giovedì 31 ottobre 2024

Pink Floyd: il 31 ottobre del 1971 usciva "Meddle"

 


Meddle è il sesto album in studio dei Pink Floyd, pubblicato il 31 ottobre del 1971, e merita un minimo di analisi, essendo un punto di svolta nella discografia della band, un ponte tra il loro sound psichedelico iniziale e le sperimentazioni più mature degli anni a venire.

Il disco rappresenta un passo avanti nella maturazione del sound dei Pink Floyd, con arrangiamenti più complessi e una maggiore attenzione ai dettagli sonori, con l'uso di effetti speciali, strumenti inusuali e paesaggi sonori ambientali. L'atmosfera generale dell'album è onirica, introspettiva e a tratti malinconica, capace di creare un'esperienza d'ascolto unica e coinvolgente.

Vediamo le tracce…

 

Lato A

One of These Days – 5:57

A Pillow of Winds – 5:07

Fearless – 6:05

San Tropez – 3:40

Seamus – 2:15

Lato B

Echoes – 23:31

 


Formazione 

David Gilmour: voce principale, cori, chitarra elettrica, chitarra acustica, lap steel guitar, effetti sonori, armonica

Richard Wright: organo Hammond e Farfisa, pianoforte, voce, effetti sonori

Roger Waters: basso elettrico, chitarra acustica, voce, effetti sonori

Nick Mason: batteria, percussioni, piatti, effetti vocali, effetti sonori

 

Accenno superficialmente ai vari tasselli, nella speranza di stimolare la curiosità o la memoria… cliccare sui titoli blu per ascoltare l'audio.

Echoes: parto dalla fine, la traccia che occupa tutta la seconda facciata, il pezzo forte dell'album, un'epopea sonora di oltre 23 minuti che si snoda attraverso atmosfere oniriche, momenti di intensa emotività e sperimentazioni sonore. È un viaggio introspettivo che invita l'ascoltatore a perdersi nella musica.

One of These Days è un brano più aggressivo e ritmico, con un basso pulsante e la celebre frase di Roger Waters. Un contrasto interessante rispetto alla dolcezza di altri brani.

Pillow of Winds è una delicata ballata con la voce di David Gilmour che si fa strada su un tappeto di armonie vocali e chitarre acustiche.

Fearless, brano sperimentale, con suoni ambientali e effetti sonori che creano un'atmosfera misteriosa.

San Tropez, più ritmato e leggero, con un testo ironico che descrive un'esperienza di vacanza.

Seamus, traccia particolare, un blues, con il cane di Steve Marriott (chitarrista degli Humble Pie) che ulula come strumento musicale.

Meddle è considerato uno dei capolavori del progressive rock, un album che ha influenzato generazioni di musicisti, fondamentale nella discografia dei Pink Floyd, un punto di riferimento per tutti gli appassionati del genere.

L'album ha segnato l'abbandono definitivo delle sperimentazioni psichedeliche più estreme degli esordi, aprendo la strada a un sound che è poi quello che ha caratterizzato il loro periodo più prolifico.

Pur non avendo avuto un successo commerciale immediato come alcuni album successivi, "Meddle" ha contribuito ad accrescere la popolarità della band, soprattutto nel Regno Unito.

Con questo lavoro i Pink Floyd trovano la loro strada, creando un progetto su cui lavorare e spostando la forza creativa dei singoli verso una direzione chiara. Tutti hanno la possibilità di brillare di mettersi in mostra e certificare le loro skills, e ciò che ne esce fuori è, a mio giudizio, un grande album, un must per chiunque apprezzi la musica di qualità all’interno della variegata famiglia del rock. Ma questo è molto di più!


 


mercoledì 30 ottobre 2024

Pete Townshend dice che gli Who torneranno nel 2025


"Stiamo entrambi diventando un po' scricchiolanti, ma sicuramente faremo qualcosa l'anno prossimo"

 

Sebbene gli Who non siano stati attivi come gruppo nell'ultimo anno, il co-fondatore della band, Pete Townshend, afferma che ci sono buone notizie all'orizzonte per i fan.

In un'intervista con la pubblicazione britannica The London Standard, Townshend ha stuzzicato il potenziale delle attività della band nel 2025. "Ho incontrato Roger per pranzo un paio di settimane fa", ha rivelato. "Siamo in buona forma. Ci amiamo. Stiamo entrambi diventando un po' scricchiolanti, ma faremo sicuramente qualcosa l'anno prossimo".

Sebbene tali piani possano sembrare legati a nuova musica o a una serie di spettacoli dal vivo, Townshend ha spiegato che al momento propendono per la seconda opzione, invertendo un precedente commento di Roger Daltrey sullo stress finanziario delle esibizioni dal vivo.

"Il lato album... Roger non è entusiasta", ha detto Townshend. "Ma mi piacerebbe fare un altro album e potrei provare a intimidirlo su questo. Gli ultimi grandi tour che abbiamo fatto sono stati con un'orchestra completa, il che è stato glorioso, ma ora siamo impazienti di fare rumore, fare confusione e commettere errori".

All'inizio di quest'anno, Daltrey ha eseguito con successo un tour da solista "semi-acustico" che ha toccato 11 città nel corso di un mese, che forse è servito da ispirazione per altri spettacoli come team.

In un'altra parte dell'intervista, il chitarrista ha condiviso la sua prospettiva su un'altra reunion di alto profilo, dicendo di essere "deluso" nel sentire che gli Oasis sono tornati insieme per i prossimi spettacoli dal vivo. "Mi piacciono molto i loro album da solista", ha spiegato.







"White Rabbit", il manifesto psichedelico dei Jefferson Airplane

Ci sarà un motivo se “White Rabbit” è diventato un brano manifesto del rock psichedelico!

Persino Marty Balin, successivamente "rivale" di Grace Slick nelle dinamiche interne dei Jefferson, riconobbe al brano la statura di vero "capolavoro".

Sì, sto parlando dei Jefferson Airplane e del masterpiece scritto dalla Slick e inserito in “Surrealistic Pillow”, album licenziato nel 1967 e divenuto un disco imprescindibile quando si parla di rock in termini generali. Se poi si volesse scendere nel filone della psichedelia, beh, in quel caso ci sarebbe da indagare ed esaltare un manifesto di quei giorni.

La canzone divenne famosa dopo la presentazione al Festival di Woodstock nel ’69 e fu scritta dalla vocalist quando era ancora nei The Great Society. Quando il gruppo si sciolse, nel 1966, la Slick fu invitata ad entrare nei J. A. in sostituzione della cantante Signe Toly Anderson che aveva lasciato il gruppo dopo la nascita del figlio.

Di quell’album mitico, il primo al quale partecipò la Slick coi Jefferson Airplane, fa parte un’altra canzone celebre, “Somebody to Love”, composta con il cognato Darby Slick ed incisa con il titolo “Someone to Love” dai Great Society.

Questi due brani, assieme a “Volunteers”, resero famosi i Jefferson Airplane ai quali sarebbero rimaste associate per sempre.

L’album uscì nel mese di giugno e “White Rabbit” fu pubblicato come secondo singolo estratto e raggiunse la posizione numero 8 nella classifica statunitense Billboard Hot 100.

Fu una delle prime canzoni scritte dalla Slick, composta a fine 1965 o inizio 1966, ispirata dai libri di Lewis Carroll Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio, utilizzando elementi come il cambio di dimensioni dopo aver assunto pillole o liquidi sconosciuti, aggiornandoli alla luce della controcultura anni Sessanta per descrivere gli effetti di un viaggio sotto LSD. 


È un brano profondamente influenzato dalla cultura delle droghe di quegli anni, l'LSD e i funghi allucinogeni. Ovviamente il coniglio bianco del titolo ("White Rabbit") è proprio quello del racconto di Carroll, trasfigurato come metafora della psichedelia.

Per il movimento hippie le droghe erano elemento essenziale per l'espansione della mente e la ricerca interiore. Con il suo enigmatico testo, White Rabbit fu una delle prime canzoni con riferimenti alla droga a passare in radio senza cadere vittima della censura.

Dal punto di vista musicale, in un'intervista rilasciata al The Wall Street Journal Grace Slick menzionò altre influenze, e cioè "il bolero" usato da Miles Davis & Gil Evans per il loro album del 1960 Sketches of Spain. Infatti, il brano è essenzialmente un lungo crescendo simile a quello del famoso Boléro di Ravel.

L’incidenza più evidente è comunque quella derivante dalle opere di Carroll, metafora delle esperienze lisergiche della California dell'epoca; i celebri romanzi dedicati al mondo fantastico e inquietante della piccola Alice dei quali nel testo del brano vengono espressamente citati personaggi come:

il bianconiglio

il bruco che fuma il narghilè

il catastrofico cavaliere bianco

la collerica regina rossa

il sonnolento ghiro


Come già scritto il brano uscì come 45 giri e sul retro era presente “Plastic Fantastic Lover”.

 


La formazione dei J.A. era la seguente:

Grace Slick - voce

Jack Casady - basso

Spencer Dryden - batteria

Paul Kantner - chitarra ritmica

Jorma Kaukonen - chitarra solista

 

Ecco cosa accadde a Woodstock…



Dall'anno di uscita ad oggi il brano è stato coverizzato una cinquantina di volte, reinterpretato  e adattato ad ogni genere musicale. Ho scelto alcune versioni comparative più recenti che mi sono piaciute particolarmente, quella degli Elephant Revival  e dei Grece Potter and the Nocturnals, oltre ad un esempio corale.




La più recente, corale...


Testo e traduzione di “White Rabbit”

 

One pill makes you larger,

and one pill makes you small

And the ones that mother gives you,

don't do anything at al

 

Una pillola ti fa diventare più grande,

e una pillola ti rimpicciolisce

E quelle che ti dà tua madre,

non hanno alcun effetto

 

Go ask Alice,

when she's ten feet tall

 

Prova a chiederlo ad Alice,

quando è alta dieci piedi

 

And if you go chasing rabbits,

and you know you're going to fall

Tell 'em a hookah-smoking caterpillar

has given you the call

 

E se tu vai a caccia di conigli,

e ti accorgi che stai per cadere

Dì loro che un bruco che fuma il narghilè

ti ha mandato a chiamare

 

And call Alice,

when she was just small

 

E chiama Alice,

quando è proprio piccola

 

When the men on the chessboard

get up and tell you where to go

And you've just had some kind of mushroom,

and your mind is moving low

 

Quando gli uomini sulla scacchiera

si alzano e ti dicono dove devi andare

E tu hai appena preso qualche specie di fungo,

e la tua mente sta affondando

 

Go ask Alice,

I think she'll know

 

Prova a chiedere ad Alice,

penso che lei saprà (la risposta)

 

When logic and proportion

have fallen sloppy dead

And the white knight is talking backwards

 

Quando la logica e le proporzioni (delle cose)

sono cadute come morte al suolo

E il cavaliere bianco sta parlando all'incontrario

 

And the red queen's off with her head

Remember what the dormouse said

Feed your head, feed your head

 

E la Regina di cuori ha perso la sua testa

Ricorda quello che aveva detto il ghiro

Alimenta la tua mente, alimenta la tua mente

 





martedì 29 ottobre 2024

Un po' di storia dei Cyan Three, tra Piper e Patty Pravo


I Cyan Three, o semplicemente Cyan, sono stati un gruppo musicale beat molto popolare in Italia negli anni '60 e '70. Originariamente costituiti da musicisti inglesi, si affermarono come una delle band più importanti del panorama musicale italiano di quel periodo.

Il gruppo nacque nel 1964 in Inghilterra, con il nome Cyan Three. La scelta del nome derivava dal colore degli occhi dei tre membri fondatori: George William Sims (voce e chitarra), Gordon Faggetter (batteria) e Keith Holder (basso).

Nel 1967 arrivarono in Italia, dove furono scritturati da Alberigo Crocetta per accompagnare Patty Pravo nelle sue esibizioni al Piper Club. Questo fu un punto di svolta per la loro carriera, in quanto li portò alla ribalta della scena musicale italiana.

In seguito, la formazione si ampliò con l'ingresso di musicisti italiani, come Alberto Visentin alle tastiere. Nel 1968, il gruppo abbreviò il nome in Cyan.

I Cyan Three diventarono la band di accompagnamento di Patty Pravo, contribuendo al suo successo iniziale, ma collaborarono anche con altri artisti importanti, come Mia Martini.

Mi accompagnavano i Cyan Three, tre ragazzi inglesi della mia stessa età che mi avrebbero seguito per alcuni anni. Gordon Faggetter (che poco dopo sarebbe diventato mio fidanzato) suonava la batteria, George Sims le chitarre e Roger Michael Smith il basso (il più piccolo di tutti, aveva un anno meno di noi). Patty Pravo.

Il gruppo pubblicò numerosi singoli e album, ottenendo un grande successo di pubblico. 

I Cyan Three si inserirono perfettamente nella scena musicale beat italiana, proponendo un sound fresco e orecchiabile, con influenze provenienti dal rock inglese e dalla musica leggera italiana, dimostrando una grande versatilità, interpretando sia brani originali che cover di successi internazionali.

Negli anni '80, dopo un lungo periodo di attività, i Cyan si sciolsero.

I Cyan Three sono considerati una delle band più importanti del beat italiano, e il loro contributo alla musica italiana degli anni '60 e '70 è innegabile.

Il batterista Gordon Faggetter fu sposato con Patty Pravo dal 1968 al 1970.

Il tastierista Alberto Visentin, in seguito entrò a far parte dei New Trolls.

I Cyan Three sono stati molto più di una semplice band di accompagnamento. Sono stati protagonisti di una stagione musicale fondamentale per l'Italia, contribuendo a definire il suono del beat italiano e lasciando un'impronta indelebile nella storia della musica leggera italiana.

 


FORMAZIONE 

George William Sims: voce solista, chitarra

Roger Michael Smith: voce, basso (1966-1979)

Gordon Faggetter: batteria (1966-1973)

Franco Di Stefano: batteria (1973-1984)

Alberto Visentin: tastiere (1967-1979)






M'Z: è uscito l'album "Émancipés du vide?": il commento


Mathieu Torres trova da anni spazio nei miei racconti musicali e oggi propongo il suo nuovo album uscito a fine settembre e intitolato "Émancipés du vide?" ovvero “Emancipato dal vuoto?”, con un punto interrogativo non certo casuale.

Inizio col dare le informazioni per l’ascolto rapido su bandcamp e nel corso dell’articolo saranno apprezzati i due video messi a disposizione dall’autore:

https://matzizrecords.bandcamp.com/album/emancip-s-du-vide

Ma occorre aggiungere note esplicative.

Riassumo l’obiettivo del progetto solista M'Z, plasmato da un'ampia varietà di musica elencata da Torres: Canterbury, Progressive, Rock in opposizione, Metal, Elettronica, Space rock, Noise, Jazz, free-rock, Ambient, Psyche, Heavy, Punk, Drum'n bass...

Mathieu Torres, è bene sottolinearlo, è chitarrista e compositore in diversi progetti artistici: La théorie des cordes / Zhorhann / The diogenes / Matziz / Dirt in the wind / Urban BallShit / Inland Motel / Collectif La Barraque / Aux arts etc / Dirt and Cpu / no Skeletons, ed è compositore di colonne sonore...

L'idea guida del progetto M'Z è quella di creare parallelismi tra concetti poetici o filosofici e la musica, senza porre barriere estetiche.

Nato dall'esigenza vitale creativa, alla fine del 2017, M'Z si è esibito in un centinaio di date e ha pubblicato tre album prima di questo, 1 EP e 2 singoli che hanno ricevuto un'ottima critica di stampa.

Ma come decodificare un album strumentale che, nelle intenzioni, esprime concetti a raffica, sensazioni ed emozioni proprie di Torres, che ognuno potrà reinterpretare a proprio uso e consumo? Ci viene incontro l’autore:

<<"Émancipés du vide?”, quarto album degli M'Z, è una malinconica riflessione sulle voragini emotive che gli esseri umani mantengono, sulla difficoltà di districarci dalle nostre varie attrazioni verso il nulla, sulla nostra incapacità di guardare le scorie mentali che produciamo senza passare attraverso la scatola del senso di colpa; è una critica alla normalizzazione, al conformismo, al vuoto positivismo decantato dalle nostre menti troppo commercializzate e alla ricerca del percorso più veloce verso qualsiasi Significato. L'illusione di essere liberi in un mondo che inneggia a luoghi comuni eretti a valori che dovrebbero incarnare questa libertà e che tuttavia si trovano ventimila leghe al di sotto di quello che potrebbe essere l'inizio di un cammino verso la libertà effettiva. Infine, simboleggia la necessità vitale di ritrovare l'ingenuità perduta e di reimparare a vedere il bello e a lavorare in questa direzione.>>


Brano dopo brano…

1.La grâce de la solitude ou l'anxiété sociale: affronta la difficoltà di evolversi nel contesto del gruppo sociale di fronte a questo animale che funziona troppo spesso come inibitore degli individui e che, attraverso i riflessi e gli stereotipi che guidano questi gruppi, e il consenso verso la mediocrità che questa massa troppo spesso desidera, può mettere a disagio alcuni esseri umani,  che si sentono limitati e inadatti al funzionamento di queste masse angoscianti di esseri umani, in quanto possono rapidamente trasformarsi in fabbriche di oppressione se un capo osa aggirare alcune delle usanze in vigore.

2. Loxpine Te Ghoste: si occupa dell'immaginazione sfrenata, quella che a volte porta ai limiti della follia, ma che, attraverso l'espressione della creatività artistica, forse non oltrepasserà mai questa linea.

È un'ode ai comportamenti borderline, che le menti artistiche incarnano a volte e che danno colore a un mondo troppo concreto, monocromo, opaco e che non può che evocare il fascismo come un triste ideale.

3. DramaKing, le plaisir d'être en rupture: affronta l'irresistibile bisogno di creare il proprio dramma e di assecondarsene, il fatto di amare, consapevolmente o meno, di trovarsi in uno stato di crisi emotiva, che può avere l'effetto di darsi l'impressione di provare finalmente qualcosa. Come un elettroshock in un mondo in cui la forza concordata sarebbe quella di essere impassibili e troppo cattivi se questa emozione non è molto solare e contro il senso del vincitore. È anche la constatazione dell'espansione di una malinconia sistemica nel mondo neoliberista prefascista, uno dei sintomi di un'eccessiva sottomissione agli ordini.

4. Illusion de liberté, mais quelque chose d'autre doit changer: si occupa di questa facoltà che abbiamo di nascondere la nostra sfortuna dietro la nostra critica al comportamento degli altri, come se volesse meglio distogliere lo sguardo dai nostri mali e dalle nostre esazioni. Il nostro stato emotivo a volte ci porta a fare scelte difficili (rompere/cambiare rotta/porre fine a un'amicizia/cambiare lavoro/...) Queste scelte ci sembrano guidate dalla ragione e da una forma di logica... Probabilmente creiamo una storia a lungo termine che tuttavia si basa solo su questioni che hanno una temporalità molto diversa dalla costruzione della nostra personalità, vediamo echi e temi che risuonano nella nostra storia, dove spesso c'è solo il caso che correla alcuni di questi elementi tra loro... Possiamo immaginare che il nostro unico campo d'azione possibile risieda allora solo nella scelta della propaganda intima che ci conduce direttamente e che alimentiamo più o meno consapevolmente, e nella storia collettiva che possiamo accettare di co-costruire con alcuni nostri amici che portano anche abbastanza in alto, in loro, l'idea del loro amore.

5. Comptine pour âmes en peine: affronta la difficoltà di costruire la felicità in un mondo estremamente individualizzato, è un messaggio di unione per tutti i cuori sinceri, siano essi liquidi, morbidi, circolari o anche innovativi nelle loro forme e stati. Cuori che soffrono tutti di quest'epoca in cui le menti più quadrate pensano di essere verità assolute, aiutate da tutte le favole ufficiali, che offrono certezze idiote a chi è abbastanza retto da crederci. Poi, con la loro goffaggine, questi ultimi scorticheranno tutti con i loro piccoli angoli nel processo. Tutto ciò che rimarrà è la tristezza dell'osservazione, in quanto la comunicazione è solo un'esca e non risolve nulla, il più delle volte, perché molto spesso è solo un confronto di storie e diventa, in questo caso, un atto di dominio o sottomissione all'altro. Un'altra opzione possibile tenderebbe anche alla rassegnazione... Vincolato, il liquido penserà forse a sé stesso come a un po' troppo sfuggente, folle, o addirittura degenerato, quello che non riesce a contenersi in questi quadrati più scomodi... Riuscirà un giorno a cambiare? C'è da chiedersi... Ma per chi sarebbe auspicabile?

6. Serais-je un jour plus attractif que ce néant?: si occupa di questa drammatica attrazione per il suicidio e il modo in cui guardiamo al suicidio, dandogli spesso una dimensione romantica quando dimentichiamo, quasi sistematicamente, la tristezza lasciata per sempre sulla scia di coloro che sopravvivono e che passeranno parte del resto della loro esistenza a chiedersi perché il loro amico, il loro amante, il loro figlio... avranno preferito la morte alla loro compagnia, al loro aiuto, al loro ascolto... È l'osservazione del fallimento di certe amicizie, del mettersi a nudo con l'altro che non si offre lì, della sincerità che possiamo offrire a persone che noi stessi abbiamo potuto considerare come pilastri importanti della nostra vita e che ci insultano con il loro rifiuto in modo così violento e ci lasciano con domande per sempre senza risposta.

7. Les aventures de Neurosix et Psychosix: questo è un pezzo di gloria per l'animale che spesso dimentichiamo di essere, un desiderio di far danzare insieme corpi e neuroni come per allinearli. Note che cercano l'impulso, la reazione vitale istantanea. È un modo per offrire una colonna sonora alla psiche e dare ritmo ai sogni, alle ansie, alle tensioni, agli incubi così come alle speranze più sfrenate. Aprire un campo e una breccia in modo che i nostri angeli e demoni interiori possano esprimersi, trovare un parco giochi, materializzarsi ma senza occupare tutto lo spazio dei nostri pensieri. Attraverso questa espressione nasce la speranza che possa nascere un momento di tregua. Un pezzo per offrire movimento nelle nevrosi e nelle psicosi di ognuno. Divertimento come terapia e come sana formulazione di questi sentimenti tanto delicati quanto legittimi, ma che abbiamo bisogno di materializzare, affinché possano prendere forma in un modo o nell'altro, in modo che non ci controllino e ci conducano senza l'accordo della nostra coscienza.

8. La nuit, la colline a du Spleen: immagina occupa della collina da dove osserviamo la notte, qui, sulle alture di Mirepoix, i campi di grano che rotolano giù da queste piccole colline, messi in un balletto aggraziato dal vento, il cielo ingrandito dall'assenza di luci al neon parassite, il villaggio laggiù che vediamo sotto, abbastanza lontano da non preoccuparlo direttamente,  il pericolo, se esiste, dorme qui, allora non sentiamo quasi nulla se non la sua simpatia e la fantasia di una vita di paese che potremmo avere se non fossimo così pazzi agli occhi dell'altro e che la desiderassimo più a lungo dello spazio di un sogno. Tutto questo paesaggio notturno illuminato dalla sola luna e sublimato, poi, dall'avvicinarsi del sogno, dalla liberazione dell'inconscio... Finalmente il tempo dell'immaginario!

9. Le naïf adulte: affronta il desiderio di tornare al proprio stato infantile, la meraviglia iniziale, il fatto di resettare il blasé che l'esperienza ci ha portato come un peso. Senza perdere la consapevolezza di ciò che le nostre delusioni ci hanno giustamente insegnato, ma senza trascinare per sempre la palla al piede emotiva come un eterno debito dei nostri errori legati alle nostre percezioni giovanili e quindi in costruzione. Potendo rivedere il bello, dove effettivamente si trova, ora sapremo meglio come mirare con precisione, non perderlo più di vista, onorarlo, come il bambino che siamo sempre stati e resteremo per sempre, finalmente non mollare più questo corso. La gioia è una scelta del presente, un atto di resistenza all'impero.

Un coacervo di riflessioni, di concetti, di propositi, e un’amara riflessione su ciò che siamo stati e sul nostro modus vivendi attuale, il tutto portato avanti dal virtuosismo musicale di Torres, che propone la sua miscela musicale difficile da etichettare, ma che assume valore aggiunto derivante dalla necessità di collegare il sociale e il culturale attraverso l’utilizzo della sola musica, lasciando la parola agli strumenti, mentre il ruolo solistico della sua chitarra emette urla a volte soffuse, altre lancinanti.

Gli aspetti visual aiutano nella comprensione e a seguire saranno i due video preannunciati che assumeranno valore icastico… buon ascolto!


CREDITI 

Samantha Colom: Cover art

Mathieu Torres: Record mix composition concept

Matziz Records: Label distribution











lunedì 28 ottobre 2024

UNDER 20: programmi Tv per i giovani degli anni '70

AREA

La fame di musica dei giovani degli anni ’70 è la stessa che ha caratterizzato i periodi successivi, con una differenza fondamentale a vantaggio delle nuove leve: la possibilità di comunicare e di informarsi in modo capillare.

I primi seventies portarono musica nuova dall’estero - britannica e americana - e la contaminazione provocò una rivoluzione musicale nel nostro paese che partì da chi era più vicino al “mestiere” - musicisti e operatori del settore - e che avvolse i fan che avevano già abbandonato il mangiadischi dei genitori - quello con Villa, Ranieri e Morandi - a favore del beat, e che stavano per essere contagiati dalla musica progressiva e, subito dopo, dal fenomeno del cantautorato.

I soli canali informativi, ai tempi in cui stava nascendo ARPANET (la rete di dialogo tra computer pensata per scopi militari statunitensi durante la guerra fredda), sintetizzando, si potevano individuare nella radio - “Per Voi Giovani” -, nella stampa cartacea - “Ciao 2001” - e nella televisione, di cui mi appresto a fare accenno.
Esistevano poi i fortunati, quelli che avevano fratelli maggiori e viaggianti che potevano riportare in patria le novità del momento: una nicchia fortunata!

La televisione dicevo: l’unica trasmissione di cui ho memoria, a dire il vero pochissima, è “UNDER 20”.
Andò in onda nel momento in cui il giovane ascoltatore e fruitore di concerti aveva imparato a conoscere il meglio del prog inglese, e le band italiane dedite al rock avevano trovato il coraggio per imboccare una nuova strada, simile a quella dei cugini d’Oltremanica.

Ho immagini sfuocate, ma mi è rimasta addosso l’emozione, l’attesa spasmodica delle ore 19 - mi pare -, momento designato per vedere i miei miti, per almeno un’ora - anche qui… mi pare.
Solo playback, sfacciato in alcuni casi, ma era importante vedere ascoltare la musica proposta dai “capelloni” - era questa la definizione preferita dai genitori!

Ho trovato un commento in rete di un mio probabile coetaneo, che modifica la mia sensazione relativa all’orario!

Bel programma musicale che andò in onda nel 1973-74, il sabato alle 18.30 su Raidue per la regia di Enzo Trapani, curata da Paolo Giaccio e con la voce fuori campo di Raffaele Cascone. Fu un programma innovativo che portò in Tv i nuovi cantautori e gruppi italiani oltre che filmati di musica straniera, però dovette sottostare a dei compromessi, invitando anche personaggi della vecchia scuola e per questo su Ciao 2001 ci fu una sorta di processo al programma a cui Paolo Giaccio replicò.

Purtroppo, Paolo Giaccio non può più ricordare con noi, potrebbe farlo però Raffaele Cascone, e chissà che questo articolo non possa arrivare dalle sue parti e spingerlo a inviarci qualche memoria interessante!

Intanto godiamoci un’ampia sintesi di quel programma che permette di scoprire alcuni dei protagonisti dell’epoca…





Sex Pistols: il 28 ottobre del 1977 usciva “Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”


Il 28 ottobre del 1977 usciva per Virgin Records “Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols”, unico album in studio dei Sex Pistols.

L’album è considerato uno dei più influenti e controversi della storia del rock. Pubblicato in piena era punk, sconvolse l'establishment musicale e sociale, dando voce a una generazione di giovani arrabbiati e disillusi.

“Never Mind…” debuttò direttamente al primo posto della Official Albums Chart, guadagnando in breve tempo il disco d'oro nel Regno Unito. Nel 2013 è stato certificato doppio disco di platino dalla British Phonographic Industry. La rivista Rolling Stone nel 2004 lo ha inserito alla posizione n. 41 nella lista dei 500 migliori album di sempre. Nel 2006 l'album è stato selezionato dalla rivista Time come uno dei 100 migliori dischi di sempre. Nel 2016 Rolling Stone lo inserisce al terzo posto dei migliori 40 dischi punk della storia.


Cosa c’è alla base di band e album?

La musica dei Sex Pistols è caratterizzata da una semplicità quasi brutale. I riff di chitarra sono essenziali, la batteria martella ritmi incessanti e il basso fornisce una solida base ritmica. La voce di Johnny Rotten è rabbiosa, graffiante e carica di un'energia che trascina l'ascoltatore in un vortice di emozioni contrastanti.

I testi delle canzoni sono un vero e proprio attacco all'establishment, alla monarchia, alla società consumistica e ai valori borghesi. Brani come "God Save the Queen" e "Anarchy in the U.K." sono diventati inni per una generazione che si sentiva esclusa e disillusa.

L'uscita di "Never Mind the Bollocks" scatenò una vera e propria rivoluzione culturale. Il disco ha ispirato la nascita di numerose band punk in tutto il mondo e ha influenzato generi musicali come il post-punk, il grunge e l'alternative rock. La copertina provocatoria e i testi espliciti hanno generato scandalo e polemiche, ma hanno anche attirato l'attenzione dei media e dei giovani.

A distanza di decenni rimane un disco fresco perché i temi affrontati dai Sex Pistols sono ancora oggi molto attuali e la loro musica conserva tutta la sua energia e la sua potenza.

Sintetizzando "Never Mind the Bollocks" è un album fondamentale per capire la storia del rock e la cultura giovanile degli anni '70, un disco che ha sfidato le convenzioni, ha dato voce a una generazione e ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica.

Non resta che ascoltarlo (cliccare sul titolo) per avere un’idea precisa di un movimento che, con la sua entrata in scena, mandava momentaneamente - e rapidamente - in pensione la musica progressiva.

 

Lato A

Holidays in the Sun – 3:19

Bodies – 3:01

No Feelings – 2:48

Liar – 2:39

God Save the Queen – 3:20

Problems – 4:09

 

Lato B

Seventeen -2:01

Anarchy in the U.K. - 3:31

Submission - 4:10

Pretty Vacant - 3:15

New York - 3:03

E.M.I. - 3:09


Formazione

Johnny Rotten - voce

Steve Jones - chitarra, basso, seconda voce

Glen Matlock - basso in Anarchy in the U.K.

Sid Vicious - basso in Bodies e Holidays in the Sun

Paul Cook - batteria 






domenica 27 ottobre 2024

Tenco, Maigret e i giorni in bianco e nero...



Non ho vissuto bene il periodo a cavallo tra il ’60 e il ’70, diciamo… i giorni delle scuole medie.

Il mio malessere non era motivato da nulla che avesse a che fare con la ragione, e ancora oggi, ripensandoci non mi capacito di quei momenti, credo, tipici di ogni preadolescenza: voglia di scoprire il mondo mentre la TV, tra il 1° e il 2° canale, ci inondava di diversità che arrivavano da altri lidi. Eppure, in quei giorni, regole famigliari imponevano, giustamente, un’etica da rispettare.

E così accadeva che la domenica fosse d’obbligo il cinema pomeridiano (con mamma, papà e fratellino), e al ritorno ci aspettasse lo sceneggiato del dopocena.

Tra i tanti, il più “devastante” mi è sempre sembrato “Il Commissario Maigret”, magnifico, senza dubbio, ma ancora oggi, il connubio tra il bianco e nero tipico di quelle storie - mancava ancora qualche anno all’arrivo del colore - e la canzone di Luigi Tenco mi procura un’esplosione di spleen che col passare dei lustri non si è attenuata di una virgola.

Eppure, riconosco la grandezza di tutti quei protagonisti, ma la sigla di Maigret mi fa sanguinare il cuore, mi tocca nel profondo e mi riporta alla mente quel bambino di 13 anni a cui un mondo in bianco e nero stava già stretto!

Ripropongo la canzone, e per giungere al top della malinconia utilizzo la versione francese, una lingua che amo ma che, se applicata alla musica, diventa particolarmente adatta a rendere triste ogni situazione.

E oggi va così.

La sigla iniziale de 'Le nuove inchieste del Commissario Maigret', è la canzone "Le temps file ses jours", versione in francese di 'Un giorno dopo l'altro' scritta ed interpretata da Luigi Tenco.

La versione in italiano è la sigla finale e il testo della versione iniziale in francese è di Jacques Chaumelle.


Le temps file ses jours

l'eau coule sous les ponts,

sur les bords de la Seine

des ombres s'en vont.

Le temps file ses jours,

rien n'a changé ici,

Montmartre et sa bohéme

dorment sous la pluie.

À chaque jour sa sans qu'on y pense,

la vie s'en va emportant nos souvenirs. 

Le temps file ses jours

à Paris comme ailleurs

et passent les semaines

et l'espoir se meurt. 

À chaque jour sa change

et tous ses pleurs qu'on ne peut pas retenir,

et puis, sans qu'on y pense,

on s'habitue à vivre sans avenir. 

Le temps file ses jour,

l'eau coule sous les ponts,

sur les bords de la Seine

des ombres s'en vont.



 

The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco-"The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco"

 


THE TIME MACHINE

The Samurai Of Prog Featuring Marco Grieco 

Studio Album, ottobre 2024

 

L’abitudine all’ascolto dei The Samurai Of Prog - e quindi a tutte le evoluzioni che riguardano la dinamicità dei musicisti, in continuo cambiamento - mi hanno portato ad individuare in Marco Bernard e Kimmo Pörsti il motore del progetto, ma, almeno dall’esterno, le porte sembrano sempre aperte per chi è in grado di aggiungere qualità, non solo puramente strumentistica, ma anche compositiva.

Kimmo Pörsti

Il nome di Marco Grieco, che nella copertina appare con la denominazione “featuring”, è sempre più presente nella produzione finlandese, ma in questo caso è lui l’autore in toto di un concept che lo vede comporre musica e liriche.

Per il mero fruitore dell’opera dei TSoP, quello che interessa è il risultato, ovvero quell’abitudine/certezza che l’esperienza sonora e visiva che sta per iniziare andrà in una direzione ben precisa.

A di là del mio impegno nel mantenere oggettività di giudizio, devo sottolineare come ogni nuovo loro progetto sia di mia piena soddisfazione, un piacere che, è inutile negarlo, parte da qualcosa che, apparentemente non sembra sostanza, eppure, l’art work proposto in ogni occasione è parte formante della bellezza dei loro album.

Marco Bernard

Non vorrei usare toni troppo roboanti, ma il nuovo impegno, "The Time Machine", dopo il primo ascolto, avvenuto rigorosamente davanti a immagini e testi, mi è sembrato una sintesi perfetta della mia idea di musica progressiva moderna, dove le skills elevate dei singoli portano a realizzare il vero connubio tra trame sinfoniche e la musica rock, tra tecnologia e strumenti acustici, con il desiderio di raccontare un ambizioso concept che, se seguito con un po’ di attenzione, riporta ad una lucida attualità, con un messaggio inequivocabile che sottolinea la crudezza e l’inutilità delle guerre da cui siamo circondati.

Quindi un messaggio contro la guerra e, cosa da evidenziare, tutti i proventi delle vendite saranno devoluti ad un'organizzazione umanitaria a sostegno dei bambini colpiti dal conflitto in Ucraina.

Passiamo al contenuto più specifico, e a questo proposito, cliccando sul link a seguire, sarà possibile avere tutte le info importanti sui crediti, con testi e musicisti impegnati per ogni episodio: 

https://athosenrile.blogspot.com/2024/10/i-samurai-of-prog-e-marco-grieco.html

The Time Machine” è la summa di otto tessere che si sviluppano nell’arco di poco meno di un’ora. Il fil rouge è dichiarato, un iter evolutivo che racconta di un viaggio, quello attraverso i secoli della nostra storia, dagli albori all’attualità, lasciando l’elemento descrittivo al verbo miscelato alle trame sonore, anch’esse in grado di “raccontare”, come accade specificatamente in due tracce, completamente strumentali.

Dice Marco Grieco a tal proposito: “The Time Machine è un album che esplora il passato e il futuro, trascinando l'ascoltatore in un viaggio fantastico che parte dall'alba dell'umanità e si conclude con una riflessione sul nostro presente e futuro. Le otto tracce, che compongono il disco, sono tasselli di un mosaico che raffigura momenti cruciali della storia umana, dal legionario romano che medita sulla guerra, al genio creativo di Leonardo da Vinci, fino a Einstein, simbolo delle sfide morali della scienza moderna”.

Si inizia con The Time machine, e l’orologio che scandisce il passare del tempo lascia il passo al violino di Maria Kovalenko, che introduce la delicatezza vocale di Serge Tiagniryadno. L’esplosione a seguire è uno dei leitmotiv dell’album, un fluttuare di emozioni cangianti nello spazio di un amen.

Il desiderio… macchina del tempo, riportami indietro nei secoli, riscriverò la storia, cambierò il passato e tutto andrà bene…

Ma nel corso del viaggio… mi rendo conto che non posso cambiare ciò che è stato fatto, il passato è stabilito, non può essere annullato; macchina del tempo, portami indietro, al punto di partenza!

A seguire Apes, e la preistoria fa capolino. Restano gli stessi strumentisti “esterni” - cambio solo sull’elettrica che passa a  Roine Stolt - mentre Grieco e la sezione ritmica formata da Bernard e Pörsti saranno presenti per tutto il disco.

Noi siamo le scimmie, le prime della nostra specie; ci chiediamo quale sia il mondo che troveremo alla fine del viaggio… avremo mai le risposte che cerchiamo? 

Certamente, un ascolto di questo tipo, con la lettura della lirica mentre il brano scorre, è capace di influenzare notevolmente il coinvolgimento, ma è un modus che consiglio vivamente, almeno la prima volta, perché “il viaggio delle scimmie”, tanto per restare in tema, prende corpo e fornisce sensazione di realtà.

Strumenti classici del rock si miscelano a sintetizzatori e anche in questo senso il percorso nel tempo assume contorni realistici.

Ma l’excursus di Grieco cammina rapido e si sofferma su guerre antiche e sulla caduta dell’Impero Romano, vicenda raccontata nel brano The Last Legionary:

Mi trovo tra i resti dell'antico regno di un impero, ho assistito a innumerevoli battaglie e ho visto nemici sepolti, ma mentre affronto i miei giorni crepuscolari rifletto sulla scia delle innumerevoli guerre viste, e mi chiedo se fossero evitabili, se vale la pena il prezzo pagato per ottenere potere attraverso lotte sanguinarie.

 Eppure, nel crepuscolo della mia vita, mi ritrovo solo.

Iniziale tono epico e, nel corso della traccia, si fa notare l’intreccio tra il violino della Kovalenko e i fiati, il corno francese di Marc Papeghin e la tromba di Balázs Winkler.

Esprimendo un sintetico giudizio con un aggettivo direi pezzo “aulico”… è questo il senso di sacralità musicale che mi arriva dall’ascolto, con una variabilità unica, quella che solitamente mi porta a dire che è impossibile non trovare qualcosa di proprio gradimento nella generica musica prog, fondata sulla contaminazione e sulla libertà espressiva.

Il time travel è ancora lungo e la macchina fa un paio di soste e incontra in primis Leonardo da Vinci che si dispera; il titolo è Painting Mona Lisa:

Portami con te nell'abbraccio del futuro, dove posso spiccare il volo e i miei talenti possono trovare spazio. Lascia che il mio genio prosperi in un mondo ancora da realizzare… 

Significativo l’intervento chitarristico dell’italiano Roberto Bucci ma mi soffermo sulla figura di un altro musicista di casa nostra, il flautista Giovanni Mazzotti, che ci riporta a sonorità note, tra Johann Sebastian Bach e Jethro Tull.

Magnifico!

Superando i secoli si fa una sosta per dare luce ad Albert Einstein che troviamo in E=MC2    

Ho cercato i segreti, la svolta cosmica, ma nel profondo si agita un conflitto interiore: valeva la pena percorrere quel tipo di sentiero? Ho forse perso il controllo? Una fusione di atomi, una potenza sconfinata, ma con essa sono arrivati gli echi della disperazione. Il peso delle ripercussioni è troppo pesante da sopportare e mi chiedo… avrei potuto cambiare il percorso scelto dal destino?

Nuovo vocalist (sono cinque in totale) - il conosciuto Clive Nolan (Pendragon, Arena) - per un episodio che riproduce le visioni di un genio e le sue preoccupazioni, disegnando con appropriate trame sonore un mondo che propone l’immagine di maggior modernità.

A questo punto subentrano i due strumentali, il primo intitolato Moon, e quindi si suppone che il viaggio sia arrivato al 1969, giorno in cui avvenne il primo allunaggio.

Tensione, emozione, stupore, paura, coraggio, incoscienza… sono questi gli stati d’animo che ho percepito immaginando le immagini di quei giorni collegate a ciò che i Samurai riescono a creare.

Il secondo è un tributo a Nelson Mandela, Madiba's Life,  che vede impegnato il solo Marco Grieco al Grand Piano, due minuti dal forte impatto emotivo, e sottolineo la fotografia scelta, meravigliosa, fruibile attraverso il link su indicato, che presenta un Mandela immortalato da dietro, con una pletora di seguaci che ascoltano e sorridono, immagine di una serenità che non ha certo contraddistinto la storia dell’attivista sudafricano, raggiunta, forse, a fatica, alla fine di un lungo percorso.

Si arriva alla conclusione con Future, commovente monologo interiore di una donna incinta che riflette sul futuro del mondo e sul coraggio necessario per far nascere una nuova vita. Questa chiusura ottimistica incarna la speranza, il messaggio di fondo dell'album: nonostante le difficoltà, l'umanità ha la capacità di plasmare un futuro migliore (Grieco).

Marco Grieco

Per raccontare la storia di una donna viene scelta una vocalist, Christina Booth, che riesce a fornire grande pathos al suo racconto.

Nove minuti di colline, intese come dolcezza e commozione alternate a momenti di grande altitudine sonora, una bellezza che solo la Musica è in grado di generare, se si conoscono alla perfezione le leve di comando, ovvero quando il virtuosismo tecnico si unisce alla sensibilità.

A questo punto è buona cosa leggere la sintesi oggettiva tratta dalle note ufficiali:

Musicalmente, “The Time Machine” è un esempio luminoso di progressivo rock sinfonico moderno, capace di fondere le tecniche classiche del progressive con arrangiamenti orchestrali di grande raffinatezza. Marco Grieco, alla tastiera, guida l'ascoltatore attraverso paesaggi sonori impreziositi da sintetizzatori Moog e chitarre elettriche, creando un'armonia quasi cinematografica. Il tutto è rafforzato dall'inclusione di strumenti classici come flauto, violino, tromba e corno francese, che donano un'ulteriore profondità agli arrangiamenti.

Le collaborazioni con artisti internazionali, tra cui Serge Tiagniryadno e Christina Booth alle voci, e musicisti come il chitarrista Roine Stolt, arricchiscono ulteriormente l'album, rendendo ogni brano un’esperienza variegata e imprevedibile. La sezione ritmica, composta dal bassista Marco Bernard e dal batterista Kimmo Pörsti, fornisce una base solida che permette a queste complesse tessiture musicali di respirare e svilupparsi.

Che altro aggiungere… ho immaginato un ascolto condiviso, con anime pure, mai toccate dal genere… ho immaginato un utilizzo didattico, fatto con pubblico trasversale… prog o non prog questa è arte, è sintesi dello scopo della musica, ormai caratteristica di tutte le proposte dei The Samurai of Prog.

Bernard, Pörsti e Grieco, con tutta la truppa al seguito, ci regalano la certezza che ci sia ancora spazio per vivere la musica al di fuori che di ciò che impone il mainstream… certo, se un album come questo fosse stato pubblicato nel 1973, tanto per citare un anno d’oro, sarebbe entrato nella storia! Ma ora…

 Un assaggio...


Tracks Listing

1. The Time Machine (9:59)

2. Apes (7:35)

3. The Last Legionary (7:44)

4. Painting Mona Lisa (6:37)

5. E=MC2 (8:14)

6. Moon (6:55)

7. Madiba's Life (1:46)

8. Future (9:05)

Total Time 57:55

 

Line-up / Musicians

- Marco Bernard / Shuker basses

- Marco Grieco / keyboards

- Kimmo Pörsti / drums & percussion

 

Music and lyrics by Marco Grieco 

With:

- Serge Tiagniryadno / vocals

- Tony Riveryman / electric guitars

- Maria Kovalenko / violin

- Giovanni Mazzotti / flute

- Roine Stolt / electric guitar

- Bo-Anders Sandström / vocals

- Marc Papeghin / French horn

- Balàzs Winkler / trumpet

- Daniel Fäldt / vocals

- Roberto Bucci / electric guitar

- Clive Nolan / vocals

- Marcel Singor / electric guitar

- Peter Matuchniak / electric guitar

- Christina Booth / vocals


Releases information 

Artwork: Michal Xaay Loranc

www.seacrestoy.com

 

CD Seacrest Oy - SCR-1046 (2024, Finland)

Produced by Marco Bernard, Marco Grieco and Kimmo Pörsti

 

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