Meddle è il sesto album in studio dei Pink Floyd, pubblicato il 31 ottobre del 1971,
e merita un minimo di analisi, essendo un punto di svolta nella discografia
della band, un ponte tra il loro sound psichedelico iniziale e le
sperimentazioni più mature degli anni a venire.
Il disco rappresenta un passo avanti nella maturazione del
sound dei Pink Floyd, con arrangiamenti più complessi e una maggiore attenzione
ai dettagli sonori, con l'uso di effetti speciali, strumenti inusuali e
paesaggi sonori ambientali. L'atmosfera generale dell'album è onirica,
introspettiva e a tratti malinconica, capace di creare un'esperienza d'ascolto
unica e coinvolgente.
Vediamo le tracce…
Lato A
One of These Days – 5:57
A Pillow of Winds – 5:07
Fearless – 6:05
San Tropez – 3:40
Seamus – 2:15
Lato B
Echoes – 23:31
Formazione
David Gilmour: voce principale, cori, chitarra
elettrica, chitarra acustica, lap steel guitar, effetti sonori, armonica
Richard Wright: organo Hammond e Farfisa,
pianoforte, voce, effetti sonori
Roger Waters: basso elettrico, chitarra acustica,
voce, effetti sonori
Nick Mason: batteria, percussioni, piatti,
effetti vocali, effetti sonori
Accenno superficialmente ai vari tasselli, nella speranza di
stimolare la curiosità o la memoria… cliccare sui titoli blu per ascoltare l'audio.
Echoes: parto dalla fine, la traccia che occupa tutta la seconda facciata, il
pezzo forte dell'album, un'epopea sonora di oltre 23 minuti che si snoda
attraverso atmosfere oniriche, momenti di intensa emotività e sperimentazioni
sonore. È un viaggio introspettivo che invita l'ascoltatore a perdersi nella
musica.
One of These Days è un brano più aggressivo e ritmico, con un basso pulsante e
la celebre frase di Roger Waters. Un contrasto interessante rispetto alla
dolcezza di altri brani.
Pillow of Winds è una delicata ballata con la voce di David Gilmour che si
fa strada su un tappeto di armonie vocali e chitarre acustiche.
Fearless, brano sperimentale, con suoni ambientali e effetti sonori
che creano un'atmosfera misteriosa.
San Tropez, più ritmato e leggero, con un testo ironico che descrive
un'esperienza di vacanza.
Seamus, traccia particolare, un blues, con il cane di Steve Marriott (chitarrista degli
Humble Pie) che ulula come strumento musicale.
Meddle è considerato uno dei capolavori del progressive rock,
un album che ha influenzato generazioni di musicisti, fondamentale nella
discografia dei Pink Floyd, un punto di riferimento per tutti gli appassionati del
genere.
L'album ha segnato l'abbandono definitivo delle
sperimentazioni psichedeliche più estreme degli esordi, aprendo la strada a un
sound che è poi quello che ha caratterizzato il loro periodo più prolifico.
Pur non avendo avuto un successo commerciale immediato come
alcuni album successivi, "Meddle" ha contribuito ad accrescere la
popolarità della band, soprattutto nel Regno Unito.
Con questo lavoro i Pink Floyd trovano
la loro strada, creando un progetto su cui lavorare e spostando la forza
creativa dei singoli verso una direzione chiara. Tutti hanno la possibilità di
brillare di mettersi in mostra e certificare le loro skills, e ciò che ne esce
fuori è, a mio giudizio, un grande album, un must per chiunque apprezzi la
musica di qualità all’interno della variegata famiglia del rock. Ma questo è
molto di più!
"Stiamo entrambi diventando
un po' scricchiolanti, ma sicuramente faremo qualcosa l'anno prossimo"
Sebbene gli Who non
siano stati attivi come gruppo nell'ultimo anno, il co-fondatore della band, Pete Townshend, afferma che ci sono buone notizie
all'orizzonte per i fan.
In un'intervista con la pubblicazione britannica The London
Standard, Townshend ha stuzzicato il potenziale delle attività della band nel
2025. "Ho incontrato Roger per pranzo un paio di settimane fa",
ha rivelato. "Siamo in buona forma. Ci amiamo. Stiamo entrambi
diventando un po' scricchiolanti, ma faremo sicuramente qualcosa l'anno
prossimo".
Sebbene tali piani possano sembrare legati a nuova musica o a
una serie di spettacoli dal vivo, Townshend ha spiegato che al momento
propendono per la seconda opzione, invertendo un precedente commento di Roger
Daltrey sullo stress finanziario delle esibizioni dal vivo.
"Il lato album... Roger non è entusiasta",
ha detto Townshend. "Ma mi piacerebbe fare un altro album e potrei
provare a intimidirlo su questo. Gli ultimi grandi tour che abbiamo fatto sono
stati con un'orchestra completa, il che è stato glorioso, ma ora siamo
impazienti di fare rumore, fare confusione e commettere errori".
All'inizio di quest'anno, Daltrey ha eseguito con successo un
tour da solista "semi-acustico" che ha toccato 11 città nel corso di
un mese, che forse è servito da ispirazione per altri spettacoli come team.
In un'altra parte dell'intervista, il chitarrista ha
condiviso la sua prospettiva su un'altra reunion di alto profilo, dicendo di
essere "deluso" nel sentire che gli Oasis sono tornati insieme per i
prossimi spettacoli dal vivo. "Mi piacciono molto i loro album da
solista", ha spiegato.
Ci sarà un
motivo se “White Rabbit” è
diventato un brano manifesto del rock psichedelico!
Persino Marty
Balin, successivamente "rivale" di Grace Slick nelle
dinamiche interne dei Jefferson, riconobbe al brano la statura di vero
"capolavoro".
Sì, sto
parlando dei Jefferson Airplane e del masterpiece scritto dalla Slick e
inserito in “Surrealistic Pillow”, album licenziato nel 1967 e divenuto
un disco imprescindibile quando si parla di rock in termini generali. Se poi si
volesse scendere nel filone della psichedelia, beh, in quel caso ci sarebbe da indagare
ed esaltare un manifesto di quei giorni.
La canzone
divenne famosa dopo la presentazione al Festival di Woodstock nel ’69 e fu
scritta dalla vocalist quando era ancora nei The Great Society. Quando il
gruppo si sciolse, nel 1966, la Slick fu invitata ad entrare nei J. A. in
sostituzione della cantante Signe Toly Anderson che aveva lasciato il gruppo
dopo la nascita del figlio.
Di quell’album
mitico, il primo al quale partecipò la Slick coi Jefferson Airplane, fa parte
un’altra canzone celebre, “Somebody to Love”, composta con il cognato
Darby Slick ed incisa con il titolo “Someone to Love” dai Great Society.
Questi due
brani, assieme a “Volunteers”, resero famosi i Jefferson Airplane ai
quali sarebbero rimaste associate per sempre.
L’album uscì
nel mese di giugno e “White Rabbit” fu pubblicato come secondo singolo
estratto e raggiunse la posizione numero 8 nella classifica statunitense
Billboard Hot 100.
Fu una delle
prime canzoni scritte dalla Slick, composta a fine 1965 o inizio 1966, ispirata
dai libri di Lewis Carroll Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso
lo specchio, utilizzando elementi come il cambio di dimensioni dopo aver
assunto pillole o liquidi sconosciuti, aggiornandoli alla luce della
controcultura anni Sessanta per descrivere gli effetti di un viaggio sotto LSD.
È un brano profondamente influenzato dalla cultura delle droghe di quegli anni,
l'LSD e i funghi allucinogeni. Ovviamente il coniglio bianco del titolo
("White Rabbit") è proprio quello del racconto di Carroll,
trasfigurato come metafora della psichedelia.
Per il movimento
hippie le droghe erano elemento essenziale per l'espansione della mente e la
ricerca interiore. Con il suo enigmatico testo, White Rabbit fu una
delle prime canzoni con riferimenti alla droga a passare in radio senza cadere
vittima della censura.
Dal punto di
vista musicale, in un'intervista rilasciata al The Wall Street Journal Grace
Slick menzionò altre influenze, e cioè "il bolero" usato da Miles
Davis & Gil Evans per il loro album del 1960 Sketches of Spain. Infatti, il
brano è essenzialmente un lungo crescendo simile a quello del famoso Boléro di
Ravel.
L’incidenza più
evidente è comunque quella derivante dalle opere di Carroll, metafora delle
esperienze lisergiche della California dell'epoca; i celebri romanzi dedicati
al mondo fantastico e inquietante della piccola Alice dei quali nel testo del
brano vengono espressamente citati personaggi come:
il
bianconiglio
il
bruco che fuma il narghilè
il
catastrofico cavaliere bianco
la
collerica regina rossa
il
sonnolento ghiro
Come già
scritto il brano uscì come 45 giri e sul retro era presente “Plastic
Fantastic Lover”.
La
formazione dei J.A. era la seguente:
Grace Slick - voce
Jack Casady - basso
Spencer
Dryden - batteria
Paul
Kantner - chitarra ritmica
Jorma
Kaukonen - chitarra solista
Ecco
cosa accadde a Woodstock…
Dall'anno di uscita ad oggi il brano è stato coverizzato una cinquantina di volte, reinterpretato e adattato ad ogni genere musicale. Ho scelto alcune versioni comparative più recenti che mi sono piaciute particolarmente, quella degli Elephant
Revivale dei Grece Potter and the
Nocturnals, oltre ad un esempio corale.
La più recente, corale...
Testo e traduzione di “White Rabbit”
One pill
makes you larger,
and one pill
makes you small
And the ones
that mother gives you,
don't do anything at al
Una pillola ti fa diventare più
grande,
e una pillola ti rimpicciolisce
E quelle che ti dà tua madre,
non hanno alcun effetto
Go ask Alice,
when she's
ten feet tall
Prova a chiederlo ad Alice,
quando è alta
dieci piedi
And if you go
chasing rabbits,
and you know
you're going to fall
Tell 'em a
hookah-smoking caterpillar
has given you the call
E se tu vai a caccia di conigli,
e ti accorgi che stai per cadere
Dì loro che un bruco che fuma il
narghilè
ti ha mandato a chiamare
And call Alice,
when she was
just small
E chiama
Alice,
quando è
proprio piccola
When the men
on the chessboard
get up and
tell you where to go
And you've
just had some kind of mushroom,
and your mind
is moving low
Quando gli uomini sulla scacchiera
si alzano e ti dicono dove devi
andare
E tu hai appena preso qualche specie
di fungo,
e la tua mente sta affondando
Go ask Alice,
I think
she'll know
Prova a chiedere ad Alice,
penso che lei saprà (la risposta)
When logic
and proportion
have fallen
sloppy dead
And the white
knight is talking backwards
Quando la logica e le proporzioni
(delle cose)
sono cadute come morte al suolo
E il cavaliere bianco sta parlando
all'incontrario
I Cyan Three, o
semplicemente Cyan, sono stati un gruppo musicale beat molto popolare in
Italia negli anni '60 e '70. Originariamente costituiti da musicisti inglesi,
si affermarono come una delle band più importanti del panorama musicale
italiano di quel periodo.
Il gruppo nacque nel 1964 in Inghilterra, con il nome Cyan
Three. La scelta del nome derivava dal colore degli occhi dei tre membri
fondatori: George William Sims (voce e chitarra), Gordon Faggetter (batteria) e
Keith Holder (basso).
Nel 1967 arrivarono in Italia, dove furono scritturati da Alberigo Crocetta per
accompagnare Patty Pravo nelle sue esibizioni al Piper Club. Questo fu un punto
di svolta per la loro carriera, in quanto li portò alla ribalta della scena
musicale italiana.
In seguito, la formazione si ampliò con l'ingresso di
musicisti italiani, come Alberto Visentin alle tastiere. Nel 1968, il gruppo
abbreviò il nome in Cyan.
I Cyan Three diventarono la band di accompagnamento di Patty
Pravo, contribuendo al suo successo iniziale, ma collaborarono anche con altri
artisti importanti, come Mia Martini.
Mi accompagnavano i Cyan Three, tre
ragazzi inglesi della mia stessa età che mi avrebbero seguito per alcuni anni.
Gordon Faggetter (che poco dopo sarebbe diventato mio fidanzato) suonava la
batteria, George Sims le chitarre e Roger Michael Smith il basso (il più
piccolo di tutti, aveva un anno meno di noi). Patty Pravo.
Il gruppo pubblicò numerosi singoli e album, ottenendo un
grande successo di pubblico.
I Cyan Three si inserirono perfettamente nella scena musicale
beat italiana, proponendo un sound fresco e orecchiabile, con influenze
provenienti dal rock inglese e dalla musica leggera italiana, dimostrando una
grande versatilità, interpretando sia brani originali che cover di successi
internazionali.
Negli anni '80, dopo un lungo periodo di attività, i Cyan si
sciolsero.
I Cyan Three sono considerati una delle band più importanti
del beat italiano, e il loro contributo alla musica italiana degli anni '60 e
'70 è innegabile.
Il batterista Gordon Faggetter fu sposato con Patty Pravo dal
1968 al 1970.
Il tastierista Alberto Visentin, in seguito entrò a far parte
dei New Trolls.
I Cyan Three sono stati molto più di una semplice band di
accompagnamento. Sono stati protagonisti di una stagione musicale fondamentale
per l'Italia, contribuendo a definire il suono del beat italiano e lasciando
un'impronta indelebile nella storia della musica leggera italiana.
Mathieu Torrestrova da anni spazio nei miei racconti musicali e oggi propongo
il suo nuovo album uscito a fine settembre e intitolato "Émancipés du vide?"ovvero “Emancipato
dal vuoto?”, con un punto interrogativo non certo casuale.
Inizio col dare le informazioni per l’ascolto rapido su
bandcamp e nel corso dell’articolo saranno apprezzati i due video messi a
disposizione dall’autore:
Riassumo l’obiettivo del progetto solista M'Z, plasmato da un'ampia varietà di musica
elencata da Torres: Canterbury, Progressive, Rock in opposizione, Metal,
Elettronica, Space rock, Noise, Jazz, free-rock, Ambient, Psyche, Heavy, Punk,
Drum'n bass...
Mathieu Torres, è bene sottolinearlo, è chitarrista e
compositore in diversi progetti artistici: La théorie des cordes / Zhorhann /
The diogenes / Matziz / Dirt in the wind / Urban BallShit / Inland Motel /
Collectif La Barraque / Aux arts etc / Dirt and Cpu / no Skeletons, ed è compositore
di colonne sonore...
L'idea guida del progetto M'Z è quella di creare parallelismi
tra concetti poetici o filosofici e la musica, senza porre barriere estetiche.
Nato dall'esigenza vitale creativa, alla fine del 2017, M'Z
si è esibito in un centinaio di date e ha pubblicato tre album prima di questo,
1 EP e 2 singoli che hanno ricevuto un'ottima critica di stampa.
Ma come decodificare un album strumentale che, nelle
intenzioni, esprime concetti a raffica, sensazioni ed emozioni proprie di
Torres, che ognuno potrà reinterpretare a proprio uso e consumo? Ci viene
incontro l’autore:
<<"Émancipés du vide?”, quarto album degli M'Z,
è una malinconica riflessione sulle voragini emotive che gli esseri umani
mantengono, sulla difficoltà di districarci dalle nostre varie attrazioni verso
il nulla, sulla nostra incapacità di guardare le scorie mentali che produciamo
senza passare attraverso la scatola del senso di colpa; è una critica alla
normalizzazione, al conformismo, al vuoto positivismo decantato dalle nostre
menti troppo commercializzate e alla ricerca del percorso più veloce verso
qualsiasi Significato. L'illusione di essere liberi in un mondo che inneggia a
luoghi comuni eretti a valori che dovrebbero incarnare questa libertà e che
tuttavia si trovano ventimila leghe al di sotto di quello che potrebbe essere
l'inizio di un cammino verso la libertà effettiva. Infine, simboleggia la
necessità vitale di ritrovare l'ingenuità perduta e di reimparare a vedere il
bello e a lavorare in questa direzione.>>
Brano
dopo brano…
1.La grâce de la solitude ou l'anxiété sociale:
affronta la difficoltà di evolversi nel contesto del gruppo sociale di fronte a
questo animale che funziona troppo spesso come inibitore degli individui e che,
attraverso i riflessi e gli stereotipi che guidano questi gruppi, e il consenso
verso la mediocrità che questa massa troppo spesso desidera, può mettere a
disagio alcuni esseri umani,che si
sentono limitati e inadatti al funzionamento di queste masse angoscianti di
esseri umani, in quanto possono rapidamente trasformarsi in fabbriche di
oppressione se un capo osa aggirare alcune delle usanze in vigore.
2. Loxpine Te Ghoste: si occupa dell'immaginazione
sfrenata, quella che a volte porta ai limiti della follia, ma che, attraverso
l'espressione della creatività artistica, forse non oltrepasserà mai questa
linea.
È un'ode ai comportamenti borderline, che le menti artistiche
incarnano a volte e che danno colore a un mondo troppo concreto, monocromo,
opaco e che non può che evocare il fascismo come un triste ideale.
3. DramaKing, le plaisir d'être en rupture: affronta
l'irresistibile bisogno di creare il proprio dramma e di assecondarsene, il
fatto di amare, consapevolmente o meno, di trovarsi in uno stato di crisi
emotiva, che può avere l'effetto di darsi l'impressione di provare finalmente
qualcosa. Come un elettroshock in un mondo in cui la forza concordata sarebbe
quella di essere impassibili e troppo cattivi se questa emozione non è molto
solare e contro il senso del vincitore. È anche la constatazione
dell'espansione di una malinconia sistemica nel mondo neoliberista prefascista,
uno dei sintomi di un'eccessiva sottomissione agli ordini.
4. Illusion de liberté, mais quelque chose d'autre doit
changer: si occupa di questa facoltà che abbiamo di nascondere la nostra
sfortuna dietro la nostra critica al comportamento degli altri, come se volesse
meglio distogliere lo sguardo dai nostri mali e dalle nostre esazioni. Il
nostro stato emotivo a volte ci porta a fare scelte difficili (rompere/cambiare
rotta/porre fine a un'amicizia/cambiare lavoro/...) Queste scelte ci sembrano
guidate dalla ragione e da una forma di logica... Probabilmente creiamo una
storia a lungo termine che tuttavia si basa solo su questioni che hanno una
temporalità molto diversa dalla costruzione della nostra personalità, vediamo
echi e temi che risuonano nella nostra storia, dove spesso c'è solo il caso che
correla alcuni di questi elementi tra loro... Possiamo immaginare che il nostro
unico campo d'azione possibile risieda allora solo nella scelta della
propaganda intima che ci conduce direttamente e che alimentiamo più o meno
consapevolmente, e nella storia collettiva che possiamo accettare di
co-costruire con alcuni nostri amici che portano anche abbastanza in alto, in
loro, l'idea del loro amore.
5. Comptine pour âmes en peine: affronta la
difficoltà di costruire la felicità in un mondo estremamente individualizzato,
è un messaggio di unione per tutti i cuori sinceri, siano essi liquidi,
morbidi, circolari o anche innovativi nelle loro forme e stati. Cuori che
soffrono tutti di quest'epoca in cui le menti più quadrate pensano di essere
verità assolute, aiutate da tutte le favole ufficiali, che offrono certezze
idiote a chi è abbastanza retto da crederci. Poi, con la loro goffaggine,
questi ultimi scorticheranno tutti con i loro piccoli angoli nel processo.
Tutto ciò che rimarrà è la tristezza dell'osservazione, in quanto la
comunicazione è solo un'esca e non risolve nulla, il più delle volte, perché
molto spesso è solo un confronto di storie e diventa, in questo caso, un atto
di dominio o sottomissione all'altro. Un'altra opzione possibile tenderebbe
anche alla rassegnazione... Vincolato, il liquido penserà forse a sé stesso
come a un po' troppo sfuggente, folle, o addirittura degenerato, quello che non
riesce a contenersi in questi quadrati più scomodi... Riuscirà un giorno a
cambiare? C'è da chiedersi... Ma per chi sarebbe auspicabile?
6. Serais-je un jour plus attractif que ce néant?: si
occupa di questa drammatica attrazione per il suicidio e il modo in cui
guardiamo al suicidio, dandogli spesso una dimensione romantica quando
dimentichiamo, quasi sistematicamente, la tristezza lasciata per sempre sulla
scia di coloro che sopravvivono e che passeranno parte del resto della loro
esistenza a chiedersi perché il loro amico, il loro amante, il loro figlio...
avranno preferito la morte alla loro compagnia, al loro aiuto, al loro
ascolto... È l'osservazione del fallimento di certe amicizie, del mettersi a
nudo con l'altro che non si offre lì, della sincerità che possiamo offrire a
persone che noi stessi abbiamo potuto considerare come pilastri importanti
della nostra vita e che ci insultano con il loro rifiuto in modo così violento
e ci lasciano con domande per sempre senza risposta.
7. Les aventures de Neurosix et Psychosix: questo è un
pezzo di gloria per l'animale che spesso dimentichiamo di essere, un desiderio
di far danzare insieme corpi e neuroni come per allinearli. Note che cercano
l'impulso, la reazione vitale istantanea. È un modo per offrire una colonna
sonora alla psiche e dare ritmo ai sogni, alle ansie, alle tensioni, agli
incubi così come alle speranze più sfrenate. Aprire un campo e una breccia in
modo che i nostri angeli e demoni interiori possano esprimersi, trovare un
parco giochi, materializzarsi ma senza occupare tutto lo spazio dei nostri
pensieri. Attraverso questa espressione nasce la speranza che possa nascere un
momento di tregua. Un pezzo per offrire movimento nelle nevrosi e nelle psicosi
di ognuno. Divertimento come terapia e come sana formulazione di questi
sentimenti tanto delicati quanto legittimi, ma che abbiamo bisogno di
materializzare, affinché possano prendere forma in un modo o nell'altro, in
modo che non ci controllino e ci conducano senza l'accordo della nostra
coscienza.
8. La nuit, la colline a du Spleen: immagina occupa
della collina da dove osserviamo la notte, qui, sulle alture di Mirepoix, i
campi di grano che rotolano giù da queste piccole colline, messi in un balletto
aggraziato dal vento, il cielo ingrandito dall'assenza di luci al neon
parassite, il villaggio laggiù che vediamo sotto, abbastanza lontano da non
preoccuparlo direttamente,il pericolo,
se esiste, dorme qui, allora non sentiamo quasi nulla se non la sua simpatia e
la fantasia di una vita di paese che potremmo avere se non fossimo così pazzi
agli occhi dell'altro e che la desiderassimo più a lungo dello spazio di un
sogno. Tutto questo paesaggio notturno illuminato dalla sola luna e sublimato,
poi, dall'avvicinarsi del sogno, dalla liberazione dell'inconscio... Finalmente
il tempo dell'immaginario!
9. Le naïf adulte: affronta il desiderio di tornare
al proprio stato infantile, la meraviglia iniziale, il fatto di resettare il
blasé che l'esperienza ci ha portato come un peso. Senza perdere la
consapevolezza di ciò che le nostre delusioni ci hanno giustamente insegnato,
ma senza trascinare per sempre la palla al piede emotiva come un eterno debito
dei nostri errori legati alle nostre percezioni giovanili e quindi in
costruzione. Potendo rivedere il bello, dove effettivamente si trova, ora
sapremo meglio come mirare con precisione, non perderlo più di vista, onorarlo,
come il bambino che siamo sempre stati e resteremo per sempre, finalmente non
mollare più questo corso. La gioia è una scelta del presente, un atto di
resistenza all'impero.
Un coacervo di riflessioni, di concetti, di propositi, e un’amara
riflessione su ciò che siamo stati e sul nostro modus vivendi attuale, il tutto
portato avanti dal virtuosismo musicale di Torres, che propone la sua miscela musicale
difficile da etichettare, ma che assume valore aggiunto derivante dalla
necessità di collegare il sociale e il culturale attraverso l’utilizzo della
sola musica, lasciando la parola agli strumenti, mentre il ruolo solistico
della sua chitarra emette urla a volte soffuse, altre lancinanti.
Gli aspetti visual aiutano nella comprensione e a seguire saranno
i due video preannunciati che assumeranno valore icastico… buon ascolto!
La fame di musica dei giovani degli anni ’70 è la stessa che
ha caratterizzato i periodi successivi, con una differenza fondamentale a vantaggio
delle nuove leve: la possibilità di comunicare e di informarsi in modo capillare.
I primi seventies portarono musica nuova dall’estero - britannica
e americana - e la contaminazione provocò una rivoluzione musicale nel nostro
paese che partì da chi era più vicino al “mestiere” - musicisti e operatori del
settore - e che avvolse i fan che avevano già abbandonato il mangiadischi dei
genitori - quello con Villa, Ranieri e Morandi - a favore del beat, e che stavano
per essere contagiati dalla musica progressiva e, subito dopo, dal fenomeno del
cantautorato.
I soli canali informativi, ai tempi in cui stava nascendo ARPANET (la rete di dialogo tra computer pensata per scopi
militari statunitensi durante la guerra fredda), sintetizzando, si potevano individuare nella
radio - “Per Voi Giovani” -, nella stampa cartacea - “Ciao 2001”
- e nella televisione, di cui mi appresto a fare accenno.
Esistevano poi i fortunati, quelli che avevano fratelli
maggiori e viaggianti che potevano riportare in patria le novità del momento: una nicchia fortunata!
La televisione dicevo: l’unica trasmissione di cui ho
memoria, a dire il vero pochissima, è “UNDER 20”.
Andò in onda nel momento in cui il giovane ascoltatore e
fruitore di concerti aveva imparato a conoscere il meglio del prog inglese, e
le band italiane dedite al rock avevano trovato il coraggio per imboccare una
nuova strada, simile a quella dei cugini d’Oltremanica.
Ho immagini sfuocate, ma mi è rimasta addosso l’emozione, l’attesa
spasmodica delle ore 19 - mi pare -, momento designato per vedere i miei miti, per
almeno un’ora - anche qui… mi pare.
Solo playback, sfacciato in alcuni casi, ma era importante
vedere ascoltare la musica proposta dai “capelloni” - era questa la
definizione preferita dai genitori!
Ho trovato un commento in rete di un mio probabile coetaneo,
che modifica la mia sensazione relativa all’orario!
Bel programma
musicale che andò in onda nel 1973-74, il sabato alle 18.30 su Raidue per la
regia di Enzo Trapani, curata da Paolo Giaccio e con la voce fuori campo di
Raffaele Cascone. Fu un programma innovativo che portò in Tv i nuovi cantautori
e gruppi italiani oltre che filmati di musica straniera, però dovette
sottostare a dei compromessi, invitando anche personaggi della vecchia scuola e
per questo su Ciao 2001 ci fu una sorta di processo al programma a cui Paolo
Giaccio replicò.
Purtroppo, Paolo
Giaccio non può più ricordare con noi, potrebbe farlo però Raffaele Cascone,
e chissà che questo articolo non possa arrivare dalle sue parti e spingerlo a inviarci
qualche memoria interessante!
Intanto godiamoci un’ampia
sintesi di quel programma che permette di scoprire alcuni dei protagonisti dell’epoca…
Il 28 ottobre del 1977 usciva per Virgin Records “Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”,
unico album in studio dei Sex Pistols.
L’album è considerato uno dei più influenti e controversi
della storia del rock. Pubblicato in piena era punk, sconvolse l'establishment
musicale e sociale, dando voce a una generazione di giovani arrabbiati e
disillusi.
“Never Mind…” debuttò direttamente al
primo posto della Official Albums Chart, guadagnando in breve tempo il disco
d'oro nel Regno Unito. Nel 2013 è stato certificato doppio disco di platino
dalla British Phonographic Industry. La rivista Rolling Stone nel 2004 lo ha
inserito alla posizione n. 41 nella lista dei 500 migliori album di sempre. Nel
2006 l'album è stato selezionato dalla rivista Time come uno dei 100 migliori
dischi di sempre. Nel 2016 Rolling Stone lo inserisce al terzo posto dei
migliori 40 dischi punk della storia.
Cosa c’è alla base di band e album?
La musica dei Sex Pistols è caratterizzata da una semplicità
quasi brutale. I riff di chitarra sono essenziali, la batteria martella ritmi
incessanti e il basso fornisce una solida base ritmica. La voce di Johnny
Rotten è rabbiosa, graffiante e carica di un'energia che trascina l'ascoltatore
in un vortice di emozioni contrastanti.
I testi delle canzoni sono un vero e proprio attacco
all'establishment, alla monarchia, alla società consumistica e ai valori
borghesi. Brani come "God Save the Queen" e "Anarchy
in the U.K." sono diventati inni per una generazione che si sentiva
esclusa e disillusa.
L'uscita di "Never Mind the Bollocks" scatenò una vera e propria rivoluzione culturale. Il disco ha ispirato la
nascita di numerose band punk in tutto il mondo e ha influenzato generi
musicali come il post-punk, il grunge e l'alternative rock. La copertina
provocatoria e i testi espliciti hanno generato scandalo e polemiche, ma hanno
anche attirato l'attenzione dei media e dei giovani.
A distanza di decenni rimane un disco fresco perché i temi
affrontati dai Sex Pistols sono ancora oggi molto attuali e la loro musica
conserva tutta la sua energia e la sua potenza.
Sintetizzando "Never Mind the Bollocks" è un
album fondamentale per capire la storia del rock e la cultura giovanile degli
anni '70, un disco che ha sfidato le convenzioni, ha dato voce a una
generazione e ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica.
Non resta che ascoltarlo (cliccare sul titolo) per avere un’idea precisa di un
movimento che, con la sua entrata in scena, mandava momentaneamente - e
rapidamente - in pensione la musica progressiva.
Non ho vissuto bene il periodo a cavallo tra il ’60 e il ’70,
diciamo… i giorni delle scuole medie.
Il mio malessere non era motivato da nulla che avesse a che
fare con la ragione, e ancora oggi, ripensandoci non mi capacito di quei
momenti, credo, tipici di ogni preadolescenza: voglia di scoprire il mondo mentre
la TV, tra il 1° e il 2° canale, ci inondava di diversità che arrivavano da
altri lidi. Eppure, in quei giorni, regole famigliari imponevano, giustamente, un’etica
da rispettare.
E così accadeva che la domenica fosse d’obbligo il cinema
pomeridiano (con mamma, papà e fratellino), e al ritorno ci aspettasse lo
sceneggiato del dopocena.
Tra i tanti, il più “devastante” mi è sempre sembrato “Il
Commissario Maigret”, magnifico, senza dubbio, ma ancora oggi, il
connubio tra il bianco e nero tipico di quelle storie - mancava ancora qualche
anno all’arrivo del colore - e la canzone di Luigi Tenco mi procura un’esplosione
di spleen che col passare dei lustri non si è attenuata di una virgola.
Eppure, riconosco la grandezza di tutti quei protagonisti, ma
la sigla di Maigret mi fa sanguinare il cuore, mi tocca nel profondo e mi
riporta alla mente quel bambino di 13 anni a cui un mondo in bianco e nero
stava già stretto!
Ripropongo la canzone, e per giungere al top della malinconia
utilizzo la versione francese, una lingua che amo ma che, se applicata alla musica,
diventa particolarmente adatta a rendere triste ogni situazione.
E oggi va così.
La sigla iniziale de 'Le nuove inchieste del
Commissario Maigret', è la canzone "Le temps file ses jours",
versione in francese di 'Un giorno dopo l'altro' scritta ed
interpretata da Luigi Tenco.
La versione in italiano è la sigla finale e il testo della
versione iniziale in francese è di Jacques Chaumelle.
L’abitudine all’ascolto dei The
Samurai Of Prog- e quindi a tutte le
evoluzioni che riguardano la dinamicità dei musicisti, in continuo cambiamento -
mi hanno portato ad individuare in Marco Bernard e Kimmo Pörsti
il motore del progetto, ma, almeno dall’esterno, le porte sembrano sempre
aperte per chi è in grado di aggiungere qualità, non solo puramente
strumentistica, ma anche compositiva.
Kimmo Pörsti
Il nome di Marco Grieco, che nella copertina appare con
la denominazione “featuring”, è sempre più presente nella produzione
finlandese, ma in questo caso è lui l’autore in toto di un concept che lo vede
comporre musica e liriche.
Per il mero fruitore dell’opera dei TSoP, quello che interessa
è il risultato, ovvero quell’abitudine/certezza che l’esperienza sonora e
visiva che sta per iniziare andrà in una direzione ben precisa.
A di là del mio impegno nel mantenere oggettività di
giudizio, devo sottolineare come ogni nuovo loro progetto sia di mia piena soddisfazione,
un piacere che, è inutile negarlo, parte da qualcosa che, apparentemente non sembra sostanza, eppure, l’art work proposto in ogni occasione è parte formante della
bellezza dei loro album.
Marco Bernard
Non vorrei usare toni troppo roboanti, ma il nuovo impegno, "The Time Machine", dopo il primo ascolto,
avvenuto rigorosamente davanti a immagini e testi, mi è sembrato una sintesi
perfetta della mia idea di musica progressiva moderna, dove le skills elevate
dei singoli portano a realizzare il vero connubio tra trame sinfoniche e la
musica rock, tra tecnologia e strumenti acustici, con il desiderio di
raccontare un ambizioso concept che, se seguito con un po’ di attenzione,
riporta ad una lucida attualità, con un messaggio inequivocabile che sottolinea
la crudezza e l’inutilità delle guerre da cui siamo circondati.
Quindi un messaggio contro la guerra e, cosa da evidenziare, tutti
i proventi delle vendite saranno devoluti ad un'organizzazione umanitaria a
sostegno dei bambini colpiti dal conflitto in Ucraina.
Passiamo al contenuto più specifico, e a questo proposito,
cliccando sul link a seguire, sarà possibile avere tutte le info importanti sui
crediti, con testi e musicisti impegnati per ogni episodio:
“The Time Machine” è la summa di otto tessere
che si sviluppano nell’arco di poco meno di un’ora. Il fil rouge è dichiarato,
un iter evolutivo che racconta di un viaggio, quello attraverso i secoli della
nostra storia, dagli albori all’attualità, lasciando l’elemento descrittivo al
verbo miscelato alle trame sonore, anch’esse in grado di “raccontare”, come
accade specificatamente in due tracce, completamente strumentali.
Dice Marco Grieco a tal proposito: “The Time Machine è un
album che esplora il passato e il futuro, trascinando l'ascoltatore in un
viaggio fantastico che parte dall'alba dell'umanità e si conclude con una
riflessione sul nostro presente e futuro. Le otto tracce, che compongono il
disco, sono tasselli di un mosaico che raffigura momenti cruciali della storia
umana, dal legionario romano che medita sulla guerra, al genio creativo di
Leonardo da Vinci, fino a Einstein, simbolo delle sfide morali della scienza
moderna”.
Si inizia con The Time machine, e l’orologio
che scandisce il passare del tempo lascia il passo al violino di Maria
Kovalenko, che introduce la delicatezza vocale di Serge Tiagniryadno. L’esplosione
a seguire è uno dei leitmotiv dell’album, un fluttuare di emozioni cangianti nello
spazio di un amen.
Il desiderio… macchina del tempo, riportami
indietro nei secoli, riscriverò la storia, cambierò il passato e tutto andrà
bene…
Ma nel corso del viaggio… mi rendo
conto che non posso cambiare ciò che è stato fatto, il passato è stabilito, non
può essere annullato; macchina del tempo, portami indietro, al punto di
partenza!
A seguire Apes, e la preistoria fa capolino.
Restano gli stessi strumentisti “esterni” - cambio solo sull’elettrica che
passa a Roine Stolt - mentre Grieco e la
sezione ritmica formata da Bernard e Pörsti saranno presenti per tutto il
disco.
Noi siamo le scimmie, le prime della
nostra specie; ci chiediamo quale sia il mondo che troveremo alla fine del
viaggio… avremo mai le risposte che cerchiamo?
Certamente, un ascolto di questo tipo, con la lettura della
lirica mentre il brano scorre, è capace di influenzare notevolmente il
coinvolgimento, ma è un modus che consiglio vivamente, almeno la prima volta, perché
“il viaggio delle scimmie”, tanto per restare in tema, prende corpo e fornisce
sensazione di realtà.
Strumenti classici del rock si miscelano a sintetizzatori e
anche in questo senso il percorso nel tempo assume contorni realistici.
Ma l’excursus di Grieco cammina rapido e si sofferma su
guerre antiche e sulla caduta dell’Impero Romano, vicenda raccontata nel brano The
Last Legionary:
Mi trovo tra i resti dell'antico
regno di un impero, ho assistito a innumerevoli battaglie e ho visto nemici
sepolti, ma mentre affronto i miei giorni crepuscolari rifletto sulla scia delle
innumerevoli guerre viste, e mi chiedo se fossero evitabili, se vale la pena il
prezzo pagato per ottenere potere attraverso lotte sanguinarie.
Eppure, nel crepuscolo della mia vita, mi
ritrovo solo.
Iniziale tono epico e, nel corso della traccia, si fa notare
l’intreccio tra il violino della Kovalenko e i fiati, il corno francese di Marc
Papeghin e la tromba di Balázs Winkler.
Esprimendo un sintetico giudizio con un aggettivo direi pezzo
“aulico”… è questo il senso di sacralità musicale che mi arriva dall’ascolto,
con una variabilità unica, quella che solitamente mi porta a dire che è
impossibile non trovare qualcosa di proprio gradimento nella generica musica
prog, fondata sulla contaminazione e sulla libertà espressiva.
Il time travel è ancora lungo e la macchina fa un paio di
soste e incontra in primis Leonardo da Vinci che si dispera; il titolo è Painting
Mona Lisa:
Portami con te nell'abbraccio del
futuro, dove posso spiccare il volo e i miei talenti possono trovare spazio. Lascia che il mio genio prosperi in
un mondo ancora da realizzare…
Significativo l’intervento chitarristico dell’italiano
Roberto Bucci ma mi soffermo sulla figura di un altro musicista di casa nostra,
il flautista Giovanni Mazzotti, che ci riporta a sonorità note, tra Johann
Sebastian Bach e Jethro Tull.
Magnifico!
Superando i secoli si fa una sosta per dare luce ad Albert
Einstein che troviamo in E=MC2
Ho cercato i segreti, la svolta
cosmica, ma nel profondo si agita un conflitto interiore: valeva la pena
percorrere quel tipo di sentiero? Ho forse perso il controllo? Una fusione di
atomi, una potenza sconfinata, ma con essa sono arrivati gli echi della
disperazione. Il peso delle ripercussioni è troppo pesante da sopportare e mi
chiedo… avrei potuto cambiare il percorso scelto dal destino?
Nuovo vocalist (sono cinque in totale) - il conosciuto Clive
Nolan (Pendragon, Arena) - per un episodio che riproduce le visioni di un genio
e le sue preoccupazioni, disegnando con appropriate trame sonore un mondo che
propone l’immagine di maggior modernità.
A questo punto subentrano i due strumentali, il primo
intitolato Moon, equindi si suppone che il viaggio
sia arrivato al 1969, giorno in cui avvenne il primo allunaggio.
Tensione, emozione, stupore, paura, coraggio, incoscienza…
sono questi gli stati d’animo che ho percepito immaginando le immagini di quei
giorni collegate a ciò che i Samurai riescono a creare.
Il secondo è un tributo a Nelson Mandela, Madiba's Life,
che vede impegnato il solo Marco Grieco
al Grand Piano, due minuti dal forte impatto emotivo, e sottolineo la
fotografia scelta, meravigliosa, fruibile attraverso il link su indicato, che
presenta un Mandela immortalato da dietro, con una pletora di seguaci che ascoltano
e sorridono, immagine di una serenità che non ha certo contraddistinto la
storia dell’attivista sudafricano, raggiunta, forse, a fatica, alla fine di un
lungo percorso.
Si arriva alla conclusione con Future,commovente
monologo interiore di una donna incinta che riflette sul futuro del mondo e sul
coraggio necessario per far nascere una nuova vita. Questa chiusura ottimistica
incarna la speranza, il messaggio di fondo dell'album: nonostante le
difficoltà, l'umanità ha la capacità di plasmare un futuro migliore
(Grieco).
Marco Grieco
Per raccontare la storia di una donna viene scelta una
vocalist, Christina Booth, che riesce a fornire grande pathos al suo racconto.
Nove minuti di colline, intese come dolcezza e commozione
alternate a momenti di grande altitudine sonora, una bellezza che solo la Musica
è in grado di generare, se si conoscono alla perfezione le leve di comando,
ovvero quando il virtuosismo tecnico si unisce alla sensibilità.
A questo punto è buona cosa leggere la sintesi oggettiva
tratta dalle note ufficiali:
Musicalmente, “The Time Machine” è un esempio luminoso di progressivo
rock sinfonico moderno, capace di fondere le tecniche classiche del progressive
con arrangiamenti orchestrali di grande raffinatezza. Marco Grieco, alla
tastiera, guida l'ascoltatore attraverso paesaggi sonori impreziositi da
sintetizzatori Moog e chitarre elettriche, creando un'armonia quasi
cinematografica. Il tutto è rafforzato dall'inclusione di strumenti classici
come flauto, violino, tromba e corno francese, che donano un'ulteriore
profondità agli arrangiamenti.
Le collaborazioni con artisti internazionali, tra cui Serge
Tiagniryadno e Christina Booth alle voci, e musicisti come il chitarrista Roine
Stolt, arricchiscono ulteriormente l'album, rendendo ogni brano un’esperienza
variegata e imprevedibile. La sezione ritmica, composta dal bassista Marco
Bernard e dal batterista Kimmo Pörsti, fornisce una base solida che permette a
queste complesse tessiture musicali di respirare e svilupparsi.
Che altro aggiungere… ho immaginato un ascolto condiviso, con
anime pure, mai toccate dal genere… ho immaginato un utilizzo didattico, fatto
con pubblico trasversale… prog o non prog questa è arte, è sintesi dello scopo
della musica, ormai caratteristica di tutte le proposte dei The Samurai of Prog.
Bernard, Pörsti e Grieco, con tutta la truppa al seguito, ci
regalano la certezza che ci sia ancora spazio per vivere la musica al di fuori
che di ciò che impone il mainstream… certo, se un album come questo fosse stato
pubblicato nel 1973, tanto per citare un anno d’oro, sarebbe entrato nella
storia! Ma ora…