Il concerto dei
Genesis di sabato 26 marzo a Londra, alla 02 Arena, passerà alla storia
per essere stato l’ultimo della vita per Phil
Collins.
I suoi 71 anni
non sarebbero poi molti di questi tempi, ma gli interventi chirurgici subiti
alla schiena non gli consentono più di suonare.
Il suo commento
sardonico, rilasciato al Mirror online è stato: "Ora dovrò trovare un
vero lavoro!".
I Genesis non
suonavano in concerto da 14 anni, e l’annuncio della reunion per il The Last
Domino Tour - anche se molte date erano state cancellate per il Covid -
aveva suscitato grande entusiasmo tra i fan.
È bene sottolineare
come i Genesis in questione non siano quelli stellari che prevedevano in formazione
Peter Gabriel (voce) e Steve Hackett (chitarra), da tempo impegnati in proprio con
successo, ma il nome “Genesis” produce in ogni caso effetti certi e reazioni
positive.
Della
formazione antica, oltre a Phil troviamo oggi - meglio dire ieri... - Tony Banks alle tastiere e Mike
Rutherford a chitarra e basso... mica roba da ridere!
Impietose le
immagini che hanno immortalato Collins durante il tour, il batterista capace di
suonare al Live Aid inglese del 1985 tra Londra e Filadelfia, l’uomo simbolo
del ritmo e, da quel momento, della probabile ubiquità!
Debole,
affaticato, sempre seduto, impossibilitato nel trovare il conforto di un
semplice bastone atto alla deambulazione.
"Non
faccio niente - aveva spiegato qualche tempo fa al Guardian -. Non mi
alleno a cantare a casa, per niente. Le prove sono la pratica. La mia salute
cambia le cose, fare lo spettacolo seduto cambia le cose".
In
un'intervista alla BBC aveva raccontato il suo disagio, ovvio, e il suo sogno,
quello di potersi esibire con il figlio Nicholas: "Mi piacerebbe
suonare con lui sul palco, ma riesco a malapena a tenere una bacchetta in mano",
aveva ammesso.
Per quanto ci è
dato di sapere Collins inizia a soffrire nel 2009, quando subisce uno
schiacciamento delle vertebre a causa della posizione in cui ha suonato per
anni la batteria, una sorta di malattia professionale in ambito musicale.
È di quel
periodo il primo intervento chirurgico a cui fa seguito quello del 2015, ma il
quadro generale parla di lesioni ai nervi con complicanze varie: diabete,
pancreatite acuta, e una brutta caduta nel 2017 in cui batté la testa e che lo
costringe a sospendere i live in corso.
Superfluo
ricordare la storia di Phil Collins, gioia e dolore per gli amanti dei Genesis,
molti dei quali non gli hanno mai perdonato la svolta pop della band di cui fu il principale protagonista, diventando soprattutto vocalist, lasciando sempre più
spesso le bacchette a terzi e tuffandosi con impeto, appena possibile, verso
una luminosa e milionaria carriera da solista.
Ma per chi lo
ha conosciuto come drummer dei Genesis, a partire da “Nursery Cryme” in
poi, Phil resterà per sempre il batterista della band, e vederlo impossibilitato
nello svolgere quel ruolo primario rappresenta l’elemento più triste della
storia.
Compie gli anniTony Banks, nato il27marzodel1950,tastierista, compositore e
polistrumentista britannico.
Diventato celebre neiGenesis,è considerato uno dei migliori
musicisti del panorama musicale mondiale. Ha studiatopianofortefin dall'infanzia ed è stato amico diPeterGabrielben prima di cominciare con lui la
carriera artistica, allaCharterhouse
School.
Abilissimo tastierista, può considerarsi a giusto diritto "la
mente occulta" dei Genesis: pur non mettendosi mai in mostra, ha infatti
firmato molte delle più belle e famosemusichedel gruppo dandogli l'impronta che lo
ha reso celebre. Soprattutto nel periodo "storico" degli anni
Settanta la sua autorità in sala di incisione era indiscussa. Di lui si
ricordano fantastici assolo in alcuni dei brani più celebri dei Genesis come
"The Cinema Show" o "Firth or Fifth".
Viene
da molti ritenuto l'antidivo per eccellenza; molto schivo, di lui si ricordano
pochissime interviste e, al contrario di moltestardel
rock, non ha mai fatto parlare di sé per motivi legati a scandali o
comportamentisregolati, veri o
presunti.
Ho un
ricordo personale importante, legato ai Genesis e quindi a Banks, che riguarda
un vecchio concerto del3
febbraio 1974.
Il gruppo era a quei tempi al top, con la formazione migliore, e ricordo ancora
oggi con emozione l’esecuzione della “Firth or Fifth” già citata, uno dei brani
più belli mai scritti ed eseguiti.
Clouds è stato un gruppo rock scozzese degli
anni '60 che si sciolse nell'ottobre 1971.
La band era composta da Ian Ellis
(basso e voce), Harry Hughes (batteria) e Billy Ritchie
(tastiere).
GLI
INIZI
All'inizio
del 1964, Ian Ellis e Harry Hughes suonavano in una band chiamata The Premiers, composta da Bill Lawrence (basso), James 'Shammy' Lafferty
(chitarra ritmica), Derek Stark (chitarra solista), Harry Hughes (batteria) e
Ian Ellis (voce). Fu deciso che un organo avrebbe aiutato il suono della band e così si unì Billy Ritchie.
Cyril
Stapleton portò la band a Londra per registrare alcuni demo, ma non ne venne
fuori nulla, e Derek Stark, Bill Lawrence e James Lafferty decisero di
andarsene. Sembrava che Ritchie, unendosi alla band, avesse spinto più
cambiamenti di quanto fosse stato previsto. Ian Ellis decise che avrebbe assunto
il ruolo di bassista e cantante. Il gruppo decise di muoversi in una nuova
direzione musicale e cambiò il loro nome da Premiers a 1-2-3.
1-2-3
1-2-3
aveva un suono molto diverso dalla band precedente o da quasi tutte le altre
band del momento. Dopo aver ottenuto poco successo in Scozia si trasferirono a
Londra, dove speravano che la loro musica originale avrebbe preso il via, ma il
pubblico inizialmente era confuso dalla mancanza di un chitarrista.
Alla band fu
data una chance di esibirsi al Marquee Club, luogo che successivamente avrebbe
dato lustro a icone prog-rock come Rick Wakeman e Keith Emerson. Il fatto che
una band sconosciuta fosse stata scelta per essere protagonista al Marquee era
insolito, in quanto non erano stati eseguiti i consueti spot di supporto.
All'epoca erano descritti come "un gruppo unico, capace di creare un suono
completamente nuovo nel mondo del pop."
Il loro set
consisteva in canzoni e standard originali, ma i pezzi erano accuratamente
rimodellati, diventando in sostanza nuovi. Non c'era niente di lontanamente
simile in giro.
Durante il
periodo in cui il gruppo si esibì al club - nel 1967 - firmarono un contratto
con la società di gestione NEMS e Brian Epstein dei Beatles. L'evento fu
annunciato dalla stampa nazionale, completo di fotografia e articolo di
accompagnamento.
Tra il
pubblico di Marquee c'era spesso la futura superstar David Bowie, a cui Ritchie
presentò Jimi Hendrix.
Anche Pete
Townshend, nella sua autobiografia del 2012 “Who I Am”, cita 1-2-3 come una
delle band che vedeva più volentieri.
La morte di
Brian Epstein, fondatore della NEMS, lasciò la band alle cure di Robert
Stigwood, il suo successore. Ma Stigwood aveva appena messo sotto contratto i
Bee Gees ed era impegnato totalmente nel portarli al successo. Ciò pose fine al
rapporto con gli 1-2-3.
La band
continuò a suonare nel circuito locale dei club londinesi e in un club di
Ilford, nell'est di Londra, la band fu vista da Terry Ellis che li fece
rapidamente firmare con la sua nuova agenzia rinominandoli Clouds.
CLOUDS
Originariamente
conosciuta come agenzia Ellis-Wright, l'organizzazione crebbe e divenne
Chrysalis. I Clouds erano saliti alla ribalta suonando in molti tour
importanti, apparendo alla Royal Albert Hall e in molti dei principali luoghi
di concerti del mondo, tra cui il Fillmore East di New York.
Durante
questo periodo la band pubblicò un certo numero di album che furono
generalmente molto ben accolti dalla critica, con vendite rispettabili.
Anche le
recensioni dei concerti furono favorevoli. Una in particolare, realizzata da
Billboard nel 1970 iniziava dicendo: "Questa band diventerà gigantesca!".
Ma nonostante
qualche successo la Chrysalis concentrò sempre più la sua attenzione sui Jethro
Tull e l’entusiasmo per gli 1-2-3 andò scemando.
Anche se la nuova
conformazione del gruppo era molto interessante, diventò difficile trovare una
nicchia favorevole in una scena progressive rock sovraffollata e il gruppo si
sciolse nell'ottobre 1971.
Con il
passare degli anni, tuttavia, fu la precedente incarnazione della band - gli 1-2-3
- che divenne oggetto di una rivalutazione critica.
Ritchie, l'organista,
fu accreditato come il primo del suo genere, assumendo un ruolo da protagonista
e aprendo la strada ad altri, come Keith Emerson e Rick Wakeman.
Con
riconoscimenti di artisti del calibro di David Bowie, il caratteristico suono
senza chitarra e guidato dalle tastiere della band è ora visto come precursore
definitivo del movimento progressive rock.
È in uscita un nuovo disco il cui rilascio è previsto prima di Pasqua.
Chi segue con costanza le produzioni della
multinazionale del prog, basata in Finlandia ma capace di avvolgere musicisti
del globo intero, sa perfettamente che le sorprese sono sempre dietro l’angolo,
sia per la diversificazione della proposta che per la quantità, e guardando
dall’esterno sembrerebbe che nessun evento della terra sia in grado di
arrestare la vena prolifica di questi musicisti, con una qualità musicale
pazzesca.
Difficile stabilire di volta in volta
i connotati della lineup, ma pare che il nocciolo duro dei The Guildmaster
abbia preso una forma ben precisa basata sui seguenti musicisti:
Alessandro Di Benedetti, tastiere, voci, composizione
Marco Bernard: Shuker Basso
Rafael Pacha, chitarre, strumenti vari,
composizione
Kimmo Pörsti: batteria, percussioni, composizione
E se parliamo di ausilio concreto,
l’elenco dei collaboratori prevede nell’occasione i seguenti musicisti:
Marco Grieco, Evangelia Kozoni, Paula
Pörsti, Jose Manuel Medina, Tommaso Fichele, Patrizia Grieco, Beatrice Birani,
Manoel Macía, Carlos Espejo, Daniel Fäldt, Sara Traficante e Rubén Álvarez.
Nomi noti e new entry per il “mondo
Samurai”, ma resta invariata l’energia, e i cambiamenti messi in atto di volta
in volta portano solo a trasformazioni positive.
La particolare diramazione dei TSoP
rappresentata dai The Guildmaster si indirizza speditamente verso il folk rock,
e questo nuovo album, "Liber de Dictis",
ne è la conferma.
L’incipit ci arriva direttamente dalla
band:
"L'album si basa su un ipotetico libro
di detti popolari provenienti da tutta Europa. I detti sono la radice della
saggezza popolare e della conoscenza di sé e delle diverse culture umane, non c'è
paese o gruppo etnico che non possegga queste utili dosi di conoscenza,
umorismo e filosofia.
Spesso offrono conforto, a volte ci
aiutano a definire gli altri e noi stessi, o riflettono situazioni che abbiamo
vissuto e sperimenteremo in qualche modo.
In questo album volevamo realizzare un
caleidoscopio musicale, prendendo alcuni detti e suoni della tradizione
folcloristica d'Europa collocandoli nel nostro tempo. Ci sono voluti tempo e
lavoro, ma siamo orgogliosi del risultato ottenuto.
Questo secondo disco di The
Guildmaster, ha iniziato a prendere forma un paio di mesi dopo l'uscita del
primo lavoro, "The Knight & The Ghost", e l'idea è nata dalle
nostre conversazioni (alcune infinite) via e-mail.
Quasi un anno dopo, all'inizio
dell'autunno, Alessandro di Benedetti, già presente come compositore nel nostro
precedente lavoro, ha preso il “comando” delle tastiere e ha iniziato a
trasformare magistralmente il demo iniziale, fornendo un contributo
fondamentale attraverso le proprie idee e il proprio cuore, oltre che la sua
idea di musica".
Proviamo quindi ad analizzare il
risultato, step by step… una sorta di guida all’ascolto.
Apre il breve strumentale (2:52) “A
lo hecho, pecho” (metti il petto per quello che hai fatto), e il
pensiero di Rafael Pacha, che ne è autore, ci aiuta a comprenderne il
significato intrinseco:
L'essere umano, per sopravvivere, deve
affrontare le conseguenze delle scelte fatte, buone o cattive, trovando il
giusto atteggiamento che gli permetta di affrontare le difficoltà con il giusto
spirito. Onore e resilienza, tanto per utilizzare un termine molto in voga in
questo periodo.
Un quadretto bucolico da sogno, tra
natura e modi gentili, su cui interviene un’elettrica melanconica molto
hackettiana: il viaggio ha inizio!
Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: Nyckelharpa (midi),
zyther, flauti dolci, chitarra acustica ed elettrica
Kimmo Pörsti - batteria
Anche la seconda traccia è priva di
liriche e vede lo stesso autore, R. Pacha. Il titolo è “A rey muerto, Rey
puesto” (4:55).
Il concetto è quello da tutti
conosciuto e si basa su di un detto che nella nostra lingua siamo soliti
declinare come “morto un Papa se ne fa un altro”.
"Quando un re muore, ne
mettiamo semplicemente un altro. Questo è un dato di fatto. Tutto il nostro ego
e la devozione degli altri verso di noi cadono e scompaiono quando il grande
equalizzatore, la morte, richiede il suo tributo. Ma dopo un breve, brevissimo, periodo
di lutto, veniamo rapidamente sostituiti da un altro, perché nessuno è
insostituibile".
Il pezzo presenta una decisa
dicotomia, con una partenza quasi sacrale dettata dall’uso di strumentazione
acustica, ma attorno al secondo minuto, dopo una marcetta da festa di paese, il
basso di Bernard introduce il cambio di passo determinato da tastiere ad ampio
respiro, una sorta di liberazione musicale e immaginifica che apre il cuore
alla speranza. Emozionante.
Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: Crumhorns (midi), Frame
drum, flauti dolci, nyckelharpa (midi), viola da gamba, Virginal (midi),
chitarra elettrica.
Kimmo Pörsti: batteria
Con “Agora” (6:24) - musica
e testo di Marco Grieco - inizia il cantato, quello della bravissima Evangelia
Kozoni, che a tratti mi ha ricordato la Grace Slick di “White Rabbit”.
Dice l’autore a proposito della sua
creazione:
“Quando ho scritto
"Agorà" ho pensato a quanto sia scontato per i greci ballare tutti
insieme, abbracciati o mano nella mano, con turisti, compaesani e perfetti
sconosciuti, nelle piazze dei borghi, quella che oggi sono la versione moderna
dell'antica Agorà. L'altro aspetto che mi ha ispirato è relativo a quanto oggigiorno anche queste moderne Agorà si siano mosse online, sui social network, sui
nostri smartphone, nell'illusione che qualsiasi emozione condivisa in rete
possa trovare automaticamente una soluzione, un conforto, un ascolto.
Sfortunatamente non è quello che succede nella maggior parte dei casi.
"Agorà" racconta di questo divario tra passato, presente e ciò che
sarà nel futuro, che dipende solo da noi”.
Canzone dall’atmosfera magnetica, dove
vengono utilizzati strumenti della tradizione popolare locale (il bouzouki, il
violino, la fisarmonica, le percussioni, il clarinetto) che riescono a creare
la “piazza” festosa evocata dall’autore. Una vera festa tradizionale su cui si
inserisce il modus prog, fatto di contaminazione, un termine che può anche
significare completa inclusione, quella che Grieco auspica per il mondo intero
attraverso la sua “Agorà”.
Marco Grieco: tastiere, fisarmonica,
applausi
Evangelia Kozoni: voce
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: toumbeleki, tamburo a
cornice, salterio hackbrett, bouzouki, mandolino, chitarre elettriche e
acustiche
Kimmo Pörsti: batteria
A seguire “Manos frías, Corazón
caliente” (5:42), ovvero “Mani fredde, cuore caldo”, altro
strumentale di Pacha che così ne delinea il significato:
"In materia d'amore, ciò che
conta è il cuore, tuttavia, per me esiste un secondo significato, molto tipico
del carattere mediterraneo. Le emozioni e la loro espressione ed esperienza
sono importanti per la nostra cultura, ma quando si svolge un compito preciso
alla ricerca di un obiettivo la razionalità deve prevalere.
Esiste poi una terza componente concettuale
e cioè l’immagine della mente che regola e al contempo suona...”.
Anche in questo caso le atmosfere
ariose si miscelano alla tradizione e diventano suggerimenti per affrontare
rapidi cambiamenti di umore.
Pacha propone uno schema ritmico pazzesco,
da qualcuno definito come un “labirinto”, una vera chicca impossibile da
incasellare nell’ortodossia dei generi.
Alessandro di Benedetti: Grand piano,
keyboards
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: tamburo a cornice
Peñaparda, chitarra classica, flauto dolce, fischietti, fisarmonica (midi),
tabla, chitarra elettrica e acustica.
Kimmo Pörsti: batteria
La voce di Paula Pörsti fa capolino
nel quinto brano, “Suruista tehty Soitto” (6:03), la cui
traduzione dovrebbe essere “La musica è fatta di dolori”. Musica di
Kimmo Pörsti (Arr. R.Pacha) e lirica di Pirkko Pörsti.
È il batterista che ci aiuta meglio a comprendere
il testo:
“Sebbene non sia un normale detto,
cattura qualcosa di tipico della malinconia finlandese. La musica può sembrare
triste o combinarsi con il dolore in qualche altro modo. Trasferire le
percezioni e le diverse esperienze di tristezza delle persone nelle atmosfere
sonore è molto complicato”.
Ritmo contenuto e andamento consono al
racconto delle emozioni, quasi un angolo intimistico dove la voce di Paula si
integra alla perfezione con le sonorità tra il sinfonico e il folklore. E
l’associazione sonora che mi guida negli ascolti mi riporta al folk rock di
fine anni ’60, quello dei Mellow Candle.
Delicato e carico di spleen.
Paula Pörsti: voce
Alessandro di Benedetti: grand piano,
keyboards
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: chitarre acustiche ed
elettriche
Kimmo Pörsti - batteria
A metà album troviamo “Agua
pasada no mueve molino” (7:01), cioè “L'acqua passata non muove i
mulini”, uno strumentale di Jose Manuel Medina che racconta:
“È questo un detto molto comune
nella zona della Spagna. Si riferisce al fatto che qualsiasi evento passato non
dovrebbe distrarre il nostro sguardo verso il futuro. O in altre parole, le
cose che sono già accadute non ci aiuteranno a risolvere quelle del presente e
del futuro. Parte dalla tristezza causata dalla nostalgia e si evolve verso la
speranza di trovare gli obiettivi per cui lottare. Sul sentiero presente e
futuro troveremo delle sfide, ma saremo finalmente in grado di superarle se sapremo perseverare".
L’alternanza situazionale modifica la
tensione da ascolto, ed è facile passare dalla danza leggiadra ad una dinamica
da film, da rapida fuga ad arresto immediato, da marcetta militare a prog
avanzato, un disegno emozionale che credo sia complicato da spiegare a parole.
Jose Manuel Medina - tastiere
Alessandro di Benedetti: tastiere
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: chitarra classica,
flauti dolci, salterio, viola da gamba, chitarra acustica ed elettrica
Kimmo Pörsti: batteria, percussioni,
chitarra elettrica.
E arriviamo a “La Música amansa
a las fieras” (5:15) - “La musica calma la bestia”, di R. Pacha,
che mette inevidenza il terzo vocalist del progetto, Alessandro di Benedetti.
"Il mito narra che Orfeo
(musicista) sposò la ninfa Euridice, ma quando tornò da uno dei suoi viaggi
scoprì che era morta, inseguita da un uomo che le fece calpestare un serpente
che poi la uccise.
Orfeo scese all'Inferno per salvarla e per farlo dovette addormentare il Cerbero - il cane a tre teste - usando la
sua musica.
I miti, così profondamente radicati
nel Mediterraneo, erano necessari per creare le nostre culture e, quindi, chi noi siamo. La musica calma lo spirito". (R.Pacha)
Una bella sorpresa la voce cupa di
Alessandro di Benedetti in un brano che, nella seconda parte, lascia spazio ad
una lunga serie di arpeggi acustici, quelli utili a distrarre “la bestia” e a
ricongiungere gli affetti.
Alessandro di Benedetti: pianoforte a
coda, tastiere, voce solista e cori.
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: Virginal (midi), flauti
dolci, chitarra acustica, mrindgam, viola da gamba, chitarra classica, chitarra
portoghese di Coimbra.
Kimmo Pörsti: batteria
“Nea Polis” (6:11) - una
nuova Napoli - introduce Tommaso Fichele, vocalist che ci fa incontrare la
tradizione napoletana. La musica e il testo sono di Marco Grieco con la trascrizione
in lingua napoletana di Enzo Carro.
Racconta Grieco:
“Un antico detto napoletano dice
che… il sole uscì a mezzanotte e grazie a un imprevedibile colpo di fortuna,
una situazione che sembrava disperata è stata risolta. Da qui nasce "Nea
Polis". Ho immaginato di essere svegliato nel cuore della notte dalle
grida della gente per strada, come se ci fosse una luce che entra in casa e
illumina la notte. Così anch'io vado in strada e vedo che la gente è felice,
che i ricchi aiutano i poveri, che tutti si aiutano a vicenda... e alla fine
scopro che la luce che ha svegliato tutti non è stata un miracolo, ma
semplicemente la luce del sole che sorge ogni mattina a Napoli, rendendola una
città piena di speranza ogni giorno. Una "Nea Polis", appunto, come
era una speranza per gli antichi greci che la fondarono”.
Grieco si inventa la tammurriata
progressiva - strada che percorre da sempre Vairetti con i suoi Osanna - e
realizza la convivenza tra una strumentazione tipica del luogo - ma giudicata
erroneamente esclusiva nel pensiero comune - e quella che caratterizza il rock.
In tutto si instaura una linea melodica che, se estrapolata, potrebbe trovar
spazio persino nelle rotazioni radiofoniche. Musica italiana e melodia sono da
sempre un tutt’uno.
Marco Grieco: tastiere
Tommaso Fichele: voce
Patrizia Grieco: tamburello napoletano
Beatrice Birani: tamburo a cornice,
darbouka e castagnette
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: chitarre acustiche ed
elettriche, mandolini, flauti dolci
Kimmo Pörsti: batteria
Il nono episodio si intitola “La
primavera, la sangre altera” (4:23) - La primavera altera il sangue
- altro strumentale di Pacha.
"La rinascita del mondo in
primavera influenza tutta la vita. La dea Pasqua benedice con la sua fertilità,
e tutto diventa procreazione.
Gli esseri umani si riuniscono per le
feste di campagna, le risate e la musica crescono, anche se a volte cade un
acquazzone, e le coppie cercano riparo”. (R.Pacha)
Non c’è bisogno di una particolare
concentrazione per cogliere lo spirito enucleato da Pacha. Danze in mezzo alla
natura, prati in fiore e una voglia di vivere, di rinascita, di serenità che
mai come in questo periodo storico suggeriscono che la bella vita risiede nella
semplicità e nella gentilezza espressiva. Meraviglioso!
Manoel Macía: chitarra barocca.
Alessandro di Benedetti: grand piano,
keyboards
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: Virginal (midi), flauti
dolci, Pipe in D(midi), tabla, chitarra acustica ed elettrica
Kimmo Pörsti: batteria e percussioni
Arriviamo quindi a “El perro del
hortelano” (4:46) - Il cane del giardiniere - di R. Pacha, e la
voce in questo caso è di Carlos Espejo.
"Si dice che il cane del
giardiniere non mangia né lascia mangiare. Applicabile a persone che, a causa
della loro frustrazione, non lasciano che gli altri si divertano, proprio come
non si divertono loro.” (Pacha)
L’ispirazione dell’autore si rifà ad
una danza rinascimentale spagnola del 500, in seguito diffusa in tutta Europa, denominata
"Chacona".
Incredibile la capacità di integrare
sonorità così specifiche - e caratteristiche di tempi lontanissimi - con archi
prog settantiani, situazione quasi spiazzante quando esiste rigidità di
pensiero e di ascolto.
Carlos Espejo, voce, applausi &
"Jaleo"
Alessandro di Benedetti: grand piano, tastiere
Marco Bernard: basso Shuker
Rafael Pacha: Venezuelan Cuatro,
chitarra classica, flauti dolci, viola da gamba, Bodhran, Hackbrett psaltery,
tabla, claps, cajon, chitarra acustica ed elettrica
Kimmo Pörsti: batteria
“Young me, Old you” è il
pezzo più esteso - 11:20 - di cui non serve traduzione. Musica e testi di Alessandro
di Benedetti. La voce in questo caso è di Daniel Fäldt.
“In Italia c'è un detto che accosta un
cavallo giovane ad un vecchio cavaliere. Significa che i giovani hanno bisogno
dell'esperienza che solo un anziano saggio può dare loro.
Ripensando alla mia vita ho trovato il
mio vecchio cavaliere in mio nonno, che mi ha parlato della guerra mentre
camminavo sulla spiaggia, un mattino.
Il che mi ha spiegato perché mia madre
è scappata in un'altra stanza quando abbiamo fatto brindisi e fatto scoppiare i
tappi di champagne. Per lei quel rumore esplosivo significava il suono delle
bombe, che sentiva da bambina nelle notti dei bombardamenti, dalle grotte del
lago dove si rifugiavano.
Mio nonno mi ha insegnato a suonare a
orecchio il pianoforte, anche se non ho mai voluto studiarlo. Questa canzone è
dedicata a lui e a mia madre, sperando che ogni giovane di oggi abbia la
fortuna di incontrare un vecchio cavaliere che possa aiutarlo ad affrontare la
vita". (A. di Benedetti)
Struggente, cangiante, fuori da ogni
standard di giudizio, capace di unire tra loro forti sentimenti, e se alla
musica l’ascoltatore aggiunge le proprie esperienze personali la miscela che ne
deriva porterà ad una malinconia persistente, assimilabile all’esperienza
raccontata dall’autore.
La conclusione dell’album è affidata a
“Suruista tehty Soitto II” (3:06), musica di Kimmo Pörsti (Arr.
R.Pacha). Non mi è chiara la traduzione dal finlandese ma nel titolo compare
certamente il concetto di “dolore”, un sentimento forte affidato totalmente
alla chitarra classica di Rafael Pacha.
Mi rendo conto che il commento ai
lavori Bernard, Pörsti & friends mi inducono al testo prolisso, ma la cura
e la dedizione con cui ci viene donata la loro musica determina una reazione
uguale e contraria, ed entrare nei particolari, o almeno provarci, diventa
imperativo.
Anche in questo caso ci troviamo al
cospetto di musica sontuosa, che oltrepassa la necessità di creare facili
etichette, con musicisti stratosferici che riescono a fornire il concetto reale
di aggregazione… di qualità!
L’artwork, manco a dirlo, è del geniaccio
Ed Unitsky.
La musica che arriva dal polo esteso
finlandese, anche quando parte dall’elemento fantastico - dalla parabola, dal
racconto della tradizione antica -, trova sempre contatto con la realtà. Ma per
chi non sentisse la necessità di approfondire i testi, preferendo lasciar parlare la
musica, basterà uno start, una stanza tranquilla, una mente libera,
per iniziare un viaggio immaginifico su cui poter tornare a piacimento, ogni
volta che si vorrà/potrà.
So per certo che molta altra musica
targata “Samurai” sta per arrivare… rimanete sintonizzati!
Registrato nel 2021 - 2022
Prodotto da Marco Bernard, Kimmo
Pörsti e Rafael Pacha
The
Troggsè stato un gruppo musicale rock
britannico formatosi nel 1964.
La band è celebre per aver pubblicato
singoli di successo quali Wild Thing, With a Girl Like You e Love Is All
Around.
I Troggs, poco dopo la
loro nascita, vengono “assegnati” al manager dei Kings Larry Page, nel 1965, e pubblicano
per la Page One Records, con cui debuttano con il singolo “Lost girl”.
Il più grande successo
è però "Wild thing" che raggiunge il secondo posto in patria e
il primo negli Stati Uniti nel 1966.
Sempre nello stesso
anno viene realizzato l’album di debutto From Nowhere…
Formazione
storica:
Reg Presley
(vero nome: Reginald Maurice Ball), nato il 12 giugno 1941 a Andover e morto il
4 febbraio 2013 a Andover - voce principale (1964-2012)
Dave Wright
(David Frederick Wright), nato il 21 gennaio 1944 a Winchester e morto il 10
ottobre 2008 - voce, seconda chitarra e violino (1964-1974)
Chris
Britton (Charles Christopher Britton), nato il 21 gennaio 1945 a Watford -
prima chitarra (1964-presente)
Pete Staples
(Peter Lawrence Staples), nato il 3 maggio 1944 a Andover - basso (1964-1969)
Ronnie Bond
(Ronald James Bullis), nato il 4 maggio 1940 a Andover e morto il 13 novembre
1992 a Winchester - batteria (1964-1984)
Altri
musicisti
Tony Murray
(Anthony Murray), nato il 26 aprile 1943 a Dublino - basso (1969-1977)
Nell’ottobre scorso Black Widow
Records ha pubblicato un nuovo progetto che riporta indietro le lancette dell’orologio
di circa mezzo secolo.
Il Giro Strano- composto da musicisti di Savona e
dintorni - abbinò passioni e competenze musicali, ma non riuscì mai a “sfondare”
e a pubblicare un album, anche se del loro lavoro rimasero registrazioni che,
seppur di bassa qualità - vista la tecnologia disponibile - raccontano la storia dell’epoca all’interno di un
contesto stimolante.
Probabilmente fare parte della “periferia
italiana” incise negativamente sugli esiti del loro percorso, e la titubanza di
fronte alla richiesta di trasferimento nella capitale da parte del discografico
di turno potrebbe aver rappresentato l’occasione della vita persa, ma non
essendoci controprove limitiamoci ai fatti oggettivi, avendo bene in memoria
che sono innumerevoli le band che non riuscirono a lasciare tracce
discografiche, magari arrivate con un fatale attimo di ritardo, trovando poi
soddisfazione nel nuovo millennio.
Nel 1992 la Mellow Records ha pubblicato
“La Divina Commedia”, comprendente registrazione del 1972-73, mentre nel 1993 la
stessa etichetta inserisce Il Giro Strano nella compilation “Progressive Voyage”.
Ora BWR rilascia “Il Pianeta della
Verità”, progetto sontuoso disponibile nelle seguenti versioni:
- Doppio Lp - copertina
apribile “Unipack” con disegno “nativo” di Armando Mancini e interno differente
+ libretto 24 pagg. + Poster + compact Disc – versione limitata 100
copie
- Compact Disc
A breve pubblicherò su questo spazio
il mio commento,
ma lo anticipo con una storia appassionante per gli amanti della musica, per i
più antichi e in genere per i savonesi, quelli giovani all’epoca.
Non ho alcun merito in tutto questo perché
mi sono limitato a copiare il testo del booklet, un iter evolutivo che ho in
parte vissuto dall’esterno, da osservatore adolescente, e che ora, finalmente,
trova la fermatura del cerchio.
IL GIRO STRANO
LA VERA STORIA
IL ROCK PROGRESSIVO A SAVONA
È opportuno premettere che in questo
riassunto sono sintetizzati i percorsi di musicisti che abbiano costituito
gruppi progressive con materiale pubblicato e costituiti solo da elementi della
provincia savonese. Sono quindi per esempio esclusi altri gruppi minori di
impostazione non propriamente ascrivibile al genere o anche importanti, ma non direttamente
collegati a questo specifico “albero genealogico”.
The Tramps
Era l’autunno del 1968 quando
due studenti del locale liceo classico, Alessio Feltri e Mario Alessi,
decisero di dare vita ad un gruppo musicale per partecipare agli allora assai frequenti
concorsi studenteschi per complessi musicali. Essendo l’uno tastierista e
l’altro chitarrista e cantante, chiamarono alla batteria Giovanni Guazzotti,
detto “Peo”, alla chitarra solista Alessandro della Rocca e al
basso Paolo Sacchetti, tre giovani musicisti alle prime armi.
In pochi mesi il gruppo, col nome
prima di “The Alex” e poi di “The Tramps”, vinse tutti i concorsi a livello
locale cui partecipò e arrivò al primo 45 giri con un’etichetta minore milanese
incidendo i brani “Oscurità” e “Le luci dell’aurora”.
Nel periodo successivo il gruppo,
originariamente contraddistinto da influenze
beatlesiane con un pizzico di Procol
Harum, attraversò un periodo di crisi che culminò con la fuoruscita di Paolo
Sacchetti, sostituito al basso da Mario Alessi. In quel periodo fu poi decisivo
l’incontro con Frank Lone, specialista italo-inglese di fingerpicking,
che portò il gruppo ad un repertorio molto specializzato, completamente
indirizzato verso il blues bianco, tanto che il gruppo mutò il nome originale
in “Frank Lone & The Tramps Blues Band”. Purtroppo, l’esperimento,
perfettamente riuscito sul piano musicale, si rivelò un completo disastro sotto
il profilo economico, portando il gruppo allo scioglimento nell’autunno del
1969.
Come si nota c’era ancora confusione
tra il nome “The Alex” e il nuovo “The Tramps”
Line-up del 1968, da sinistra a
destra nei disegni di copertina del 45 giri:
Mario Alessi (chitarra ritmica e
voce)
Alessio Feltri (tastiere)
Alessandro della Rocca (chitarra
solista)
Paolo Sacchetti (basso)
Giovanni “Peo” Guazzotti (batteria)
Voodoo
In quel periodo Daniele Frumento,
bassista specializzato in genere dancing, aveva deciso di riunire in una sorta
di supergruppo R&B tutti i migliori musicisti della zona, per cui chiamò
alle tastiere Alessio Feltri e alla batteria Delio Sismondo, proveniente
dai “Rogers” con cui aveva avuto lusinghiere esperienze discografiche.
Arrivarono poi un cantante, un chitarrista ed una sezione fiati.
Line-up del 1969/70:
Gino Baiocchi (voce)
Alessio Feltri (tastiere)
Valentino Vecchio (chitarra)
Daniele Frumento (basso)
Delio Sismondo (batteria)
Mariano Maio (sax e flauto)
Armando Olivieri (tromba)
Con il nome di “Voodoo” il gruppo
ebbe un notevole successo esibendosi come attrazione nei migliori locali
dell’Italia settentrionale, cosa che tra l’altro permise ai suoi elementi di
suonare accanto a diversi gruppi importanti, quali i Nomadi, I Profeti, Le Orme
e The Trip, il cui leader era tra l’altro un altro savonese, Peppino “Joe”
Vescovi.
Nel corso del 1970 ci fu una
variazione nella formazione, cosa per altro molto comune a quei tempi. Alla
chitarra subentrò Renato Barra e alla batteria Teresio Viglierchio.
Line-up del 1970/71, da sinistra a
destra nella foto:
Gino Baiocchi (voce)
Armando Olivieri (tromba)
Mariano Maio (sax e flauto)
Alessio Feltri (tastiere)
Teresio Viglierchio (batteria)
Renato Barra (chitarra)
Daniele Frumento (basso)
L’esperimento “Voodoo” terminò
nell’estate del 1971, quando alcuni dei musicisti citati in precedenza decisero
di dare vita ad un gruppo nuovo, che potesse sintetizzare le esperienze vissute
in quegli anni attraverso una proposta musicale autenticamente originale.
One Way
Mentre Alessio Feltri faceva le sue
esperienze con i Voodoo, altri due orfani dei Tramps, Giovanni “Peo” Guazzotti
e Alessandro della Rocca, insieme al bassista Mario Pignata e al
chitarrista Paolo Donisi ex-Anime Nere, diedero vita ad un nuovo gruppo,
“One Way”, di stampo prettamente hard-rock.
Causa il precoce abbandono di Donisi,
il gruppo si trasformò ben presto in un trio, con un repertorio imperniato su
cover di Jimi Hendrix e Cream. In seguito all’abbandono anche di Alessandro
della Rocca, Valentino Vecchio, fuoruscito dalla prima edizione dei Voodoo, il
bassista Riccardo Gabutti e il cantante Ennio “Reda” Restagno
completarono la rosa definitiva dei One Way:
Valentino Vecchio (chitarra)
Mario Pignata (basso)
Riccardo Gabutti (basso)
Giovanni “Peo” Guazzotti (batteria)
Ennio “Reda” Restagno (voce)
Il gruppo aveva un repertorio
imperniato su cover di Deep Purple, Black Sabbath, Cream ecc. ed era
caratterizzato da grande energia scenica, grazie anche alle performances di Reda
e all’espediente di usare due bassi. Però il limite, comune a molte band
dell’epoca era la mancanza di produzione propria, per cui fu contattato Alessio
Feltri, che era vicino ad interrompere la sua collaborazione con i Voodoo.
Non deve sfuggire il particolare che
One Way annoverava a quel punto ben quattro dei musicisti che a vario titolo
avrebbero in seguito fatto parte del Giro Strano.
Inizialmente si cercò di trovare un
nome al nuovo progetto attraverso la traduzione italiana di One Way, ma poi si
decise che “Senso Unico” si prestasse a doppi sensi non proprio lusinghieri,
per cui si ripiegò su un più ambientalista “Fall Out”. In seguito, con l’ingresso
di Mariano Maio e del cognato Mirko Ostinet, cominciò a prendere
forma il nucleo iniziale de Il Giro Strano.
Il Giro Strano
Mario Pignata ex-One Way, Peo
Guazzotti ex-Tramps come Alessio Feltri, a sua volta ex-Voodoo insieme a Valentino
Vecchio e Mariano Maio, diedero vita al nucleo originale del “Giro Strano”, cui
poi si aggregò in qualità di voce solista Mirko Ostinet, tra l’altro cognato di
Mariano Maio.
Secondo il costume dell’epoca il
gruppo si riunì in una sorta di “comune” con l’obiettivo dichiarato di
raggiungere il massimo livello tecnico possibile. Dopo lunghi periodi di studio
in “ritiro” presso isolate località montane ed alcune esibizioni in pubblico, sull’onda
dei primi successi il gruppo arrivò nel dicembre 1971 al gran giorno del
provino discografico alla RCA di Roma, dove si trovò a dover sostenere un testa
a testa con un gruppo di figli d’arte, "Il Ritratto di Dorian Gray", che furono loro preferiti.
In seguito, dopo la sostituzione alla
batteria di Peo Guazzotti con un altro ex-Voodoo, Delio Sismondo, anche Mario
Pignata lasciò il gruppo, sostituito al basso da Riccardo Gabutti, anch’egli
ex-One Way. Il gruppo pervenne così nel 1972 ad un nuovo assetto, con cui
decise di proporsi al pubblico e agli addetti ai lavori.
Dopo una mancata partecipazione nel
mese di maggio al festival pop di Villa Pamphili a Roma, dovuta ad
inconvenienti organizzativi, arrivò nel mese di settembre la grande occasione,
con il primo Pop Meeting di Genova, tenutosi al Palasport. Il Giro Strano ebbe un
grande successo nonostante la presenza di gruppi molto quotati, quali Amon
Duul, Capsicum Red, Jet e via dicendo.
In seguito, Mario Pignata riprese il
proprio posto in tempo per completare il repertorio originale, dei cui brani
restano alcune registrazioni in studio ed altre ottenute artigianalmente.
Nel corso del 1973 al gruppo fu
chiesto di trasferirsi a Roma per continuare il lavoro, ma la mancanza di
presupposti economici impedì la realizzazione di questa eventualità, per cui il
solo cantante Mirko Ostinet si trasferì a Roma iniziando una carriera da
solista, per altro di breve durata. In seguito all’accaduto il gruppo si
sciolse e i vari componenti si incamminarono per nuove strade, andando a
risiedere quasi tutti a Londra.
Corte dei Miracoli
Contemporaneamente all’esperienza del
Giro Strano, due fondatori del nucleo originario dei Tramps, Mario Alessi e
Alessandro della Rocca, avevano dato vita ad un nuovo gruppo insieme al
tastierista Michele Carlone ed al giovanissimo Flavio Scogna, batterista
emergente. Alessio Feltri, altro ex-Tramps, fu chiamato per completare un progetto
che affrontasse le problematiche del rock romantico attraverso un largo uso delle
tastiere: nacque così la “Corte dei Miracoli”. Si fece un grande sforzo
artistico e organizzativo, tanto che fu allestito uno spettacolo di grande
impatto scenico sorretto da un repertorio completamente originale e fu
acquistato un gigantesco impianto di amplificazione (DAVOLI/JBL/ALTEC),
identico a quello degli “Area”, gruppo all’epoca molto noto.
Il successo fu immediato, tanto che
quasi subito Mario Alessi e Alessandro della Rocca abbandonarono il gruppo, non
potendo per varie ragioni intraprendere un’attività prettamente professionale
in ambito musicale. Arrivarono così da Millesimo Gabriele Siri al basso
e da Savona Graziano Zippo, cantante solista, mentre si decise di
rinunciare all’impiego di un chitarrista. Autore dei testi era Mauro Scogna,
fratello di Flavio.
In questa formazione
(Feltri-Carlone-Scogna-Siri-Zippo) il gruppo si esibì in svariate occasioni,
partecipando tra l’altro ad un fortunatissimo tour insieme a Edoardo Bennato,
The Trip, Biglietto per l’Inferno, Dedalus.
Tra il 1974 ed il 1975 gli impegni
aumentarono vertiginosamente e, proprio alla vigilia della registrazione del
primo LP presso lo Studio G di Vittorio de Scalzi, Michele Carlone lasciò il
gruppo, sostituito da uno dei migliori pianisti jazz italiani, il savonese Riccardo
Zegna.
Dopo la registrazione dell’LP il
gruppo fece ricorso ad un nuovo elemento alla chitarra, Valerio Piccioli,
savonese noto per aver collaborato come turnista con i più famosi nomi del
circuito milanese, Battisti, Celentano, I Ribelli ecc.
Nel frattempo, però, i tempi si
stavano facendo duri per i gruppi progressive, per cui la nuova formazione
(Feltri-Zegna-Piccioli-Scogna-Siri-Zippo) portò a termine i vari impegni fino
allo scioglimento, avvenuto nell’agosto del 1976.
In seguito all’accaduto Zegna ritornò
alla consueta attività jazzistica, Zippo abbandonò l’ambito musicale e Scogna
intraprese la carriera di compositore di musica cameristica contemporanea.
Il Giro Strano (remake)
Nel 1977 alcuni elementi ex-Corte dei
Miracoli ed ex-Giro Strano si riunirono così in una nuova edizione del Giro
Strano con la seguente formazione: Alessio Feltri-tastiere, Delio Sismondo-batteria,
Gabriele Siri-basso, Valerio Piccioli-chitarra, Rosanna Saettone e Cinzia
Moscato-vocals.
Le precedenti esperienze avevano però
lasciato nei musicisti una notevole sfiducia nell’accoglienza da parte del
mercato di temi progressivi, per cui furono tentate strade più “commerciabili”
attraverso riarrangiamenti di brani famosi e la composizione di brani più
vicini all’ormai imperante genere “dance”.
Si avviò così un processo involutivo
che culminò con un nuovo scioglimento del gruppo agli inizi del 1978.
CDM
L’ultima esperienza del genere si
ebbe tra il 1978 ed il 1979 quando Alessio Feltri, insieme al bassista Silvio
Melloni ed al batterista Mauro Biglietto, poi sostituito da Beppe
Aleo, diedero vita a CDM, un gruppo “E.L.P.-like” che concretizzasse il
meglio della produzione successiva allo scioglimento della Corte dei Miracoli.
La strana sigla CDM trova la sua
curiosa giustificazione nel fatto che Alessio Feltri, dopo lo scioglimento
della Corte dei Miracoli, aveva quella sigla ancora stampigliata sulle custodie
della propria attrezzatura, per cui si decise di usarla come nome del gruppo.
Alcuni brani del repertorio CDM
furono successivamente inseriti nella compilation “Progressive Voyage”, sotto
l’erronea denominazione di Corte dei Miracoli.
Anche quest’ultimo tentativo finì
comunque per esaurirsi, nonostante fossero stati conseguiti risultati molto
interessanti, per cui, all’alba degli anni ‘80, in seguito ad una vera e
propria “diaspora” di quasi tutti i musicisti nominati, il movimento
progressive savonese chiuse definitivamente questo capitolo.
IL GIRO STRANO – GLI STRUMENTISTI
Come citato nel capitolo precedente
il periodo storico del Giro Strano va dal luglio 1971 all’aprile 1973. In quel
lasso di tempo si sono alternate varie formazioni, qui riassunte in sintesi:
LINE-UP 1 (LUGLIO 1971-MARZO 1972)
1. Mirko Ostinet - voce
2. Mariano Maio - sax, flauto
3. Valentino Vecchio - chitarra
4. Alessio Feltri - tastiere
5. Mario Pignata - basso
6. Giovanni “Peo” Guazzotti –
batteria
LINE-UP 2 (APRILE 1972-OTTOBRE 1972)
1. Mirko Ostinet - voce
2. Mariano Maio - sax, flauto
3. Valentino Vecchio - chitarra
4. Alessio Feltri - tastiere
5. Riccardo Gabutti - basso
6. Delio Sismondo – batteria
LINE-UP 3 (NOVEMBRE 1972-APRILE 1973)
1. Mirko Ostinet - voce
2. Mariano Maio - sax, flauto
3. Valentino Vecchio - chitarra
4. Alessio Feltri - tastiere
5. Mario Pignata - basso
6. Delio Sismondo – batteria
ALESSIO FELTRI – TASTIERE (1971-1973)
Alessio è stato il motore principale
e coordinatore musicale del Giro Strano. Il suo stile di quei tempi è
inconfondibile. Alessio riuscì a combinare gli stili musicali di Keith Emerson
(Emerson Lake and Palmer) e di John Lord (Deep Purple) dando al gruppo il suono
del rock progressive di allora.
STRUMENTAZIONE:
Organo Hammond L-122 S
Amplificatore Leslie Hammond L-122
Sintetizzatore Davolisint
Professional Piano Farfisa
Amplificatore Fender Super-Reverb
VALENTINO VECCHIO – CHITARRA
(1971-1973)
L’estro e l’umorismo artistico di
Valentino hanno un notevole peso nel suono del Giro Strano. Le sue influenze
musicali sono evidenti nel suo stile che combina le ritmiche e le svisate alla
Jimmy Page (Led Zeppelin) e alla Ritchie Blackmore (Deep Purple).
STRUMENTAZIONE:
Chitarra Gibson "Les Paul"
Amplificatore Davoli Dixteffect
MARIANO MAIO – SAX E FLAUTO
(1971-1973)
Lo chiamavano Marietto perché era
basso di statura, ma aveva un grande talento nel suonare i saxofoni e il
flauto. Le sue principali influenze musicali sono riconoscibili in Paul Desmond
e John Coltrane in ambito jazz e in Ian Anderson (Jethro Tull) e Dick Heckstall-Smith
(Colosseum) nel progressive.
Sax tenore Ramponi-Cazzani, impiegato
nella prima edizione del Giro Strano
Strumentazione:
Sax tenore Selmer
Sax alto Köln (anno 1914)
Flauto Ramponi-Cazzani mod. Studente
MIRKO OSTINET – VOCE (1971-1973)
Mirko, oltre alla grande presenza
scenica, aveva una vocalità interessante e molto potente. Il suo stile è
indubbiamente legato a Robert Plant dei Led Zeppelin ma, mentre Plant usava
molto il falsetto, Mirko cantava le note alte da falsetto in voce piena.
STRUMENTAZIONE:
P.A. Montarbo 455 200w con 2 colonne mod. 299
Microfono Shure Unidyne
MARIO PIGNATA – BASSO (1971-1972 /
1972-1973)
Preciso e melodico. Il musicista a
cui Mario si ispirava a quei tempi era Jack Bruce, bassista dei Cream. Nelle
registrazioni è evidente come le line di basso che suona Mario siano il
pilastro principale che regge tutta la struttura ritmica e musicale di ogni
brano.
Strumentazione:
Basso Fender Precision
Amplificatore Marshall 100 W
DELIO SISMONDO – BATTERIA (1972-1973)
Delio iniziò la sua carriera nel 1963
col tastierista Joe Vescovi, in seguito approdato nei Trip. Al suo attivo
un’esperienza discografica di successo con i “Rogers”.
Il suo stile è inconfondibile:
aggressivo e intricato. Il suo modo di suonare la batteria nei brani del Giro
Strano ricorda molto lo stile rock di Carmine Appice dei Vanilla Fudge. Si sente
anche un’influenza jazz d’avanguardia del famoso batterista Max Roach.
STRUMENTAZIONE:
Batteria Rogers
Piatti Zildyan
RICCARDO GABUTTI – BASSO (1972)
Riccardo ha sempre amato la musica e
il suo stile nel rock del Giro Strano (ispirato a Tim Bogert dei Vanilla Fudge)
combaciava perfettamente con quello che suonava Delio alla batteria.
STRUMENTAZIONE:
Basso Gibson EB3
Amplificatore Marshall 100 W
GIOVANNI “PEO” GUAZZOTTI – BATTERIA
(1971)
Musicista attento alle nuove tendenze
ed in continua ricerca del proprio miglioramento, sia artistico che personale.
All’influenza blues-rock degli inizi ha poi aggiunto segni jazzistici, ma
sempre con misura. È stato determinante nella nascita sia dei Tramps che del
Giro Strano.
STRUMENTAZIONE:
Batteria Ludwig Hollywood
Piatti Zildyan
LO STILE DEL GIRO STRANO
Leggendo delle varie influenze
musicali è abbastanza facile desumere da dove le idee del Giro Strano siano
scaturite. Si parla del fior fiore della musica rock e rock-progressive, a cui
si sono sovrapposte le idee musicali originali dei musicisti savonesi, che
hanno saputo sublimare le varie influenze individuali per fonderle in un unico
stile nuovo ed eccitante per l’epoca.
Sotto il profilo stilistico la
sezione ritmica era largamente influenzata da studi jazzistici, al pari dell'unico fiato della
formazione, mentre gli altri strumentisti erano chiaramente più orientati a
tematiche progressive. Nonostante le premesse però ne scaturì uno stile solido
e preciso, sorretto da un virtuosismo tecnico non comune.
I brani furono depositati alla SIAE
come composti da Feltri-Maio-Sismondo in quanto gli altri musicisti non erano
iscritti, ma, a dire il vero, spessissimo in fase di composizione e ancor più
sovente in fase di arrangiamento, era l'intero gruppo che partecipava attivamente
alla nascita dei pezzi.
Un caso emblematico fu quello de “La
Divina Commedia”, un brano che avrebbe dovuto rappresentare la spina dorsale di
un album “concept”, idea che non fu poi possibile realizzare compiutamente. Il
brano era diviso in 4 movimenti, ognuno composto da uno o più differenti membri
del gruppo.
Autore della quasi totalità dei testi
era Mirko Ostinet, cantante purtroppo scomparso prematuramente nel 1983. La
formulazione iniziale fu in lingua inglese e solo successivamente si addivenne
ad una traduzione in lingua italiana.
Le composizioni musicali erano in
ogni caso inscindibili dai testi, con i quali ricercavano l'unitaria
espressione di un comune linguaggio, spesso in bilico tra l’ermetismo e la denuncia
sociale.
LE REGISTRAZIONI
Purtroppo, il Giro Strano può
annoverare solo due brani registrati in uno studio professionale. La maggior parte del
materiale ancora disponibile consta di registrazioni amatoriali, effettuate nel
corso delle sessioni di prova del gruppo.
Per comodità di classificazione è
utile riferire le registrazioni alle tre formazioni base di cui si è parlato
nel capitolo dedicato agli strumentisti, che si possono convenzionalmente identificare con le
sigle GS1, GS2 e GS3.
GS1
Le registrazioni del 1971 (primo periodo
del Giro Strano) furono effettuate su audiocassetta con l’ausilio di un
mangianastri portatile ed avevano l’esclusiva funzione di promemoria, in un
periodo in cui si stava elaborando un repertorio ancora tutto da definire. È
quindi inevitabile che la qualità di registrazione sia scadente e che neppure
con la tecnologia disponibile oggi sia possibile effettuare miglioramenti
sostanziali.
I brani vanno comunque citati, se non
altro per la loro validità “storica”.
IL CALVARIO 2:10 Testo italiano
LA TRASMUTAZIONE parte I 2:06
Strumentale
LA TRASMUTAZIONE parte II 5:27 Testo italiano
SUNSHINE? SUNSHINE! 3:30 Testo inglese
LO STRANO GIRO 2:50 Strumentale
SINCE I’VE BEEN LOVING YOU 6:56 Cover
del brano dei Led Zeppelin
GS2
Nel 1972 le registrazioni furono
effettuate utilizzando un registratore stereofonico a 4 piste GRUNDIG TK 248
Hi-Fi su nastro SCOTCH 215 Superlife a velocità 9,5 cm/s. La qualità fu
pesantemente condizionata dalle ridotte dimensioni del locale di prova e dal
suo insufficiente assorbimento acustico.
Tutti i brani furono registrati
“live” senza sovra incisioni, fatta eccezione per i primi 15 secondi de “La
Divina Commedia”, in cui fu effettuato un esperimento di sovra incisione, da
ascoltarsi mediante il canale 1-2 del registratore stereofonico. Tutte le altre
registrazioni sono da ascoltarsi con la normale riproduzione stereo.
In tutti i brani compare al basso
Riccardo Gabutti, che aveva temporaneamente sostituito Mario Pignata.
Due brani per così dire di
transizione tra il vecchio ed il nuovo repertorio furono registrati solo in lingua inglese e
cioè:
YOU’RE GONNA FIND 3:22
SHADOW OF A DREAM 5:07 Inserito nella già
citata “Progressive Voyage”
Dei brani più significativi del
gruppo esistono invece sia la versione inglese che italiana:
LA DIVINA COMMEDIA (14:08) include:
a) INFERNO (4:22)-Inserito nel CD
Mellow Records del 1992
b) A RIVEDER LE STELLE (0:34)-Inserito
nel CD Mellow Records del 1992
c) PURGATORIO (3:52)-Inserito nel CD
Mellow Records del 1992
d) PARADISO (5:20)-Inserito nel CD
Mellow Records del 1992
Il brano, diviso in quattro
movimenti, è una personale interpretazione del capolavoro dantesco. Dopo un
riff iniziale in 5/4, le varie parti si alternano senza soluzione di continuità,
a simboleggiare i vari gironi infernali attraverso l’uso di stilemi di impronta
medioevale, però rivisitati in chiave progressive-rock. Nell’ultimo movimento,
il Paradiso, l'atmosfera è stata resa in modo particolare sotto l'aspetto
musicale, essendo il testo velatamente ermetico.
- IL PIANETA DELLA VERITA’ (6:34)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992
Il pezzo inizia con la simulazione
della partenza di un'astronave, preceduta da un conto alla rovescia. La parte
centrale è importante per la corrispondenza biunivoca che stabilisce col testo.
- IL VECCHIO OLDSEA (8:20)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992
Questo brano, caratterizzato da un
testo efficace e assai delicato, alterna soffusi momenti acustici a vigorose
pennellate di suono, che, nella parte centrale, sconfinano in un episodio
vagamente "free".
- IL TREDICESIMO TRANSISTOR (11:36)-Il pezzo ha i suoi punti focali nel riff a 7/8 e negli effetti di organo
che simboleggiamo la distruzione della Terra.
-IL CORRIDOIO NERO (10:55)-Il
brano, oltre a presentare notevoli difficoltà dal punto di vista puramente
esecutivo, è forse quello più rappresentativo dello stile del complesso,
essendo una spontanea fusione di improvvisazione e di rigore compositivo.
Degli ultimi due brani verrà
effettuata in seguito una registrazione in studio che, ad onta di una
logicamente migliore qualità tecnica, non rappresenta compiutamente l’energia esecutiva
che è possibile ritrovare in queste prime versioni.
GS3
Dopo il ritorno al basso di Mario
Pignata, nel dicembre 1972 vennero effettuate due registrazioni professionali
presso lo studio AIMA di Firenze, fonico Giuliano Giunti. Di questo materiale
rimane una copia del mixaggio originale su nastro BASF LR56 38 cm/s.
- IL TREDICESIMO TRANSISTOR (12:19)-Inserito nel CD Mellow Records del 1992
- IL CORRIDOIO NERO (11:52)-Inserito
nel CD Mellow Records del 1992
Contemporaneamente, usando il Grundig
TK248 come in precedenza, fu registrata in sala prove una jam-session di quelle
che il gruppo utilizzava per trovare nuove idee che potessero poi entrare a far
parte del repertorio:
- GIRO IN GIRO 27:30
DISCOGRAFIA
IL GIRO STRANO - La Divina Commedia
CD 1992 MELLOW RECORDS MMP107
COMPILATION
- Progressive Voyage CD 1993 MELLOW RECORDS MMP164
Un assaggio sonoro, in attesa del mio commento abbinato all'ascolto dei brani...