Tratto da MAT2020 di maggio, con annessa l’intervista a Leonardo De Muzio
Il mio servizio taxi da Verona al BLUE NOTE di Milano.
Alle origini della musica dei PINK FLOYD con “dei clienti speciali", la tribute b dei BIG ONE
Di Gian Paolo Ferrari
Lo spettacolo è appena terminato, mi trovo in un angolo del
locale, solitario e felice ad assaporare fino all’ultimo respiro tutte le
emozioni di questo bellissimo concerto al quale ho assistito. Dalla mia postazione
vedo i ragazzi sul palco che, terminata
la loro esibizione, raccolgono orgogliosi i meritati applausi da parte del
pubblico del Blue Note. In questo
miscuglio di sensazioni all’improvviso vado a ritroso con la mente e come nelle
sceneggiature di quei film che iniziano con le immagini dall’epilogo … vi ricordate ad esempio in “THE WOMAN IN RED”?
dove il povero Teddy Pierce, interpretato dal grande Gene Wilder, si ritrova in
accappatoio sul cornicione di un palazzo
al ventesimo piano a chiedersi come avesse fatto a trovarsi in quella
situazione assurda, e proprio da lì parte il racconto che porterà a comprendere la giusta causa, ovvero
la bellissima Kelly Lee Brook. Ecco! Anch’io vorrei fare la stessa cosa,
certamente non di starmene su di un cornicione, sarebbe troppo “pericoloso” per
i miei gusti, mi basta solo raccontarvi la storia che mi ha portato in questa
nevosa domenica di febbraio, al Blue Note Di Milano, più avanti vi parlerò del
concerto … abbiate solo un po’ di pazienza, buona lettura …
IO E I BIG ONE
Ero molto scettico nel
giugno 2005 quando, su invito di un mio carissimo amico, mi recai al
Teatro Romano di Verona. Quella sera in cartellone c’era una tribute band
Floydiana di nome BIG ONE.
Mi accomodai nelle prime file, ero
curioso ma nello stesso tempo molto distaccato, per me i Pink Floyd sono sempre stati “intoccabili”, per questo motivo
pensavo di assistere ad una carrellata di cover da parte di qualche simpatico e
volenteroso musicista, ed invece …
niente di tutto questo, le luci si spengono e parte il famoso intro di tastiere
di Shine on you crazy diamond, entra
in scena Leonardo De Muzio con la sua chitarra, rimango incollato alla
poltrona, mi chiedo: “ Non è possibile!
Questa è una base registrata! Sta suonando come Gilmour … lo
stesso tocco, la stessa tecnica … incredibile!”… Questa fu l’emozione che
mi accompagnò per tutta la durata del concerto,
il mio scetticismo scomparve, la mia mente mise in atto un reset totale,
mi lasciai avvolgere da questa intrigante, per me nuova, alchimia musicale,
anche perché la scaletta proposta era molto ricca, dopo Shine, Learning To Fly, Sorrow, Hey You, Another Brick In The
Wall, e l’intera esecuzione del famoso album The Dark Side Of The Moon, per poi chiudere con Wish you Were Here, Confortably Numb e Run Like
Hell. Su Confortably Numb mi resi conto di avere davanti a me il clone
naturale di David Gilmour, mai prima d’ora avevo sentito niente di simile, per non
parlare dell’esecuzione di The Great Gig
In The Sky, dove la stupenda voce
di Rossana D’Auria non faceva certo rimpiangere la famosa Clare Torry.
Tornai a casa
soddisfatto, e cominciai a ricredermi sul ruolo e sul valore delle tribute
band, un dolce pensiero cominciò a passare nella mia mente: “… se ho tanto amato i Floyd quando ero
adolescente perché non potevo fare lo stesso con i loro nipoti? E poi abitano
nella mia stessa città… quindi…”
Ecco in breve il mio primo incontro con questo gruppo, per
essere sinceri devo dirvi che dopo il Teatro Romano seguirono altri concerti,
vissuti sempre con le stesse emozioni e con la consapevolezza di avere di
fronte una fra le migliori tribute band
Floydiane in circolazione.
Nel 2012 ho avuto la possibilità e il piacere di conoscere i
membri della band, partecipando a tutte le date del Summer Tour 2012, Tour che partito in aprile dal famoso Blue Note di Milano, si
è concluso in ottobre al teatro Obihall di Firenze, dopo avere visitato con
quattro date prestigiose Belgio e Olanda. Qui all’estero c’è stata la
consacrazione e il definitivo riconoscimento di oltre vent’anni di esibizioni
dal vivo. Entusiasmo del pubblico incredibile che in certi momenti ha sfiorato
l’apoteosi. Un’ultima curiosità, qualche anno fa mentre si trovava di passaggio
a Verona, dopo l’uscita del suo libro autobiografico “ INSIDE OUT”, Nick Mason
ha conosciuto personalmente i Big One usando nei loro confronti parole di stima
e di apprezzamento(vedi foto) .
LA STORIA
Il gruppo nasce nel 1990 da un idea del chitarrista Elio
Verga. All’inizio la band ha un repertorio variegato, esegue numerose cover
senza avere ancora una precisa identità, nel repertorio proposto ci sono alcune
canzoni dei Pink Floyd. La svolta avviene con l’arrivo nella band del
bravissimo chitarrista Leonardo De Muzio, da qui ha inizio un percorso di
ricerca nella vasta produzione Floydiana. I Big One attualmente spaziano nei
loro spettacoli dal periodo psichedelico dei primi anni ’70, fino agli album più
recenti. I Big One hanno pubblicato tre importanti dvd che riguardano i loro
spettacoli:
Live al Teatro Romano
2005
Live at Valle dei Templi
2006
The Wall anniversary
2009
Oppure su
Facebook Big One- The European Pink
Floyd
BIG ONE formazione
attuale: Leonardo De
Muzio (chitarre-voce), Elio Verga (chitarre), Paolo Iemmi (basso-voce)Alex
Iannantuoni (batteria-percussioni), Claudio Pigarelli (tastiere-piano) Stefano
Righetti (tastiere-synth-voce) Debora Farina e Rossana D’Auria (cori), Marco
Scotti (sax).
OTTOBRE 2012,
attraversando gli Appennini nel viaggio di ritorno dopo il concerto di Firenze,
con Alessandro Iannantuoni ed una spruzzatina di neve ….
(Alessandro oltre ad
essere il batterista del gruppo, è anche un grande studioso e conoscitore del
mondo Pink Floyd, molto conosciuto nell’ambiente per essere uno dei più grandi
collezionisti di bootleg, praticamente un archivio umano di informazioni, se
vuoi sapere come avevano suonato i Pink Floyd in quel concerto , in quella data
… chiedi a Alex, lui sa tutto …)
Mi trovo alla guida del furgone con gli strumenti, al mio
fianco Alessandro Iannantuoni, batterista del gruppo preoccupato per le
condizioni meteo che stanno improvvisamente peggiorando, comincia a nevicare!
Cerco di tranquillizzare Alex con qualche battuta ,risalendo alle mie origini
“montanare” ( sono nato in provincia di Sondrio) con calma cerco di fargli
capire che qualche fiocco di neve non poteva certo crearmi problemi. In questi
casi una buona chiacchierata è sempre la formula migliore per distogliere la
mente da chissà quali catastrofi imminenti … quindi dopo svariati argomenti,
cerco di toccare un tasto magico che con Alex
funziona sempre, provate a indovinare …
“Adesso che il tour è
terminato cosa bolle in pentola Alessandro? Se non sbaglio nel 2013 si celebra il
quarantennale di The Dark Side Of The Moon…
“ Hai ragione, è ovvio
che per l’anno prossimo, The Dark sarà il tema principale nei nostri concerti,
ma c’è dell’altro, adesso ci prenderemo qualche giorno di riposo, questo ultimo
periodo è stato molto impegnativo, ultimamente abbiamo girato parecchio,
Olanda, Belgio e questa sera Firenze. Abbiamo un progetto ambizioso in
cantiere, stiamo pensando di portare sul palco Atom Hearth Mother, è da molto
tempo che né parliamo e tutti nel gruppo sono favorevoli, anche perché tu che
ci conosci bene sai che il nostro dna è legato ai Pink Floyd di quegli anni,
quindi qualche giorno di relax e poi … in sala prove.
Scusa Alex, ma in Atom Heart
Mother c’è tanto di orchestra con i cori, non mi vorrai dire che farete
altrettanto!
Oh Giampy! Guarda che i P.F. nei primi anni
’70 mica erano già diventati famosi e miliardari! In quel periodo mica potevano
permettersi un’orchestra ad ogni
concerto, se non ricordo male credo che Atom
venne rappresentata con cori e orchestra probabilmente una ventina di volte, 17
date in Europa e 3 in USA. Ad ogni modo noi la rifaremo originale come la
suonavano loro, senza questo supporto, abbiamo molto materiale a disposizione,
per noi questa è la vera fonte storica che vogliamo rispettare, la nostra
Bibbia! Comunque non ti preoccupare, ti chiamerò in sala prove quando sarà il
momento, così potrai sentire in
anteprima questo nuovo progetto e dire la tua … sapientone …
Con questi pensieri e queste chiacchiere interessanti
arrivammo sani e salvi a Bologna, il peggio era passato, ora il ritorno a
Verona diventava meno problematico e stressante. Ovvio che nei mesi a venire cogliendo l’invito di Alex, mi recai qualche
volta in sala prove. Ebbi nell’immediato la consapevolezza che i ragazzi
stavano preparando qualcosa di veramente speciale, adesso bisognava attendere
la data del debutto ufficiale che sarebbe avvenuto in un altro posto molto ma molto speciale … quindi appuntamento a
domenica 24 febbraio al BLUE NOTE di Milano …
La musica dei PINK
FLOYD batte il derby Inter-Milan con un secco 2 a 0, marcatori:
nel primo tempo” The Dark Side of The Moon”, nel secondo “Atom Heart Mother”
La formazione scesa in campo è la seguente: Leo De
Muzio(chitarre-voce), Paolo Iemmi(basso-voce), Alex Iannantuoni (batteria),
Stefano Righetti (tastiere-synth-voce) ,Gabriele Marangoni (tastiere-piano),
Marco Scotti (sax), Debora Farina e Rossana D’Auria (cori). (Elio Verga e
Claudio Pigarelli assenti giustificati)
Confesso che avevo
qualche timore sull’esito in termini di presenze per questo concerto, troppe le
coincidenze avverse: il derby di Milano, le elezioni politiche e per finire le
condizioni meteo non certo delle migliori, un mix di dettagli che potevano far
pensare ad una classica serata in pantofole della serie … mi guardo la partita
in tv (70/80000 erano già allo stadio) un occhiatina ai primi commenti politici
ed alla finestra per vedere chi poteva essere quel disgraziato che con questo
tempaccio aveva avuto la brillante idea di uscire, e invece non avevo
considerato che ... Il Blue Note ha un fascino
unico e particolare, il pubblico del Blue Note come già detto è
speciale, The Dark Side Of The Moon è un
evento al quale non si può rinunciare, quindi già dalle 20 il locale era quasi tutto
esaurito in ogni ordine di posti, cosicchè tutti i miei pensieri negativi si
sciolsero come neve al sole (volendo restare in tema). Alle 21 puntuali, i Big
One salgono Sul Palco, Paolo Iemmi frontman del gruppo presenta lo spettacolo
con queste semplici parole: “Questa sera celebriamo i 40 anni di un grande
capolavoro, The Dark Side Of The Moon quindi nella prima parte suoneremo per
intero tutti i brani dell’album, nella
seconda parte che abbiamo chiamato “The
Early Years”, ci saranno delle sorprese che noi tutti speriamo vi siano
gradite, andremo un po’ indietro nel tempo … buon ascolto”
Il pubblico applaude,
e poi … si chiudono gli occhi … si prende in mano il prezioso vinile custodito con cura, lo si
mette sul piatto e … parte la magia ... Speak To Me,
Breathe, On The Run, Time, Breathe reprise, The
Great Gig In The Sky, Money, Us and
Them, Any Colour You Like , Brain Damage, Eclipse … Credo
non ci sia bisogno di aggiungere altro, la sensazione è quella che vi ho
descritto, il nostro vinile ha incantato anche questa volta, i ragazzi eseguono questi famosi brani con una
sicurezza quasi disarmante, questa suite affascinante di The Dark è da anni il
manifesto musicale D.O.C. di questa tribute band. Il diamante della serata come
sempre resta l’esibizione solista di Rossana D’Auria in The Great Gig In The Sky che fa alzare in piedi il pubblico facendolo
esplodere in un fragoroso applauso. (continuo a ripeterlo convinto,
nulla da invidiare a Clare Torry, Rossana è su questi livelli) Ottimi gli
interventi al sax di Marco Scotti nei brani Money
e Us And Them, in chiusura prende la
scena Leonardo De Muzio con la sua
chitarra , in scaletta Shine On You Crazy
Diamond, Wish You Were Here e l’immancabile
assolo Gilmouriano di Confortably Numb.
Si arriva così dopo
una breve pausa alla seconda parte dello spettacolo, la più attesa e
affascinante, viste le premesse, infatti arriva “spaziale” con le sue voci
distorte, segnali morse,
l’inconfondibile Astronomy Domine,
pezzo trascinante che ci fa respirare in pieno le atmosfere care ad un nostro
vecchio caro amico: Syd Barrett. Da Syd passiamo ad uno dei primi pezzi scritti da David Gilmour: Fat Old Sun, e qui ancora una volta
nel lunghissimo assolo finale Leonardo (o come viene chiamato
affettuosamente dagli amici Leo Gilmour) sbalordisce i presenti con la sua
indiscussa abilità. L’atmosfera del Blue Note si scalda, il pubblico si sente
pienamente coinvolto dall’atmosfera particolare che si sta respirando, sembra
quasi abbia sentore che sta per succedere qualcosa di importante. Paolo Iemmi con
il suo immancabile sorriso, presenta così il brano a venire: “Credo che il
prossimo pezzo non abbia bisogno di presentazioni, noi cercheremo di fare del
nostro meglio, buon ascolto a tutti voi e buona fortuna per noi !” Ci siamo!
Tante ore di studio in sala prove stanno per essere riversate su questo palco, inizia Atom
Heart Mother! Siamo giunti alle
origini dei Pink Floyd! Parte subito un’ ovazione che si spegne nell’immediato
per lasciare spazio alla musica, sembra quasi che si voglia portare rispetto a
questo evento, io mi sento emozionato, per ovvie ragioni anagrafiche non ho mai
potuto vedere un concerto dei Pink Floyd inizio anni ’70, mi sono sempre dovuto documentare con articoli dell’epoca o
con la lettura di qualche libro autobiografico, e da qui lasciarmi trasportare
dalla fantasia e dall’immaginazione. Finalmente era arrivato il momento! La
famosa mucca frisona Lulubelle III stava per conquistare il Blue Note! Dal
punto di vista musicale la suite di Atom
Hearth Mother è molto complessa, è un brano strumentale strutturato in sei
movimenti, ognuno conformato su un tema diverso che rimanda sempre a quello
principale. I Big One dall’iniziale Father’s
Shout e a seguire da Breast Milk
danno subito la netta impressione di avere scelto la tattica giusta, traspare
netta la pura essenza dell’anima Floydiana nella loro interpretazione, sono
ormai padroni della scena, e questo si nota dai loro sguardi complici di intesa . Nella
parte più complessa Mother Fore , Leonardo
De Muzio e Paolo Iemmi ci fanno capire come Gilmour e Wright mediante voci
piene di effetti, si sostituivano ai cori e relativa orchestra, il pubblico
presente accenna ancora a qualche timido applauso, ma sembra quasi che non voglia esporsi troppo per non spezzare questo
incantesimo. Dai sorrisi e dagli sguardi d’intesa che i ragazzi si scambiano sul
palco capisco che tutto sta procedendo per il giusto verso, infatti Funky Dug, Mind Your Throats Please e Remergence
chiudono la suite in maniera
entusiasmante, lasciando finalmente a tutti i presenti (che nel frattempo si sono alzati in piedi) la
possibilità di lasciarsi andare in un caloroso applauso liberatorio.
Anche i membri del gruppo sul palco, coinvolti
da questi spontanei e sinceri attestati di stima, si congratulano reciprocamente
con una stretta di mano. Ma il nostro viaggio non è ancora terminato, dopo la
consueta presentazione arrivano come in un arcobaleno Floydiano: Embryo, Cymbaline e per finire … Echoes ! Credo che non serva aggiungere
altro, non vorrei cadere nella solita banale retorica, lo spettacolo offerto da
questa tribute band ancora una volta è stato all’altezza della sua riconosciuta fama e bravura. Io, come vi ho
anticipato all’inizio dell’articolo, ho preferito restarmene nel mio angolo
solitario, lasciandomi avvolgere da tutto questo caldo entusiasmo che mi ha
fatto riflettere e ricordare un pensiero scritto da Cesare Rizzi nell’introduzione
del suo libro. Penso che questo possa concludere nei migliori dei modi questa
recensione, rendendo più chiara
l’essenza di questa serata indimenticabile “
Dei Pink Floyd si è detto tutto, e si continua a farlo. Una cosa però non è mai
stata sottolineata a dovere: l’universalità della loro musica, la mancanza di
confini del loro messaggio, il fatto che dovunque al mondo, senza restrizioni
generazionali, né di cultura o linguaggio, i Pink Floyd hanno lasciato
qualcosa. Un messaggio in un esperanto finalmente comprensibile a tutti. Una
musica che negli anni è stata usata dappertutto e per tutto, per feste
psichedeliche, grandi raduni rock, film, documentari, sottofondi ambientali,
momenti romantici … Uno strano alone di suggestione fa sì che ogni qualvolta
suonino i Floyd il pensiero vaghi irrimediabilmente tra le stelle, il mondo sia
un po’ più a portata di mano, la vita diventi meno frenetica, i sogni rimangano
reali un po’ più a lungo …”
L’intervista
a Leonardo De Muzio … il nipote acquisito di David Gilmour.
Bob Ezrin, produttore
di “The Wall” ha detto: “ possiamo dare a Dave un ukulele e lo farà suonare
come uno Stradivari”: stiamo parlando di David Gilmour il chitarrista dei Pink
Floyd, un vero architetto del suono che con la sua Stratocaster “total Black”
ha entusiasmato e ispirato generazioni di chitarristi. Nei Big One Leonardo De
Muzio, con la sua indiscutibile bravura, viene definito il Gilmour italiano per
eccellenza; dopo il concerto del Blue Note sono riuscito a scambiare qualche
parola con lui.. ecco qui la nostra conversazione …
Caro Leo, mi sembra che
anche questa sera nonostante le avversità ci sia stato l’ennesimo successo,
direi che siete stati perfetti!
Beh!Non
esageriamo, diciamo che abbiamo cercato di fare del nostro meglio, mi rendo
conto però che questo concerto, specialmente nella seconda parte, ha regalato
al pubblico, ma anche a noi che eravamo sul palco, delle forti emozioni.
Era un debutto
importante, con una scaletta di brani molto ambiziosa e affascinante, credo che
nessun’altra tribute band abbia proposto niente di simile, come mai questa
scelta?
Il nostro
repertorio abbraccia tutta la produzione discografica dei Pink Floyd, il nostro
DNA però si rispecchia maggiormente con l’immagine dei primi anni 70, siamo
legati ai Pink più psichedelici e sperimentali per intenderci, ecco spiegato il
motivo della scelta. Per quanto riguarda la scaletta, ti confesso che era da
molto tempo che pensavamo di suonare Atom
Hearth Mother con altre canzoni di quel periodo, lo stesso pubblico che
viene ad assistere ai nostri concerti ce lo aveva richiesto molte volte, c’è
voluto un po’ di tempo ma alla fine ci siamo riusciti. Il debutto era
importante, e non potevamo scegliere una location migliore per rendere onore a
questa musica. Il Blue Note è qualcosa di veramente unico e inimitabile, mi
sembra inutile ricordare quali grandi nomi del jazz abbiano calcato il palco di
questo locale; le persone che vengono al Blue Note sono speciali perché chi
entra vuole solo ascoltare musica dal vivo, vuole il contatto musicale con
l’artista. Qui gli effetti speciali contano poco, qui dentro non devi incantare,
ma emozionare, che è diverso. Se tu ti presenti con la musica dei Pink Floyd
devi sapere portare rispetto nei confronti di quello che stai suonando, il
pubblico che è davanti a te conosce ogni sfumatura delle canzoni, quindi da te
vuole solo rivivere le stesse emozioni, essere avvolto dalle stesse atmosfere.
Questa sera abbiamo cercato di trasmettere tutto questo e mi sembra che ci
siamo riusciti abbastanza bene, tu cosa ne pensi?
Se devo essere sincero c’è stato un attimo in
cui mi sono guardato attorno e mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, hai
presente l’Ufo Club, il famoso locale underground londinese dove i Pink iniziarono ad esibirsi? Si insomma …
restando in tema musicale ti posso dire
…”Chiamale se vuoi … EMOZIONI”; a parte le battute, vorrei chiederti… quando
hai iniziato a suonare la chitarra e soprattutto quando è nata la tua passione
artistica-musicale nei confronti dei Pink Floyd?
Ti
premetto che io sono un autodidatta della chitarra, dall’inizio della mia
passione ormai sono passati più di cinque lustri … sembra ieri. Ricordo che ad
un certo punto del mio percorso musicale mi sono trovato a dover scegliere tra
Dire Straits e Pink Floyd. Beh, La mia scelta è caduta sui Floyd perché rispecchiavano in maniera
incisiva la mia anima, il mio modo di
essere.
Se non erro possiedi
una strumentazione quasi identica a quella di Gilmour, quali sono le chitarre
che usi nei tuoi concerti?
Magari
poter avere tutta la sua strumentazione! Direi che con la mia riesco ad
avvicinarmi molto a quel sound inconfondibile, ma replicare la strumentazione
di un musicista che suona da più di 40anni credo sia pressoché impossibile. Di solito cambio le
chitarre in base al brano che devo eseguire, per cui si susseguono varie
STRATOCASTER, TELECASTER, LES PAUL, LAP
STEEL e acustiche. Tutto al servizio dei brani da suonare.
Per la tua indiscussa
bravura e per la tua voce molto simile a quella di David, molte persone ti
chiamano “LEO GILMOUR”, ti lusinga questo paragone con il famoso chitarrista
dei Pink Floyd oppure ti infastidisce, conoscendo il tuo carattere molto
riservato.
Certo, mi
lusinga moltissimo, essere associato ad una persona di quel calibro credo
farebbe piacere a chiunque, anche se un po’ il paragone mi imbarazza …
Pink Floyd. Solo a
pronunciarne il nome vengono i brividi, alla fine di ogni concerto riservi
sempre delle parole di ringraziamento nei loro confronti per avere scritto
della musica che resterà immortale. Avverti sul palco questa grande responsabilità
nell’eseguire le loro canzoni.
Ho molto rispetto verso le cose che faccio. La
musica dei P.F. è senza tempo, mentre suono avverto una forte responsabilità
nell’eseguire i brani che loro hanno
scritto, e vedere a fine concerto la gente estasiata mi fa percepire che il
compito è riuscito … diciamo che mi sento come se avessi contribuito anch’io a
scrivere quella musica.
Simon Reynolds, uno dei
più autorevoli critici musicali contemporanei ha scritto nel suo ultimo libro –RETROMANIA-
: “L’era pop in cui
viviamo è impazzita, gruppi che si riformano, reunion tour, album tributo e
cofanetti ecc …” . E se il pericolo più
serio per il futuro della nostra cultura musicale fosse … il passato? Un tempo
il pop ribolliva di energia vitale, perché non sappiamo più essere originali?
Cosa succederà quando esauriremo il passato a cui attingere? Riusciremo a
emanciparci e a produrre qualcosa di nuovo?” Ti chiedo Leo: le tribute band
sono una componente di questo fenomeno, molto spesso si sentono giudizi
negativi in merito a queste, o meglio qualcuno le definisce un “ mercimonio “
sulla musica di altri. Tu cosa ne pensi?
A dire il
vero io la vedo un po’ diversamente: portare in giro una musica come quella dei
Floyd, è come farlo con la musica classica, e mi spiego meglio: Paganini,
Mozart, Vivaldi, Verdi, Toscanini ... non esistono più ormai, nonostante ciò la
loro musica continua a vivere grazie ai musicisti contemporanei che la
propongono e la fanno conoscere in tutto
il mondo. Anziché definirlo mercimonio parlerei piuttosto di opportunità,
soprattutto per i più giovani di poter conoscere ed apprezzare certa musica,
grazie a chi intende prendersi l’onere di farlo, aggiungo che qui a Verona ogni
anno si svolge il festival della musica lirica, e proprio quest’anno si celebra
il centenario di questa importante manifestazione, poter assistere a spettacoli
quali: Aida, Nabucco, La Traviata, Il Trovatore, Rigoletto del grande Giuseppe
Verdi non sia altro che offrire a milioni di appassionati la possibilità di
rivivere emozioni uniche e irripetibili in una cornice fantastica quale
l’Arena. Credo che tutto questo non si possa definire mercimonio. La musica dei
Pink Floyd, con tutto il rispetto, si può considerare immortale e noi con la
nostra passione e sacrificio, cerchiamo di offrirla a tutte quelle persone che
con affetto ci seguono nei nostri concerti. E’ capitato ancora alla fine di uno
spettacolo di essere avvicinati da qualche adolescente che ti dice “ascolto i Pink Floyd perché il mio papà a
casa ha tutti i loro dischi, non ho mai potuto vederli dal vivo se non in
qualche filmato. Per questo sono venuto a vedervi questa sera con i miei amici,
vi ringrazio per le grandi emozioni che mi avete regalato, adesso ho le idee
molto più chiare e capisco perché mio padre li ami così tanto!” secondo te
questo si può definire mercimonio?
Ok, sei stato
chiarissimo. Dopo l’ultimo tour che ha toccato le più importanti città
italiane, tour che ha fatto tappa anche in Belgio e Olanda, riscuotendo un
successo strepitoso, mi sai elencare quali differenze hai potuto cogliere fra
queste due realtà e qual è in
particolare un ricordo che ti è rimasto nel cuore?
Suonare
per me è sempre stata un’opportunità meravigliosa a prescindere dal luogo.
Certo, suonare all’estero è stata un esperienza nuova. Rendersi conto di come
la musica unisce i popoli, a prescindere dalla razza, una lingua diversa … sicuramente è un esperienza che spero si
possa ripetere. Fra i tanti ricordi uno
dei più belli senza ombra di dubbio è stato condividere con il gruppo queste
emozioni.
Secondo il tuo parere
qual è il segreto del vostro successo e in quale aspetto i Big One devono
ancora migliorare?
Non c’è
un segreto in particolare, credo che il pubblico che ci segue abbia capito
quale sia tutto l’amore e la passione che noi riversiamo in quello che stiamo
facendo, avendo molto rispetto delle intenzioni di chi ha composto la musica
che stiamo suonando, poi per quanto riguarda il migliorare penso che si cerchi
sempre, come nel nostro vivere quotidiano,
di farlo. Comunque credo che i Big One nel corso di questi ultimi anni,(
e lo dico con molta umiltà )siano cresciuti molto a livello professionale, e di
questo sono molto orgoglioso.
C’è una canzone alla
quale sei più legato e che in assoluto
ami suonare maggiormente?
A dire il
vero non esiste” una canzone “o “la canzone “che amo suonare maggiormente, a
seconda del periodo ne preferisco una o un’altra, dipende sempre molto dal mio
stato d’animo, dal momento che sto vivendo, la verità è che è molto difficile
per me stilare un ordine di preferenze sulle canzoni dei P.Floyd … mi piacciono
tutte!
Credo non sia facile
svolgere un’ attività professionale per tutta la settimana per poi calarsi nei
panni di un musicista acclamato o viceversa. Come fai a gestire tutto questo?
Non so …
mi piace pensare di avere due personalità: una lavorativa/quotidiana ed una
artistica/musicale. Mi definisco un musicista che svolge un lavoro ordinario
per poter vivere … ( sorriso…).
Progetti futuri per te
e i Big One … hai qualche desiderio nascosto?
Progetti
futuri? Suonare, suonare, suonare. Ormai è diventata una necessità, passano gli
anni ma non posso farne a meno, desidero solo suonare. Mi auguro di tornare
all’estero perché ho avvertito nella gente la voglia di ascoltare la musica dei
Pink Floyd, soprattutto la produzione meno recente, che è quella che noi
preferiamo, quindi se devo esprimere un desiderio mi piacerebbe ritornare in
Belgio e Olanda, nei loro locali che assomigliano molto come caratteristica al
famoso Ufo Club che avevi menzionato prima.
Ok Leo, ti ringrazio
nuovamente, ci vediamo al prossimo concerto.
Ciao
Giampy, sono io che ti devo ringraziare per tutto quello che fai, con passione
e tanta professionalità, vorrei cogliere questa occasione per mandare un saluto
a tutti i lettori di Mat2020 e soprattutto a tutte le tribute band che come
noi, con enormi sacrifici girano l’Italia nel segno della musica. A proposito,
dobbiamo caricare gli strumenti sul furgone se vogliamo ritornare a casa, cosa
ne pensi? Andiamo?
P.S. per la cronaca nel
viaggio di ritorno prima di Bergamo ci siamo imbattuti in una bufera di neve
che ha rallentato, non di poco, il nostro rientro a Verona avvenuto verso le
ore 4. Quasi tutti alle 8,30 dovevano presentarsi sul posto di lavoro , è stata
dura ma anche per questa volta ce
l’abbiamo fatta, per una serata così ne valeva proprio la pena … frammenti di
vita di una tribute band … alla prossima, il vostro inviato.
Gian Paolo Ferrari – TAXI ROCK