Steve Hackett arriva a Torino il 29 marzo, Teatro
Colosseo, e il sold out è scontato.
La musica dei Genesis continua ad entusiasmare gli uomini antichi e i loro figli,
magari anche i nipoti, e una sommaria indagine visual anagrafica del pubblico
presente conforta il mio pensiero.
Per chi volesse godere di quelle
atmosfere magiche in modo diretto le brave tribute band non mancano, ensemble
capaci di riportare indietro di mezzo secolo le lancette dell’orologio con
proposte fedelissime rispetto alle origini, ma per il marchio di fabbrica esiste
ormai una sola possibilità, quella di ascoltare e vedere Hackett con la sua consolidata
band.
Un concerto del genere non lo si
può giudicare spaccandolo in due, ovvero analizzando la musica targata Genesis -
cospicua parte di serata, quella per cui era lì la massa -, e la discografia
solista del chitarrista, trame meno conosciute, alcune appena rilasciate,
atmosfere a cui occorre prendere le misure.
Mi ritengo fortunato nell’aver
provato veri brividi all’arrivo del cantato “Play me my song” (The Musical
Box) - anche se la voce di Nad Sylvan è lontana dalla timbrica di Gabriel -, e
credo che certi dettagli, da soli, diano significato alla presenza in una sera di mezza settimana, magari a 150 chilometri da casa.
La band si propone con Roger King alla tastiere, Gary O’Toole alle percussioni e voce, Rob Townsend ai fiati e percussioni, Nick Beggs al basso e il già citato Nad Sylvan alla voce, che entrerà in
gioco in ritardo rispetto al resto della band.
Hackett giustifica il nome del
tour - Steve Hackett Genesis Revisited with Classic Hackett 2017 -miscelando
le carte, come è visibile dalla scaletta a seguire, trovata in rete:
Setlist
Every
Day
El
Nino
The Steppes
In The Skeleton Gallery
Behind The Smoke
Serpentine Song
Rise Again
Shadow Of The Hierophant
Eleventh Earl Of Mar
One For The Vine
Horizons
Blood On The Rooftops
... In The Quiet Earth
Afterglow
Dance On A Volcano
Inside And Out
Firth Of Fifth
The Musical Box
Il bis
Slogans
Los Endos
Se è vero che il side Genesis è quello che più mi ha entusiasmato,
è altrettanto vero che ho trovato interessanti gli atti del solo Steve, con la
ricerca di una strada nuova, distaccata dal brand con cui Hackett è marchiato a
fuoco; la qualità di chi lo circonda incide notevolmente, con una sezione
ritmica potente ed elegante - impazzisco per l’impugnatura di O’Toole, poco
usata dai batteristi rock -, con diverse concessioni allo spettacolo, soprattutto
di Beggs. Molto incisivo il gioco musicale di Townsend che riesce a
caratterizzare parti precise del set, mentre concede poco alla platea un musicista
fantastico come King, uno che preferisce la concentrazione alla dinamicità da
palco. Sylvan ha una voce particolarmente adatta al genere e non tenta di scimmiottare
i suoi predecessori: i suoi duetti col drummer mi sono apparsi riusciti.
Steve è sempre Steve, molto più spigliato di un tempo, più
propenso al contatto col pubblico e al dialogo con sfumature in italiano. La
sua abilità di chitarrista e la sua verve creativa sembrano ancora evolvere, e
va sottolineato che la sua azione non è solo rivolta ad una mera riproposizione del
passato, ma tende verso nuovi percorsi e obiettivi, passando per i live
infiniti e per nuovi album, nel tempo in cui i grandi del passato hanno pressoché
cancellato la presenza discografica, almeno dal punto di vista degli inediti.
Ho provato a registrare parte di ciò che ho visto, anche se la
notevole distanza ha condizionato la registrazione, ma il ricordo resta…
E quando arriva l’immancabile Firth Of Fifth mi
ritorna in mente un giorno preciso della mia adolescenza, ancora a Torino, serata
in cui i Genesis proposero Selling
England By The Poud: un momento da lacrime… di felicità!
Secondo
album per i romani INGRANAGGI DELLA
VALLE, giovani e sorprendenti uomini prog.
Il titolo è WARM SPACED BLUE.
Non mi pare
interessante appiccicare un’etichetta musicale a prescindere, ma credo fosse un
obiettivo iniziale il ritaglio di uno spazio laddove esiste la massima libertà
espressiva, un luogo ideale in cui tutte le culture personali possono adattarsi
e rilasciare una materia di sintesi, miscelata e di pieno appagamento per chi contribuisce
con idee e sudore.
Ne emergono,
in questo caso, poco meno di 50 minuti di musica incredibile, non certo di
immediata assimilazione, ma di quella che io definisco appagante.
Sono
cambiate molte cose dall’iniziale “IN HOC SIGNO”, ma appare fondamentale un passaggio che viene
sottolineato nel corso dell’intervista a seguire: se il primo album era quello
del tributo ai “maestri” seminali, in questo nuovo episodio si libera la fase
creativa personale, come dovrebbe accadere in ogni processo evolutivo serio e
ambizioso.
E’ un disco
che si può centellinare e godere in tutta tranquillità, ma l’aver visto recentemente
dal vivo gli IDV mi rende testimone di
qualcosa di difficilmente spiegabile a parole, uno status che per la verità non
avevo raccolto in un episodio precedente, quando si esibirono sul palco del
FIM, nel 2014. Nella nuova occasione - era lo scorso novembre e veniva
presentato ufficialmente il disco, nuovamente a Genova - ho potuto apprezzare dettagli
che emergono solo dal vivo, ma ciò che mi ha colpito maggiormente è l’esperienza…
fisica che ho vissuto, un coinvolgimento totale dei sensi attivati all’unisono,
un effetto sinestesico che avevo provato raramente: mi pare sia degna di sottolineatura una situazione in cui la razionalità resta chiusa nel cassetto ed emergono sensazioni
che oltrepassano ciò che normalmente ci regala la musica!
Restando
sul lavoro in studio, possiamo parlare di un filo conduttore che lega le varie
tracce - sette - con una suite che raccoglie i tre brani Call
for Cthulhu,“che emergono dal corpus letterario di H.P. Lovecraft”, ma ogni
brano lo si può considerare una creazione a sé, e la fruizione mi è apparsa
meno rigida di quanto potrebbe richiedere un normale concept.
L’arricchimento
della formazione ha sicuramente dato nuova linfa in termini di varietà, e la sensazione
è che esista oggi una grande possibilità tecnica che può essere messa a
disposizione del chiaro obiettivo della band. Tra tanta tecnologia e
adattabilità agli elementi basici del genere, emerge l’elemento vocale che mi
arriva come strumento supplementare, duttile e carico di differenti
sfaccettature.
Nelle
seguenti righe è possibile afferrare il pensiero dei protagonisti, gli elementi
oggettivi e gli ospiti presenti, ma mi premeva provare a dare un’impressione di
insieme, per un lavoro notevole, realizzato da un ensemble musicale che mi pare
abbia idee chiarissime e che merita uno
spazio significativo nel panorama prog internazionale… sì… questi musicisti
potrebbero davvero stupire anche chi
solitamente dichiara di avere un palato fine!
L’INTERVISTA
Sono passati quasi tre anni da quando commentai
il vostro album di esordio, “IN HOC SIGNO”, ed è di pochi mesi fa l’uscita del
vostro secondo lavoro, “WARM SPACED BLUE”: come si è evoluta la vostra musica
in questo periodo?
Prima di entrare nel merito ci
teniamo a specificare che gran parte delle
scelte stilistiche è stata compiuta in funzione di un nostro nuovo
approccio alla composizione, maturato nei tre anni di esperienza intercorsi tra
l'esordio e questo secondo album; se c'è stata un'evoluzione, la si deve
soprattutto ad un nuovo modo di scrivere la musica.
In "In Hoc Signo" la composizione ci risultava essere uno
strumento al servizio della volontà di riprodurre le sonorità e gli stilemi del
Progressive Rock, al fine di tributare lo storico genere riproponendone le
atmosfere ed i tipici cliché.
"Warm Spaced Blue" è invece il risultato dell'elevazione della
fase compositiva a principio guida dell'intero processo di produzione
artistica.
Restituire il primato alla composizione
ha comportato lo sviluppo delle tracce con spontaneità, partendo a volte da un
tema conduttore, a volte da un groove della sezione ritmica, sul quale poi è
stata arrangiata l'ensamble degli strumenti, voce inclusa, in funzione delle
atmosfere che volevamo ricreare al momento dell'ascolto.
La vostra line up è cambiata: che tipo di scelte
avete fatto? Modifiche funzionali al progetto o normali avvicendamenti?
In base a quanto detto poc'anzi, i
cambi di formazione sono stati apportati sempre in funzione alla necessità di
poter riprodurre le tracce che mano a mano iniziavano a prendere forma nella
fase compositiva, senza porsi alcun limite. A ragione di ciò, entra in
formazione Alessandro Di Sciullo, in vista della necessità di una seconda
chitarra ed una seconda tastiera nel progetto, con il quale cominciamo a
scrivere il secondo album. In corso d'opera, a chiudere la nuova formazione,
Antonio Coronato al basso, capace di un suono più scuro ed aggressivo, e Davide
Savarese alla voce (e glockenspiel), per un cantato in lingua inglese, sempre
per rispondere all'esigenza di canzoni che assumevano connotati più rock, a cui
l'italiano difficilmente riusciva ad adattarsi.
Che cosa contiene il vostro album? Esistono
messaggi precisi che volete passare?
No, assolutamente. Abbiamo posto in
esame il complicato rapporto tra Io-cosciente e Inconscio Collettivo junghiano
elaborandone degli esempi sviluppati poi traccia per traccia. Ogni brano è a sé
stante, e tratta il concept in modo differente dagli altri a seconda delle
atmosfere evocate: dalla preghiera, in forma liturgica, al racconto, parlato e
cantato.
Molti gli ospiti presenti nel disco: come è
avvenuta la scelta?
Per quanto le tracce siano separate
l'una dall'altra, tre brani compongono una suite (Call for Cthulhu) dedicata alle tematiche che emergono dal corpus
letterario di H.P. Lovecraft, sempre in linea con il concept principale
dell'album. Trattandosi di letteratura horror, non potevamo non pensare a Fabio
Pignatelli, i quali Goblin Rebirth sono per altro anch'essi una produzione
Black Widow. Il suo Rickenbacker era perfetto per come avevamo in mente
l'ostinato di "Call for Cthulhu:
Orison".
Stefano Vicarelli è ormai un amico
dal 2013, quando collaborò alla realizzazione tecnica di In Hoc Signo. Proprio per questo abbiamo deciso di registrare Warm
Spaced Blue nello STUDIOSETTE, del quale è appunto uno dei sette soci
fondatori. Durante la registrazione dell'album il suo contributo è stato
fondamentale, soprattutto per quanto riguarda la sintesi del suono di partenza
per il sequencer di "Ayida Wedo",
con il suo modulare.
Anche Paolo Lucini è un nostro caro
amico che stimiamo artisticamente, e in "Call for Cthulhu: Promise" avevamo bisogno di un flauto
traverso a tutti i costi. E' stata la nostra prima collaborazione con Paolo, e
ne siamo stati davvero soddisfatti. Ci auguriamo ne verranno anche delle altre.
Vi ho visti dal vivo al FIM del 2014 e pochi mesi
fa nuovamente a Genova, e sono rimasto colpito dal “rendimento” da palco: è la
dimensione live quella che vi dà maggiori soddisfazioni?
Nonostante concepiamo le dimensioni
live e studio come parte di uno stesso unico percorso, la riproduzione sul
palco è il contesto in cui la risposta del pubblico ci risulta più tangibile.
Fortunatamente questa risposta è stata sempre positiva, e la cosa ci spinge a
continuare a dare il meglio di noi in questo progetto, nel live come in studio.
Prosegue la collaborazione con la Black Widow:
che tipo di matrimonio è il vostro?
Troviamo che "matrimonio"
sia un'espressione particolarmente azzeccata. Spesso il rapporto tra etichetta
e artista si presenta più come la relazione che può esserci tra un genitore ed
un figlio, nel migliore dei casi. Nel nostro invece, la Black Widow ci dà carta
bianca sia sul versante compositivo che su quello promozionale. "Warm Spaced Blue" ad esempio
contiene tracce elettroniche, realizzate con campionatori. Difficilmente
un'etichetta storica al pari della Black Widow ci avrebbe permesso di osare
tanto.
Siete uno dei gruppi emergenti del mondo prog ma
lo spazio che occupate è ad appannaggio di una nicchia, felice, ma contenuta
numericamente: che cosa vi ha portato, così giovani, verso un genere così
esclusivo?
La totale libertà di espressione e
sperimentazione che lo rende un genere così variegato nel sound e nelle
soluzioni compositive. Quando concepimmo il progetto, alcuni di noi si erano diplomati
da pochi mesi, altri ancora frequentavano le scuole superiori. Il Prog era quel
genere che ci permetteva di divertirci al massimo, di spostarci da un genere
all'altro mantenendo la stessa etichetta. Oggi, per molti di noi la musica non
è più mero divertimento, ma è divenuta una professione. Tra i vari progetti a
cui partecipiamo individualmente, gli Ingranaggi Della Valle restano una delle
poche dimensioni in cui possiamo esprimerci liberamente, senza tutti quei
vincoli che caratterizzano gli ambienti di generi dai confini ben determinati.
Possiamo sintetizzare la vostra storia, la vostra
cultura specifica?
Quello che crediamo sia un nostro
punto di forza è proprio l'essere un gruppo di musicisti di differente
estrazione culturale. Alcuni di noi hanno una formazione accademica, altri da
autodidatta. Marco, ad esempio, ha conseguito studi classici, ed esercita la
propria professione in ensemble orchestrali. Alessandro vanta, tra le tante
esperienze formative, un passato nel metal-core, promosso con tour europei e in
Messico, e nell'indie rock italiano. Facciamo presente, per completare
brevemente il quadro generale formativo della band, il djent, il blues, il
rock, la musica etnica, Zappa e il Progressive Rock classico.
Il jazz moderno può considerarsi
tuttavia un comune denominatore, un punto di incontro che ritroviamo ancora
oggi al momento della composizione. Il propendere verso un approccio jazzistico
ci ha avvicinato agli albori, quando gettammo le basi del progetto, ed è stato
un fattore determinante anche nella scelta dei successivi cambi di line-up.
Mi date un giudizio generale dello stato della
musica, in relazione anche a quanto accade all’estero?
Che l'Italia non offra spazi
adeguati alla musica ne siamo tutti a conoscenza, e ce ne accorgiamo
soprattutto nel momento in cui la nostra situazione la si pone a confronto con
quella estera. Tuttavia, come già detto, il Progressive Rock è già di per sé un
ambiente che offre ben poche opportunità lavorative, non solo qui, ma anche a
livello internazionale.
Consapevoli di ciò, continuiamo a
tirare dritto con il nostro progetto, che se pur in modo contenuto, ha i suoi
aficionados, e ci permette prima di tutto di scrivere e promuovere la nostra
musica, esattamente come la immaginiamo.
Che cosa avete pianificato per l’immediato
futuro?
Siamo tornati a scrivere del
materiale inedito, con l'idea di pubblicare appena possibile un EP del tutto
sperimentale.
Sul versante live abbiamo in vista
l'importante appuntamento del 2DAYS PROG + 1 a Veruno, il prossimo 3 Settembre,
nella cui occasione condivideremo il palco con i mitici Procol Harum, i Frost*
e la nostrana Sophya Baccini di scuderia Black Widow.
Line-Up:
Davide Savarese: vocals, glockenspiel and dry
Rhodes MkV on “Ayida Wedo”
Mattia Liberati: Hammond B3, Mellotron M400,
Mellotron M4000, Fender Rhodes Mk V, MiniMoog, MiniMoog Voyager, piano and
backing vocals
Flavio Gonnellini: electric guitars and
backing vocals
Alessandro Di Sciullo: electric and acoustic
guitars, Moog Minitaur, Mellotron M400, Mellotron M4000, Roland TR 808 and TR
909, Akai MPC Touch, Korg Kaoss Pad KP 3, electronics, backing vocals
Marco Gennarini: violins and backing vocals
Antonio Coronato: electric bass
Shanti Colucci: drums and percussions
Guests:
Fabio Pignatelli: electric bass and bass
effects on “Call for Cthulhu: Orison”
Florian Lechner: narrator's voice on “Inntal”
Stefano Vicarelli: modular synthesis on
“AyidaWedo”
Paolo Lucini:
transverse flute solo on “Call for Cthulhu: Promise”
Come ho più volte
raccontato ilmio primo concertorisale al1972, Teatro Alcione, Genova.
Peter Hammilera solo sul palco
con la sua chitarra, pronto ad arpeggiare l’inizio di “Lemmings”. A seguire gli altriVan Der Graaf Generator.
Non erano certo tempi
tecnologici e non si usavano videocamere e macchine fotografiche, maClaudio Milanomi ha raccontato
di avere la registrazione audio di quell’antico concerto: qualità molto bassa,
ma reperto significativo.
In attesa che il file
esca fuori dall’archivio giusto, Claudio mi ha inviato altro materiale
importante, e mi ha scritto
le seguenti righe:
“Qui c'è la più
bella versione di “Man Erg” che io abbia mai ascoltato, flagellata dagli insulti
del pubblico per il quale Hammill era solo "spalla" a Peter Tosh.
Una versione
semplicemente incredibile, per intensità ma anche per la capacità di
trasformare la rabbia in qualcosa di così tanto grande…”.
Era illuglio del 1980,ma tutta la tournèe presentò gli
stessi problemi, nel momento del massimo splendore di Tosh e del suo reggae,
quando ormai il prog di Hammill e soci volgeva al capolinea.
Ho trovato in rete un
altro commento ad una data di quei giorni, quella di Udine.
Dice il fan:
“Povero Peter.
In effetti gli è andata anche peggio tanto tempo fa. Mi ricordo infatti che nei
primi anni '80 fece da apripista in un concerto di Peter Tosh a Udine ai tempi
della sua massima fama. Peter Hammill si presentò da solo con il suo piano
elettrico. La sua esibizione fu fantastica, ma devo ammettere che facevo fatica
a sentirla perchè era coperta dai fischi dei fans dell'uomo del reggae. Dovette
concludere anticipatamente il concerto, promettendo però di tornare”.
Ed ecco la “scaletta
di Torino:
The Future Now 3:18
Faculty X 5:16
Still Life 8:17
Losing Faith In Words 3:49
Man-Erg 9:13
All songs live in:
Torino
Stadio Communale
19.07.1980
Recording: good
Comment: Lot's
of whisteling here! Guess, the audience partly didn't like PH and was waiting
for Peter Tosh. Stupid idea to combine those artists!
PH interrupts during "Losing Faith", talks
to the audience in Italian. Wonder what he said!
Il Chapeau, a Savona,
riapre i battenti e mette in vetrina il cantautorato di classe, proponendo il concerto
di Luigi Mariano,
introdotto dall’amico genovese Emanuele Dabbono, artista dal nutrito curriculum -
dalla partecipazione alla prima edizione di X Factor alla partecipazione, in
veste di autore, al recente album di Tiziano Ferro.
Mariano, salentino di nascita,
anch’esso con una storia importante alle spalle nonostante la giovane età, propone il suo nuovo disco “Canzoni all’angolo”, carico di collaborazioni
illustri - da Cristicchi a Marcorè - presentato in questa occasione in versione
minimalista: la voce e la chitarra… la voce e la tastiera… e il tocco
dell’armonica…
Location ideale per l’occasione,
con un pubblico attento, non casuale, piuttosto interessato alle idee e alla
musica di questo cantastorie che tiene il palco intercalando la musica con gli
aspetti didascalici, e tutto ciò permette di farsi un’idea più approfondita, di
capire il messaggio, di veder svelato qualche aspetto criptico che, fatalmente, rimane
la caratteristica di ogni canzone, spesso fatto volontario, a volte
inconsapevole. Dare interpretazioni personali a ciò che si ascolta fa parte
della normale e positiva interazione, ma conoscere dalle parole dell’autore le
motivazioni per cui un brano nasce ed evolve mi pare un aspetto importante che facilita
la messa a fuoco di un artista e della sua filosofia.
E così emerge l’importante figura
del padre attraverso un rapporto “rubato” ad altri e fatto proprio, ma
soprattutto è evidenziata la necessità di “curare” il mondo quotidiano fatto di
marginalità, di anime a volte nascoste, di cose pensate e non dette, di tempi di
intervento che non combaciano e rischiano di farci perdere occasioni
significative.
Tutto questo nasce molto tempo fa,
con l’album “Asincrono”, che commentai all’epoca della sua uscita, e il nuovo “Canzoni all’angolo” appare come il proseguimento di una personale
evoluzione che però trae linfa dai convincimenti basici, da radici profonde che
non posso essere scalfite.
Sul palco le canzoni nuove e
quelle antiche si mischiano, e Mariano alterna gli strumenti a sua disposizione
raccontandosi al pubblico interessato.
Eccolo nel brano “Il
giorno no”, per qualche motivo tecnico a me sconosciuto rimasto sfasato tra voce e immagini, ma parlando di ... asincronia, restiamo perfettamente in tema!
Non può mancare la performance di
Dabbono, che colpisce nel suo intervento solista - “Il conforto” - per l'evidente difficoltà esecutiva affrontata con disinvoltura e per l'originalità espressiva,
ma è nell’incontro sul palco con Mariano che emergono amori comuni - il blues, Springsteen,
la venatura rock -, e l’affiatamento tra i due artisti appare palese per chi può
godere dello spettacolo, a pochi passi dal palco.
E proprio di questo episodio propongo una testimonianza video: il brano di
Springsteen è “Lucky Town”:
Luigi Mariano continua il suo tour
italiano che lo vede toccare molti punti della nostra penisola, e a chi vedesse
il suo nome in vicinanza del proprio luogo di vita consiglio un paio di ore di
fermata: l’arte, la simpatia e la semplicità di questo cantautore degli anni
2000 potrebbe essere contagiosa… felicemente contagiosa!
E per noi savonesi l’augurio è che
il Chapeau possa diventare un punto di incontro per chi ama la musica di
qualità e il ritorno ad una serena socializzazione…
A distanza di tre anni i The Mugshots rilasciano il loro nuovo album, Something
Weird, ancora una volta per la
Black Widow Records.
L’album costituisce una svolta legata alla maturità
musicale della band, sintetizzata dal pieno possesso degli aspetti compositivi,
influenzati precedentemente - e positivamente - dall’opera di Dick Wagner.
L’attore principe è il leader della band Mickey
E.Vil, coadiuvato dai suoi naturali compagni di
viaggio e dall’alchimista Freddy
Delirio che, oltre al
contributo tastieristico, si è occupato con pieno successo della produzione. Di
tutti questi aspetti, dei numerosi ospiti e dei dettagli, ci parla a seguire
Mickey E. Vil, sollecitato dalle mie domande.
Sono dodici i brani che compongono un disco costituito
da liriche di peso, dove l’argomento “morte” emerge ad ogni angolo, trattato
come rappresentazione del quotidiano con la voglia di entrare nelle pieghe utilizzando
un taglio psicologico, mischiando la didattica alla voglia/necessità di
esorcizzazione. A fare da complemento e da cornice agli aspetti concettuali
troviamo un sound variegato, che segue gli amori e le esigenze musicali della
band, e che contribuisce a realizzare scenari distopici che si trasformano in singoli
movie, brano dopo brano.
Se è consolidata l’idea che all’interno della sfera
progressiva sia possibile trovare ogni tipo di sonorità e la libertà sia
elemento imprescindibile, si può anche affermare che, in questo caso, il
“noire” che salta fuori nel susseguirsi degli episodi abbia delle precise
connotazioni metalliche, ed emerga fortemente il concetto di “punk”, non tanto
per l’assonanza musicale ad un genere passato, ma per l’idea di rottura degli
schemi, di cambiamento, di tentativo di trovare una via del tutto nuova, rimanendo
all’interno dell’ortodossia.
Gli aspetti teatrali, gli ipotetici commenti da
movie e l’efficacia dell’artwork, sono il pane quotidiano di questa giovane e sorprendente
band che lascia largo spazio all’interazione tra visual e atmosfere, come è
testimoniato nel video a seguire.
La strada intrapresa richiede coraggio, ma credo
che la soddisfazione principale per chi fa musica propria sia la creazione di
un’identità precisa, una riconoscibilità che significa distinzione e quindi
originalità.
Folto il gruppo degli ospiti, ma tutto è raccontato
dalla voce virtuale di Mickey che
evidenzia gli aspetti oggettivi.
Disco
notevole… ed eccone un assaggio…
INTERVISTA A MICKEY E. VIL
Sono passati tre anni
da quando commentai LOVE, LUST AND
REVENGE: che cosa vi è accaduto nel frattempo, musicalmente parlando?
Il
mio obiettivo principale era tornare ad un metodo di lavoro interamente mio,
forte però dell'esperienza maturata con
Dick Wagner: Love, Lust And Revenge è nato grazie al pesante intervento
del grande musicista americano a livello compositivo e di arrangiamenti. Something
Weird è invece farina del mio sacco per quanto riguarda la composizione,
con contributi della band che hanno impreziosito gli arrangiamenti e infine la
mano magica di Freddy Delirio che con la sua produzione in stile Tony Visconti
– produttore che non interviene sulla musica, bensì sul suono – ha reso il
tutto una bomba.
“Something Weird” è stato
rilasciato da poco: quali
sono i contenuti lirici e le novità sonore?
I testi parlano di clown assassini, di pentimento, di droga e
paranoie, del rapporto affettivo tra l'imbalsamatore e le sue mummie, di amore
“malato”, di omicidi seriali, di nonsense, dell'estinzione del genere umano
causa sovrappopolazione e di redenzione. La musica, assolutamente
sincretistica, aiuta ad alleggerire le tematiche dei testi adornandole di un
contorno sonoro che sfocia nella teatralità e nell'ironia. I generi toccati
sono quelli che più amo: il (post) Punk, la New Wave, il Rock Progressivo, il
Metal, la musica psichedelica, le colonne sonore.
A lavoro terminato, avete la sensazione che ci sia una decisa
evoluzione del vostro modo di concepire la musica?
A livello concettuale possiamo dire che sin dal primo Mini Cd Doctor Is Out (2004) la tematica
dominante nelle liriche dei Mugshots è stata la morte, sempre affrontata con un
piglio psicologico e talvolta ironico, mai con pessimismo o attitudine
violenta. Love, Lust And Revenge è a
mio avviso una parentesi, un sogno con un inizio e una fine che – una volta
terminato – fa parte del passato ed è perciò necessario ricominciare a vivere
la propria vita, magari influenzati da quel bellissimo sogno.
Mi parlate degli ospiti che partecipano al disco e della nuova
produzione?
Freddy Delirio dei Death SS e H.A.R.E.M. oltre che ha produrre l'album
ha registrato degli incredibili assoli di tastiera degni dei virtuosismi di
Simonetti; Steve Sylvester (l'ospite che mi ha emozionato di più visto il mio
incredibile amore giovanile per i Death SS) ha magistralmente interpretato il
ruolo di un incontenibile serial killer; il “punk prima di noi” Enrico Ruggeri
si è perfettamente calato nelle atmosfere Gothic-Dark di Sentymento grazie alla
sua voce calda e baritonale; Matt Malley dei Counting Crows, nominato a Oscar e
Grammy, ha registrato un'ipnotica parte di basso fretless; Martin Grice dei
Delirium IPG trascina l'ascoltatore nel mondo dei sogni col suo onirico flauto;
Mike Browning dei Nocturnus AD rende marziale un brano di per sé psichedelico
con le sue percussioni; Tony “Demolition Man” dei Venom Inc, già attore al
fianco di Russel Crowe, si trasforma in un apocalittico narratore della fine
dell'umanità; Manuel “Manny” Merigo degli In.Si.Dia insegna che la tecnica deve
essere al servizio della melodia con un assolo mozzafiato; Ain Soph Aour dei
Necromass vi farà rabbrividire con “sussurri e grida” per dirla con Bergman;
Andrea Calzoni degli Psycho Praxis riporta le lancette indietro nel tempo con
il suo flauto “andersoniano”.
Che cosa vi ha lasciato Dick Wagner, oltre alla sua perizia tecnica?
Un'idea di lavoro professionale
in studio, peraltro perfettamente in linea con il magister Freddy Delirio, con
in più un'attitudine ad orchestrare certi brani mediante inserti di pianoforte
e armonici cori femminili. A me personalmente bellissimi ricordi: tre
settimane, di cui una in Arizona, insieme per 12 ore al giorno a uno dei miei
idoli musicali di giovinezza per lavorare, mangiare, bere, ridere, confrontarsi
sui temi della vita vissuta.
Come state pubblicizzando l’album? Avete
live in previsione?
La genovese Black Widow Records
sta egregiamente svolgendo il lavoro di promozione: recensioni, interviste,
passaggi radio supportata anche da Eagle Booking di Milano e Gun Club Music di
Trento. Per quanto riguarda la scelta per i posti dove suonare, ho redatto una
serie di regole molto rigide che ci portano a suonare poco ma in situazioni
serie. Il prossimo live al momento è il Porto Antico Prog Festival di Genova:
suoneremo prima del leggendario fondatore degli Hawkwind Nik Turner e sul palco
con noi avremo Martin Grice (Delirium IPG) al flauto e Angela Busato (Dark
Ages) alle tastiere.
A proposito di live… che cosa accade sul
palco quando vi esibite? Curate altri aspetti rispetto alla musica?
Quando c'è la possibilità,
proiettiamo delle bellissime animazioni degli elementi a fumetti presenti
nell'artwork di Something Weird.
Inoltre ognuno di noi cura la propria immagine e io, oltre a truccarmi in modo
macabro, cerco di trasmettere un'attitudine teatrale oltre che musicale.
La collaborazione con Black Widow prosegue:
matrimonio felice?
Assolutamente sì: serietà e
professionalità sono le chiavi di questo matrimonio. Inoltre per la prima volta
in vita mia ho composto un disco “stuzzicato” dalle richieste del boss Massimo
Gasperini che di volta in volta provocava la mia creatività richiedendo
un'intro piuttosto che un tempo dispari o un brano psichedelico.
Ricordo la vostra musica prestata al cinema:
si è ripetuta l’esperienza?
Sì, e con grandi soddisfazioni
per il sottoscritto: la mia colonna sonora per il film Reversed, del canadese Vince D'Amato, ha ricevuto due nomination e un
premio in dei festival di cinema indipendente americani! Ero addirittura
nominato insieme al grandissimo Simon Boswell ma nessuno di noi due ha vinto a
quel festival, hahaha! I brani di Something
Weird, oltre alla mia colonna sonora, li potrete sentire nel nuovissimo
erotic-thriller Glass.
Quando tre anni fa conclusi l’intervista,
alla domanda riguardante il futuro rispondeste, tra le altre cose, evidenziando
la speranza di realizzare un gran disco: siete soddisfatti pienamente di LOVE,
LUST AND REVENGE?
Sì, tanto. Il bersaglio è stato
centrato: realizzare un lavoro volutamente fuori moda sia come sound che come
produzione, lasciando libero di agire come meglio credeva il creatore di Welcome To My Nightmare di Alice Cooper.
L’artwork
è una perla aggiunta: me ne parlate?
Qualche
tempo fa il grande Enzo Rizzi mi disse che avrebbe voluto vivere un sogno:
incontrare Alice Cooper per potergli donare il suo volume a fumetti sulla
storia del Rock. Dunque mi sono messo in moto e gli ho fatto vivere questo
sogno: potete leggere il suo resoconto su TrueMetal, è spassosissimo grazie
alle grandi doti narrative di Enzo! Comunque sia, tempo dopo gli dissi che il
nuovo lavoro dei Mugshots necessitava a mio avviso della sua mano e, con mia
grande gioia, la risposta fu positiva. Ora potete vedere la band ritratta in
copertina dal fumettista italiano forte di diversi volumi sold-out! Il resto
dei fumetti inclusi in Something Weird sono di Stefano Alghisi, altro
grande autore di volumi dedicati alle rockstar.
Riprovo…
stessa domanda: che cosa potrebbe accadere nel futuro musicale
dei Mugshots, nei prossimi tre anni?
La mia devozione ad Aiòn e non a Kronos mi
impedisce di rispondere a questa domanda. Vivo l'attimo eterno senza percepire
lo scorrere del tempo...ci risentiamo fra tre anni e per il mio cervello non
sarà passato un singolo secondo! La sincronicità di ogni secondo che passerà
determinerà il nuovo corso della musica dei Mugshots. Grazie, caro Athos, per
avere ancora una volta dedicato spazio alle nostre note!