martedì 29 marzo 2022

L'ultima volta di Phil Collins-Nell'articolo il video del concerto del 24 marzo 2022

 

Peter Gabriel, Phil Collins e Richard Macphail

Il concerto dei Genesis di sabato 26 marzo a Londra, alla 02 Arena, passerà alla storia per essere stato l’ultimo della vita per Phil Collins.

I suoi 71 anni non sarebbero poi molti di questi tempi, ma gli interventi chirurgici subiti alla schiena non gli consentono più di suonare.

Il suo commento sardonico, rilasciato al Mirror online è stato: "Ora dovrò trovare un vero lavoro!".

I Genesis non suonavano in concerto da 14 anni, e l’annuncio della reunion per il The Last Domino Tour - anche se molte date erano state cancellate per il Covid - aveva suscitato grande entusiasmo tra i fan.

È bene sottolineare come i Genesis in questione non siano quelli stellari che prevedevano in formazione Peter Gabriel (voce) e Steve Hackett (chitarra), da tempo impegnati in proprio con successo, ma il nome “Genesis” produce in ogni caso effetti certi e reazioni positive.

Della formazione antica, oltre a Phil troviamo oggi - meglio dire ieri... - Tony Banks alle tastiere e Mike Rutherford a chitarra e basso... mica roba da ridere!

Impietose le immagini che hanno immortalato Collins durante il tour, il batterista capace di suonare al Live Aid inglese del 1985 tra Londra e Filadelfia, l’uomo simbolo del ritmo e, da quel momento, della probabile ubiquità!

Debole, affaticato, sempre seduto, impossibilitato nel trovare il conforto di un semplice bastone atto alla deambulazione.

"Non faccio niente - aveva spiegato qualche tempo fa al Guardian -. Non mi alleno a cantare a casa, per niente. Le prove sono la pratica. La mia salute cambia le cose, fare lo spettacolo seduto cambia le cose".

In un'intervista alla BBC aveva raccontato il suo disagio, ovvio, e il suo sogno, quello di potersi esibire con il figlio Nicholas: "Mi piacerebbe suonare con lui sul palco, ma riesco a malapena a tenere una bacchetta in mano", aveva ammesso.

Per quanto ci è dato di sapere Collins inizia a soffrire nel 2009, quando subisce uno schiacciamento delle vertebre a causa della posizione in cui ha suonato per anni la batteria, una sorta di malattia professionale in ambito musicale.

È di quel periodo il primo intervento chirurgico a cui fa seguito quello del 2015, ma il quadro generale parla di lesioni ai nervi con complicanze varie: diabete, pancreatite acuta, e una brutta caduta nel 2017 in cui batté la testa e che lo costringe a sospendere i live in corso.

Superfluo ricordare la storia di Phil Collins, gioia e dolore per gli amanti dei Genesis, molti dei quali non gli hanno mai perdonato la svolta pop della band di cui fu il principale protagonista, diventando soprattutto vocalist, lasciando sempre più spesso le bacchette a terzi e tuffandosi con impeto, appena possibile, verso una luminosa e milionaria carriera da solista.

Ma per chi lo ha conosciuto come drummer dei Genesis, a partire da “Nursery Cryme” in poi, Phil resterà per sempre il batterista della band, e vederlo impossibilitato nello svolgere quel ruolo primario rappresenta l’elemento più triste della storia.

Buona fortuna Phil!

Live at O2 Londra-24 marzo 2022








domenica 27 marzo 2022

Tanti auguri Tony Banks



Compie  gli anni Tony Banks, nato il 27 marzo del 1950, tastierista, compositore e polistrumentista britannico.
Diventato celebre nei Genesis, è considerato uno dei migliori musicisti del panorama musicale mondiale. Ha studiato pianoforte fin dall'infanzia ed è stato amico di Peter Gabriel ben prima di cominciare con lui la carriera artistica, alla Charterhouse School. 
Abilissimo tastierista, può considerarsi a giusto diritto "la mente occulta" dei Genesis: pur non mettendosi mai in mostra, ha infatti firmato molte delle più belle e famose musiche del gruppo dandogli l'impronta che lo ha reso celebre. Soprattutto nel periodo "storico" degli anni Settanta la sua autorità in sala di incisione era indiscussa. Di lui si ricordano fantastici assolo in alcuni dei brani più celebri dei Genesis come "The Cinema Show" o "Firth or Fifth". 
Viene da molti ritenuto l'antidivo per eccellenza; molto schivo, di lui si ricordano pochissime interviste e, al contrario di molte star del rock, non ha mai fatto parlare di sé per motivi legati a scandali o comportamenti sregolati, veri o presunti.

Ho un ricordo personale importante, legato ai Genesis e quindi a Banks, che riguarda un vecchio concerto del 3 febbraio 1974. Il gruppo era a quei tempi al top, con la formazione migliore, e ricordo ancora oggi con emozione l’esecuzione della “Firth or Fifth” già citata, uno dei brani più belli mai scritti ed eseguiti.


Auguri Tony!


venerdì 25 marzo 2022

CLOUDS/1-2-3: i precursori del rock progressivo

 

Clouds è stato un gruppo rock scozzese degli anni '60 che si sciolse nell'ottobre 1971. 

La band era composta da Ian Ellis (basso e voce), Harry Hughes (batteria) e Billy Ritchie (tastiere). 


GLI INIZI

All'inizio del 1964, Ian Ellis e Harry Hughes suonavano in una band chiamata The Premiers, composta da Bill Lawrence (basso), James 'Shammy' Lafferty (chitarra ritmica), Derek Stark (chitarra solista), Harry Hughes (batteria) e Ian Ellis (voce). Fu deciso che un organo avrebbe aiutato il suono della band e così si unì Billy Ritchie.

Cyril Stapleton portò la band a Londra per registrare alcuni demo, ma non ne venne fuori nulla, e Derek Stark, Bill Lawrence e James Lafferty decisero di andarsene. Sembrava che Ritchie, unendosi alla band, avesse spinto più cambiamenti di quanto fosse stato previsto. Ian Ellis decise che avrebbe assunto il ruolo di bassista e cantante. Il gruppo decise di muoversi in una nuova direzione musicale e cambiò il loro nome da Premiers a 1-2-3.

1-2-3 

1-2-3 aveva un suono molto diverso dalla band precedente o da quasi tutte le altre band del momento. Dopo aver ottenuto poco successo in Scozia si trasferirono a Londra, dove speravano che la loro musica originale avrebbe preso il via, ma il pubblico inizialmente era confuso dalla mancanza di un chitarrista.

Alla band fu data una chance di esibirsi al Marquee Club, luogo che successivamente avrebbe dato lustro a icone prog-rock come Rick Wakeman e Keith Emerson. Il fatto che una band sconosciuta fosse stata scelta per essere protagonista al Marquee era insolito, in quanto non erano stati eseguiti i consueti spot di supporto. All'epoca erano descritti come "un gruppo unico, capace di creare un suono completamente nuovo nel mondo del pop."

Il loro set consisteva in canzoni e standard originali, ma i pezzi erano accuratamente rimodellati, diventando in sostanza nuovi. Non c'era niente di lontanamente simile in giro.

Durante il periodo in cui il gruppo si esibì al club - nel 1967 - firmarono un contratto con la società di gestione NEMS e Brian Epstein dei Beatles. L'evento fu annunciato dalla stampa nazionale, completo di fotografia e articolo di accompagnamento.



Tra il pubblico di Marquee c'era spesso la futura superstar David Bowie, a cui Ritchie presentò Jimi Hendrix.

Anche Pete Townshend, nella sua autobiografia del 2012 “Who I Am”, cita 1-2-3 come una delle band che vedeva più volentieri.

La morte di Brian Epstein, fondatore della NEMS, lasciò la band alle cure di Robert Stigwood, il suo successore. Ma Stigwood aveva appena messo sotto contratto i Bee Gees ed era impegnato totalmente nel portarli al successo. Ciò pose fine al rapporto con gli 1-2-3.

La band continuò a suonare nel circuito locale dei club londinesi e in un club di Ilford, nell'est di Londra, la band fu vista da Terry Ellis che li fece rapidamente firmare con la sua nuova agenzia rinominandoli Clouds.


CLOUDS

Originariamente conosciuta come agenzia Ellis-Wright, l'organizzazione crebbe e divenne Chrysalis. I Clouds erano saliti alla ribalta suonando in molti tour importanti, apparendo alla Royal Albert Hall e in molti dei principali luoghi di concerti del mondo, tra cui il Fillmore East di New York.

Durante questo periodo la band pubblicò un certo numero di album che furono generalmente molto ben accolti dalla critica, con vendite rispettabili.

Anche le recensioni dei concerti furono favorevoli. Una in particolare, realizzata da Billboard nel 1970 iniziava dicendo: "Questa band diventerà gigantesca!".

Ma nonostante qualche successo la Chrysalis concentrò sempre più la sua attenzione sui Jethro Tull e l’entusiasmo per gli 1-2-3 andò scemando.

Anche se la nuova conformazione del gruppo era molto interessante, diventò difficile trovare una nicchia favorevole in una scena progressive rock sovraffollata e il gruppo si sciolse nell'ottobre 1971.



Con il passare degli anni, tuttavia, fu la precedente incarnazione della band - gli 1-2-3 - che divenne oggetto di una rivalutazione critica.

Ritchie, l'organista, fu accreditato come il primo del suo genere, assumendo un ruolo da protagonista e aprendo la strada ad altri, come Keith Emerson e Rick Wakeman.

Con riconoscimenti di artisti del calibro di David Bowie, il caratteristico suono senza chitarra e guidato dalle tastiere della band è ora visto come precursore definitivo del movimento progressive rock.



Da riscoprire...


martedì 22 marzo 2022

The Guildmaster-"Liber de Dictis"

Uno dei tanti spin-off dei The Samurai of Prog prende il nome di The Guildmaster, progetto che assume visibilità a fine 2020, quando esce l’album "The Knight & The Ghost"(https://athosenrile.blogspot.com/2020/10/the-guildmaster-knight-ghost.html).

È in uscita un nuovo disco il cui rilascio è previsto prima di Pasqua.

Chi segue con costanza le produzioni della multinazionale del prog, basata in Finlandia ma capace di avvolgere musicisti del globo intero, sa perfettamente che le sorprese sono sempre dietro l’angolo, sia per la diversificazione della proposta che per la quantità, e guardando dall’esterno sembrerebbe che nessun evento della terra sia in grado di arrestare la vena prolifica di questi musicisti, con una qualità musicale pazzesca.

Difficile stabilire di volta in volta i connotati della lineup, ma pare che il nocciolo duro dei The Guildmaster abbia preso una forma ben precisa basata sui seguenti musicisti:

Alessandro Di Benedetti, tastiere, voci, composizione

Marco Bernard: Shuker Basso

Rafael Pacha, chitarre, strumenti vari, composizione

Kimmo Pörsti: batteria, percussioni, composizione 

E se parliamo di ausilio concreto, l’elenco dei collaboratori prevede nell’occasione i seguenti musicisti:

Marco Grieco, Evangelia Kozoni, Paula Pörsti, Jose Manuel Medina, Tommaso Fichele, Patrizia Grieco, Beatrice Birani, Manoel Macía, Carlos Espejo, Daniel Fäldt, Sara Traficante e Rubén Álvarez. 

Nomi noti e new entry per il “mondo Samurai”, ma resta invariata l’energia, e i cambiamenti messi in atto di volta in volta portano solo a trasformazioni positive.

La particolare diramazione dei TSoP rappresentata dai The Guildmaster si indirizza speditamente verso il folk rock, e questo nuovo album, "Liber de Dictis", ne è la conferma.

L’incipit ci arriva direttamente dalla band:

"L'album si basa su un ipotetico libro di detti popolari provenienti da tutta Europa. I detti sono la radice della saggezza popolare e della conoscenza di sé e delle diverse culture umane, non c'è paese o gruppo etnico che non possegga queste utili dosi di conoscenza, umorismo e filosofia.

Spesso offrono conforto, a volte ci aiutano a definire gli altri e noi stessi, o riflettono situazioni che abbiamo vissuto e sperimenteremo in qualche modo.

In questo album volevamo realizzare un caleidoscopio musicale, prendendo alcuni detti e suoni della tradizione folcloristica d'Europa collocandoli nel nostro tempo. Ci sono voluti tempo e lavoro, ma siamo orgogliosi del risultato ottenuto.

Questo secondo disco di The Guildmaster, ha iniziato a prendere forma un paio di mesi dopo l'uscita del primo lavoro, "The Knight & The Ghost", e l'idea è nata dalle nostre conversazioni (alcune infinite) via e-mail.

Quasi un anno dopo, all'inizio dell'autunno, Alessandro di Benedetti, già presente come compositore nel nostro precedente lavoro, ha preso il “comando” delle tastiere e ha iniziato a trasformare magistralmente il demo iniziale, fornendo un contributo fondamentale attraverso le proprie idee e il proprio cuore, oltre che la sua idea di musica".

Proviamo quindi ad analizzare il risultato, step by step… una sorta di guida all’ascolto.

Apre il breve strumentale (2:52) “A lo hecho, pecho” (metti il petto per quello che hai fatto), e il pensiero di Rafael Pacha, che ne è autore, ci aiuta a comprenderne il significato intrinseco:

L'essere umano, per sopravvivere, deve affrontare le conseguenze delle scelte fatte, buone o cattive, trovando il giusto atteggiamento che gli permetta di affrontare le difficoltà con il giusto spirito. Onore e resilienza, tanto per utilizzare un termine molto in voga in questo periodo. 

Un quadretto bucolico da sogno, tra natura e modi gentili, su cui interviene un’elettrica melanconica molto hackettiana: il viaggio ha inizio!


Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: Nyckelharpa (midi), zyther, flauti dolci, chitarra acustica ed elettrica

Kimmo Pörsti - batteria


Anche la seconda traccia è priva di liriche e vede lo stesso autore, R. Pacha. Il titolo è “A rey muerto, Rey puesto” (4:55).

Il concetto è quello da tutti conosciuto e si basa su di un detto che nella nostra lingua siamo soliti declinare come “morto un Papa se ne fa un altro”.

"Quando un re muore, ne mettiamo semplicemente un altro. Questo è un dato di fatto. Tutto il nostro ego e la devozione degli altri verso di noi cadono e scompaiono quando il grande equalizzatore, la morte, richiede il suo tributo. Ma dopo un breve, brevissimo, periodo di lutto, veniamo rapidamente sostituiti da un altro, perché nessuno è insostituibile".

Il pezzo presenta una decisa dicotomia, con una partenza quasi sacrale dettata dall’uso di strumentazione acustica, ma attorno al secondo minuto, dopo una marcetta da festa di paese, il basso di Bernard introduce il cambio di passo determinato da tastiere ad ampio respiro, una sorta di liberazione musicale e immaginifica che apre il cuore alla speranza. Emozionante.


Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: Crumhorns (midi), Frame drum, flauti dolci, nyckelharpa (midi), viola da gamba, Virginal (midi), chitarra elettrica.

Kimmo Pörsti: batteria

 

Con “Agora” (6:24) - musica e testo di Marco Grieco - inizia il cantato, quello della bravissima Evangelia Kozoni, che a tratti mi ha ricordato la Grace Slick di “White Rabbit”.

Dice l’autore a proposito della sua creazione:

Quando ho scritto "Agorà" ho pensato a quanto sia scontato per i greci ballare tutti insieme, abbracciati o mano nella mano, con turisti, compaesani e perfetti sconosciuti, nelle piazze dei borghi, quella che oggi sono la versione moderna dell'antica Agorà. L'altro aspetto che mi ha ispirato è relativo a quanto oggigiorno anche queste moderne Agorà si siano mosse online, sui social network, sui nostri smartphone, nell'illusione che qualsiasi emozione condivisa in rete possa trovare automaticamente una soluzione, un conforto, un ascolto. Sfortunatamente non è quello che succede nella maggior parte dei casi. "Agorà" racconta di questo divario tra passato, presente e ciò che sarà nel futuro, che dipende solo da noi”.

Canzone dall’atmosfera magnetica, dove vengono utilizzati strumenti della tradizione popolare locale (il bouzouki, il violino, la fisarmonica, le percussioni, il clarinetto) che riescono a creare la “piazza” festosa evocata dall’autore. Una vera festa tradizionale su cui si inserisce il modus prog, fatto di contaminazione, un termine che può anche significare completa inclusione, quella che Grieco auspica per il mondo intero attraverso la sua “Agorà”.


Marco Grieco: tastiere, fisarmonica, applausi

Evangelia Kozoni: voce

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: toumbeleki, tamburo a cornice, salterio hackbrett, bouzouki, mandolino, chitarre elettriche e acustiche

Kimmo Pörsti: batteria

 


A seguire “Manos frías, Corazón caliente” (5:42), ovvero “Mani fredde, cuore caldo”, altro strumentale di Pacha che così ne delinea il significato:

"In materia d'amore, ciò che conta è il cuore, tuttavia, per me esiste un secondo significato, molto tipico del carattere mediterraneo. Le emozioni e la loro espressione ed esperienza sono importanti per la nostra cultura, ma quando si svolge un compito preciso alla ricerca di un obiettivo la razionalità deve prevalere.

Esiste poi una terza componente concettuale e cioè l’immagine della mente che regola e al contempo suona...”.

Anche in questo caso le atmosfere ariose si miscelano alla tradizione e diventano suggerimenti per affrontare rapidi cambiamenti di umore.

Pacha propone uno schema ritmico pazzesco, da qualcuno definito come un “labirinto”, una vera chicca impossibile da incasellare nell’ortodossia dei generi.


Alessandro di Benedetti: Grand piano, keyboards

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: tamburo a cornice Peñaparda, chitarra classica, flauto dolce, fischietti, fisarmonica (midi), tabla, chitarra elettrica e acustica.

Kimmo Pörsti: batteria


La voce di Paula Pörsti fa capolino nel quinto brano, “Suruista tehty Soitto” (6:03), la cui traduzione dovrebbe essere “La musica è fatta di dolori”. Musica di Kimmo Pörsti (Arr. R.Pacha) e lirica di Pirkko Pörsti.

È il batterista che ci aiuta meglio a comprendere il testo:

Sebbene non sia un normale detto, cattura qualcosa di tipico della malinconia finlandese. La musica può sembrare triste o combinarsi con il dolore in qualche altro modo. Trasferire le percezioni e le diverse esperienze di tristezza delle persone nelle atmosfere sonore è molto complicato”.

Ritmo contenuto e andamento consono al racconto delle emozioni, quasi un angolo intimistico dove la voce di Paula si integra alla perfezione con le sonorità tra il sinfonico e il folklore. E l’associazione sonora che mi guida negli ascolti mi riporta al folk rock di fine anni ’60, quello dei Mellow Candle.

Delicato e carico di spleen.


Paula Pörsti: voce

Alessandro di Benedetti: grand piano, keyboards

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: chitarre acustiche ed elettriche

Kimmo Pörsti - batteria

 

A metà album troviamo “Agua pasada no mueve molino” (7:01), cioè “L'acqua passata non muove i mulini”, uno strumentale di Jose Manuel Medina che racconta:

È questo un detto molto comune nella zona della Spagna. Si riferisce al fatto che qualsiasi evento passato non dovrebbe distrarre il nostro sguardo verso il futuro. O in altre parole, le cose che sono già accadute non ci aiuteranno a risolvere quelle del presente e del futuro. Parte dalla tristezza causata dalla nostalgia e si evolve verso la speranza di trovare gli obiettivi per cui lottare. Sul sentiero presente e futuro troveremo delle sfide, ma saremo finalmente in grado di superarle se sapremo perseverare".

L’alternanza situazionale modifica la tensione da ascolto, ed è facile passare dalla danza leggiadra ad una dinamica da film, da rapida fuga ad arresto immediato, da marcetta militare a prog avanzato, un disegno emozionale che credo sia complicato da spiegare a parole.


Jose Manuel Medina - tastiere

Alessandro di Benedetti: tastiere

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: chitarra classica, flauti dolci, salterio, viola da gamba, chitarra acustica ed elettrica

Kimmo Pörsti: batteria, percussioni, chitarra elettrica.

 


E arriviamo a “La Música amansa a las fieras” (5:15) - “La musica calma la bestia”, di R. Pacha, che mette inevidenza il terzo vocalist del progetto, Alessandro di Benedetti.

"Il mito narra che Orfeo (musicista) sposò la ninfa Euridice, ma quando tornò da uno dei suoi viaggi scoprì che era morta, inseguita da un uomo che le fece calpestare un serpente che poi la uccise.

Orfeo scese all'Inferno per salvarla e per farlo dovette addormentare il Cerbero - il cane a tre teste - usando la sua musica.

I miti, così profondamente radicati nel Mediterraneo, erano necessari per creare le nostre culture e, quindi, chi noi siamo. La musica calma lo spirito". (R.Pacha)

Una bella sorpresa la voce cupa di Alessandro di Benedetti in un brano che, nella seconda parte, lascia spazio ad una lunga serie di arpeggi acustici, quelli utili a distrarre “la bestia” e a ricongiungere gli affetti.


Alessandro di Benedetti: pianoforte a coda, tastiere, voce solista e cori.

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: Virginal (midi), flauti dolci, chitarra acustica, mrindgam, viola da gamba, chitarra classica, chitarra portoghese di Coimbra.

Kimmo Pörsti: batteria

 

Nea Polis” (6:11) - una nuova Napoli - introduce Tommaso Fichele, vocalist che ci fa incontrare la tradizione napoletana. La musica e il testo sono di Marco Grieco con la trascrizione in lingua napoletana di Enzo Carro.

Racconta Grieco:

Un antico detto napoletano dice che… il sole uscì a mezzanotte e grazie a un imprevedibile colpo di fortuna, una situazione che sembrava disperata è stata risolta. Da qui nasce "Nea Polis". Ho immaginato di essere svegliato nel cuore della notte dalle grida della gente per strada, come se ci fosse una luce che entra in casa e illumina la notte. Così anch'io vado in strada e vedo che la gente è felice, che i ricchi aiutano i poveri, che tutti si aiutano a vicenda... e alla fine scopro che la luce che ha svegliato tutti non è stata un miracolo, ma semplicemente la luce del sole che sorge ogni mattina a Napoli, rendendola una città piena di speranza ogni giorno. Una "Nea Polis", appunto, come era una speranza per gli antichi greci che la fondarono”.

Grieco si inventa la tammurriata progressiva - strada che percorre da sempre Vairetti con i suoi Osanna - e realizza la convivenza tra una strumentazione tipica del luogo - ma giudicata erroneamente esclusiva nel pensiero comune - e quella che caratterizza il rock. In tutto si instaura una linea melodica che, se estrapolata, potrebbe trovar spazio persino nelle rotazioni radiofoniche. Musica italiana e melodia sono da sempre un tutt’uno.


Marco Grieco: tastiere

Tommaso Fichele: voce

Patrizia Grieco: tamburello napoletano

Beatrice Birani: tamburo a cornice, darbouka e castagnette

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: chitarre acustiche ed elettriche, mandolini, flauti dolci

Kimmo Pörsti: batteria

 


Il nono episodio si intitola “La primavera, la sangre altera” (4:23) - La primavera altera il sangue - altro strumentale di Pacha.

"La rinascita del mondo in primavera influenza tutta la vita. La dea Pasqua benedice con la sua fertilità, e tutto diventa procreazione.

Gli esseri umani si riuniscono per le feste di campagna, le risate e la musica crescono, anche se a volte cade un acquazzone, e le coppie cercano riparo”. (R.Pacha)

Non c’è bisogno di una particolare concentrazione per cogliere lo spirito enucleato da Pacha. Danze in mezzo alla natura, prati in fiore e una voglia di vivere, di rinascita, di serenità che mai come in questo periodo storico suggeriscono che la bella vita risiede nella semplicità e nella gentilezza espressiva. Meraviglioso!


Manoel Macía: chitarra barocca.

Alessandro di Benedetti: grand piano, keyboards

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: Virginal (midi), flauti dolci, Pipe in D(midi), tabla, chitarra acustica ed elettrica

Kimmo Pörsti: batteria e percussioni

Arriviamo quindi a “El perro del hortelano” (4:46) - Il cane del giardiniere - di R. Pacha, e la voce in questo caso è di Carlos Espejo.

"Si dice che il cane del giardiniere non mangia né lascia mangiare. Applicabile a persone che, a causa della loro frustrazione, non lasciano che gli altri si divertano, proprio come non si divertono loro.” (Pacha)

L’ispirazione dell’autore si rifà ad una danza rinascimentale spagnola del 500, in seguito diffusa in tutta Europa, denominata "Chacona".

Incredibile la capacità di integrare sonorità così specifiche - e caratteristiche di tempi lontanissimi - con archi prog settantiani, situazione quasi spiazzante quando esiste rigidità di pensiero e di ascolto.


Carlos Espejo, voce, applausi & "Jaleo"

Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: Venezuelan Cuatro, chitarra classica, flauti dolci, viola da gamba, Bodhran, Hackbrett psaltery, tabla, claps, cajon, chitarra acustica ed elettrica

Kimmo Pörsti: batteria

 

Young me, Old you” è il pezzo più esteso - 11:20 - di cui non serve traduzione. Musica e testi di Alessandro di Benedetti. La voce in questo caso è di Daniel Fäldt.

“In Italia c'è un detto che accosta un cavallo giovane ad un vecchio cavaliere. Significa che i giovani hanno bisogno dell'esperienza che solo un anziano saggio può dare loro.

Ripensando alla mia vita ho trovato il mio vecchio cavaliere in mio nonno, che mi ha parlato della guerra mentre camminavo sulla spiaggia, un mattino.

Il che mi ha spiegato perché mia madre è scappata in un'altra stanza quando abbiamo fatto brindisi e fatto scoppiare i tappi di champagne. Per lei quel rumore esplosivo significava il suono delle bombe, che sentiva da bambina nelle notti dei bombardamenti, dalle grotte del lago dove si rifugiavano.

Mio nonno mi ha insegnato a suonare a orecchio il pianoforte, anche se non ho mai voluto studiarlo. Questa canzone è dedicata a lui e a mia madre, sperando che ogni giovane di oggi abbia la fortuna di incontrare un vecchio cavaliere che possa aiutarlo ad affrontare la vita". (A. di Benedetti)

Struggente, cangiante, fuori da ogni standard di giudizio, capace di unire tra loro forti sentimenti, e se alla musica l’ascoltatore aggiunge le proprie esperienze personali la miscela che ne deriva porterà ad una malinconia persistente, assimilabile all’esperienza raccontata dall’autore.


Daniel Fäldt: voce

Rubén Alvarez: assolo di chitarra elettrica

Sara Traficante: Flauto

Alessandro di Benedetti: pianoforte a coda, tastiere, cori.

Marco Bernard: basso Shuker

Rafael Pacha: chitarre acustiche ed elettriche

Kimmo Pörsti - batteria

 

La conclusione dell’album è affidata a “Suruista tehty Soitto II” (3:06), musica di Kimmo Pörsti (Arr. R.Pacha). Non mi è chiara la traduzione dal finlandese ma nel titolo compare certamente il concetto di “dolore”, un sentimento forte affidato totalmente alla chitarra classica di Rafael Pacha.

Mi rendo conto che il commento ai lavori Bernard, Pörsti & friends mi inducono al testo prolisso, ma la cura e la dedizione con cui ci viene donata la loro musica determina una reazione uguale e contraria, ed entrare nei particolari, o almeno provarci, diventa imperativo.

Anche in questo caso ci troviamo al cospetto di musica sontuosa, che oltrepassa la necessità di creare facili etichette, con musicisti stratosferici che riescono a fornire il concetto reale di aggregazione… di qualità!

L’artwork, manco a dirlo, è del geniaccio Ed Unitsky.

La musica che arriva dal polo esteso finlandese, anche quando parte dall’elemento fantastico - dalla parabola, dal racconto della tradizione antica -, trova sempre contatto con la realtà. Ma per chi non sentisse la necessità di approfondire i testi, preferendo lasciar parlare la musica, basterà uno start, una stanza tranquilla, una mente libera, per iniziare un viaggio immaginifico su cui poter tornare a piacimento, ogni volta che si vorrà/potrà.

So per certo che molta altra musica targata “Samurai” sta per arrivare… rimanete sintonizzati!



Registrato nel 2021 - 2022

Prodotto da Marco Bernard, Kimmo Pörsti e Rafael Pacha

Mixato e masterizzato da Kimmo Pörsti

Opera di Ed Unitsky: www.facebook.com/Ed.Unitsky.fanpage

Info@seacrestoy.com




domenica 20 marzo 2022

The Troggs


The Troggs è stato un gruppo musicale rock britannico formatosi nel 1964.
La band è celebre per aver pubblicato singoli di successo quali Wild Thing, With a Girl Like You e Love Is All Around.

I Troggs, poco dopo la loro nascita, vengono “assegnati” al manager dei Kings Larry Page, nel 1965, e pubblicano per la Page One Records, con cui debuttano con il singolo “Lost girl”.
Il più grande successo è però "Wild thing" che raggiunge il secondo posto in patria e il primo negli Stati Uniti nel 1966.

Sempre nello stesso anno viene realizzato l’album di debutto From Nowhere

 

Formazione storica:

Reg Presley (vero nome: Reginald Maurice Ball), nato il 12 giugno 1941 a Andover e morto il 4 febbraio 2013 a Andover - voce principale (1964-2012)
Dave Wright (David Frederick Wright), nato il 21 gennaio 1944 a Winchester e morto il 10 ottobre 2008 - voce, seconda chitarra e violino (1964-1974)
Chris Britton (Charles Christopher Britton), nato il 21 gennaio 1945 a Watford - prima chitarra (1964-presente)
Pete Staples (Peter Lawrence Staples), nato il 3 maggio 1944 a Andover - basso (1964-1969)
Ronnie Bond (Ronald James Bullis), nato il 4 maggio 1940 a Andover e morto il 13 novembre 1992 a Winchester - batteria (1964-1984)

Altri musicisti
Tony Murray (Anthony Murray), nato il 26 aprile 1943 a Dublino - basso (1969-1977)
Jo Burt, (1977-1979), basso
Dave Maggs, (1984-presente)



Discografia:

Album in studio
1966 - From Nowhere... The Troggs
1966 - Wild Thing
1966 - Trogglodynamite
1967 - Cellophane
1968 - Love Is All Around
1968 - Mixed Bag (album The Troggs)
1970 - Contrasts
1975 - Troggs
1982 - Black Bottom
1990 - AU
1992 - Athens Andover
1996 - Athens, Georgia & Beyond
Live
1970 - Trogglomania
1981 - Live at Max's Kansas City


mercoledì 16 marzo 2022

IL GIRO STRANO: LA VERA STORIA


Nell’ottobre scorso Black Widow Records ha pubblicato un nuovo progetto che riporta indietro le lancette dell’orologio di circa mezzo secolo.

Il Giro Strano - composto da musicisti di Savona e dintorni - abbinò passioni e competenze musicali, ma non riuscì mai a “sfondare” e a pubblicare un album, anche se del loro lavoro rimasero registrazioni che, seppur di bassa qualità - vista la tecnologia disponibile - raccontano la storia dell’epoca all’interno di un contesto stimolante.

Probabilmente fare parte della “periferia italiana” incise negativamente sugli esiti del loro percorso, e la titubanza di fronte alla richiesta di trasferimento nella capitale da parte del discografico di turno potrebbe aver rappresentato l’occasione della vita persa, ma non essendoci controprove limitiamoci ai fatti oggettivi, avendo bene in memoria che sono innumerevoli le band che non riuscirono a lasciare tracce discografiche, magari arrivate con un fatale attimo di ritardo, trovando poi soddisfazione nel nuovo millennio.

Nel 1992 la Mellow Records ha pubblicato “La Divina Commedia”, comprendente registrazione del 1972-73, mentre nel 1993 la stessa etichetta inserisce Il Giro Strano nella compilation “Progressive Voyage”. 

Ora BWR rilascia “Il Pianeta della Verità”, progetto sontuoso disponibile nelle seguenti versioni: 

- Doppio Lp - copertina apribile + libretto 24 pagg. versione “standard”

- Doppio Lp - copertina apribile “Unipack” con disegno “nativo” di Armando Mancini e interno differente + libretto 24 pagg. + Poster + compact Disc – versione limitata 100 copie

- Compact Disc

 

A breve pubblicherò su questo spazio il mio commento, ma lo anticipo con una storia appassionante per gli amanti della musica, per i più antichi e in genere per i savonesi, quelli giovani all’epoca.

Non ho alcun merito in tutto questo perché mi sono limitato a copiare il testo del booklet, un iter evolutivo che ho in parte vissuto dall’esterno, da osservatore adolescente, e che ora, finalmente, trova la fermatura del cerchio.

 

IL GIRO STRANO

LA VERA STORIA

 

IL ROCK PROGRESSIVO A SAVONA

È opportuno premettere che in questo riassunto sono sintetizzati i percorsi di musicisti che abbiano costituito gruppi progressive con materiale pubblicato e costituiti solo da elementi della provincia savonese. Sono quindi per esempio esclusi altri gruppi minori di impostazione non propriamente ascrivibile al genere o anche importanti, ma non direttamente collegati a questo specifico “albero genealogico”.

 

The Tramps 

Era l’autunno del 1968 quando due studenti del locale liceo classico, Alessio Feltri e Mario Alessi, decisero di dare vita ad un gruppo musicale per partecipare agli allora assai frequenti concorsi studenteschi per complessi musicali. Essendo l’uno tastierista e l’altro chitarrista e cantante, chiamarono alla batteria Giovanni Guazzotti, detto “Peo”, alla chitarra solista Alessandro della Rocca e al basso Paolo Sacchetti, tre giovani musicisti alle prime armi.

In pochi mesi il gruppo, col nome prima di “The Alex” e poi di “The Tramps”, vinse tutti i concorsi a livello locale cui partecipò e arrivò al primo 45 giri con un’etichetta minore milanese incidendo i brani “Oscurità” e “Le luci dell’aurora”.

Nel periodo successivo il gruppo, originariamente contraddistinto da influenze

beatlesiane con un pizzico di Procol Harum, attraversò un periodo di crisi che culminò con la fuoruscita di Paolo Sacchetti, sostituito al basso da Mario Alessi. In quel periodo fu poi decisivo l’incontro con Frank Lone, specialista italo-inglese di fingerpicking, che portò il gruppo ad un repertorio molto specializzato, completamente indirizzato verso il blues bianco, tanto che il gruppo mutò il nome originale in “Frank Lone & The Tramps Blues Band”. Purtroppo, l’esperimento, perfettamente riuscito sul piano musicale, si rivelò un completo disastro sotto il profilo economico, portando il gruppo allo scioglimento nell’autunno del 1969.

Come si nota c’era ancora confusione tra il nome “The Alex” e il nuovo “The Tramps”


Line-up del 1968, da sinistra a destra nei disegni di copertina del 45 giri: 

Mario Alessi (chitarra ritmica e voce)

Alessio Feltri (tastiere)

Alessandro della Rocca (chitarra solista)

Paolo Sacchetti (basso)

Giovanni “Peo” Guazzotti (batteria)

  

Voodoo

In quel periodo Daniele Frumento, bassista specializzato in genere dancing, aveva deciso di riunire in una sorta di supergruppo R&B tutti i migliori musicisti della zona, per cui chiamò alle tastiere Alessio Feltri e alla batteria Delio Sismondo, proveniente dai “Rogers” con cui aveva avuto lusinghiere esperienze discografiche. Arrivarono poi un cantante, un chitarrista ed una sezione fiati.


Line-up del 1969/70: 

Gino Baiocchi (voce)

 Alessio Feltri (tastiere)

Valentino Vecchio (chitarra)

 Daniele Frumento (basso)

 Delio Sismondo (batteria)

Mariano Maio (sax e flauto)

 Armando Olivieri (tromba)

 

Con il nome di “Voodoo” il gruppo ebbe un notevole successo esibendosi come attrazione nei migliori locali dell’Italia settentrionale, cosa che tra l’altro permise ai suoi elementi di suonare accanto a diversi gruppi importanti, quali i Nomadi, I Profeti, Le Orme e The Trip, il cui leader era tra l’altro un altro savonese, Peppino “Joe” Vescovi.

Nel corso del 1970 ci fu una variazione nella formazione, cosa per altro molto comune a quei tempi. Alla chitarra subentrò Renato Barra e alla batteria Teresio Viglierchio.

Line-up del 1970/71, da sinistra a destra nella foto: 

Gino Baiocchi (voce)

Armando Olivieri (tromba)

Mariano Maio (sax e flauto)

 Alessio Feltri (tastiere)

 Teresio Viglierchio (batteria)

 Renato Barra (chitarra)

 Daniele Frumento (basso) 

L’esperimento “Voodoo” terminò nell’estate del 1971, quando alcuni dei musicisti citati in precedenza decisero di dare vita ad un gruppo nuovo, che potesse sintetizzare le esperienze vissute in quegli anni attraverso una proposta musicale autenticamente originale.


One Way

Mentre Alessio Feltri faceva le sue esperienze con i Voodoo, altri due orfani dei Tramps, Giovanni “Peo” Guazzotti e Alessandro della Rocca, insieme al bassista Mario Pignata e al chitarrista Paolo Donisi ex-Anime Nere, diedero vita ad un nuovo gruppo, “One Way”, di stampo prettamente hard-rock.

Causa il precoce abbandono di Donisi, il gruppo si trasformò ben presto in un trio, con un repertorio imperniato su cover di Jimi Hendrix e Cream. In seguito all’abbandono anche di Alessandro della Rocca, Valentino Vecchio, fuoruscito dalla prima edizione dei Voodoo, il bassista Riccardo Gabutti e il cantante Ennio “Reda” Restagno completarono la rosa definitiva dei One Way:

Valentino Vecchio (chitarra)

Mario Pignata (basso)

Riccardo Gabutti (basso)

Giovanni “Peo” Guazzotti (batteria)

Ennio “Reda” Restagno (voce)

Il gruppo aveva un repertorio imperniato su cover di Deep Purple, Black Sabbath, Cream ecc. ed era caratterizzato da grande energia scenica, grazie anche alle performances di Reda e all’espediente di usare due bassi. Però il limite, comune a molte band dell’epoca era la mancanza di produzione propria, per cui fu contattato Alessio Feltri, che era vicino ad interrompere la sua collaborazione con i Voodoo.

Non deve sfuggire il particolare che One Way annoverava a quel punto ben quattro dei musicisti che a vario titolo avrebbero in seguito fatto parte del Giro Strano.

Inizialmente si cercò di trovare un nome al nuovo progetto attraverso la traduzione italiana di One Way, ma poi si decise che “Senso Unico” si prestasse a doppi sensi non proprio lusinghieri, per cui si ripiegò su un più ambientalista “Fall Out”. In seguito, con l’ingresso di Mariano Maio e del cognato Mirko Ostinet, cominciò a prendere forma il nucleo iniziale de Il Giro Strano.


Il Giro Strano

Mario Pignata ex-One Way, Peo Guazzotti ex-Tramps come Alessio Feltri, a sua volta ex-Voodoo insieme a Valentino Vecchio e Mariano Maio, diedero vita al nucleo originale del “Giro Strano”, cui poi si aggregò in qualità di voce solista Mirko Ostinet, tra l’altro cognato di Mariano Maio.

Secondo il costume dell’epoca il gruppo si riunì in una sorta di “comune” con l’obiettivo dichiarato di raggiungere il massimo livello tecnico possibile. Dopo lunghi periodi di studio in “ritiro” presso isolate località montane ed alcune esibizioni in pubblico, sull’onda dei primi successi il gruppo arrivò nel dicembre 1971 al gran giorno del provino discografico alla RCA di Roma, dove si trovò a dover sostenere un testa a testa con un gruppo di figli d’arte, "Il Ritratto di Dorian Gray", che furono loro preferiti.


In seguito, dopo la sostituzione alla batteria di Peo Guazzotti con un altro ex-Voodoo, Delio Sismondo, anche Mario Pignata lasciò il gruppo, sostituito al basso da Riccardo Gabutti, anch’egli ex-One Way. Il gruppo pervenne così nel 1972 ad un nuovo assetto, con cui decise di proporsi al pubblico e agli addetti ai lavori.

Dopo una mancata partecipazione nel mese di maggio al festival pop di Villa Pamphili a Roma, dovuta ad inconvenienti organizzativi, arrivò nel mese di settembre la grande occasione, con il primo Pop Meeting di Genova, tenutosi al Palasport. Il Giro Strano ebbe un grande successo nonostante la presenza di gruppi molto quotati, quali Amon Duul, Capsicum Red, Jet e via dicendo.

In seguito, Mario Pignata riprese il proprio posto in tempo per completare il repertorio originale, dei cui brani restano alcune registrazioni in studio ed altre ottenute artigianalmente.

Nel corso del 1973 al gruppo fu chiesto di trasferirsi a Roma per continuare il lavoro, ma la mancanza di presupposti economici impedì la realizzazione di questa eventualità, per cui il solo cantante Mirko Ostinet si trasferì a Roma iniziando una carriera da solista, per altro di breve durata. In seguito all’accaduto il gruppo si sciolse e i vari componenti si incamminarono per nuove strade, andando a risiedere quasi tutti a Londra.

 

Corte dei Miracoli

Contemporaneamente all’esperienza del Giro Strano, due fondatori del nucleo originario dei Tramps, Mario Alessi e Alessandro della Rocca, avevano dato vita ad un nuovo gruppo insieme al tastierista Michele Carlone ed al giovanissimo Flavio Scogna, batterista emergente. Alessio Feltri, altro ex-Tramps, fu chiamato per completare un progetto che affrontasse le problematiche del rock romantico attraverso un largo uso delle tastiere: nacque così la “Corte dei Miracoli”. Si fece un grande sforzo artistico e organizzativo, tanto che fu allestito uno spettacolo di grande impatto scenico sorretto da un repertorio completamente originale e fu acquistato un gigantesco impianto di amplificazione (DAVOLI/JBL/ALTEC), identico a quello degli “Area”, gruppo all’epoca molto noto.


Il successo fu immediato, tanto che quasi subito Mario Alessi e Alessandro della Rocca abbandonarono il gruppo, non potendo per varie ragioni intraprendere un’attività prettamente professionale in ambito musicale. Arrivarono così da Millesimo Gabriele Siri al basso e da Savona Graziano Zippo, cantante solista, mentre si decise di rinunciare all’impiego di un chitarrista. Autore dei testi era Mauro Scogna, fratello di Flavio.

In questa formazione (Feltri-Carlone-Scogna-Siri-Zippo) il gruppo si esibì in svariate occasioni, partecipando tra l’altro ad un fortunatissimo tour insieme a Edoardo Bennato, The Trip, Biglietto per l’Inferno, Dedalus.

Tra il 1974 ed il 1975 gli impegni aumentarono vertiginosamente e, proprio alla vigilia della registrazione del primo LP presso lo Studio G di Vittorio de Scalzi, Michele Carlone lasciò il gruppo, sostituito da uno dei migliori pianisti jazz italiani, il savonese Riccardo Zegna.

Dopo la registrazione dell’LP il gruppo fece ricorso ad un nuovo elemento alla chitarra, Valerio Piccioli, savonese noto per aver collaborato come turnista con i più famosi nomi del circuito milanese, Battisti, Celentano, I Ribelli ecc.

Nel frattempo, però, i tempi si stavano facendo duri per i gruppi progressive, per cui la nuova formazione (Feltri-Zegna-Piccioli-Scogna-Siri-Zippo) portò a termine i vari impegni fino allo scioglimento, avvenuto nell’agosto del 1976.

In seguito all’accaduto Zegna ritornò alla consueta attività jazzistica, Zippo abbandonò l’ambito musicale e Scogna intraprese la carriera di compositore di musica cameristica contemporanea.


Il Giro Strano (remake) 

Nel 1977 alcuni elementi ex-Corte dei Miracoli ed ex-Giro Strano si riunirono così in una nuova edizione del Giro Strano con la seguente formazione: Alessio Feltri-tastiere, Delio Sismondo-batteria, Gabriele Siri-basso, Valerio Piccioli-chitarra, Rosanna Saettone e Cinzia Moscato-vocals.

Le precedenti esperienze avevano però lasciato nei musicisti una notevole sfiducia nell’accoglienza da parte del mercato di temi progressivi, per cui furono tentate strade più “commerciabili” attraverso riarrangiamenti di brani famosi e la composizione di brani più vicini all’ormai imperante genere “dance”.

Si avviò così un processo involutivo che culminò con un nuovo scioglimento del gruppo agli inizi del 1978.


CDM 

L’ultima esperienza del genere si ebbe tra il 1978 ed il 1979 quando Alessio Feltri, insieme al bassista Silvio Melloni ed al batterista Mauro Biglietto, poi sostituito da Beppe Aleo, diedero vita a CDM, un gruppo “E.L.P.-like” che concretizzasse il meglio della produzione successiva allo scioglimento della Corte dei Miracoli.

La strana sigla CDM trova la sua curiosa giustificazione nel fatto che Alessio Feltri, dopo lo scioglimento della Corte dei Miracoli, aveva quella sigla ancora stampigliata sulle custodie della propria attrezzatura, per cui si decise di usarla come nome del gruppo.

Alcuni brani del repertorio CDM furono successivamente inseriti nella compilation “Progressive Voyage”, sotto l’erronea denominazione di Corte dei Miracoli.

Anche quest’ultimo tentativo finì comunque per esaurirsi, nonostante fossero stati conseguiti risultati molto interessanti, per cui, all’alba degli anni ‘80, in seguito ad una vera e propria “diaspora” di quasi tutti i musicisti nominati, il movimento progressive savonese chiuse definitivamente questo capitolo.


IL GIRO STRANO – GLI STRUMENTISTI 

Come citato nel capitolo precedente il periodo storico del Giro Strano va dal luglio 1971 all’aprile 1973. In quel lasso di tempo si sono alternate varie formazioni, qui riassunte in sintesi:

LINE-UP 1 (LUGLIO 1971-MARZO 1972) 

1. Mirko Ostinet - voce

2. Mariano Maio - sax, flauto

3. Valentino Vecchio - chitarra

4. Alessio Feltri - tastiere

5. Mario Pignata - basso

6. Giovanni “Peo” Guazzotti – batteria

 

LINE-UP 2 (APRILE 1972-OTTOBRE 1972) 

1. Mirko Ostinet - voce

2. Mariano Maio - sax, flauto

3. Valentino Vecchio - chitarra

4. Alessio Feltri - tastiere

5. Riccardo Gabutti - basso

6. Delio Sismondo – batteria

 

LINE-UP 3 (NOVEMBRE 1972-APRILE 1973)

1. Mirko Ostinet - voce

2. Mariano Maio - sax, flauto

3. Valentino Vecchio - chitarra

4. Alessio Feltri - tastiere

5. Mario Pignata - basso

6. Delio Sismondo – batteria


 ALESSIO FELTRI – TASTIERE (1971-1973)

Alessio è stato il motore principale e coordinatore musicale del Giro Strano. Il suo stile di quei tempi è inconfondibile. Alessio riuscì a combinare gli stili musicali di Keith Emerson (Emerson Lake and Palmer) e di John Lord (Deep Purple) dando al gruppo il suono del rock progressive di allora.


STRUMENTAZIONE:

Organo Hammond L-122 S

Amplificatore Leslie Hammond L-122

Sintetizzatore Davolisint

Professional Piano Farfisa

Amplificatore Fender Super-Reverb


 VALENTINO VECCHIO – CHITARRA (1971-1973)

L’estro e l’umorismo artistico di Valentino hanno un notevole peso nel suono del Giro Strano. Le sue influenze musicali sono evidenti nel suo stile che combina le ritmiche e le svisate alla Jimmy Page (Led Zeppelin) e alla Ritchie Blackmore (Deep Purple).

STRUMENTAZIONE:

Chitarra Gibson "Les Paul"

Amplificatore Davoli Dixteffect


MARIANO MAIO – SAX E FLAUTO (1971-1973) 

Lo chiamavano Marietto perché era basso di statura, ma aveva un grande talento nel suonare i saxofoni e il flauto. Le sue principali influenze musicali sono riconoscibili in Paul Desmond e John Coltrane in ambito jazz e in Ian Anderson (Jethro Tull) e Dick Heckstall-Smith (Colosseum) nel progressive.

Sax tenore Ramponi-Cazzani, impiegato nella prima edizione del Giro Strano



Strumentazione: 

Sax tenore Selmer

Sax alto Köln (anno 1914)

Flauto Ramponi-Cazzani mod. Studente


MIRKO OSTINET – VOCE (1971-1973)

Mirko, oltre alla grande presenza scenica, aveva una vocalità interessante e molto potente. Il suo stile è indubbiamente legato a Robert Plant dei Led Zeppelin ma, mentre Plant usava molto il falsetto, Mirko cantava le note alte da falsetto in voce piena.


STRUMENTAZIONE: 

 P.A. Montarbo 455 200w con 2 colonne mod. 299

Microfono Shure Unidyne


MARIO PIGNATA – BASSO (1971-1972 / 1972-1973)

Preciso e melodico. Il musicista a cui Mario si ispirava a quei tempi era Jack Bruce, bassista dei Cream. Nelle registrazioni è evidente come le line di basso che suona Mario siano il pilastro principale che regge tutta la struttura ritmica e musicale di ogni brano.


Strumentazione:

 Basso Fender Precision

Amplificatore Marshall 100 W


DELIO SISMONDO – BATTERIA (1972-1973) 

Delio iniziò la sua carriera nel 1963 col tastierista Joe Vescovi, in seguito approdato nei Trip. Al suo attivo un’esperienza discografica di successo con i “Rogers”.

Il suo stile è inconfondibile: aggressivo e intricato. Il suo modo di suonare la batteria nei brani del Giro Strano ricorda molto lo stile rock di Carmine Appice dei Vanilla Fudge. Si sente anche un’influenza jazz d’avanguardia del famoso batterista Max Roach.


STRUMENTAZIONE: 

Batteria Rogers

Piatti Zildyan


RICCARDO GABUTTI – BASSO (1972)

Riccardo ha sempre amato la musica e il suo stile nel rock del Giro Strano (ispirato a Tim Bogert dei Vanilla Fudge) combaciava perfettamente con quello che suonava Delio alla batteria.


STRUMENTAZIONE:

 Basso Gibson EB3

Amplificatore Marshall 100 W


GIOVANNI “PEO” GUAZZOTTI – BATTERIA (1971) 

Musicista attento alle nuove tendenze ed in continua ricerca del proprio miglioramento, sia artistico che personale. All’influenza blues-rock degli inizi ha poi aggiunto segni jazzistici, ma sempre con misura. È stato determinante nella nascita sia dei Tramps che del Giro Strano.



STRUMENTAZIONE: 

Batteria Ludwig Hollywood

Piatti Zildyan



LO STILE DEL GIRO STRANO 

Leggendo delle varie influenze musicali è abbastanza facile desumere da dove le idee del Giro Strano siano scaturite. Si parla del fior fiore della musica rock e rock-progressive, a cui si sono sovrapposte le idee musicali originali dei musicisti savonesi, che hanno saputo sublimare le varie influenze individuali per fonderle in un unico stile nuovo ed eccitante per l’epoca.

Sotto il profilo stilistico la sezione ritmica era largamente influenzata da studi jazzistici, al pari dell'unico fiato della formazione, mentre gli altri strumentisti erano chiaramente più orientati a tematiche progressive. Nonostante le premesse però ne scaturì uno stile solido e preciso, sorretto da un virtuosismo tecnico non comune.

I brani furono depositati alla SIAE come composti da Feltri-Maio-Sismondo in quanto gli altri musicisti non erano iscritti, ma, a dire il vero, spessissimo in fase di composizione e ancor più sovente in fase di arrangiamento, era l'intero gruppo che partecipava attivamente alla nascita dei pezzi.

Un caso emblematico fu quello de “La Divina Commedia”, un brano che avrebbe dovuto rappresentare la spina dorsale di un album “concept”, idea che non fu poi possibile realizzare compiutamente. Il brano era diviso in 4 movimenti, ognuno composto da uno o più differenti membri del gruppo.

Autore della quasi totalità dei testi era Mirko Ostinet, cantante purtroppo scomparso prematuramente nel 1983. La formulazione iniziale fu in lingua inglese e solo successivamente si addivenne ad una traduzione in lingua italiana.

Le composizioni musicali erano in ogni caso inscindibili dai testi, con i quali ricercavano l'unitaria espressione di un comune linguaggio, spesso in bilico tra l’ermetismo e la denuncia sociale.

 

LE REGISTRAZIONI

Purtroppo, il Giro Strano può annoverare solo due brani registrati in uno studio professionale. La maggior parte del materiale ancora disponibile consta di registrazioni amatoriali, effettuate nel corso delle sessioni di prova del gruppo.

Per comodità di classificazione è utile riferire le registrazioni alle tre formazioni base di cui si è parlato nel capitolo dedicato agli strumentisti, che si possono convenzionalmente identificare con le sigle GS1, GS2 e GS3.

 

GS1

Le registrazioni del 1971 (primo periodo del Giro Strano) furono effettuate su audiocassetta con l’ausilio di un mangianastri portatile ed avevano l’esclusiva funzione di promemoria, in un periodo in cui si stava elaborando un repertorio ancora tutto da definire. È quindi inevitabile che la qualità di registrazione sia scadente e che neppure con la tecnologia disponibile oggi sia possibile effettuare miglioramenti sostanziali.

I brani vanno comunque citati, se non altro per la loro validità “storica”. 

 IL CALVARIO 2:10 Testo italiano

LA TRASMUTAZIONE parte I 2:06 Strumentale

 LA TRASMUTAZIONE parte II 5:27 Testo italiano

 SUNSHINE? SUNSHINE! 3:30 Testo inglese

 LO STRANO GIRO 2:50 Strumentale

 SINCE I’VE BEEN LOVING YOU 6:56 Cover del brano dei Led Zeppelin

 

GS2

Nel 1972 le registrazioni furono effettuate utilizzando un registratore stereofonico a 4 piste GRUNDIG TK 248 Hi-Fi su nastro SCOTCH 215 Superlife a velocità 9,5 cm/s. La qualità fu pesantemente condizionata dalle ridotte dimensioni del locale di prova e dal suo insufficiente assorbimento acustico.

Tutti i brani furono registrati “live” senza sovra incisioni, fatta eccezione per i primi 15 secondi de “La Divina Commedia”, in cui fu effettuato un esperimento di sovra incisione, da ascoltarsi mediante il canale 1-2 del registratore stereofonico. Tutte le altre registrazioni sono da ascoltarsi con la normale riproduzione stereo.

In tutti i brani compare al basso Riccardo Gabutti, che aveva temporaneamente sostituito Mario Pignata.

Due brani per così dire di transizione tra il vecchio ed il nuovo repertorio furono registrati solo in lingua inglese e cioè: 

 YOU’RE GONNA FIND 3:22

 SHADOW OF A DREAM 5:07 Inserito nella già citata “Progressive Voyage”

 

Dei brani più significativi del gruppo esistono invece sia la versione inglese che italiana:

 LA DIVINA COMMEDIA (14:08) include:

a) INFERNO (4:22)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

b) A RIVEDER LE STELLE (0:34)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

c) PURGATORIO (3:52)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

d) PARADISO (5:20)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992 

Il brano, diviso in quattro movimenti, è una personale interpretazione del capolavoro dantesco. Dopo un riff iniziale in 5/4, le varie parti si alternano senza soluzione di continuità, a simboleggiare i vari gironi infernali attraverso l’uso di stilemi di impronta medioevale, però rivisitati in chiave progressive-rock. Nell’ultimo movimento, il Paradiso, l'atmosfera è stata resa in modo particolare sotto l'aspetto musicale, essendo il testo velatamente ermetico.

- IL PIANETA DELLA VERITA’ (6:34)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

Il pezzo inizia con la simulazione della partenza di un'astronave, preceduta da un conto alla rovescia. La parte centrale è importante per la corrispondenza biunivoca che stabilisce col testo.

- IL VECCHIO OLDSEA (8:20)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

Questo brano, caratterizzato da un testo efficace e assai delicato, alterna soffusi momenti acustici a vigorose pennellate di suono, che, nella parte centrale, sconfinano in un episodio vagamente "free".

- IL TREDICESIMO TRANSISTOR (11:36)-Il pezzo ha i suoi punti focali nel riff a 7/8 e negli effetti di organo che simboleggiamo la distruzione della Terra.

-IL CORRIDOIO NERO (10:55)-Il brano, oltre a presentare notevoli difficoltà dal punto di vista puramente esecutivo, è forse quello più rappresentativo dello stile del complesso, essendo una spontanea fusione di improvvisazione e di rigore compositivo.

Degli ultimi due brani verrà effettuata in seguito una registrazione in studio che, ad onta di una logicamente migliore qualità tecnica, non rappresenta compiutamente l’energia esecutiva che è possibile ritrovare in queste prime versioni.

 

GS3

Dopo il ritorno al basso di Mario Pignata, nel dicembre 1972 vennero effettuate due registrazioni professionali presso lo studio AIMA di Firenze, fonico Giuliano Giunti. Di questo materiale rimane una copia del mixaggio originale su nastro BASF LR56 38 cm/s.

- IL TREDICESIMO TRANSISTOR (12:19)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

- IL CORRIDOIO NERO (11:52)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992

 

Contemporaneamente, usando il Grundig TK248 come in precedenza, fu registrata in sala prove una jam-session di quelle che il gruppo utilizzava per trovare nuove idee che potessero poi entrare a far parte del repertorio:

 

- GIRO IN GIRO 27:30

 

DISCOGRAFIA 

IL GIRO STRANO - La Divina Commedia CD 1992 MELLOW RECORDS MMP107

COMPILATION - Progressive Voyage CD 1993 MELLOW RECORDS MMP164


Un assaggio sonoro, in attesa del mio commento abbinato all'ascolto dei brani...