C'è una storia che Joe Walshracconta spesso e che sottolinea come, dopo aver lasciato la James Gang, si rintanò sulle
montagne del Colorado, nel gennaio 1972, dove alla fine fu raggiunto dal
polistrumentista e batterista Joe Vitale. I due parlarono del tipo di nuova
musica che avevano in testa. Vitale lasciò i suoi “tamburi” in macchina e
rimasero lì per tre settimane. La ragione di questo ritardo non era dovuta al
loro approccio rilassato, ma perché, secondo Walsh, faceva "troppo
freddo per uscire e portarli dentro".
L'album risultante, Barnstorm, con il bassista Kenny Passarelli a bordo, fu
pubblicato nel 1972 sotto il nome di Walsh. Stanco delle grintose certezze del
blues rock caratteristiche del suo periodo con la James Gang, Walsh si ramificò, musicalmente parlando, estendendo la sua portata a un suono più ampio e vario, pur essendo ancora radicato nel rock.
The Smoker You Drink, The Player You Getsviluppa ulteriormente il modello che
Walsh ha in testa dal punto di vista sonoro e introduce il tastierista Rocke
Grace. Essendo stato un fan di Switched-On Bach, di Walter (ormai Wendy)
Carlos, Walsh era desideroso di integrare i sintetizzatori nel suono della
band. Presumibilmente un regalo di Pete Townshend - dopo che Walsh aveva fornito
al genio degli Who una chitarra rara - il synth viene usato con parsimonia ma
in modo efficacie, come strumento strutturale, aggiungendo colore e ombra.
Le chitarre acustiche di Wolf sono ipnoticamente intrecciate con le loro controparti
elettriche, con l'inquietante boom del sintetizzatore basso che porta una certa
gravitas – pensiamo alla coda di Entangled dei Genesis. È improbabile
che Walsh avesse sentito parlare dei Genesis a quel punto della storia, ma le somiglianze
negli intricati passaggi acustici, specialmente con l'uso del flauto di Vitale,
sono sorprendenti, sia qui che in Barnstorm.
Un'influenza percepibile dei Beatles
è presente nelle armonie di Days Gone By di Vitale. Mentre
Walsh sviluppa un assolo di costruzione lenta, tutto è sommerso da suoni
rallentati e fasi pesanti.
Con un credibile cenno al jazz rock attraverso lo
strumentale Midnight Moodies, questa diventa una proposta che supera i
tradizionali parametri del periodo.
Con un occhio al potenziale commerciale
c'è il pop usa e getta di Happy Ways, con le sue inflessioni giamaicane e l'amabile riff di Rocky Mountain Way che porta Walsh ad un innalzamento
del proprio profilo chitarristico.
Anche se il suo reclutamento negli
Eagles nel 1975 avrebbe portato Walsh su un percorso musicale più
convenzionale, la natura eccentrica e aperta di queste canzoni mostra un
genuino istinto PROG nel suo DNA.
Genere: Folk rock, progressive folk,
psychedelic folk
Lunghezza: 42:57
Label:Deram Records
Produttore: David Hitchcock
Singolo tratto dall’album: "Silversong"
"Swaddling
Songs" dei Mellow Candleè un album che si distingue per la sua bellezza
eterea e la combinazione armoniosa di folk rock e progressive rock. Pubblicato
originariamente nel 1972, questo lavoro è diventato un classico del genere e ha
guadagnato un seguito di culto nel corso degli anni.
Una delle caratteristiche più
distintive dell'album è la voce meravigliosa e cristallina di Alison Williams,
che trasmette una gamma di emozioni attraverso le sue performance. Le sue
capacità vocali sono affiancate da una solida strumentazione, con chitarre
acustiche e elettriche, flauti, violini e tastiere che si fondono in modo
magistrale.
Le canzoni di "Swaddling
Songs" sono intime e malinconiche, spesso ispirate alla tradizione folk
irlandese. I testi affrontano temi come l'amore, la perdita e la crescita
interiore, trasmettendo un senso di nostalgia e mistero. Ogni brano è ben
strutturato, con melodie coinvolgenti che si sviluppano in modo organico e
progressive.
L'album si apre con "Heaven
Heath", un pezzo che cattura immediatamente l'attenzione dell'ascoltatore
con il suo incipit acustico, per poi sfociare in un arrangiamento complesso e
coinvolgente. "Buy or Beware" è un'altra traccia che si distingue per
la sua atmosfera ipnotica e il testo intrigante. "The Poet and the
Witch" è una canzone di oltre dieci minuti che mostra l'abilità della
band nell'intrecciare diversi stili musicali. Ma tutto il disco va ascoltato con attenzione.
Nonostante "Swaddling
Songs" abbia ricevuto poco riconoscimento commerciale all'epoca della sua
uscita, l'influenza dell'album può essere riscontrata in molte band progressive
rock e folk rock successive. La sua bellezza senza tempo e la maestria musicale
dei Mellow Candle ne fanno un lavoro che merita di essere riscoperto e
apprezzato.
A mio giudizio un album
straordinario, che combina abilmente il folk rock e il progressive rock in un
modo unico e affascinante. Con le sue melodie coinvolgenti, le performance
vocali eccezionali e i testi suggestivi, l'album offre un'esperienza musicale
indimenticabile, da non perdere per gli appassionati della musica folk e
progressive rock.
I Trees sono stati un gruppo folk
rock britannico che ha registrato e suonato live tra il 1969 e il 1971,
riformandosi brevemente per continuare ad esibirsi per tutto il 1972.
Sebbene il
gruppo all’epoca abbia incontrato poco successo commerciale, la reputazione
della band è cresciuta nel corso degli anni e si è rinforzata nel 2007 in
seguito al campionamento degli Gnarls Barkley della traccia "Geordie"
(dal secondo album degli “Trees On The Shore”) sulla title track del
loro album “st. Elsewhere”.
La band
originale era composta da cinque membri: il bassista e tastierista Bias
Boshell, il chitarrista Barry Clarke, il chitarrista acustico David
Costa, il batterista Unwin Brown e la cantante Celia Humphris.
La loro storia…
David Costa,
figlio del cantante e conduttore radiofonico britannico Sam Costa, stava studiando
Belle Arti presso l'Università dell'East Anglia, da poco aperta, quando
incontrò Barry Clarke (che lavorava presso l'agenzia pubblicitaria di Royd a
Londra) attraverso una amica comune che aveva suggerito la collaborazione,
poiché erano entrambi chitarristi.
Queste le
parole di David dopo il loro primo incontro Barry: "Non sono mai
tornato all'università e Barry non è mai tornato nel suo ufficio".
Barry Clarke
viveva all'epoca in una casa a Barnes, condivisa con Bias Boshell.
Bias Boshell
e Unwin Brown avevano entrambi frequentato la Bedales School di Petersfield,
Hampshire, e si trovarono in breve tempo a condividere le loro diverse
esperienze musicali, esplorando i diversi gusti e riunendo ciò che avevano in
comune. Mancando di un cantante, Costa suggerì di fare un'audizione alla
sorella di un suo conoscente e introdusse Celia Humphris nel mix, una giovane che
aveva appena lasciato l’Arts Educational dove aveva studiato danza, teatro e
canto. Il padre di Humphris era il pittore e illustratore Frank Humphris.
I cinque
iniziarono a provare al debutto della primavera del 1969, realizzando i loro
primi concerti e le prime tracce demo nei mesi di giugno e luglio dello stesso
anno.
Dopo aver firmato
per la CBS nell'agosto 1969, i Trees produssero due album in studio in
successione relativamente rapida, “The Garden of Jane Delawney”
(pubblicato nell'aprile 1970) e “On The Shore” (pubblicato nel
gennaio 1971), entrambi registrati negli studi Sound Techniques di Chelsea, ed
entrambi prodotti da Tony Cox. “On The Shore” presentava la copertina di
Storm Thorgerson dello studio Hipgnosis.
Come altri gruppi
contemporanei folk, i Trees sono stati paragonati ai Fairport Convention, ma
con un tocco più psichedelico. Il materiale del gruppo fu diviso tra
adattamenti di canzoni tradizionali e composizioni originali, principalmente di
Bias Boshell.
In un'intervista
del 2020, Costa commentò: "Siamo stati etichettati come una band
folk-rock, punto e basta, ma le nostre influenze erano generalmente molto più
americane che britanniche".
Il gruppo primario
si sciolse nel 1971 dopo aver registrato i due album.
Una seconda incarnazione
dei Trees si riformò nel 1972 e suonò fino al 1973; il gruppo comprendeva Celia
Humphris, Barry Clarke, Barry Lyons (ex membro di Mr Fox), Alun Eden (anche ex
membro di Mr Fox) e Chuck Fleming (ex membro della JSD Band). Le registrazioni
di questa formazione sono reperibili nelle versioni bootleg.
Quest'ultima
formazione ha anche contribuito all'album solista di Phil Trainer (BASF, 1972)
I Trees si
esibirono ampiamente nel corso della loro carriera, prevalentemente nel
circuito universitario, ma apparendo due volte alle Fairfield Halls e alla
Queen Elizabeth Hall sulla South Bank di Londra, con vari gradi di successo e a
volte con significativi elogi della critica.
Durante la
loro carriera hanno supportato in tournée artisti come Fotheringay, Fairport
Convention, Matthew's Southern Comfort, Fleetwood Mac; Free and Faces sullo
stesso cartellone, Genesis, Family e Yes, e apparvero all'Evolution Music
Festival a Le Bourget, Parigi nel 1970 insieme a Ginger Baker's Air Force, Pink
Floyd e Procol Harum.
Un concerto
molto precoce a Notting Hill, a Londra, li vide apparire con un David Bowie
praticamente sconosciuto. La band era spesso accompagnata on the road e
supportata dal cantautore Marc Ellington.
Originariamente
furono seguiti da Douglas Smith e Clearwater Productions, una società di
Notting Hill Gate che gestiva anche altri artisti, come High Tide, Cochise e
Skin Alley, Hawkwind e Thunderclap Newman.
Dopo lo
scioglimento della formazione di origine, Bias Boshell continuò a
lavorare come tastierista e compositore con la Kiki Dee Band, scrivendo la sua
canzone di maggior successo, “I've Got the Music in Me”, prima di unirsi a
Barclay James Harvest e successivamente a The Moody Blues, sostituendo il
tastierista Patrick Moraz. Ora vive nel Galles del Nord.
Barry
Clarke si unì alla band Vigrass e Osborne, per poi ricongiungersi
a David Costa nel 1973 per l'album omonimo “Casablanca” (Rocket Records).
David
Costa è rimasto nel giro come art director e designer, seguendo
molti artisti importanti, come Elton John, George Harrison, Eric Clapton, i
Rolling Stones e i Beatles. Costa e Boshell si sono esibiti insieme in una
"reunion" del 2018.
Barry
Clarke ha proseguito l’impegno nel settore della
gioielleria, vivendo part-time in Francia.
Dopo un breve
periodo come batterista con il quartetto pop Capricorn, Unwin Brown ha
continuato la sua lunga carriera di insegnante alla Thomas's School di
Kensington, cosa che ha fatto sino alla sua morte avvenuta nel 2008.
Celia
Humphris ha proseguito con la seconda formazione dei Trees e
successivamente è diventata un'attrice di doppiaggio ricercata e ha fornito la
voce per diverse canzoni dell'album “Talking With Strangers”, di Judy Dyble (nel
2009), Dodson and Fogg, un progetto folk-rock pubblicato nel 2012, e come
cantante ospite nell'album “Heathen Hymns” del 2017, di Galley Beggar,
pubblicato su Rise Above Records.
In seguito, ha
vissuto in Francia.
È mancata
l'11 gennaio del 2021.
Formazioni
Celia Humphris - voce (1969-1972)
Barry Clarke - chitarra solista
(1969-1972)
David Costa - chitarra acustica
(1969-1971)
Bias Boshell - basso, chitarra, voce
(1969-1971)
Unwin
Brown - batteria (1969-1971)
Barry
Lyons - basso (1971-1972)
Alun Eden - batteria (1971-1972)
Chuck Fleming - violino (1971-1972)
Discografia
1970-The
Garden of Jane Delawney CBS Records, 2007 Sony Rewind, Sunbeam Records
1971-On
the Shore CBS Records, 2007 Sony Rewind, Sunbeam Records
1989Trees
LIVE! (Italiano) Habla (bootleg)
2020-Trees (Edizione 50°
Anniversario) Fire Records
Sia “The Garden of Jane Delawney” che
“On the Shore” sono sempre stati disponibili sin dalla loro uscita originale in
vinile, cassetta o CD.
Un'edizione deluxe in due dischi di “On
the Shore” è stata pubblicata nel 2007, contenente materiale inedito e
remixato.
Nel 2008 seguì una nuova edizione di “The
Garden of Jane Delawney”, contenente anche materiale inedito e alcune nuove
registrazioni. Entrambi i doppi pacchetti presentavano un ampio saggio del
comico, regista e scrittore Stewart Lee.
Un cofanetto di quattro album di
registrazioni dei Trees, tra cui demo, remix e registrazioni dal vivo della
"reunion" di “The Shore Band” del 1998 degli Trees, è stato
pubblicato nel 2020 per celebrare il cinquantesimo anniversario della band.
The La'sè un gruppo musicale britannico nato
a Liverpool nel 1986 da un'idea del cantante Lee Mavers e composto inoltre dal
bassista John Power, dal chitarrista Paul Hemmings e dal batterista John Timson.
Tra l'anno di formazione e l'anno del
debutto discografico - 1990 - il gruppo è protagonista di diversi cambi di
formazione che vedono la totale ricostruzione della formazione con alla
batteria il fratello di Lee, Neil Mavers, al basso James Joyce e alla chitarra
Peter James Camell.
I primi singoli pubblicati - Way
Out (1987) e There She Goes (1988) - procurano al gruppo ottime
recensioni. Ma per avere il primo LP bisogna attendere il 1990, anno in cui la
Go! Discs pubblica l'esordio omonimo della band. Il disco potrà vantare
un'ottima accoglienza della stampa e un pregevole quantitativo di copie
vendute.
Dopo aver suonato in tour per tutto
il 1991, il perfezionismo di Mavers lo spinge a riscrivere e riarrangiare le
canzoni del primo album, ma questo processo non porta a nulla di concreto ed
esclusi un paio di concerti del 1995 con una nuova band, i La's non hanno mai
dato ulteriori prove della loro esistenza sino al 2005, dieci anni dopo, per
una riunione speciale sul palco del Glastonbury Festival.
Mai ufficialmente sciolti, i The La's possono
essere considerati i pionieri del brit-pop, genere che da lì a qualche anno
esploderà con gruppi come Oasis e Blur. La loro musica era un insieme di
scintillante jangle-pop sulla scia dei primi dischi dei Primal Scream e degli
Smiths, ma che rimanda anche alla tradizione inglese degli anni Sessanta.
Nel 2018, una serie comica-drammatica
della BBC TV intitolata "There She Goes" presenta una cover della
canzone di La’S che riporta quel nome.
Membri
Lee
Mavers – guitar, vocals (1984–1992, 1994–1995, 2005, 2011)
Mike
Badger – guitar, vocals (1983–1986)
Sean
Eddleston - guitar (1984)
John
"Timmo" Timson – drums (1984–1985, 1986–1987)
Phil
Butcher – bass (1984)
Jim
"Jasper" Fearon – bass, drums (1985, 2005)
Bernie
Nolan – bass (1985–1986)
Tony
Clarke – drums (1985–1986)
Paul
Rhodes – drums (1986)
John
Power – bass, vocals (1986–1991, 2005)
Barry
Walsh – drums (1986)
Paul
Hemmings – guitar (1987)
Mark
Birchall – drums (1987)
Peter
"Cammy" Cammell – guitar, bass (1988, 1989–1992, 1994–1995)
Ho appena appreso che è venuto a mancare Richard Paul Macphail, che conobbi personalmente e
intervistai sul palco genovese del Teatro Govi, nel 2012. Era nato il 17
settembre 1950 a Bedford, Bedfordshire, ed è stato un musicista, road manager e
imprenditore inglese noto soprattutto per la sua collaborazione con i Genesis.
Si raccontava così…
La storia per me iniziò nel 1963. Avevo tredici anni e alla
Charterhouse incontrai un ragazzo della mia età chiamato Rivers Job. Presto
scoprimmo che condividevamo una passione per la musica rock. I suoi gusti erano
molto più evoluti dei miei ed io imparai molte cose da lui negli anni della
nostra amicizia. L'occasione del nostro incontro fu che un noioso pomeriggio
eravamo stati attirati nella hall della scuola perché uno dei gruppi rock della
scuola stava provando. Quando arrivai stavano facendo una pausa e, come molti
ragazzi della mia età, mi illusi di essere un batterista. Strisciai sul palco,
andai dietro alla batteria ed iniziai a colpire. Anche Rivers, a me
sconosciuto, era nella sala. Era un bassista in embrione e più tardi venne da
me dicendo che aveva una band a Londra che aveva bisogno di un batterista e se
volevo fare un provino per loro. Beh, io non esitai un secondo. La mia grande
occasione era chiaramente arrivata! Risultò che il chitarrista della band era
Anthony Phillips. Era un po' più giovane di noi due ma doveva venire alla
Charterhouse all'inizio del semestre successivo.
Sia io che Rivers vivevamo nel centro di Londra e, non appena
giunsero le successive vacanze, ci incontrammo e prendemmo l'autobus numero 30
da Marble Arch a Putney dove viveva Ant. I miei genitori non erano molto
comprensivi riguardo la mia passione per la musica rock e quindi non erano
molto incoraggianti. Quando arrivammo a casa di Ant rimasi stupito nello
scoprire che la sala da pranzo era stata trasformata in una sala prove e sua
madre e sua nonna stavano lì ad ascoltare entusiasticamente qualsiasi cosa noi
suonassimo. Questo per me fu una rivelazione, avere un tale incoraggiamento
dalle generazioni più anziane, subito ne diventammo cotti. Emerse
immediatamente che io non ero il più grande batterista al mondo ma conoscevo
molte parole delle canzoni degli Stones che stavamo suonando. Così, ad ora di
pranzo ero diventato il cantante della band. Ant aveva un vicino chiamato Rob
Tyrrell che risultò essere un buon batterista e molto presto arruolammo Mike
Rutherford alla chitarra ritmica e fummo al completo. Chiamammo la band Anon
(non "The"!) e presto diventammo la band di punta della scuola,
suonando alla fine dei concerti e alle feste dei ragazzi durante le vacanze.
Alla fine dell'estate 1966 decidemmo di organizzare un concerto rock con le tre
band della scuola. I nostri principali rivali erano chiamati "Garden
Wall" e comprendevano Tony Banks al piano e Peter Gabriel alla voce. Il
concerto fu un grande successo e tutti noi avevamo grandi progetti per il
futuro. Purtroppo per me non fu così. Preoccupati per il crescente ammontare di
tempo e attenzione che la mia attività musicale stava prendendo e nervosi per
il mio probabile livello "O", i miei genitori decisero di mandarmi in
un'altra scuola. Alla fine, Anon si sciolsero e Ant e Mike si unirono a Peter e
Tony e la band che stava per diventare Genesis era nata. Durante gli anni
successivi ci mantenemmo in contatto. La band fece un demo e cercò di attirare
l'attenzione di Jonathan King. Lui diede il nome alla band e sotto la sua egida
pubblicarono un paio di singoli e il loro primo album – “From Genesis To
Revelation” per la Decca. All'epoca stavo lavorando a Londra e ricordo che
comprai una copia del giornale clandestino - International Times. All'interno
c'era una favorevole recensione dell'album. Telefonai a Peter nella casa di
campagna dei suoi genitori per leggergli la sua prima recensione.
Nell'autunno del 1969 le cose giunsero ad un punto decisivo.
Nonostante alcune buone recensioni, il successo commerciale su larga scala
aveva eluso la band ed ognuno stava continuando (con vari gradi di riluttanza)
il corso della propria educazione in college ed università. Tutti loro decisero
che avrebbero sospeso queste attività per un anno e si sarebbero dedicati alla
musica per vedere se poteva funzionare. A quel tempo i miei genitori vivevano a
Londra e passavano i fine settimana in un lontano cottage tra Guildford e
Dorking nel Surrey. Avevano deciso di ritirarsi lì la primavera successiva e di
non usare la villetta durante l'inverno. Così ci fu la perfetta opportunità per
la band di rintanarsi in un posto lontano ma accessibile e, come dicevamo, di "riunirsi"
nella campagna. Io divenni il capo cuoco, lavatore di bottiglie e roadie.
Giorni furono spesi a scrivere e provare nuovo materiale e gradualmente furono
fissati concerti. Questi furono soprattutto a Londra e nel sud-est e fornirono
una buona opportunità per invitare diversi probabili agenti, managers e
scopritori di talenti delle compagnie di registrazione per vedere la band. Fu
in una sala al piano di sopra del Ronnie Scott che il capo della Charisma -
Tony Stratton-Smith - fu portato a vedere la band da un produttore di dischi
chiamato John Anthony. Tony rimase impressionato e presto divenne sia il
manager della band che il capo della casa discografica. Così all'inizio
dell'estate 1970 la band andò nei Trident Studios in Soho per registrare il loro
primo album targato Charisma chiamato “Trespass”.
Poi iniziò un periodo di tre anni in cui ogni anno passava in
un ciclo chiaramente definito di scrittura, registrazione e tournée. Ma prima
una crisi più importante dovette essere superata. “Trespass” fu registrato
durante l'estate. Quando la registrazione fu terminata tutti noi prendemmo una
pausa. Durante questa pausa, con un po' di tempo a disposizione per riflettere,
Anthony Phillips giunse alla conclusione che la sua direzione musicale lo stava
portando lontano dalla principale corrente che stava seguendo il resto della
band. Dopo molti pensieri in mente, estenuanti conversazioni a notte fonda e
molte telefonate dominate dal pessimismo, Ant alla fine giunse alla conclusione
che aveva intenzione di lasciare. Ora, in diversi modi, Ant era sempre stato il
principale sostegno per la band, sia musicalmente che attraverso il suo
profondo impegno per la sua musica ed anche per l'instancabile sostegno della
sua famiglia. Andare avanti senza di lui sembrava fuori discussione. Ma d'altro
canto così tanto era stato raggiunto e sembrava da pazzi lasciare ora e
rovinare tutto. Ricordo molto bene una sera di luglio in cui seduto nel furgone
fuori il retro del vecchio Marquee Club in Wardour Street con Peter, Tony e
Mike consideravamo il futuro senza Ant. Gli altri tre sembravano molto insicuri
se andare avanti o no. Per ragioni che sembrerebbero ovvie col vantaggio del
senno di poi, io ero molto sicuro in quel momento che non avremmo dovuto
mollare. E così fu deciso. Ma ci fu un altro problema da affrontare. Il
batterista per quest'ultimo periodo era stato John Mayhew. Sebbene fosse un
esperto musicista noi tutti sentivamo che non era il migliore batterista per la
band, perciò i tempi sembravano maturi perché, se proprio dovevamo andare
avanti senza Ant, allora forse dovevamo trovare anche un batterista più adatto.
Così le decisioni vennero prese: andare avanti senza Ant e
trovare un nuovo batterista. Da quelle decisioni venne una di quelle
incredibili svolte che sarebbe stato impossibile predire ma che per diversi
aspetti misero il sigillo sul destino dei Genesis per sempre. In breve, e per
un periodo di alcuni mesi, i due nuovi membri che trovammo furono, alla
chitarra, Steve Hackett, e, alle batterie, Phil Collins. Il modo in cui questi
due vennero fatti entrare nella band è ben documentato altrove perciò io non vi
dedicherò qui ulteriore spazio. Ma la differenza che fecero all'interno della
band musicalmente, socialmente e dinamicamente non può essere sottovalutata. La
piattaforma che doveva portare questo gruppo di musicisti molto insoliti dai
luoghi di supporto nel circuito dei college del sud-est inglese a diventare una
delle band con maggiore successo che il mondo abbia mai visto era ora a posto.
Il successivo paio di anni ora sembra confuso: concerti e poi
composizione ed incisione e poi ancora più concerti. Punti di riferimento,
pietre miliari e scoperte andavano e venivano. Quelle musicali includevano
pezzi come The Musical Box, Hogweed, Watcher Of The Skies e, naturalmente,
Supper's Ready. Altre ancora importanti come la notte a Dublino quando Peter
sbalordì noi tutti lasciando il palco nel mezzo di The Musical Box e
riapparendo con addosso un vestito rosso ed una testa di volpe! Anche il primo concerto
all'estero a Bruxelles e i primi tours italiani dove la folla era una
pregustazione di cose future se avessimo osato crederci. Poi altri eventi meno
significativi ma ugualmente memorabili come la volta che riuscii a lasciare i
piatti di Phil nella strada fuori l'Oxford Town Hall e guidai fino a Derby in
beata ignoranza (gli furono più tardi consegnati alla stazione di polizia!).
Il mio tempo con i Genesis giunse al termine nel 1976.
L'ultimo tour che feci con loro fu esso stesso un punto di riferimento per
l'evoluzione della band perché fu il primo tour che fecero dopo la partenza di
Peter che Phil aveva sostituito come cantante e front man. Da allora ho seguito
un'altra delle mie passioni, cioè quella riguardante l'ambiente, e mi sono
concentrato nel costruire un'agenzia di consulenza energetica di successo. Sono
immensamente orgoglioso del successo che ognuno ha avuto sia separatamente sia
insieme. La musica è sempre stata e rimarrà una parte essenziale della mia
vita. Ancora mi diverto a cantare e ora suono il sassofono. Grazie a mia moglie
Maggie Cole, che è suonatrice di clavicembalo classico e pianoforte, ho
scoperto ed imparato ad amare molte nuove aree musicali.
La gente spesso dice: "Perché hai lasciato i
Genesis?" Se avessi un pound per ogni volta che mi è stata fatta questa
domanda... non penso di aver mai risposto due volte nello stesso modo. Non è
che non lo so ma piuttosto che, col passare del tempo e l'evolversi delle mie
prospettive di vita, così tante risposte rimangono scoperte. Una domanda è se
ho dei rimpianti per non aver fatto di più con il mio talento musicale. Da
giovane ventenne mancavo di fiducia nelle mie capacità. Questo può aver avuto
qualcosa a che fare con il fatto che i miei coetanei (con i quali io
naturalmente mi relazionavo) casualmente si chiamavano Gabriel, Banks,
Phillips, Rutherford, Hackett e Collins. Credo che averli come gruppo di pari
possa distorcere il senso della prospettiva di ognuno.
Quello che so è che a quel tempo il talento musicale non era
scarso ma che il mio contributo e la disponibilità di diversa natura che diedi
a loro tra il 1968 e il 1976 furono unici.
Il mio primo impatto con la musica,
quando avevo ancora i pantaloni corti, riporta a brani musicali per me all’epoca
sorprendenti, eseguiti dai gruppi italiani allora in voga che esercitavano in
modo assolutamente libero l’esercizio di “copiatura” sonora, modificando e adattando
il testo, che da inglese diventava italiano, cambiando completamente
significato.
Non era una grande perdita, a quei
tempi le liriche non presentavano ancora nulla di serio, nemmeno al di fuori dei
nostri confini, anche se qualcosa, soprattutto in America, stava cambiando, con
l’impegno sociale di Dylan e Baez.
La tecnologia fu di grande aiuto per
la diffusione capillare della musica, attraverso prodotti e supporti sempre più
alla portata di tutti, che permettevano peraltro la socializzazione, i quei
primi anni Sessanta: rock’n roll, il twist, il folk, il beat, il rythm &
blues, il funky… musica da ascoltare, musica per ballare.
L’Italia era ben predisposta al cambiamento, ma la cosa che risultò più rapida e semplice per i giovani musicisti e i loro "gestori" fu quella di pescare a man bassa nella produzione anglosassone e farla propria, in tempi in cui non si guardava
molto ai diritti d’autore.
In pochissimi parlavano e cantavano
in inglese, e spesso i grandi nomi stranieri si prestavano a mettere da parte
il loro idioma naturale a favore dell’italico verbo, diventando loro stessi “cantanti
italiani”.
Due le alternative per i gruppi e i cantanti: prendere brani di
riconosciuto successo facendoli diventare la copia nostrana, oppure pescare nel mare magnum britannico, appropriandosi di canzoni sconosciute, rendendole “nuove”
per il pubblico italiano. E attraverso questo modus il brano originale prendeva
luce anche entro i nostri confini.
Di lì a poco, come è noto, tutto sarebbe cambiato,
ma restano dei gioiellini che credo non siano conosciuti da tutti, per cui a
partire da oggi, sporadicamente, proporrò un brano originale e la cover corrispondente,
e sono certo che qualche cosa di inaspettato verrà a galla.
Dopo aver proposto i QUELLI/Tommy Roe, passo a Michel Delpeche, da cui attinsero i Dik Dik.
Il brano originale si chiamava “Wight
Is Wight”, diventato in italiano “L’isola di Wight”,tormentone dell’epoca.
La canzone francese, che celebrava il
festival rock-hippy organizzato nell’isola al largo della Gran Bretagna, ideale
continuazione della esperienza dell’anno prima a Woodstock, divenne un successo
internazionale.
Dal punto di vista musicale era però
un “lentone” del tutto asincrono con quello che si sentiva nel festival
(Hendrix e compagni), niente di comparabile alla canzone simbolo del festival
americano, “Woodstock” appunto, scritta da Joni Mitchell e cantata da
Crosby, Stillts, Nash & Young.
Registrato
davanti a un pubblico dal vivo a Londra, nel 1968, The Rolling Stones Rock and Roll Circusfu originariamente concepito come uno speciale
della BBC-TV.
Diretto da
Michael Lindsay-Hogg, è incentrato sulla formazione originale dei Rolling
Stones - Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones, Charlie
Watts, Bill Wyman (con Nicky Hopkins e Rocky Dijon) - con Jagger che
funge sia da conduttore dello show che da attrazione in primo piano con la sua
band. Per la prima volta di fronte a un pubblico, "The World's Greatest
Rock and Roll Band" esegue sei classici degli Stones.
Il programma
prevedeva anche straordinarie esibizioni di The Who, Jethro Tull, Taj
Mahal, Marianne Faithfull, Yoko Ono e The Dirty Mac,
un "supergruppo", prima ancora che il termine fosse stato coniato!
La band era
composta da Eric Clapton (chitarra solista), Keith Richards
(basso), Mitch Mitchell dei The Jimi Hendrix Experience (batteria) e John
Lennon alla chitarra e voce.
Dagli archivi dello show musicale
statunitense The Midnight Special è arrivataun'altra performance classica, questa
volta sotto forma di una bellissima esibizione del 1976 di Strange
Magic della Electric Light Orchestra.
Il filmato proviene da uno spettacolo
trasmesso il 6 marzo, quando la band fu presentata dalla conduttrice Helen
Reddy, una formazione che comprendeva Frankie Avalon, The Miracles e
Tanya Tucker.
Oltre a Strange Magic – dal
quinto album della band, “Face The Music”, che era stato pubblicato quattro
mesi prima – ELO suonò anche Evil Woman e Nightrider.
Jeff Lynne & Co. erano clienti
abituali dello show al momento della performance e furono anche oggetto di
diversi tributi speciali.
Il 1976 fu un grande anno per la
band, poiché “Face the Music” divenne il secondo album consecutivo di ELO a…
trasformarsi in oro, ed Evil Woman portò la band ad aumentare il loro
pubblico. Strange Magic avrebbe seguito l'esempio, raggiungendo il
numero 14 nella classifica statunitense mentre la band occupava incessantemente
i mercati Top 40, gettando le basi per il loro album “A New World Record”.
"Avevamo una formazione
diversa insieme e abbiamo iniziato a fare questi tour americani, che si sono
rivelati incredibilmente buoni", disse Lynne a Classic Rock nel 2019.
"Sembravamo un gruppo così strano per un pubblico americano, con due
violoncelli, un violino, mellotron e un po' di corno francese. Era solo un
suono strano".
Sta nella logica delle cose veder appassire e poi morire le
persone che ci circondano, consci che prima o poi anche noi arriveremo alla
meta non desiderata, ma è grande l’effetto e il disagio quando la dipartita
riguarda un volto noto, storico, mitico, che da tutta la vita ti accompagna,
nel mio caso dalle scuole medie in poi.
In realtà il mio amore per i Rolling
Stones è finito presto e attorno a metà degli anni ’70 ho iniziato a perdere
interesse per quella che, credo giustamente, è stata definita la più grande Rock
and Roll band mai esistita.
Sino a quel momento ricordo bene come
i loro singoli rappresentassero per me la rivoluzione rock contrapposta alle meravigliose
melodie dei Beatles, brani - di entrambi i gruppi - che tutt’ora fanno parte della mia playlist… inutile
elencarli.
In quella fantastica e primitiva formazione
c’erano un paio di artisti illuminati e dal 1969, dopo la morte di Brian Jones, ne
rimase uno solo, Mick Jagger.
Ovviamente è solo il mio pensiero e so già che molti non saranno d’accordo; ho già avuto prova che i miti
non si possono contestare né scalfire ma solo osservare da lontano e
ringraziare, e quando si avanza qualche cauta critica il mondo intero si mobilita per
riportare al centro il pensiero ortodosso, quello che prevede un solo
punto di vista che ha a che fare con l’approvazione incondizionata, spesso
immotivata.
Negli Stones non ho mai riconosciuto
elementi geniali, salvo il già citato polistrumentista Jones e il frontman e
autore Jagger, ma in ogni caso la miscela è sempre risultata esplosiva e vincente: non è un caso
se sono ancora in pista dopo tutti questi lustri.
Ma il valore di un musicista deve tener
conto della sua capacità innovativa, del suo saper creare un modello nuovo,
inesistente in precedenza.
Prendiamo Keith Richards, chitarrista
dalla dimensione - e dalla vita - molto… criticata.
In tanti hanno descritto con veemenza
la sua pochezza tecnica ma se abbiamo potuto godere di brani come “(I Can't
Get No) Satisfaction”, “Brown Sugar” o “Honky Tonk Women” il
merito è proprio di Richards che, contaminato dai "suoi" musicisti blues, elimina
da subito il “MI” dalla sua Telecaster - divenuta così a 5 corde - e imposta una accordatura aperta in “SOL”,
aprendo la strada verso un mondo nuovo, quello che gli ha permesso di inventare i suoi famosi
licks.
L’uomo giusto al posto giusto, senza poi parlare della sua significativa capacità autorale.
Dopo Jones (mancato nel '69) arriva un grande bluesman, il chitarrista Mick
Taylor - che non resisterà molto in quel circuito pericoloso - seguito a ruota da Ronnie Wood,
il perfetto compagno di Richards, il pittore, da sempre amico degli Stones.
Non dimentico un certo... Bill Wyman, per oltre trent'anni parte della sezione ritmica della band, un bassista "regolare" e poco avvezzo alla teatralità.
E poi c’è…. c’era… Charlie Watts,
silenzioso, elegante, moderato, fuori dalla cornice maledetta che circonda la
super band inglese.
Oddio, anche lui passa dei brutti
momenti negli anni ’80, e l’alcol e l’eroina non lo risparmiano, ma ne esce
fuori e mantiene il contegno, con la regolarità che lo ha sempre
contraddistinto.
Ha origini umili, è un autodidatta
intelligente e appassionato di jazz e blues.
Sembrerebbe sempre sullo sfondo,
defilato, ma il suo carattere forte e la sua leadership sono evidenti e dichiarati dai compagni di viaggio, e i suoi
continui ammiccamenti da palco con l’amico Keith fanno pensare a rapporti solidi,
coltivati e rafforzati nel tempo, oltre gli obblighi professionali.
Lo tsunami da performance, quello che
spesso va on onda quando gli Stones sono in concerto, sembra non toccarlo, perché in
qualunque direzione vada la nave ci vuole sempre qualcuno capace di raddrizzare
la barra e tenere il tempo giusto, dall’inizio alla fine.
Ecco, Charlie Watts era, a mio giudizio,
l’unico batterista possibile in un gruppo di pazzi scatenati, un buon
batterista a cui non era richiesto di esagerare, di accelerare, di sorpassare, ma
solo di mantenere la rotta.
Insomma, dalle mie parole è facile
capire come Watts non mi abbia mai toccato più di tanto e, pur riconoscendone
il ruolo fondamentale, vederlo al dodicesimo posto tra i migliori batteristi di
tutti i tempi (classifica stilata dalla rivista “Rolling Stones”) mi pare azzardato.
Se invece discutiamo di funzionalità rispetto al
progetto, beh… Charlie Watts appare unico e insostituibile.
Ma parlare di skills davanti a chi ha
fatto la storia del rock è inutile e sicuramente impopolare ed è probabile
che i nuovi Stones, con un altro drummer, non avranno molta vita. Ma certamente verrò smentito, e un po' me lo auguro.
Charlie Watts non era quindi il mio
batterista del cuore, ma sicuramente l'elemento che più ho apprezzato tra gli Stones, perché la
visibilità comporta enormi responsabilità e l’immagine che la band ha sempre
regalato dal palco, fatta di trasgressione ad ogni costo, mi ha sempre
infastidito.
Cosa c’entra tutto questo con la musica? Lascio ad ogni lettore la propria valutazione.
Ciao Charlie, batterista di una band
che ho amato alla follia sino … al 1975, o giù di lì!
Blue Cheerè stato un gruppo rock statunitense nato e prolificato tra la fine del 1960 e
l'inizio del 1970, ed è stato sporadicamente attivo fino al 2009.
Con sede a
San Francisco, i Blue Cheer suonavano in uno stile blues rock psichedelico o
acid rock, e sono anche accreditati come pionieri dell'heavy metal, con la loro
cover di "Summertime Blues" a volte citata come la
prima del genere.
Sono stati
anche evidenziati come influenti nello sviluppo di generi disparati, come punk
rock, stoner rock, doom metal, rock sperimentale e grunge.
I Blue Cheer sono stati anche ampiamente
riconosciuti come la band più rumorosa di sempre dal momento in cui sono
emersi… con volumi così alti da far fuggire i presenti nel giro di poche
canzoni.
Qualche curiosità sul nome: "Blue
Cheer" era la denominazione di una varietà di LSD prodotta dal chimico e
patrono dei Grateful Dead, Owsley Stanley, e la band prese probabilmente il
nome da quello, anche se era qualcosa che già esisteva prima, posta sul detersivo
per bucato da cui prese il nome la varietà LSD stessa.