nel prossimo mese di marzo, a distanza
di solo due anni dall’esordio discografico, uscirà il nuovo disco, “Era”, sempre per AMS, proposto in minima
parte (2 brani) nel corso della serata.
Oltre ai già citati Bruno Lugaro (voce) e Piergiorgio Abba (tastiere), troviamo
alla batteria un altro elemento storico - Fabio
Sanfilippo -, Mauro Brunzu al
basso e una new entry, il chitarrista Andrea
Laurino a cui è toccato il compito non facile di sostituire Daniele Ferro, creatore delle parti
solistiche di entrambi gli album.
I tempi ristretti - circa un’ora
per band - hanno imposto delle scelte esecutive e i Nathan, oltre ai due brani
inediti - uno dei quali all'interno del video a seguire - hanno presentato un
sunto di “Nebulosa”, l’album di
esordio.
Nonostante il recente cambiamento
della line up e una non eccessiva attività live pregressa (ma questo è un
elemento che caratterizza tutti i gruppi prog) il sound dei Nathan è apparso
solido, coeso e convincente, e il pubblico ha chiaramente apprezzato la
performance. L’affiatamento può progredire solo con l’aumento delle occasioni
live, ma ciò che si è visto sul palco è da apprezzare in toto. E le sorprese
non sono finite perché il nuovo disco, che ho avuto l’opportunità di ascoltare
in anteprima, rappresenta una vera evoluzione e sarà una sorpresa per gli
appassionati del genere.
Eccone un assaggio…
Il cambio set serve a Max Pacini per completare l’opera
benefica, una raccolta di offerte gestita in loco dalla Croce d’Oro di Albissola Marina abbinata al sorteggio di tre
piatti in ceramica di grande valore, regalati ad altrettanti partecipanti
fortunati.
Entra in scena IlCerchio
d’Oro in formazione tipo, quella dell’ultimo album, “Il fuoco sotto la cenere”, uscito per Black Widow Records la scorsa
estate: Franco e Simone Piccolini
alle tastiere, i gemelli Terribile -
Gino e Giuseppe - alla batteria e al basso (e alla voci), Piuccio Pradal alla voce e alla
chitarra ritmica e Massimo Spica
alla chitarra solista.
La loro storia racconta di un
gruppo di amici che costituiscono un “complesso” negli anni ’70 e, dopo la “normale
vacanza” di alcuni lustri, si ritrova nella piena maturità e così, tanto per
togliersi un po’ di soddisfazioni, dal 2006 ad oggi registra tre album,
conosciuti ormai in tutto il mondo relativo alla musica progressiva:
soddisfazioni di pubblico e critica!
Anche in questa occasione non si
smentiscono e, proponendo un mix di tutta la loro produzione, divertono ed
emozionano l’audience, un pubblico fatto di musicisti, amici e appassionati,
davvero attento e concentrato, pronto però a lasciarsi andare al termine di
ogni episodio musicale.
Anche per loro propongo un
contributo video dell'esibizione…
Mi pare inutile entrare nei
dettagli tecnici di una serata dai molteplici significati, che ha messo in
mostra amicizia, voglia di attimi di piena comunione, partecipazione e
altruismo.
Doveroso però un ringraziamento al
fonico, Alessandro Mazzitelli e al
“padrone di casa, Don Giovanni Margara.
L’ultimissimo atto, il bis già
proposto, si chiude con l’intervento di Max
Pacini che comunica che la benevolenza del pubblico ha praticamente
azzerato il gap esistente nel pre-concerto tra la cifra raccolta e quella
necessaria all’acquisto della culla termica, e nell’aria giravano alte parole
magiche… musica e amore… amore e musica!
Jerry Cutillo è la mente degli OAK (Oscillazioni Alchemico Kreative), band romana di lungo corso da lui formata molti anni fa,
propositrice di programmi sonori molto variegati, a volte in azione come tributo ai
miti musicali del passato, ma sempre più spesso espressione personale di gusti
e passioni che intrecciano la storia con la tradizione, con una voglia estrema
di contaminazione e rottura degli argini culturali che la musica progressiva ci
ha insegnato a superare con naturalezza.
Beh, parlare solo di
Jerry non è corretto, ma lui è il fulcro attorno al quale si materializza la
dinamicità di musicisti che entrano ed escono nei suoi progetti.
Cutillo è un polistrumentista
di valore e, nel tempo, i suoi “amici” esterni si sono fatti coinvolgere sempre
di più, sia in fase live che in quella di registrazione. Anche in questo caso
ne abbiamo una prova concreta, come si evince dall’intervista a seguire, uno
scambio di battute che permette di entrare nei dettagli della proposta.
Già… il nuovo lavoro
degli OAK, il doppio vinile + Cd (quasi 70 minuti di musica) che riporta ad
elementi storici che da sempre appassionano l’uomo moderno e non, e che toccano
particolarmente certe zone geografiche che hanno rappresentato la scenografia
su cui la storia ha camminato. La vita su cui si è focalizzato Cutillo in
questa occasione è quella di “Giordano Bruno” - è questo il titolo dell’album -, e il percorso che viene
delineato parte dal suo arrivo a Roma e, dopo il lungo peregrinare, il ritorno,
con l’epilogo drammatico, il rogo, il 17 febbraio del 1600: da Campo dè Fiori a… Campo dè Fiori.
L’ascolto abbinato
alle didascalie regala una chiave di lettura completa e
particolarmente piacevole, tanto da provocare una sorta di immedesimazione, un... “entrare
nella parte”.
La mia idea è che sia
questo il sogno musicale della vita, quello che andava realizzato
indipendentemente dalle richieste di mercato (qualora ne esistessero ancora!) o dalla
necessità di mantenersi entro una categoria precisa… un lavoro di
pregio culturale - proporre la storia e i suoi parallelismi utilizzando la
musica come elemento didattico - ma allo stesso tempo coinvolgente e pieno di spunti
accattivanti, uno di quei contenitori che, se nati in epoca seventies,
avrebbero raggiunto lo status dell’immortalità.
E’ ovviamente un lavoro
tipico della nostra epoca, momento in cui nessuno investe più e ci si deve
arrangiare per limitare i costi e al contempo la tecnologia permette di
lavorare da casa, accorciando gli enormi spazi che spesso esistono tra i vari
musicisti. Ciò nulla leva alla qualità del prodotto in uscita salvo, forse, la
continuità live, vista la lista degli ospiti stranieri presenti.
Parlo di musicisti
incredibili come David Jackson - impossibile
non riconoscere il suo tocco -, Maartin
Allcock - sempre presente quando Jerry chiama - Richard Sinclair, la cui partecipazione regala una delle tracce più
significative (proposta a seguire), Sonya
Kristina - una timbrica vocale da brividi -, Jenny Sorrenti, nell’occasione una sorta di versione femminile di
Peter Hammill, e il drummer scozzese Derek Wilson. Ma non finisce qui… come si potrà leggere nell’intervista.
"Roma, 17 febbraio 1600. La porta della cella si chiude con un
rumore sinistro. All’apostata Giordano
Bruno, detenuto nel carcere dell’Inquisizione romana, viene applicata la
mordacchia così da non poter gridare o lanciare anatemi lungo il percorso che
conduce a Campo dè Fiori. Lì, ad attenderlo, c’è il rogo."
Da qui inizia il viaggio sonoro,
puntellato da trame comprese tra la miglior acusticità di Ian Anderson (“Aqualung”
viene citato espressamente) e le atmosfere oniriche e dark dei VdGG, ma con il
tocco geniale di Jerry Cutillo, un musicista intriso di rock e vissuto
popolare.
Ho goduto al primo ascolto, senza
aver volutamente usufruito di alcun tipo di spiegazione. Mi sono ripetuto in modo più cosciente, avendo però davanti un booklet con i testi e i crediti: il risultato non è cambiato.
La storia e la musica, come accade
da sempre, si intrecciano e la sintesi che ne deriva, in questo caso, è
qualcosa di magico che vale la pena afferrare e condividere.
"Attraverso le sbarre della sua
cella, Giordano osserva le stelle danzare. “Se è certo che ogni vicenda umana, avviluppata com’è nelle circostanze
di un momento, non custodisce la verità assoluta, è altrettanto vero che
spiriti eletti possono comunicare e condividere conoscenze anche a distanza di
secoli. In uno di questi mondi infiniti, noi ci incontreremo.” Imperdibile!
L’INTERVISTA
Il tuo nuovo lavoro,
“Giordano Bruno”, è in incubazione da molto tempo: mi racconti la nascita
dell’idea e l’iter che ti ha portato al completamento del progetto?
La figura di Giordano
Bruno si è sempre aggirata, come un’ombra, nelle mie vicende esistenziali. Sono
sempre stato attratto dal magnetismo della statua in Piazza Campo dè Fiori e con
il passare degli anni ho avvertito come un richiamo che mi avvicinava alla
storia del filosofo nolano. In “Sator
Arepo Tenet Opera Rotas”, un mio lavoro del ’96, figurava il brano “XXI Century Jubilee”, dove il nome
Giordano Bruno faceva il suo ingresso nelle liriche, strillato al megafono dalla
mia voce sopra una cornice di suoni laceranti. Quel prodotto non fu mai pubblicato
e rimase nel cassetto. Poi, due anni fa,
decisi di inserire il brano nel Cd “Viandanze”
e insieme al produttore Marco Viale girammo
le riprese del videoclip in Piazza San Pietro e in Piazza Farnese (adiacente a
Piazza Campo dè Fiori) dove si trova l’ambasciata Francese. Il caso volle che
ciò avvenisse appena due giorni prima dell’eccidio del Bataclan. Quarantotto
ore in ritardo e saremmo stati circondati dai reparti speciali antiterrorismo
in difesa di due tra i maggiori siti a rischio della capitale.
Il video a cui
accennavo è su youtube e potete trovarlo digitando la parola chiave: “Giubileo, dal nuovo album degli OAK “Viandanze”.
Questo accadeva due
anni fa circa, poi, in seguito ad uno scambio di battute con Massimo Gasperini,
discografico dell’etichetta genovese Black Widow, avviai un nuovo progetto. Ricordo
che alla sua affermazione “Io ci farei un
album intero su Giordano Bruno” replicai: “Sì, ma in formato doppio vinile!”. E cominciò la sfida… contro i
miei limiti, il tempo e le scarse finanze a mia disposizione. Mi posi come
obiettivo l’aver pronto l’album in tempo per l’anniversario della morte del filosofo
che cade il 17 febbraio. Cominciai così a comporre del nuovo materiale e a registrare,
insieme a Giacomo Pettinelli alla batteria e Francesco De Renzi alle tastiere,
alcune basi. Continuai le session in Svizzera a Leontica, nel “Sound Avenue Studio”
di Marco Viale dove ci raggiunse David Jackson. Effettuai degli overdubs al “ReFo
studio” di Daniele Nuzzo e infine realizzai il missaggio e la masterizzazione rispettivamente allo “studio Blu” con Marco
Lecci e al “Seven Studio” di Stefano Vicarelli. Tuttavia, per ammortizzare i
costi di produzione, effettuai la maggior parte delle incisioni nel mio home studio
dedicandomi ad uno sfrenato polistrumentismo. A posteriori posso assicurarti
che la gestazione del progetto è stata problematica e convulsa. Nei diciotto
mesi di lavorazione è successo di tutto e le probabilità di insuccesso
sembravano superare di gran lunga quelle di riuscita. Sono stato costretto a
fronteggiare carenze strutturali, promesse non mantenute, equivoci e defezioni,
e l’assenza cronica di un budget sufficiente per portare a termine adeguatamente
il progetto.
Infine, lo scorso
autunno, il richiamo di “Giordano Bruno”
è arrivato alle orecchie di Iaia De Capitani (Immaginifica by Aereostella) che ha
finalizzato il prodotto rapidamente e in modo molto professionale.
Chi fa parte
attualmente degli OAK?
Questa è una domanda a
cui ho sempre maggiori difficoltà a rispondere. Rischierei di scrivere una line
up che potrebbe dissolversi nel giro delle ventiquattro ore, tant’è vulnerabile
il panorama musicale. Nel corso dei venticinque anni con gli O.A.K. ho
sperimentato ogni genere di rapporto artistico. Tuttavia, andando per
esclusione, posso affermare che gli
O.A.K. non sono un gruppo di amatori/appassionati/collezionisti, non sono una
società a scopo di lucro, non sono il delirio di un pazzo egocentrico, non sono
una tribute band, non sono un fan club, non sono una setta diabolica, non sono
una band di session men, non sono un duo/trio…
E’ di assoluta
importanza però sottolineare lo straordinario line up con cui presenteremo “Giordano Bruno” al Planet Live Club di
Roma domenica 18 febbraio: Jerry
Cutillo alla voce, chitarra acustica, flauto e tastiere – David Jackson ai
fiati – Francesco De Renzi alle tastiere – Guglielmo Mariotti al basso e dodici
corde – Shanti Colucci alla batteria. Anche Jenny Sorrenti e Valentina
Ciaffaglione daranno il loro contributo vocale a questa serata che si
preannuncia come una grande festa per il pensiero libero, la creatività e il
futuro del prog.
Ho visto ospiti
stratosferici: me ne parli?
David
Jackson è stato il primo ad essere contattato perché il sound che volevo dare
all’album non era guitar oriented e David, con il suo tonewall,
rappresentava l’unica soluzione. Se non avesse chiamato i demoni del suo
passato a darci una mano, sarebbe stato ben diverso e l’album non avrebbe
probabilmente visto la luce. Dave ha sempre apprezzato molto i miei
sforzi artistici e il suo background aderisce perfettamente al nostro
attuale progetto. Il suono inconfondibile dei suoi double horns ha contaminato
i miei arrangiamenti in maniera originale, auguriamoci quindi che la nostra
collaborazione duri ancora per molto tempo.
Anche
l’invito a Richard Sinclair è avvenuto spontaneamente perché, in passato, avevamo
condiviso una serie di spettacoli e ci eravamo lasciati con la promessa di
tornare a lavorare insieme. Una delle mie nuove composizioni, “Dreams of
mandragora”, era nata dalla visualizzazione di un’ immagine sonora. Hai
presente i “choir boys” delle chiese inglesi? Richard ha un esperienza simile,
avendo frequentato il coro della chiesa nel distretto di Canterbury dove
viveva, e il suo timbro vocale, unito ad una intonazione impeccabile, è rimasto
inalterato. Nessun bending o note vibrate o urli arrochiti. Un plasma tonale
omogeneo che si muove orizzontalmente sul pentagramma e ti incanta dalla prima
all’ultima nota. Per tre giorni abbiamo lavorato in casa, soffrendo il caldo di
settembre, fino alla realizzazione delle parti vocali e della linea di basso.
Con grande impegno siamo riusciti a far riemergere lo spirito del migliore
Sinclair, con tutta la sua straordinaria abilità tecnica e il brano, che dietro
un’ apparente semplicità cela un sofisticato puzzle di progressioni
armoniche, ne ha tratto grosso vantaggio. Il testo è immaginifico e descrive
una scena molto bizzarra: “Sottili lingue di fumo volano alte nel salone dei
ricevimenti di palazzo Sidney quando gli ospiti si svegliano dal volo
magico. Soltanto ora il maestro Giordano Bruno si illumina di un sorriso
beffardo. Ai suoi lati, due incensi alla mandragora si spengono con un soffio
d’argento”.
Ringrazio Pat Rowbottom per l’aiuto
alla scrittura del testo.
Un’altra sacerdotessa del mistero
è Sonja Kristina, storica frontwoman dei Curved Air. Con lei avevo realizzato “Demons of prog” uno spettacolo di
musica O.A.K., VDGG, Genesis e Curved Air,
e Il suo fascino e la sua dolcezza mi avevano profondamente colpito. Nell’album
“Giordano Bruno” volevo inserire
l’episodio dell’incontro del filosofo con una donna, che in seguito Giordano chiamerà
Diana, avvenuto sulla spiaggia di Nola. Avevo in mente, come riferimenti, Morricone - “Giù la testa” - e Pink Floyd - “The
great gig in the sky”. Cominciai con una progressione armonica al piano che
introduceva dei vocalizzi che immaginavo dovessero crescere ed esplodere in un
inciso molto lirico. Purtroppo la composizione arrivò ad uno stallo finché
decisi di utilizzare dodici battute armonico/melodiche che avevo composto molto
tempo addietro in seguito ad un mio viaggio sull’isola di Skye in Scozia. Le inserii
nel nuovo progetto e… suonavano a meraviglia! Cominciò poi il carosello dei
tentativi canori ma, per diverse ragioni, non si arrivò ad una definizione delle
altre parti vocali. Poi arrivò Sonja, che
finalmente rispose al mio invito rivoltole molto tempo prima e cantò insieme a
me tre nuove strofe. I vocalizzi di Valentina Ciaffaglione completarono poi
brillantemente la parte corale del brano con note da brividi.
Per Maartin Allcock il compito
invece è stato più semplice perchè la mia “Danza
macabra”, un nuovo arrangiamento del celebre capolavoro di Saint Seans, gli
ronzava nelle orecchie già da parecchio: ricordi a Savona Athos? E il Dance
ensemble di Eleonora Briatore? Non avevo quindi dubbi sull’ottimo risultato che
avremmo raggiunto.
I fraseggi del basso sono
ritmicamente puntuali e melodicamente risolutivi. Un vero pezzo di bravura del
nostro amico Maart che ha registrato la parte in tutta comodità nel suo home
studio ad Harlech nel Galles e poi spedito il wav file. Un autentico capolavoro
di stile alle quattro corde.
Tra le voci femminili dell’album ci
sono anche quelle di Annamaria Manzi e Gertrude Urner. Anche Jenny Sorrenti è con noi a cantare in “Wittenberger fuchstanz”. Jenny ha sempre
avuto ottime intuizioni nei miei brani, ed oltre ad avere una naturale
predisposizione melodica è una cantante molto esperta e con grandi doti immaginifiche.
Anche in questa occasione è stata infallibile ed ha colto in pieno lo spirito dell’underworld
degli O.A.K..
Derek Wilson è noto per essere uno
dei migliori session men della capitale e il suo contributo in “Parallel dances” nel 2000 era stato
molto rilevante. In seguito a quell’esperienza Derek cominciò ad apprezzare il mio stile compositivo finendo
per inserire alcuni brani nei suoi video tutorial. Per “Giordano Bruno” serviva un’opening track che dettasse gli orientamenti
dell’album e i primi tentativi ritmici, effettuati con altri musicisti, non
avevano dato esiti positivi. Cominciavo a temere per “Campo dè Fiori” perchè Il muro sinfonico dei mellotron necessitava
di un adeguato sostegno ritmico. Mi rivolsi quindi a Furio De Chirico e Derek
Wilson. Quest’ultimo si rivelò particolarmente motivato dal 16/8 sincopato che
muove la sinfonia del brano e arrivò al traguardo superbamente con timing e dinamiche a regola d’arte. La lista degli ospiti continua con il
contributo di Marco Lecci che ha
effettuato i missaggi, di Marco Viale per le riprese nel suo studio SoundAvenue
di Bellinzona e poi Charles Yossarian, Fab Santoro, Alexa Trinity Bersiani,
Daniele Nuzzo, Gerlinde Roth, Roberto Bersiani, Mirko Valtulini e Yoshiko
Progrena.
A proposito dei guests, ho catturato un tuo commento di pochi
giorni fa, parole con cui esprimevi soddisfazione nel sapere che nello stesso
momento musicisti differenti erano impegnati nel lavorare a fasi di “Giordano
Bruno”: che tipo di piacere si prova nel creare un album negli anni 2000?
E’ stato un momento di rara esaltazione a conferma delle
straordinarie potenzialità che hanno le nuove forme di comunicazione. In quel
post pubblicato sul mio profilo facebook, usavo l’immagine del nostro pianeta
segnalando gli artisti coinvolti nella fase finale del progetto nei loro
rispettivi punti cardinali. Gaia (questo il nome dato alla Terra dagli antichi
greci) ci ospita ed unisce in un grande abbraccio. Giordano Bruno aveva già divulgato
questo spirito di unione tra esseri umani, una comune ricerca di conoscenza e verità
assoluta. L’aver gettato il seme di un progetto intorno al quale si sono mosse tante
energie positive è il primo grande successo di quest’album. Poi c’è anche il
rovescio della medaglia (non la prog band ma il lato oscuro dei sentimenti
umani!) che contrappone, ad una forza che guarda avanti, qualcos’altro che
rimane nell’ombra e vittima dei risentimenti. Trovo comunque inevitabile che la
passione, il coraggio, lo sforzo e la continuità vengano premiati, perché l’unico
modo per sperare di migliorare sé, gli altri e il mondo che ci circonda, è credere
fino in fondo in qualcosa e lottare per farlo nascere ed affermare. Se questo
qualcosa poi sono un pugno di canzoni ispirate dalle vicende di un illuminato
come Giordano Bruno, c’è di che stare tranquilli.
Che cosa differenzia
questo nuovo lavoro dai tuoi precedenti?
Per la serie “Sempre
più difficile”! I bersagli si allontanano ma la mira migliora e quindi si spera
sempre di far centro. Chi avrebbe scommesso su un progetto così ambizioso?
Un concept album prog,
doppio, da realizzare in vinile e che ruota intorno ad un personaggio discusso
come Giordano Bruno. A proposito, ho scoperto che tutti, almeno una volta nella
vita, hanno cullato il sogno di realizzare un’opera sul filosofo.
Concettualmente ho
voluto rappresentare un acquarello di immagini senza tempo ed è infatti intorno
a una serie di eventi remoti e visioni precorsive che si muovono le vicende
musicali dell’album. Non ho avuto la pretesa di mettere a battesimo un nuovo
genere musicale e infatti non vi è alcun suono avveniristico nell’album che
possa solleticare gli amanti delle novità.
Mi sono posto al di là
di ogni osservazione sul genere o sull’utilizzo di questo o quello strumento
musicale.
C’è un verso nella
canzone che chiude la prima facciata: ”… ed
attendo con gli amici il fumo dell’uomo col mio stesso volto al buio di un
imago nella notte… forse Aqualung”, che insieme al salto d’accordo
sincopato sui bassi dell’acustica, non ha bisogno di spiegazioni. E chi non
capisce il senso del flashforward
vissuto da Giordano Bruno con la sua percezione di note che presto
qualcuno raccoglierà dallo spazio/tempo e scriverà su pentagramma, non ha
capito l’album. ll clima è dichiaratamente retrò e strapieno di citazioni ma
conserva la sua voce e peculiarità stilistica e mi piace pensare che
quest’album abbia rotto le barriere del tempo e possa far ben mostra negli
scaffali insieme ai prodotti usciti cinquanta anni fa.
A pensarci bene, metà
secolo è un intervallo piuttosto breve se ci allontaniamo da una percezione
soggettiva dello scorrere del tempo. Non c’è più l’ansia di dover collocare il
proprio lavoro in un determinato momento storico e questo album non è
sicuramente figlio del suo tempo. Sono
semi o se preferite messaggi nella bottiglia (c’è molta acqua in questo disco,
acqua che spegne le fiamme) che vengono rilasciati nel liquido cosmico ma non
sappiamo quando o se giungeranno mai a destinazione, perché non conosciamo
ancora quale essa sia. Ma tutto andrà probabilmente a riempire la storia del
pensiero umano che trasmigra in qualche modo da una parte all’altra
dell’Universo/Multiverso. Se poi, tra centinaia di anni qualcuno troverà tracce
di quel che è stato fatto, potrebbe anche nascere un nuovo interesse e il
giudizio sarà avulso da ogni condizionamento storico. Queste ovviamente sono
mie farneticazioni, la casa discografica con la quale ho firmato il contratto,
al contrario, è già al lavoro per dare visibilità all’album e promuoverlo adeguatamente
a livello internazionale.
Vista
l’internazionalità di cui parli, è ipotizzabile pensare di vedere tutti i tuoi
ospiti su di un palco?
Spero proprio di sì,
ma puoi immaginare quale possa essere il principale problema per l’attuazione
di un progetto simile.
L’artwork è di uno dei
miei artisti preferiti, Ed Unitsky: come nasce la vostra collaborazione?
Marco Bernard, il
bassista dei The Samurai Of Prog, è una mia vecchia conoscenza. Abbiamo
entrambi militato, alla fine degli anni ’70, tra le fila degli Elektroshok un
gruppo punk romano. L’autore delle loro copertine è Ed Unitsky, che ha risposto
affermativamente anche alla mia proposta per l’artwork di “Giordano Bruno”. Ed è un artista di grande talento e personalità.
Ha una tecnica originale che lo contraddistingue da chiunque altro. Lui è
rimasto molto legato a questo lavoro e ne custodisce la creazione gelosamente,
come è atteggiamento di tutti i grandi artisti .
In che formato uscirà
“Giordano Bruno”?
Il doppio vinile con Cd
incluso uscirà in tutte le rivendite dischi/Cd il 16 febbraio prossimo. Mi è
stato tuttavia riferito che è già disponibile su digital store come Amazon.
Ripetiamo con quale
etichetta?
Immaginifica by
Aereostella
Sono previste
presentazioni di pubblicizzazione?
Il 18 febbraio al
Planet Live Club di Roma con il suddetto line up e ospiti.
Side one
Campo
dè fiori 5:22
Viator
temporis 1:35
Liber
in Tiberi 5:44
Angeli
senza ali 2:23
Side two
Circe 7:13
Diana/Morgana
5:37
La
cena delle beffe 5:46
Side three
Dreams of mandragora
4:40
Danse macabre
3:20
The Globe 4:20
Wittenberger fuchstanz
7:59
Side four
Un
valzer per il Mocenigo 5:32
Sandali
rossi 8:02
Campo
dè fiori reprise 3:43
Tutte le musiche scritte da Jerry Cutillo eccetto “Danse macabre”, di Saint Saens (1874).
Ospiti… David Jackson, Richard Sinclair, Sonja
Kristina, Maart Allcock, Jenny Sorrenti e
altri.
Registrato nei
Feed the Fox, Sound Avenue, Re.Fo. and Naten Studio.
Mixato e masterizzato allo Studio
Blu da Marco Lecci, assitente al
mixaggio Cristiano Boffi.