VOX IN BESTIA
Gli animali della Divina Commedia
Un progetto per voce sola di Laura
Catrani
Musica di
Fabrizio De Rossi Re
Matteo Franceschini
Alessandro Solbiati
(Stradivarius)
Affrontare l’ascolto e il commento di un album come “Vox In Bestia”, di Laura
Catrani, non è stato per me agevole… solitamente vagolo nel rock, anche se
prediligo ciò che nutre la mente piuttosto che il corpo, e questa personale tendenza
all’indagine mi spinge a dire la mia, anche in un campo che non “posseggo”, ma
la curiosità e la voglia di condivisione mi aiuterà nel prosieguo dell’articolo.
Occorre però partire dagli elementi oggettivi e realizzare la
cornice al soprano Catrani e al suo progetto.
Partiamo dal suo pensiero, dalla sintesi della sua biografia.
Laura Catrani è una cantante che si occupa principalmente di
musica nuova, contemporanea, e “Vox In Bestia” è stato
realizzato in omaggio a Dante nell’anno dantesco.
Trattasi di un bestiario tratto dalla Divina Commedia per
voce sola, in cui Laura affida le creazioni musicali a tre compositori della
scena internazionale, e la scrittura dei testi di accompagnamento e di
riflessione allo scrittore Tiziano Scarpa.
“Ne è uscito un lavoro visionario
e poetico che negli ultimi sei mesi del 2021 ho portato in scena ben 22 volte.”
Cantante che si occupa principalmente di sperimentazione
vocale, volge il suo sguardo, anche, al repertorio
tradizionale, dal barocco alla musica vocale da camera.
Estraggo altre indicazioni utili - essenziali per comprendere
il livello della proposta - estrapolate dal magnifico booklet inserito in un
perfetto artwork.
Dice Laura
Catrani:
“Mi occupo di repertorio a voce
sola da molti anni, quando giovane studentessa in Conservatorio a Milano, ho
affrontato “Sequenza III” di Luciano Berio, diventata presto il mio “cavallo di
battaglia”.
Alla base di tale repertorio ci sono
uno studio rigorosissimo, capacità tecniche ed intuizioni musicali. I
compositori stessi, a cui commissiono nuovi pezzi, devono conoscere la mia
vocalità e le mie inclinazioni; la musica cucita sull’interprete riflette la
sua unicità, e il canto, sempre di più oggi, attinge alle risorse personali,
mettendone in luce attitudini musicali e teatrali.
“Vox in Bestia è il naturale proseguimento
di “Vox in Femina”, il mio primo concerto destinato al canto senza
accompagnamento risalente al 2010, nel quale ho riunito alcuni dei grandi
compositori del Novecento, realizzando un unicum editoriale, progetto per voce
sola in cui l’interprete è essa stessa ideatrice, produttrice e leader.
L’idea prende vita nel 2020, in piena
pandemia quando, immaginando un nuovo progetto per voce sola mi sono imbattuta
nell’universo degli animali fantastici e dei bestiari medioevali. Contemporaneamente
era in arrivo l’anniversario di Dante ed ecco che… è scoccata la scintilla:
dare vita ad un vero e proprio bestiario dantesco, una sorta di ricognizione
sugli animali reali e fantastici della Commedia, visti e percepiti attraverso
il prisma della mia voce.
Ho convocato al mio fianco i compositori
Fabrizio De Rossi Re, Matteo Franceschini e Alessandro Solbiati e ho chiesto
loro di comporre, ispirati dalle terzine dantesche che parlano di animali,
ciascuno cinque brevi brani per voce sola, secondo il loro stile, la loro
personalità e la loro sensibilità.
Accanto alla loro musica doveva
intrecciarsi una linea narrativa di una voce autorevole della letteratura
italiana dei nostri giorni. Tiziano Scarpa mi è apparso lo scrittore perfetto,
immaginifico e nello stesso tempo radicato e concreto, al quale ho chiesto di
scrivere una sorta di commentario, in forma letteraria, ai versi di Dante.
Il perno intorno al quale gira tutta
l’idea compositiva è la possibilità di creare ponti reali e fantastici tra i
giorni nostri e l’antico medio evo.
“Vox in Bestia” - nato per RAI3 in 15
puntate andate in onda nel maggio 2021 - è stato da subito immaginato per un
pubblico dal vivo, in teatro.
In sintesi, l’opera è una sorta di “manuale”
che accompagna l’ascoltatore nella grande selva della Commedia, un “libro di
viaggio”, che aiuta a districarsi nel labirinto dei versi di Dante e osserva da
molto vicino il suo mondo animale fantastico, metaforico e reale.
Appare evidente che senza l’aiuto
delle note ufficiale sarebbe stato difficile fare emerge l’anima del lavoro di
Laura Catrani e, prima di entrare nello specifico, aggiungo che la lettura delle
note didascaliche mi ha dato una differente visuale del dilemma che mi porto
avanti da sempre, quello legato all’importanza delle liriche in un contenitore
chiamato “canzone”, avendo ben presente che la musica è tale anche senza testo,
mentre la parola da sola è definita in altro modo: certo che l’unione di due
cose perfette può portare a magnificenze!
La chiosa riguarda… l’impossibilità
di fare a meno dei poeti, apparentemente dediti a metafore, similitudini,
capaci di lasciare sulla carta la definizione di un disegno da loro iniziato e
che altri devono concludere nei dettagli.
Un paio di risposte: “la prima
realizza che senza i Poeti, in Occidente, non esisterebbero quindici secoli di
musica; la seconda, forse più sottile, è che senza i poeti i musicisti, anche
quelli che non intonano i loro versi, non avrebbero mai imparato ad ascoltare
il suono, a misurarlo, a imprimere alla loro musica un ritmo, un metro, una
dinamica, un fraseggio, ovvero il senso di un discorso”.
Può certamente aiutare l’intervista
che abbiamo realizzato in questi giorni…
https://athosenrile.blogspot.com/2022/08/intervista-laura-catrani.html
Ma vediamo nel dettaglio i vari
episodi…
Inferno, canto primo. Le tre fiere.
Qual è il vero significato, letterale
e allegorico, che Dante presenta con “Le Tre fiere”?
Tre bestie feroci si oppongono al
cammino di Dante, differenziandosi per le loro peculiarità: la Lonza agile
ed elegante, il Leone statuario e capace di incutere paura e la Lupa,
inquietante per la sua magrezza, velocità e irrequietezza.
Ma la Divina commedia è l’opera che
sin da bambini ci insegnano sia “allegorica e didascalica” e sono diversi i “commentatori”
che hanno fornito differente chiave di lettura; tra le tante, la più comune
riporta alla simbologia della lussuria (la Lonza sarebbe il sesso), la superbia
(l’arroganza del Leone) e l’avarizia (l’avidità della Lupa).
Al sonetto e alla declinazione del
testo si aggiunge e si miscela l’interpretazione dell’autrice, e prende vita il
viaggio, tra suoni onomatopeici e dilatazioni vocali, estensioni e
sperimentazioni che diventano il mezzo per raggiungere l’obiettivo, una meta
che non appare chiara, perché conoscere i dettagli dell’opera di Dante non coincide
con la consapevolezza del punto di approdo di Laura, solo supposizioni e una
indicazione su quale potrebbe essere il sentiero.
Inferno, canto terzo. Mosconi, vespe, vermi
Uno sciame di insetti
perseguita quegli esseri posti tra cielo e inferno, quelli definiti
indifferenti, incapaci di prender posizione, inerti per predisposizione e quindi
ora condannati, anche, in quanto ignavi, ad essere colpiti da mosconi, vermi e
vespe, in quel tempo veri flagelli, anche a causa della promiscuità con gli
animali domestici, e alle precarie condizioni igieniche.
Ma quale condizionamento avrà vissuto
Dante per incarcerare a vita nell’oltretomba le bestiole?
Incredibile come una voce possa
idealizzare una scena descritta da altri, le azioni, gli attacchi, gli sciami
che colpiscono in modo chirurgico, i cambi di umore… e l’elemento tecnico,
sicuramente prevalente, scompare a vantaggio della chiara descrizione di un
momento che da violento si trasforma in poetico.
Inferno, canto quinto, Stornei, gru, colombe.
Dante entra nel secondo cerchio,
quello in cui trovano spazio i lussuriosi, coloro che hanno sottomesso la
ragione all’istinto, i peccatori carnali.
Il tema è l’amore, quello che, forse,
può portare alla morte del corpo e dell’anima, sebbene sia essenza di Dio.
Il poeta introduce tre similitudini
che simbolicamente riportano a tre uccelli:
Gli storni di uccelli, che
appaiono in balia del vento sospingendo le anime dei lussuriosi, attraverso
passioni erotiche che pare non abbiano confine e senso del limite.
Le anime di coloro che sono morti per
amore - uccisi o suicidati - procedono come le gru, che volano in fila mentre
cantano con suoni lamentosi.
Le colombe, le anime dei due
innamorati (Paolo e Francesca) che si distaccano e, sospinte dall’istinto
d’amore, si dirigono verso il loro nido.
Una voce narrativa si trasforma in
canto angelico, descrivendo una miriade di effetti e sottolineando le skills di
una performer straordinaria.
A questo punto si delinea
icasticamente il disegno dell’artista, e si incomincia a godere del suo modus
propositivo, indipendentemente dall’obiettivo culturale.
Inferno, canto sesto. Cerbero
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gola caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa…
Dante trova una nuova e tormentata
schiera di dannati, i golosi, sdraiati nel fango “controllati” da Cerbero,
che li sovrasta con le sue tre fauci. Ha gli occhi rossi, il muso sporco, il
ventre gonfio e le zampe artigliate; graffia le anime facendole a brandelli rintronandole
coi suoi latrati. I dannati urlano come cani per la pioggia, voltandosi spesso
sui fianchi nel vano tentativo di ripararsi l'un l'altro. Quando Cerbero vede i
due poeti gli si avventa contro, mostrando i denti, ma Virgilio raccoglie una
manciata di terra e gliela getta nelle tre gole. Il mostro sembra placarsi,
proprio come un cane affamato quando qualcuno gli getta un boccone.
Sofferenza e stupore si alternano
mentre le esasperazioni vocali prendono campo, la delicatezza sonora viene
sopraffatta dalla necessità di racconto aggressivo e vie concettualmente parallele
si annodano con grande semplicità.
Inferno, canto tredicesimo. Le cagne
Dante rappresenta ora i dissipatori, nudi,
fuggenti per una selva paurosa (la selva dei suicidi); dietro di loro, cagne
nere bramose. Nascondersi non servirà, verranno fatti a brandelli sino a che gli
animali non troveranno soddisfazione.
Non sono cani cacciatori, ma
selvatici e al femminile, nella descrizione dantesca più rabbiose e crudeli dei
maschi.
Due uomini nudi corrono terrorizzati
nella boscaglia, graffiati dai rovi della boscaglia, ma hanno preoccupazioni
più grandi, quelle che l’interprete disegna lasciandosi andare ad una melodia
sofferta, dal tratto aulico, mentre duetta con un’altra anima.
Purgatorio, canto ottavo. Li astor
Nel luogo dei principi negligenti, le anime intonano al
tramonto la preghiera della sera, mentre sono in arrivo degli angeli armati di
spada.
Il poeta osserva le anime della valletta e poi vede scendere
due angeli armati di spade infuocate e senza punta, che indossano vesti
verdissime e hanno ali con penne dello stesso colore. La loro testa è bionda,
ma il volto non è distinguibile, né comprensibile per gli umani. Vengono per
proteggere la valle da un serpente che è in arrivo.
Non ci sarà nessuna battaglia, solo un atto di forza tra due
falchi del Paradiso e un animale, quella che viene definita una “manfrina tra il
bene e il male”.
Va in scena, musicato, lo stupore, lo schiarimento dei
contorni, dei dettagli, giacché esiste apparente linearità di contenuto e una
forte necessità di semplificazione di racconto; l’autrice ci prende per mano e
ci permette di perlustrare anfratti che forse, la sola lettura, ci impedirebbe
di raggiungere. Magia della Musica!
Purgatorio, canto quattordicesimo. I botoli
Dante, proseguendo il suo viaggio e scendendo giù per la
valle dell’Arno, insulta gli abitanti di quella parte della Toscana, che hanno dimenticato che cosa sia la virtù e sono diventati simili alle
bestie nutrite dalla maga Circe. Nel suo primo tratto il fiume scorre tra i
brutti porci del Casentino, poi scende tra gli abitanti di Arezzo, i botoli che
ringhiano più di quanto consentano le loro capacità; quindi, passa attraverso i
lupi di Firenze e infine fra i pisani, volpi fraudolente che non temono alcun
inganno.
La personificazione e l’andamento dei “botoli” fa nascere l’immagine
di un piccolo cane, tozzo e ringhioso, che però si lascia intimorire
facilmente. Il lamento e il patimento si sviluppano in oltre quattro minuti di
beatitudine sonora, non priva di un certo tono spiritoso e sarcastico.
Purgatorio, canto sedicesimo. L’agnel
L’animale che in questo caso Dante incontra è un suono, una
parola, un canto, una preghiera, l’Agnus Dei cantato dagli iracondi per
ottenere pace e misericordia. Il canto è intonato e tutte le voci, che si
esprimono in completa armonia, scontano la loro penitenza e invocano pietà.
L’agnello simboleggia la mitezza, in contrasto con
l'iracondia, che secondo i padri della Chiesa è diversa dalla passione, che al
contrario si può domare con la ragione.
Tecnica sopraffina necessaria per un quadretto quasi bucolico,
se rapportato ai precedenti, dove il tratto elegiaco sorprende e calmiera ogni
tipo di emozione.
Purgatorio, canto diciottesimo. L’ape
Virgilio, con una metafora, spiega a Dante l’amore e il
libero arbitrio e viene evocata brevemente l’ape, che crea miele senza
averne consapevolezza del motivo, non è una scelta ma un prodotto dell’istinto,
proprio come l’uomo, ignora da dove venga la conoscenza basica in lui connaturata.
Il dialogo tra il poeta e la sua guida - con considerazioni
così profonde - realizza una similitudine che pare sgorgare dal cantato soave, una
meraviglia estetica, un tocco di dolcezza estrema.
Purgatorio, canto venticinquesimo. Il cicognin
Altra similitudine - con dovizia di particolari -, un piccolo
di cicogna che solleva l'ala per il desiderio di volare, ma poi non ha
il coraggio lasciare il nido e la mette giù.
Il contrasto personale caratteristico di ogni anima, il
desiderio di camminare nuove e avventurose strade frenato dal timore di lasciare
un porto sicuro.
L’autrice ripercorre il desiderio di Dante di leggere nell’animo
del piccolo volatile, perché il sentimento proposto è assai comune e senza
tempo, perlustrato in anticipo dal sommo poeta.
Nuvole sonore impalpabili si elevano e l’ascolto non ha più
bisogno di estrema concentrazione, basterà possedere un po’ di sensibilità e
virtuosismo.
Paradiso, canto primo. L’aquila
quando Beatrice in sul sinistro
fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
aguglia sì non li s’affisse unquanco
In questo canto Dante descrive
un’azione soprannaturale di Beatrice, un superamento delle capacità dell’aquila
nel corso di un’azione poco umana.
Dante vede Beatrice intenta a fissare
il sole, proprio come potrebbe fare un'aquila, ma con un’intensità visiva
superiore, una prova di superamento che porta all’invenzione del termine “transumanare”,
andare oltre i limiti della specie, esercizio compiuto dalla sua amata.
Catrani prende la sua tela musicale e
dipinge la luce, il movimento, l’osservazione, il silenzio, la contemplazione e
lo stupore… va in scena un dialogo che sgorga spontaneo e tocca l’anima.
Paradiso, canto sesto. Il colùbro
Il Poeta utilizza un latinismo per
evocare un “serpente velenoso”, in modo specifico l’aspide con cui
Cleopatra si diede la morte.
Un incrocio di destini, tra animali e
uomini, che in questo caso raggiunge livelli elevatissimi, vista la valenza
rilevante e le conseguenze per la politica dell’era.
Una cantilena, una tristezza
spontanea, una nenia che ondeggia tra morte e simulazione di movimento. Quanta
competenza ci vuole per rendere vivo un momento simile!
Paradiso, canto ventitreesimo. L’augello
Molta attenzione per una minuscola
creatura, appostata sul nido intenta a proteggere la sua famiglia, in ansiosa
attesa che la luce fornisca la possibilità di andare alla ricerca del cibo
necessario al sostentamento; questo porta all’analogia con Beatrice, e la
comparazione tra comportamenti celesti e terrestri trova sintesi nell’accettazione
che anche gli animali, forse, riflettono il Paradiso.
Un tale pensiero, leggero e delicato,
non poteva che essere proposto con un canto che delinea il volo, il colloquio e
il senso di protezione che regola le leggi di ogni sana casa. Emozionante!
Paradiso, canto ventiquattresimo. L’agnello
Beatrice vede il Paradiso come una
cena, con tutti i componenti al loro posto, ma manca il simbolo principe, l’agnello,
Gesù Cristo.
Si danza, le anime splendono, ogni
desiderio viene realizzato e la gioia è piena; si raggiunge la felicità partecipando
alla gran cena arrivando alla sazietà, la beatitudine che arriva dopo la
fruizione metaforica dell’agnello.
I giochi con le corde vocali
risultano più contenuti rispetto all’idealizzazione della festa, un momento che
non trova esplosione ma riservatezza e cautela.
Paradiso, canto venticinquesimo. Il Pellicano
Poche parole dedicate al pellicano,
anzi, una sola. Una nomination e via.
Questi è colui che giacque sopra 'l
petto
del nostro pellicano…
San Giovanni Evangelista, l’apostolo
prediletto di Gesù, posò il capo sul petto del Salvatore, il quale, prima di
morire, lo affidò come figlio a Maria.
Ma perché "pellicano"? Secondo una leggenda
nota nel Medioevo, il pellicano, squarciandosi il petto, risuscita i propri
figli con il sangue che sgorga dalla sua ferita.
Poiché Gesù è rappresentato come un
pellicano, la letteratura medioevale attribuì a quella leggenda un significato
simbolico per indicare Cristo, che con il suo sangue redense l’umanità.
Una chiusura adeguata che cesella la
fermatura di un’opera unica, pregna di valori culturali e competenze
specifiche.
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La ricerca dei singoli significati mi
ha costretto ad una ricerca nella memoria e ad un’indagine documentale cospicua,
ma ne valeva la pena.
Il lavoro realizzato da Laura Catrani
è, purtroppo, rivolto ad una nicchia di appassionati, anche se la speranza è
sempre quella che sia possibile diffondere il verbo a macchia d’olio.
“Vox in Bestia” si presta a innumerevoli
fruizioni, come quella radiofonica già realizzata, quella su formato digitale o
fisico e quella teatrale, probabilmente la più spettacolare e affascinante.
Certo, anche il luogo in cui nascono
le rappresentazioni è legato alla sacralità della proposta, ma vale la pena esaltare
tale capitale culturale.
Laura Catrani, che non conoscevo, fa
parte di quella schiera di virtuosi della voce che utilizzano il proprio
strumento per sperimentare, per trovare nuove vie, limiti e frontiere, come accaduto
in passato al maestro Demetrio Stratos, come ha fatto per tutta la
vita Bernardo Lanzetti, come persegue da sempre Claudio Milano, come accade con
Raffaello Regoli.
La voce è strumento difficile da “suonare”,
non si separa mai dal suo proprietario, per cui c’è un rapporto intimo e di
complicità con il suo possessore.
Laura Catrani ce ne fornisce ampia
dimostrazione, unendo cuore e anima a temi universali e immortali.
Lavoro pregevole, impegnativo - per chi
ha creato ma non solo -, una probabile via didattica che andrebbe perseguita.
Prezioso l’artwork, con booklet
esaustivo, immagini e informazioni utili alla decodificazione dell’opera.