mercoledì 26 giugno 2024

Strawbs: l'ultimo album con Rick Wakeman-"From the Witchwood"

 

Album: From the Witchwood

Artista: Strawbs

Pubblicazione: luglio 1971

Genere: Folk rock

Etichetta: A&M Records (AMLH 64304)

Produttore: Tony Visconti

 

Gli Strawbs, band britannica di rock progressivo e folk rock attiva dagli anni '60, hanno prodotto molti album di grande qualità nel corso della loro carriera. Uno dei loro lavori più celebri è il terzo, "From the Witchwood", pubblicato dalla A&M Records nel luglio del 1971. Il disco fu registrato nel febbraio e marzo 1971 all'Air Studios di Londra

"From the Witchwood" è un disco che cattura perfettamente l'essenza del suono distintivo degli Strawbs. L'album presenta un mix ben bilanciato tra elementi di folk rock e rock progressivo, con testi ricchi di immagini suggestive e melodie accattivanti, una dimostrazione di abilità nell'intrecciare diverse influenze musicali in un'unica opera coesa.

L'apertura dell'album con la traccia "A Glimpse of Heaven" è un perfetto esempio di ciò che gli Strawbs riescono a fare. La canzone inizia con un'atmosfera delicata e acustica, ma si sviluppa gradualmente in un crescendo epico, grazie all'aggiunta di strumenti e arrangiamenti più complessi. Questa progressione è un elemento ricorrente nell'intero album, creando un senso di avventura e scoperta musicale per l'ascoltatore.

Altri punti salienti dell'album includono "The Hangman and the Papist" e "Autumn", che mostrano le doti compositive della band nel creare melodie coinvolgenti e testi profondi. "The Hangman and the Papist" in particolare è una canzone potente e drammatica, che affronta tematiche legate alla giustizia e alla vendetta.

Gli arrangiamenti strumentali di "From the Witchwood" sono un elemento cruciale che rende l'album affascinante. La band utilizza una varietà di strumenti - chitarre acustiche ed elettriche, tastiere, flauti e violini - per creare una gamma di suoni e atmosfere uniche. Questo contribuisce a dare all'album una dimensione sonora ricca e piena, che si sposa perfettamente con i testi e le melodie.

"From the Witchwood" è un album notevole, che merita sicuramente di essere ascoltato. La combinazione di folk rock e rock progressivo, unita a testi ben scritti e arrangiamenti impeccabili, rende questo lavoro un classico del genere.

L'album è il terzo e ultimo album che include Rick Wakeman, compresa la sua apparizione come musicista turnista nell'album del 1970 “Dragonfly”.

L'illustrazione della copertina era "La Visione di san Girolamo”, un arazzo della collezione reale spagnola.

Ascolto consigliato, magari da un click sulle tracce a seguire

 

Tracce 

Lato A

A Glimpse of Heaven – 3:50 (Dave Cousins)

Witchwood – 3:20 (Dave Cousins)

Thirty Days – 2:50 (John Ford)

Flight – 4:25 (Richard Hudson)

The Hangman and the Papist – 4:10 (Dave Cousins)

Lato B

Sheep – 4:15 (Dave Cousins)

Canon Dale – 3:40 (Richard Hudson)

The Shepherd's Song – 2:50 (Dave Cousins)

In Amongst the Roses – 3:45 (Dave Cousins)

I'll Carry on Beside You – 3:10 (Dave Cousins)

 

Da sinistra a destra: Dave Cousins, Tony Hooper, Rick Wakeman, John Ford and Richard Hudson


Musicisti

Dave Cousins – voce, chitarra, banjo, dulcimer, recorder tenore

Tony Hooper – voce, autoharp, tamburello, chitarra

Rick Wakeman – organo, celeste, clarinetto, pianoforte, pianoforte elettrico, sintetizzatore moog, clavicembalo, mellotron

John Ford – voce, basso

Richard Hudson – voce, batteria, sitar





martedì 25 giugno 2024

La bellezza di "The Cinema Show" (Genesis)

 

Esistono trame musicali che, indipendentemente dal loro valore intrinseco - spesso difficile da decodificare -, regalano sensazioni difficili da spiegare a parole. E infatti, nemmeno ci provo a raccontare che cosa mi procura la seconda parte di “The Cinema Show”! Di sicuro tanto… tanto bene, a raffica, ad ogni ascolto e in ogni possibile versione: approfondiamo… in modo più serioso!

"The Cinema Show" è una canzone dei Genesis, inclusa nell'album "Selling England by the Pound", del 1973. È un brano epico e complesso che mostra il talento compositivo e l'abilità strumentale della band. La canzone è divisa in diverse sezioni che si fondono armoniosamente, creando un'esperienza musicale coinvolgente e avvincente.

La canzone si apre con un'introduzione strumentale che crea un'atmosfera misteriosa e suggestiva. Successivamente, entra in scena la voce di Peter Gabriel, che trasmette una gamma di emozioni attraverso le sue capacità vocali eccezionali.

Gabriel racconta una storia complessa e surreale, creando immagini vivide con le sue liriche poetiche.

Una delle parti notevoli della traccia è rappresentata da un lungo e intricato assolo strumentale. I membri della band dimostrano il loro virtuosismo e la loro capacità di improvvisazione - apparente -, creando un'intensa interazione tra tastiere, chitarra, basso e batteria. Questa sezione è un vero e proprio trip musicale che cattura l'ascoltatore e lo trasporta in un viaggio sonoro emozionante. Ed è quella che… mi uccide!

Il pezzo si sviluppa attraverso diverse atmosfere e cambiamenti di tempo, creando un senso di suspense e dinamicità. Le melodie sono accattivanti e le armonie vocali sono curate e coinvolgenti.

La produzione dell'album è di alta qualità, consentendo a ogni strumento di risaltare e creando un suono bilanciato e immersivo, con la cura di ogni dettaglio sonoro e lo spazio di luce per ogni singolo strumento.

"The Cinema Show" è considerato un capolavoro della musica progressive rock. La sua complessità musicale, le liriche evocative e le performance strumentali superbe ne fanno un brano che merita di essere ascoltato attentamente. È un esempio della maestria e dell'innovazione dei Genesis come band, che hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo del genere prog rock.

Entriamo ora nella particolarità della lirica.

Del testo, scritto da Mike Rutherford e Tony Banks, colpiscono in maniera particolare sia la struttura che i riferimenti interni. Il brano è infatti suddiviso in due parti che si distinguono fra di loro proprio per le allusioni che contengono.  Lo stacco che vi è fra una sezione e l’altra è abbastanza chiaro, con la prima che vede come protagonisti Romeo e Giulietta, e la seconda Tiresia. Sembra che Mike e Tony siano stati influenzati dalla poesia “The Waste Land”, di T.S. Elliot, con particolare attenzione alla terza sezione, “The Fire Sermon”, giocata appunto, sulla figura di Tiresia, colui che è stato sia uomo che donna.

Le due sezioni su citate si caratterizzano anche per una suddivisione di tipo musicale. Se la prima parte ha una melodia segnata dal suono e dall’incrocio di due chitarre a dodici corde, la seconda ha invece un articolato assolo di tastiera costruito da Tony Banks.

Con “The Cinema Show” siamo davanti alla ripresa di uno dei temi più cari ai Genesis, quello mitologico, che a sua volta si cuce molto bene con quello della prima sezione perché riprende in un certo qual modo il rapporto fra la figura maschile e quella femminile, vista la particolare storia di Tiresia. I riferimenti alla terra e al mare che si ritrovano in alcune strofe, infatti, alludono rispettivamente all’uomo e alla donna.

Ascoltiamo il brano in due differenti versioni, una antica e la seconda proposta recentemente on stage da Steve Hackett e la sua band. 

Album: Selling England by the Pound

Artista: Genesis

Data di uscita: 1973 

 

Liryc

Home from work our Juliet

Clears her morning meal

She dabs her skin with pretty smell

Concealing to appeal

I will make my bed

She said, but turned to go

Can she be late for her cinema show?

Romeo locks his basement flat,

And scurries up the stair.

With head held high and floral tie,

A weekend millionaire.

I will make my bed

With her tonight, he cries.

Can he fail armed with his chocolate surprise?

Take a little trip back with father Tiresias,

Listen to the old one speaks of all he has lived through.

I have crossed between the poles, for me there's no mystery.

Once a man, like the sea I raged,

Once a woman, like the earth I gave.

But there is in fact more earth than sea. 

Take a little trip back with father Tiresias,

Listen to the old one speaks of all he has lived through.

I have crossed between the poles, for me there's no mystery.

Once a man, like the sea I raged,

Once a woman, like the earth I gave.

But there is in fact more earth than sea.

 

Writer(s): Peter Gabriel, Anthony Banks, Phil Collins, Steve Hackett, Michael Rutherford

 

lunedì 24 giugno 2024

Quella volta che Bobby Solo incontrò Jeff Beck

Bobby Solo, Jeff Beck e The Yardbirds

Un anno fa è venuto a mancare un musicista geniale, Jeff Beck.

Impossibile collegarlo ad una sola situazione musicale, ma certamente i The Yardbirds gli sono rimasi appiccicati, gruppo inglese che fece anche un’apparizione al Festival di Sanremo, nel 1966, ma… Beck non era presente.

Nel video a seguire scopriremo il perché!

Molto bello il contributo di Bobby Solo che, con il suo fare un po' gigionesco, induce a non prenderlo troppo sulserio, ma è stato un innovatore, e di musica ne sa… assai.

I segni dell’età si vedono sul viso, ma la memoria è molto vivida e il suo pensiero è davvero significativo…

 






domenica 23 giugno 2024

Gli Steppenwolf e la loro "Born to Be Wild"

 


La visione di questa antica e godibile versione di “Born to Be Wild” mi porta a rispolverare una band storica, gli Steppenwolf…


Steppenwolf è stato un gruppo rock canadese naturalizzato statunitense, attivo dal 1968 al 1972. Si formarono alla fine del 1967 a Los Angeles per opera del cantante John Kay, dal tastierista Goldy McJohn e dal batterista Jerry Edmonton (tutti precedentemente nei Jack London & the Sparrows di Oshawa, Ontario). Il chitarrista Michael Monarch e il bassista Rushton Moreve furono reclutati attraverso avvisi affissi nei negozi di dischi e strumenti musicali dell'area di Los Angeles.

Gli Steppenwolf hanno venduto oltre 25 milioni di dischi in tutto il mondo, hanno pubblicato otto album d'oro e 12 singoli entrati nella Billboard Hot 100, di cui sei sono stati top 40 hits, tra cui tre top 10 successi: "Born to Be Wild", "Magic Carpet Ride" e "Rock Me".

Il successo mondiale si scontrò con le personalità contrastanti dei membri del gruppo e ben presto si arrivò alla fine della formazione principale.

Le varie reunion e i progetti collaterali non aggiungo nulla alla, comunque, prestigiosa storia degli Steppenwolf!







sabato 22 giugno 2024

Il nuovissimo singolo di Jon Anderson "Shine On"

 

Jon Anderson pubblicherà ad agosto il nuovo album TRUE, registrato con la band The Band Geeks

 

Shine On è il primo brano tratto dal prossimo album di Anderson, TRUE, che uscirà il 23 agosto attraverso la sua nuova etichetta discografica, la Frontiers Records.

Registrato con The Band Geeks, con cui Anderson ha girato l'America negli ultimi due anni, Shine On è stato prodotto da Anderson e dal bassista e direttore musicale dei Band Geeks Richie Castellano (anche membro dei Blue Oyster Cult).

TRUE è stato descritto dalla nuova etichetta di Anderson come "una raccolta di canzoni che si rifà ai classici suoni degli Yes degli anni '70 e al loro successo dell'album 90125", e contiene una traccia di 16 minuti e mezzo chiamata Once Upon A Dream.

Anderson è in tour per tutta l'estate in Nord America con The Band Geeks nel loro tour Yes: Epics, Classics and More. A seguire le date, per chi si trovasse da quelle parti!


Jon Anderson: Yes: Epics, Classics and More tour 

Jun 13: Chicago Copernicus, IL

Jun 15: St. Louis, MO

Jun 18: Greensburg Palace Theater, PA

Jun 20: Hershey Hershey Theatre, PA

Jun 22: Concord Capitol Center for the Arts, NH

Jun 25: Boston Shubert Theatre, MA

Jun 27: Ridgefield Ridgefield Playhouse, CT

Jul 21: Patchogue Great South Bay Music Festival, NY

Jul 24: Nashville Ryman Auditorium, TN*

Jul 27: Peachtree City Frederick Brown Jr. Amphitheatre, GA

Jul 30: Camdenton Ozarks Amphitheater, MO*

Aug 02: Bonner Springs Azura Amphitheater, KS*

Aug 04: La Vista The Astro Outdoors, NE*

Aug 07: Waite Park The Ledge Amphitheater, MN*

Aug 10: Denver Paramount, CO

Aug 14: Phoenix Celebrity Theatre, AZ

Aug 16: Thousand Oaks Performing Arts Center, CA

Sep 13: Glenside Keswick Theatre, PA

Sep 15: Glenside Keswick Theatre, PA

 

* Special guests The Return of Emerson, Lake & Palmer





giovedì 20 giugno 2024

giugno Glanstonbury Festival - 1971



Somerset, 20-24 giugno 1971

Qualcuno pensava che gli anni ’60 fossero finiti? Programmato in coincidenza con il solstizio d’estate, il secondo Glanstonbury Festival attirò 12.000 appassionati che sciamarono verso l’Inghilterra occidentale in cerca di nudismo, sesso, droga e spiritualità, al suono di Arthur Browne’s Kingdom Come, David Bowie, Quintessence, Hawkwind, Traffic, Melanie e Fairport Convention.
Fu sicuramente la più idilliaca fra le prime edizioni dell’evento. Al momento di ritirarsi nelle proprie tende, piantate nei boschi vicini, a nessuno dei presenti veniva in mente che, dopo Altamont e dopo Manson, le cose potessero essere cambiate. Almeno nella valle di Avalon, gli anni ’70 continuavano a tenere vivi i sogni dell’era Hippie.
Non c’era un vero addetto al palco e seguire la scaletta era un casino. Era poco professionale, ma nel 1971 funzionava così. Ecco perché David Bowie suonò alle quattro e mezza del mattino anziché la sera precedente, prima dei Traffic. Per fortuna il sole stava sorgendo proprio in quel momento: era l’alba del solstizio. Fu un momento davvero speciale.”
John Coleman, organizzatore.

“Si trattò del primo festival a indirizzo totalmente spirituale e in cartellone c’erano anche i Gong, all’epoca gruppo di sconosciuti arrivati dalla Francia. Per quanto fossi stato espulso dall’Inghilterra, riuscimmo a fare la traversata da Dieppe, una mattina presto, con un furgone francese senza libretto di circolazione e un ‘immagine del Buddha sulla mia foto del passaporto. “Il posto consisteva in una gigantesca distesa di campi punteggiata da qualche fattoria. C’era un’enorme piramide in costruzione ( il palco…) e in lontananza si percepiva la presenza solenne e minacciosa del Picco di Glastonbury.


Nel 1970 venne approvata la “Legge dell’Isola di Wight” per proibire tutti i festival… fino al 2002.

Glanstonbury Festival

Gilli (Smith, la cantante dei Gong) e io trascorremmo la prima notte in un posto umido e soffocante con una copertura di plastica che grondava acqua di condensa. Dormii a fatica, in uno stato di umida semincoscienza, fino a che non percepii distintamente una voce che intonava la più bella canzone che avessi mai ascoltato. Un’esperienza da togliere il fiato. Mi lasciai trasportare da tanta meraviglia e in me si produsse un senso di estasi simile a un lento ma inesorabile orgasmo spirituale. Poi tutto finì e mi ritrovai sveglio e seduto in una tenda fradicia sul sacro suolo di Avalon. Scoprii poi che all’alba aveva cantato e suonato un certo David Bowie a me sconosciuto. Tempo dopo mi procurai un nastro con la sua serenata al sorgere del sole, ma non c’era nulla di simile a quanto avevo sentito. Che fosse proveniente dall’interno del mio corpo? Un mistero…
“I Gong avrebbero dovuto suonare a metà pomeriggio, ma il destino giocò in nostro favore. Salimmo sul palco con un paio d’ore di ritardo e poca gente ad ascoltarci. Dopo una decina di minuti, mentre ci stavamo producendo in un robusto crescendo ritmico, l’amplificazione si guastò. Quando ricominciammo era l’ora magica del tramonto ed eravamo avvolti dalle luci soffuse del palco. Un attimo dopo, alzando gli occhi, vidi un migliaio di persone che dalla collina scendevano in fila verso di noi, come se seguissero un pifferaio magico. Tutti ballavano e saltavano sulle note di quello strano gruppo francese chiamato “Gong”. Dallo spazio luminescente del palco a piramide fu una visione emozionantissima. Finimmo il nostro concerto sotto gli ultimi raggi di sole salutati da un applauso caldo e prolungato, tipico di quando entra in gioco un reciproco e stimolante riconoscimento spirituale. Ero tornato nella Terra delle mie Madri… “
Daevid Allen, Gong

Mark Paytress-“Io c’ero”

La storia (italiano)







martedì 18 giugno 2024

Grazia Velvet Capone, "Sette Porte"

In modo più o meno cosciente mi ritrovo tra le mani un libro il cui titolo è “Sette Porte”, e la cui autrice è Grazia Velvet Capone, che conosco solo virtualmente e che, complice l’amico comune Beppe Crovella, mi omaggia del suo ultimo lavoro.

Ricevere libri e affini fa parte della mia quotidianità, ma le mie riflessioni scritte post lettura mi vengono naturali quando l’argomento è prettamente musicale, mentre per tutto il resto posso solo provare a trasferire il profumo di ciò che ho captato. Ringrazio Grazia per aver pensato a me, ma soprattutto per avermi regalato la possibilità di conoscerla meglio, permettendomi di avvicinarmi ad un modello espressivo che adoro e che cerco di utilizzare ogni volta che mi capita l’occasione, quello che unisce arti varie che si focalizzano su un fatto oggettivo e forniscono differenti punti di vista, che alla fine convergono. In questo caso le parole si mischiano all'arte grafica e, come vedremo alla fine, alla musica.

Le sette porte… le sette storie proposte dall’autrice sono infatti “rinforzate” dal grafico Giorgio Salidu, che presta la sua arte per il commento dei singoli racconti, facendo opera di sintesi nella quarta di copertina e presentando l’autrice in un format iniziale che regala bellezza, giovinezza e musica, giacché l’impatto visivo iniziale mi ha ricondotto al mondo di Nico (senza Velvet Undergorund!).


Da Dies irae

Un urlo dell'animo, una Donna che lotta e vince contro la paura del fanatismo religioso e umano. Vera potenza, autentica potenzialità di intenti. In ogni cuore innocente  un lupo attende di essere svegliato. Non sono riuscito a vedere questa Donna che così: immersa nelle sue uniche, meravigliose energie (GS)

Parlando di oggettività, è bene dire che il book è stato pubblicato dalla Casa Editrice Aurea Nox, progetto editoriale di cui Grazia è driver/ motore/ leader, che raggruppa un insieme di autori che esaltano gli aspetti della contemporaneità in evoluzione.

Esiste un terreno comune che lega i differenti racconti, ma occorre partire dal numero utilizzato per la creazione dell’opera, carico di simbolicità, quella che, immagino, abbia ispirato l’autrice.

Il “7” ha un significato particolare, è un numero carico di spiritualità e di misticismo, legato alla ricerca della verità e alla comprensione del reale.

Il numero sette ha assunto grande importanza simbolica anche nella religione cristiana ed ebraica, e non è un caso che avesse grande valore anche nell’arte e nell’esoterismo medioevale.

La spiritualità rappresentata da Grazia Velvet Capone si unisce alla forza che è propria di figure materiali, una possenza che nulla ha a che vedere col concetto di potenza fisica, ma si concentra sull’esempio morale fornito dalle donne, che si dimostra uno straordinario beneficio per il bene comune.

Le figure femminili portano nel mondo una virtù speciale, un dono divino che le rendono atte a instillare qualità come la fede, il coraggio, l’empatia e la purezza nei rapporti con gli altri e nelle culture.

E tutto questo emerge mano a mano che i racconti si evolvono, toccando temi che partendo dall’estremo passato si soffermano sul presente - drammatico - proiettandosi sul futuro, oltrepassando “la porta” del conosciuto e immaginando un mondo ancora lontano.

Amore, vendetta, dolore, rivincita, delusione, morte… un ventaglio di sentimenti e astrazioni sgorgano da una scrittura colta e carica di passione in cui l’autrice non esita nel mettere sul piatto idee e “cose personali”, condividendo col mondo la sua attuale sintesi di vita.

Ho provato forte emozione nel corso della lettura, che è stata rapidissima perché, dopo aver iniziato ho sentito la necessità di conoscere meglio Grazia, andando subito al dunque.

A completamento dell’opera una playlist consigliata - una per racconto più bonus -, variegata e su cui sarebbe bello saperne di più, a proposito della sua composizione.

Ogni rappresentazione dell’arte ha il compito di suscitare reazioni in chi usufruisce dell’attimo contemplativo, e ho sentito la necessità di sintetizzare “le porte di Grazia”, in un’unica door metaforica… la mia immagine di “barriera”…

 

La porta come simbolo…

Una porta aperta, o chiusa, giorno e notte.

Ci passi davanti mille volte e non trovi mai nulla di cambiato.

Nessun rumore, nessuna variazione di luce, stessa intensità, stessa tonalità.

Oltre la porta è sempre giorno, o sempre notte, e l’ignoto regala uno strano sentimento che mescola terrore e attrazione, ma la voglia di superare la soglia resta in agguato: la porta, prima o poi, andrà oltrepassata.

Da sempre esiste un monito fornito da chi tutto sa, santa esperienza: “Non avvicinatevi mai! “, come se l’uomo comune non potesse comprendere.

E se fosse un confine? Una linea di demarcazione? Una divisione tra bene e male?

Una soglia tra dolore e felicità? Un passaggio verso un mondo diverso?

E se dopo quella porta priva di vita ci fosse un’altra porta... un’altra porta... un’altra porta ancora?

E se rappresentasse la nostra vita, e la porta fosse solo uno dei tanti ostacoli senza fine?

E se fossimo coscienti di tutto ciò … faremmo bene ad oltrepassare quella porta?

 

 

 

 

 

lunedì 17 giugno 2024

Francesco Paolo Paladino & Martyn Bates-"Treasure of light"


Ogni nuovo progetto di ­Francesco Paolo Paladino regala novità che, al di là dell’aspetto musicale e professionale, sollecitano l’intimo delle persone dotate di un minimo di sensibilità, che dovrebbero reagire con stupore e meraviglia, come accade quando qualcuno ti aiuta a tirare fuori pensieri e sentimenti nascosti e sopiti da tempo, che emergono quando arriva qualcuno capace di amplificare le fiammelle ancora accese - ma smorte - e… le cose quotidiane assumono luce nuova.

Ho usato il condizionale (“dovrebbero…”) perché mi baso sull’esperienza personale, e dal momento che ritengo di rappresentare l’essere umano medio, ecco che estendo il concetto generalizzando, e mi pongo una domanda, entrando in un campo che non mi appartiene: qual è il legame tra la musica e la mente? Sarà Paladino una sorta di psicologo involontario?

I lavori dell’autore sono spesso ufficialmente legati tra loro, ma io trovo sempre grandi differenze nella reazione - mia - alla proposta, ovvero, ogni “album” mi conduce in territori inusuali, e il mio successivo approdo profuma di attimi di vita vissuta, magari dimenticata, ma pronta a risollevarsi quando la musica bussa alla porta.

Parto dalle considerazioni oggettive, quelle evidenziate dall’autore, che sottolinea in primis la qualità intrinseca derivante dalla collaborazione con Martyn Bates, uno che “… con quella voce potrebbe cantare l’elenco telefonico!”, un colore timbrico naturale giudicato da Paladino funzionale all’atmosfera primaverile di cui è pregno l’album.

Il titolo, “Treasure of light”, fa proprio riferimento a ciò che la natura e il nostro animo subiscono nel momento del passaggio, in quello che è considerato il momento topico dell’anno, quando il risveglio è totale dopo il forzato letargo, mentre prendono forma le speranze legate al periodo estivo, e quel “tesoro di luce” non ha età o, meglio, non si affievolisce col passare del tempo, e ogni nuova primavera è foriera di speranza e positività.

Francesco e Martin affrontano il viaggio con gli amici di sempre, capaci di afferrare al volo i loro obiettivi e di aggiungere il tocco personale.

Tutti i dettagli sono fruibili al seguente link…

https://athosenrile.blogspot.com/2024/06/francesco-paolo-paladino-martyn-bates-i.html


Sedici tracce che dovrebbero avere una specifica modalità di fruizione - come accade sempre quando Paladino produce musica -, perché un minimo di concentrazione o, meglio, preparazione e predisposizione all’ascolto, andrebbe fatta.

Ci sono in ballo astrazioni, sensazioni, il tempo che fluisce dopo l’illusione dello stallo, l’amore che arriva e se ne va, i sentimenti che cambiano ma non invecchiano, le pulsioni che restano intatte, così come gli odori, mentre dall’esterno arrivano giudizi errati, incompleti, basati solo su ciò che è elemento esteriore.

Considero “Treasure of light” un lavoro strumentale, giacché le voci in gioco, seppur magnifiche, appaiono strumenti inseriti in un’orchestra perfetta, capace di far nascere spontanee immagini a getto continuo.

Leonardo ebbe a dire: “La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca…”; cercando una sintesi efficacie da incollare a “Treasure of light”, mi viene in mente un mosaico fatto di tanti dipinti, tante tele riempite da sagge e virtuose mani, che alla fine si lasciano guidare da un regista che trova la giusta posizione per ogni tessera, esaltando così il potere trasformativo dell’arte.

A fine post propongo un video che potrà dare un’idea del progetto.

Aggiunge Francesco Paladino: “Questo mio lavoro è la primavera, la mia primavera, quella di mille anni fa quando ero un ragazzo e non riuscivo a dormire alla sola idea che sarebbe giunta l’estate, quella attuale di chi ha vissuto un bel pezzo di esistenza ma si emoziona sempre e comunque per un fremito di foglie.

Impossibile non farsi coinvolgere!



TRACKLIST: 

1-Treasure Of Light Pt.1- 02:51

2-Same Airport-03:55

3-Only Two Stars 01:44

4-One More Star 01:57

5- The Carrol Of Sunny Day 04:39

6-Like A Shadow 01:32

7-Eternal Mantra 02:11

8-Eternal Crush 01:12

9-Rain and Fears 01:03

10-The Last Fog 07:14

11-Spring Mind 01:08

12-Radio Past 01:49

13-At Spanish Opera 02:01

14-African Volcano 03:48

15-Sommesso - The Waiting Day 02:45

16-Treasure Of Light Pt.2 02:12





The Zombies


The Zombies è stato un gruppo musicale rock britannico degli anni Sessanta, fra i più importanti della scena beat; benché in grado di raggiungere più volte le vette delle classifiche inglesi e americane, oggigiorno risultano perlopiù sconosciuti al grande pubblico. 
Al pari dei più famosi Beatles e Beach Boys - ma anche del gruppo coevo dei Tremeloes - hanno caratterizzato buona parte della musica pop dell'epoca del beat.

Originari di St Albans, Hertfordshire (35 chilometri a nord di Londra), gli Zombies appartengono al fenomeno culturale noto come British Invasion, nato per sfruttare commercialmente il successo ottenuto dai Beatles negli U.S.A. verso il 1964, a cui si possono accostare gruppi musicali come i The Searchers, Gerry and the Pacemakers, i The Kingsmen.

Musicalmente però gli Zombies si distanziano dai cliché dei gruppi musicali loro contemporanei (ovvero dal Beat, inteso come genere musicale caratterizzato dal forte accento in battere della ritmica, da una certa ruvidità sonora, da un accompagnamento di tipo Rhythm'n'Blues a cui si sovrappongono linee vocali più articolate e melodiche) in quanto possono vantare nel loro organico un talentuoso ed innovativo tastierista, Rod Argent, capace di tessere insieme al bassista Chris White delle armonie musicali decisamente più ricche e raffinate, rispetto alle tipiche cadenze di estrazione blues.

Dopo aver vinto un concorso promosso dalla Decca Records (etichetta famosa, tra l'altro, per aver rifiutato un contratto ai Beatles degli esordi), gli Zombies videro finalmente pubblicato nel 1964 il loro primo singolo She's not there, che divenne un successo mondiale e raggiunse il primo posto nelle classifiche americane dove il tema della canzone, di contenuto amoroso, viene sviluppato dal falsetto - poi rilanciato negli USA dai Byrds - del cantante Colin Blunstone su un arrangiamento particolarmente cupo ed ossessivo guidato da un ostinato giro di basso.
Nel 2014 diventerà la colonna sonora di uno spot della Chanel com protagonista Keira Knightley.
Il brano entra nella Grammy Hall of Fame Award 2016.


Singoli successivi furono Leave Me Be (di buona fattura ma di scarso successo) e Tell Her No; quest'ultimo pezzo li proiettò nuovamente tra i Top 10 statunitensi, garantendo loro un'accoglienza folle in stile Beatlemania anche durante delle trionfali tournée in Giappone e nelle Filippine.

Le divergenze di opinioni con la Decca e con il produttore Ken Jones portò ad un'amichevole separazione nonché ad un nuovo contratto con la CBS, il quale però si rivelò inutile, visto che la band si sciolse nel 1967, dopo aver registrato a proprie spese del materiale per un LP che uscirà "postumo" con il titolo di Odyssey and Oracle, registrato ad Abbey Road nel tardo 1967, e pubblicato nel giugno del 1968.

Il pezzo Care of Cell 44 non conquistò i favori del pubblico, ma il singolo Time of the Season divenne un successo nei primi mesi del 1969, quando ormai i componenti della band stavano riorganizzandosi per intraprendere dei nuovi progetti (la band Argent, formata da Rod Argent e Chris White insieme a Russ Ballard) e dei percorsi come solisti (Colin Blunstone); la CBS e altri promotori offrirono notevoli somme di denaro affinché il gruppo si riformasse, ma ormai era troppo tardi.


L'album Odessey and Oracle, ottima summa delle atmosfere inglesi della seconda metà degli anni Sessanta, meriterebbe una maggiore e giusta considerazione nella storia della musica pop; è presente una creatività originalissima, temi folk, fughe musicali del tipo prog-rock, fraseggi arabeggianti, progressioni armoniche innovative (il discorso musicale non ha problemi a porsi a livello di Pet Sounds dei Beach Boys e con Sgt. Pepper dei Beatles), sonorità ricercate.


Discografia:

1965 - The Zombies
1965 - Begin Here
1968 - Odessey and Oracle
1972 - The Zombies: Time Of The Zombies (raccolta 1965-1968)
1991 - New World (comprendeva Blunstone, White, Grundy, e Sebastian Santa Maria. Rod Argent appare in Time of the Season)
1997 - Zombie Heaven (raccolta in 4 CD con rarità e registrazioni live)
2004 - As Far As I Can See...
2005 - Live at the Bloomsbury Theatre, London
2015 - Still Got That Hunger


domenica 16 giugno 2024

Turn of the Century



Scrivevo un pò di tempo fa...

Girovagando su youtube ho scoperto una versione al piano di un capolavoro targato "YES", "Turn of the Century".

La mano è di tal Michael Kuhlmannartista forse famoso, ma a me sconosciuto.

Mi è piaciuta moltissimo, e riproporla nella doppia versione, YES e Kuhlmann, mi fornisce l'occasione per ricordare un gruppo immenso, una canzone senza tempo e oltre ogni etichetta, e dei musicisti impareggiabili.

Mi lascia uno strano sapore il rifacimento di un brano prog per la delizia di un maturo e attento pubblico, in un contesto serioso e classico. 

E' indubbio che molti artisti, nati musicalmente parlando a cavallo tra gli anni '60 e '70, avevano davvero qualcosa in più, un mix di idee e coraggio, e uno straordinario talento!

YES-Turn of the Century


Michael Kuhlmann-Turn of the Century





Monterey Pop: accadeva il 16 giugno 1967



Da "Rock e Martello", di Gianni Lucini

"Il 16 giugno 1967 con il brano Enter the young gli Association aprono il Monterey Pop Festival, destinato a restare nella storia, oltre che come l'antesignano dei grandi raduni di massa della generazione hippy, come un primo segnale evidente di un'epoca di grandi cambiamenti. 

Organizzato da un singolare trio composto da John Philips dei Mamas & Papas, Paul Simon e Lou Adler per un pubblico stimato, alla vigilia, intorno alle settemila persone, attirerà, invece, oltre cinquantamila giovani e con la sua svolta musicale progressista contribuirà, nonostante i dubbi degli esperti di mercato, a far uscire il rock dai ristretti recinti delle musiche di culto. Farà conoscere al mondo, anche grazie al film realizzato nei tre giorni della manifestazione dal regista D.A. Pennebaker, la chitarra lancinante di Jimi Hendrix, la carica devastante degli Who e gli innovativi suoni delle band nate nel movimento hippy di San Francisco, prima fra tutte Janis Joplin con i suoi Big Brother & The Holding Company. Segnerà anche la consacrazione di Otis Redding, profeta di un soul che, senza rompere con le sue radici nere, abbatte le barriere razziali per parlare ai giovani di tutti i colori. 

A Monterey la generazione hippy sceglie poi i suoi nuovi eroi e li acclama sul campo, come accade ai Buffalo Springfield, a Simon & Garfunkel e alla Paul Butterfield Band, arrivati in punta di piedi e ripartiti con l'investitura ufficiale. La kermesse inizia nel primo pomeriggio del 16 giugno. Dopo gli Association salgono sul palco Lou Rawls e Johnny Rivers, cui seguono gli Animals di Eric Burdon riformatisi quasi per l'occasione. La chiusura della giornata celebra la santificazione di Simon &Garfunkel. 

Tra le curiosità del secondo giorno di Festival, dedicata al blues, ci sarà l'improvvisa defezione di vari artisti neri, sostituiti in tutta fretta dai bianchissimi Canned Heat e Janis Joplin, ma a rimettere le cose a posto ci penserà, a notte inoltrata, l'esplosivo Otis Redding. Nel terzo e ultimo giorno le note di Jimi Hendrix infiammeranno la platea a tal punto che i Buffalo Springfield, incaricati della chiusura, faticheranno non poco a convincere tutti della necessità di sgombrare l'area prima dell'alba. Alla fine, tirate le somme, gli organizzatori potranno contare su un utile di duecentomila dollari che verranno immediatamente devolute in beneficenza, come annunciato da tempo. Agli artisti, invece, non toccherà un soldo, perché i patti erano chiari fin dall'inizio: «A Monterey si suona gratis».



Performances from the Monterey Pop Festival not released on the original documentary by D.A. Pennebaker. Nearly two hours of bonus footage from the Criterion Collection release of Monterey. The Festival that marked the beginning of the summer of love and spurred one of musics most creative and influential era's. This includes performances by:

The Association- "Along Comes Mary"
Simon and Garfunkel- "Homeward Bound" 3:55 "Sound of Silence" 6:46
Country Joe and the Fish- "Not So Sweet Martha Lorraine" 10:00
Al Kooper- "Wake Me, Shake Me" 15:20
The Butterfield Blues Band- "Driftin' Blues" 22:50
Quicksilver Messenger Service- "Dino's Song" 27:34
The Electric Flag- "Wine" 30:51"
The Byrds- "Chimes of Freedom" 33:40 "He Was A Friend of Mine" 37:36 "Hey Joe" 40:30
Laura Nyro- "Poverty Train" 42:55
Jefferson Airplane- "Somebody To Love" 48:24
The Blues Project- "Flute Thing" 52:29
Big Brother and the Holding Co. w/ Janis Joplin "Combination of the Two" 1:03:07
The Buffalo Springfield- "For What It's Worth" 1:08:57
The Who- "Substitute" 1:12:30 "Summertime Blues" 1:16:19 "A Quick One" 1:19:57
The Mamas and The Papas- "Straight Shooter" 1:28:14 "Somebody Groovy" 1:32:00 "I Call Your Name" 1:34:53
(Hilarious antics of Mama Cass) 1:38:46 "Monday, Monday" 1:40:36
Scott McKenzie- "San Francisco" 1:44:30
The Mamas and The Papas and Scott McKenzie- "Dancin' in the Street" 1:48:05