martedì 24 novembre 2020
Queen: Rock in Rio, Rio De Janeiro, 12-19 gennaio 1985
domenica 22 novembre 2020
Il mio ricordo di John Kennedy
Nei pressi della “Collina Erbosa”, sotto al vecchio deposito di libri scolastici, Kennedy fu ucciso da chissà chi e chissà come. Il vecchio “deposito di libri scolastici” é quello da cui, si presume, Lee Harwey Osvald abbia sparato a JFK, appunto da una stanzetta del sesto piano. Così decretò la Commissione Warren, incaricata dell’inchiesta ufficiale.
Questo sesto piano é ora un fantastico museo, dove, in tutte le lingue, si può seguire la storia di quegli anni e di quella gente. La stanza é protetta da cristalli spessissimi, ma all’interno tutto é stato riprodotto come scoperto quel lontano 22-11-1963.
Era novembre. Le scatole di cartone, destinate al contenimento dei libri, ma utilizzate come riparo e nascondiglio da Osvald, sembrano piazzate alla rinfusa, ma rispecchiano la disposizione originale. Giro tra le riproduzioni tridimensionali, i quadri, i film, come imbambolato.
È troppo vivo in me il ricordo in bianco e nero di quel giorno. Il significato di quel momento era incomprensibile per un bambino di 7 anni, eppure quella macchina, quegli spari, quel sangue, mi é rimasto dentro, come la morte di Papa Giovanni, come la prima volta sulla luna, alcuni anni dopo.
Alla sera una concessione… solo la musica può vincere il magnetismo di quel posto.
Mi accordo con l’autista dell’hotel e mi faccio portare ad un altro Hard Rock Café, dopo quello di New York. “Ma esisterà qualcuno che nello spazio di due giorni é riuscito a vedere questo locale in due città così lontane?”.
Sì, io.
La sera finisce per strada, in una piazza interna dove ovviamente si suona.
Il giorno dopo scatta il doppio magnetismo. Sono ancora davanti al museo e sono colpito da … spari. Una Lincoln blu mi passa davanti, e dopo alcuni colpi corre via ad alta velocità.
Il giro è lentissimo e godo della vista della città. Stiamo percorrendo fedelmente la strada di Kennedy, quel giorno.
Mi sento agitato, in attesa degli spari che presto arriveranno.
Anche ora sono agitato!
Il deposito é alla mia destra, e la collinetta é ben visibile… alcuni spari registrati… ancora brividi. L’auto accelera lungo la Stemmons Freeway, in direzione del Memorial Hospital.
La registrazione audio ripropone fedelmente le sirene e i clacson del tempo, mentre la Lyncoln corre impazzita verso l’ospedale. La cosa é talmente “vera” che la spettacolarizzazione dell’evento passa in second’ordine.
Lo speed up finisce e, mestamente, ritorniamo verso il punto di partenza.
Registro tutto il possibile e mi sento davvero coinvolto.
La radio trasmette le parole di quel 22 novembre, con la cadenza ed il tono appropriato.
Il lutto si trasmette ai passeggeri dell’auto.
La musica di sottofondo sottolinea la tragedia, in un crescendo che amplificherà il mio disagio. Poi all’improvviso la calma, la quiete, il riposo… ciò che di solito segue la tempesta.
E siamo tornati all’origine.
Passerò le ultime ore a Dallas restando nei paraggi, cercando di metabolizzare l’intensa esperienza appena vissuta.
Come mi piacerebbe poter trasferire efficacemente ciò che ho “sentito”, ciò che non é tangibile!
domenica 15 novembre 2020
The Kubas/The Koobas
The Kubas/The Koobas
Non ho trovato nulla in lingua italiana che possa descrivere la storia di questa band, eppure hanno dato un buon contributo alla causa...
Il gruppo fu fondato nel 1962 a
Liverpool da membri che avevano precedentemente suonato in ambiti locali.
Verso la fine del 1963 iniziarono a proporsi allo Star Club di Amburgo, e dopo un periodo di tre settimane tornarono
nel Regno Unito, stabilendosi a Londra con la Roy Tempest Organization.
La Columbia Records li mise sotto contratto, e il loro primo disco, "Magic Potion" (https://www.youtube.com/watch?v=qCrHOsR68Bo), fu pubblicato nel gennaio 1965.
Il secondo singolo, "Take Me For A Little While" (https://www.youtube.com/watch?v=v4WcWSckAH4), fu rilasciato per l'etichetta PYE (dopo che PYE cambiò il loro nome in "Koobas") nel novembre dello stesso anno, un mese prima di apparire nel tour finale dei Beatles in Gran Bretagna.
Alla fine del 1965 firmarono un contratto con Tony Stratton-Smith, molto entusiasta di loro ma, nonostante la grande promozione, non ebbero mai successo.
Qualche curiosità sui membri della band…
Il batterista Tony O'Reilly si unì agli Yes nel settembre 1968, dopo la partenza di Bill Bruford per andare all'università, ma Bruford tornò nel novembre dello stesso anno. Ha continuato a suonare con i Bakerloo.
Keith Ellis ha poi suonato con Van der Graaf Generator e Juicy Lucy, mentre Stuart Leathwood ha formato il duo Gary & Stu e successivamente ha suonato con March Hare. L'intera produzione post-1966 del gruppo è stata ristampata in CD nel 2000 dall'etichetta Beat Goes On.
LA BAND
Stuart
Leathwood - rhythm guitar, vocals (1962-1968; died 2004)
Roy Morris -
lead guitar, backing vocals (1962-1968)
Keith Ellis -
bass guitar, backing vocals (1962-1968; died 1978)
John Morris -
drums (1962-1964)
Tony O'Reilly - drums (1964-1968)
sabato 14 novembre 2020
“Quando il Rock divenne musica colta: Storia del Rock” 2° edizione: intervista all'autore, Fabio Rossi
Uscirà il 18 novembre la seconda edizione di “Quando il Rock divenne musica colta: Storia del Rock”, di Fabio Rossi, che esordì cinque anni fa con questo libro dedicato alla musica progressiva a cui diedi un piccolo contributo con la mia prefazione.
Sarà curato dalla casa editrice
genovese Officina di Hank, riveduto e ampliato.
La nuova bellissima copertina - tratta dall’album “Foxtrot, dei Genesis - é stata approvata e autorizzata dall’autore, Paul Whitehead.
Ho chiacchierato con Fabio, per saperne di più…
Sta per uscire la seconda edizione del tuo esordio come scrittore, “Quando il Rock divenne musica colta: Storia del Rock”: che tipo di soddisfazioni ti ha lasciato il tuo primo impegno?
Sono passati già cinque anni quando, nel settembre del 2015, uscì il mio primo libro per la casa editrice genovese Chinaski. All’epoca non avrei mai pensato che sarebbe diventato una sorta di “long seller”, con bei sei ristampe all’attivo. Come tu ben sai, visto che curasti la prefazione, il saggio puntava su una scrittura accessibile a tutti, senza la pomposità e la saccenteria fine a sé stessa che sovente contraddistingue analoghe pubblicazioni. In effetti era nelle mie intenzioni convincere i giovani e i neofiti ad avvicinarsi a questo tipo di musica così fascinosa, ed è soprattutto per questo che optai per una linea essenziale, sebbene curatissima in ogni particolare. Impresa difficile, ma quando il libro raggiunse la prima posizione nelle vendite e book “Libri per ragazzi” di Amazon Italia compresi che forse ci avevo visto giusto. Ma sarebbe riduttivo limitarsi a questo perché, come si evince dalla retrocopertina della seconda edizione, vi sono illustri esperti del settore che hanno usato parole bellissime nel recensire il saggio. Dulcis in fundo l’opera ha avuto l’onore di essere presentata al Conservatorio di Santa Cecilia dove, davanti a una nutrita platea di docenti, studenti, musicisti (Jerry Cutillo, Claudio Milano, Tiziana Radis e altri ancora), saggisti (Alessandro Staiti e Maurizio Baiata che mi ha intervistato sul palco) ho parlato a lungo di rock progressivo accompagnato dalla musica del maestro Marco Lo Muscio. Di questo devo ringraziare la pianista Jolanda Dolce che si è innamorata talmente tanto del mio libro da fare di tutto per poterlo presentare al Conservatorio. Sono, quindi, più che soddisfatto al netto di talune critiche di chi avrebbe preferito un linguaggio meno scolastico e un formato più corposo rispetto alle cento pagine e poco più di cui si componeva la prima edizione.
La copertina che utilizzi in questa occasione, relativa a “Foxtrot” dei Genesis, é stata approvata e autorizzata dall’autore, Paul Whitehead: come sono andate le cose?
È stata una scelta della casa editrice che ha poi contattato l’autore, il quale ha accettato di buon grado la proposta. Un bel colpo non c’è dubbio!
So che questa seconda edizione è stata riveduta e ampliata: in cosa consistono le modifiche apportate?
Il saggio è stato aggiornato in ogni parte, ampliato in quasi tutti i capitoli, migliorato in molti punti, e ora si presenta con circa 40 pagine in più. Ha una prefazione, oltre alla tua, del saggista Nicola F. Leonzio, un approfondimento sul Neoprogressive italiano da parte del conduttore radiofonico Max Rock Polis, una mia interpretazione della suite Supper’s Ready dei Genesis, insomma tanta roba. C’è pure un grazioso segnalibro per chi acquista il saggio e il prezzo è rimasto il medesimo, 14 euro.
Ha cambiato etichetta per la nuova distribuzione?
Sostanzialmente Officina di Hank è la nuova denominazione di Chinaski. Non cambia nulla.
Visto il momento difficile, in cui concerti e presentazioni non sono possibili, come pubblicizzerai il libro, e come sarà possibile acquistarlo?
Purtroppo, la situazione è difficile. Io mi muovo moltissimo con i social network, e in prevendita sono riuscito a spedire già sessanta copie a chi le ha acquistate direttamente da me. Non si può fare altro fino a che la pandemia resterà con noi, speriamo il meno possibile. Dal 18 Quando il Rock divenne musica colta: Storia del Rock” sarà disponibile nelle librerie, su Amazon, IBS, insomma dappertutto.
Un’ultima cosa… so che il tuo libro su ELP è andato molto bene: che cosa hai in mente per il futuro immediato?
Anche il mio terzo libro sugli ELP (Emotion, Love & Power – l’Epopea degli Emerson, Lake & Palmer) ha dovuto fare i conti con il Covid 19. Era partito alla grande con la presentazione a dicembre nella sala consiliare di Palmanova al cospetto di Regina Lake e la famiglia Emerson al completo (e tu mi intervistasti! Che giornata memorabile!). Avrei dovuto presentarlo alla Locanda Blues a Roma in occasione di un concerto della Carl Palmer Band ma tutto è svanito a causa della pandemia. Il libro ha ricevuto consensi unanimi e sta vendendo bene nonostante le oggettive difficoltà. Per quanto concerne i miei progetti futuri, già a febbraio uscirà il mio quarto libro che stavolta virerà decisamente sull’heavy metal. I mesi di lockdown li ho passati a scrivere ecco spiegati il perché di tanta creatività!
Auguri a
Fabio Rossi per questa nuovo giro di giostra…
venerdì 13 novembre 2020
The Samurai of Prog- Beyond The Wardrobe
The Samurai of Prog- Beyond The Wardrobe
Impossibile tenere il conto delle produzioni dei The Samurai Of Prog, tra formazione ufficiale
(anche se, come si sa, il progetto è sinonimo di multinazionale musicale, con
formazioni in continua evoluzione…) e le varie diramazioni. Ma se prima eravamo
abituati ad un rilascio annuale, ora il materiale esce copioso, sintomo di una
grande prolificità e di una richiesta da parte di un pubblico che, seppur una
nicchia all’interno del mondo della musica, apprezza le sonorità immortali
proposte dai Samurai.
Sta per uscire “Beyond The
Wardrobe”, un'edizione speciale con materiale totalmente
originale, un CD che esce in edizione limitata e a prezzo speciale.
Ecco il pensiero della band a proposito di quello che definiscono “Rock progressivo crossover sinfonico con un tocco classico”:
“I The Samurai of Prog - Marco, Kimmo
e Steve - tornano con un team di ospiti in continua evoluzione, e realizzano un
album che Steve Unruh definisce come “… il suo "nuovo preferito all’interno
del catalogo dei TSOP".
Particolarmente forti su questo disco
appaiono gli echi melodici di Bach e Mozart, e quando il tutto si unisce alle
diverse influenze accumulate nel tempo - che vanno da artisti del calibro di
Jethro Tull sino ai Mostly Autumn -, la proposta diventa particolarmente varia
e divertente.
Come per tutte le versioni di
Samurai, la produzione è audiofilo-grade e l’artwork e il packaging sono Deluxe.
Una avventura da vivere attraverso il paesaggio sonoro che si trova… oltre l'armadio!”
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Quando commento i loro album mi soffermo
spesso sui particolari messi a disposizione, e anche in questo caso proverò a
descrivere il disco, brano dopo brano.
Restano le caratteristiche tipiche della produzione TSOP, con la partecipazione di molti autorevoli ospiti, non solo come ausilio strumentistico, ma anche come intervento compositivo, e la distribuzione geografica è ancora una volta garantita.
In senso generale ho trovato una proposta
che si distacca un po’da quelle precedenti, e il titolo dell’album rappresenta
un’efficacie sintesi di quale sia stata la ricerca creativa.
Esiste tutto un mondo musicale che non è confinato, che non entra solo in alcune caselle precostituite, ma ci appartiene, e l’integrazione dei singoli profumi può certamente condurre ad un disegno unico, a volte migliore dell’elemento singolo, basterà, forse, guardare... oltre l’armadio!
Ancora una volta sono rimasto colpito
dalla musica dei Samurai, da sempre tra le mie preferite, e anche “Beyond
The Wardrobe” mi regalato qualcosa di nuovo all’interno dei canoni prog che
tanto mi soddisfano.
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (voce, chitarra elettrica e classica, flauto), Ronaldo Rodrigues (tastiere) e Marek Arnold (sax).
Sax suadente e voce da crooner che sfocia in mood hammilliano; a metà percorso nasce un cambio di ritmo e di atmosfera che riporta alle origini del prog, ai maestri antichi, stabilendo quanto i Samurai possano essere la “fresca” continuazione di un nobile passato.
"Al sicuro nel porto dai fulmini, qui dove passano le tempeste,
ci nasconderemmo e scapperemmo dal
nostro tempo?"
Basta un ascolto per rimanerne affascinati…
Segue un pezzo strumentale, “Dear Amadeus” (8:52-di Oliviero Lacagnina), che include estratti dal Requiem "Dies Irae","Introitus", "Confutatis" e "Domine Jesu Christe", e dal Concerto per Piano e Orchestra K488 in LA maggiore di Mozart).
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (violino acustico), Oliviero Lacagnina (tastiere), Rafael Pacha (chitarra elettrica e classica) e Octavio Stampàlia "VST symphonic choir".
Trattasi di compendio tra rock e
classica, un terreno tanto amato dal “nostro” Oliviero sin dai tempi dei Latte
e Miele, negli anni ’70.
A lui ho chiesto qualche dettaglio sulla
sua creazione:
“I miei due brani sono il ritorno agli anni in cui, con i Latte e Miele, proponevo la rilettura in chiave rock di composizioni classiche. In realtà a quell'epoca nello scegliere i compositori da "rivedere" non ci si spostava dall'800 romantico (Verdi, Puccini, Von Suppè, Beethoven ecc...), con una certa predilezione per l'opera lirica, mentre qui siamo nell'ambito del barocco e del classicismo. Questo "ritorno" in realtà è uno sguardo più approfondito e personale su questi due brani scritti da Bach e Mozart.
Per quanto riguarda "Dear Amadeus" la mia intenzione era di scandagliare il più possibile i temi principali del "Requiem". Ovviamente la fa da padrone il "Dies Irae" che apre, dopo una breve introduzione, la composizione e la chiude. Nel mezzo ci sono altri temi (compreso un piccolo richiamo ad un concerto per pianoforte e orchestra...) della stessa opera, melodie che con la loro dirompente forza fanno da sfondo alle varie improvvisazioni, sia delle tastiere che della chitarra e del violino. Per quanto riguarda quest'ultimo strumento bisogna dire che le grandi capacità di Steve Unruh danno all'intero progetto un tocco di grande professionalità. Lo stesso per Marco Bernard che riesce sempre puntualmente a creare un sostegno indispensabile alla struttura del brano. Al di là delle critiche che faranno i "puristi" dei due compositori citati questo è solo un "divertissement" per le tastiere sulla scia di ciò che vari maestri del "prog" negli anni '70 ci hanno proposto.
Si prosegue con “King of Spades” (5:54-di Alessandro Di Benedetti)
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (flauto, violin acustico, violin elettrico 5 corde), Alessandro Di Benedetti (tastiere), Daniel Fäldt (voce) e Carmine Capasso (chitarra elettrica solista).
Altra “contaminazione” italiana, con
una creazione in toto di Alessandro Di Benedetti e l’intervento di Carmine
Capasso all’elettrica.
Una storia d’amore che utilizza il gioco delle carte, condotta dalla magnifica voce di Daniel Fäld, una sorta di ballad che trova un momento magnifico, dove la delicatezza del violino di Unruh si interseca con tempi composti tipici del genere. Ma è l’atmosfera magica e avvolgente che disegna questa perla sonora.
Il quarto brano è “Forest Rondo” (5:50-musica e liriche di Christian Bideau e Steve Unruh)
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (voce, flauto, chitarra elettrica) e Christian Bideau (tastiere).
"Non piangere una lacrima per me, avevo bisogno di viaggiare per crescere oltre queste mura
Sono fuori e volo"
Ritorno ad un concetto precedente che
riguarda i nostri numi tutelari nel prog, e questo brano riporta alla struttura
realizzativa dei Gentle Giant, con intrecci complicati e ritmi tipici di quel
gruppo. La voce di Unruh è unica per caratterizzazione e non lascia mai
indifferenti.
Senza sosta… senza fiato, da riascolto compulsivo!
A seguire Jester’s Dance (6:47-di Ocatavio Stampalia)
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (violino acustico, flauto), Octavio Stampalìa (tastiere) e Pablo Robotti (chitarra elettrica).
Un’altra forte commistione tra classica e rock che sfocia in attimi di puro jazz, traccia strumentale che diventa esercizio di bravura ed evidenzia le skills dei protagonisti.
E arriviamo al contributo giapponese con “Kabane” (7:33-di Yuko Tomiyama)
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (chitarra classica, violino e cori), Yuko Tomiyama (voce, piano e synth), Octavio Stampalía (tastiere) e Marc Papeghin (corno francese e tromba).
Inusuale il cantato giapponese nella musica progressiva, ma la voce gentile di Yuko entra di soppiatto e conquista la scena. È forse la traccia più popular, ma perfettamente collocata nel contesto. Arrangiamenti di gran classe per un brano sognante e suggestivo.
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria e percussioni), Steve Unruh (violino acustico e flauto) e Ton Scherpenzeel (tastiere).
Breve strumentale di stampo classico, un trait d’union verso la seconda parte del disco.
Con “Brandenburg Gate”
si ritorna alle creazioni di Oliviero Lacagnina (4:24)
Il pezzo include parti tratte dal
Brandenburg Concerto n° 1, Terzo Movimento-Allegro di J.S. Bach.
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (violino acustico e flauto) e Oliviero Lacagnina (tastiere).
Anche in questo caso ho trovato
dettagli interessanti nelle parole di Laccagnina:
“La rilettura di "Brandeburg Gate" - tratto dal terzo movimento del primo concerto Brandeburghese di J. S. Bach - si basa quasi esclusivamente sul tema principale dell'originale, con interventi di armonie e improvvisazioni più jazzistiche che "prog". Quando ho sentito il prodotto finito mi sono accorto che la mia idea swingante del tutto - con tanto di contrabbasso in ottavi e sempre presente - poteva essere stravolta da una batteria rockeggiante, e la cosa mi è piaciuta proprio per l'inaspettata sovrapposizione di due concezioni e stili diversi (d'altronde il prog consente queste misture...). Ovviamente, come spesso accade, la collaborazione tra diversi musicisti con diverse concezioni della musica non può che produrre risultati interessanti e imprevisti, e di questo non posso che essere grato al geniale Kimmo Porsti.”
Un tuffo nel miglior prog sinfonico del passato!
Si conclude con l’intervento di un’altra pedina tradizionale del mondo di TSOP, Elisa Montaldo, che firma - parole e musica - “Washing the Clouds” (7:29)
Marco Bernard (basso), Kimmo Pörsti (batteria), Steve Unruh (chitarra elettrica, violino elettrico a 5 corde) ed Elisa Montaldo (voce e tastiere).
Elisa racconta la genesi del pezzo con cui partecipa al disco:
“Tutto nacque da una mia richiesta
a Marco Bernard, relativa al suo coinvolgimento al basso su un mio brano per il
nuovo solo album che, finalmente, sto producendo, "Fistful of Planets part
2". Il brano gli piacque molto, e
mi propose di realizzarne due versioni: una "gestita" da me, con i
musicisti che stanno collaborando con me, e una alternativa arrangiata dai The
Samurai Of Prog, da inserire in "Beyond The Wardrobe".
Ho trovato l'idea interessante e ho
accettato. Da lì si è lavorato in parallelo. Nella versione dei Samurai è rimasto
intatto tutto il mio arrangiamento di piano, tastiere e suoni d'ambiente e
voce; ci sono inoltre un bellissimo violino, ricami di chitarra, un lungo solo
finale in puro stile Prog evocativo.
Questo brano sarà dunque presente in anteprima nel loro album, e uscirà nella versione originale nel mio “Fistful…”, spero presto (siamo alle ultime registrazioni e inizio del mix). Nel mio album il brano è suonato da Diego Banchero al basso, Ignazio Serventi alla chitarra, Paolo Tixi alla batteria, un ragazzo americano (di cui ora non ricordo il nome) al violoncello, Mattias Olsson alla produzione e aggiunta suoni.”
Musica immaginifica, immagini e vibrazioni che arrivano a volontà, la connessione tra anime e mondo circostante descritta dalla musica e dalle parole, complementari alle trame sonore.
"Il vento ulula sulle colline portando sulla Terra il freddo invernale
Stanotte la Luna mi troverà qui alla ricerca di melodie e parole
Come ogni mattina quando sorgerà il
sole
sarò lì per trovare il significato del silenzio, le preghiere, i pensieri, le ombre, gli arcobaleni, i fantasmi"
Resta la curiosità di ascoltare anche l’altra versione, quando sarà rilasciato il nuovo album di Elisa Montaldo.
A fine ascolto si ha le precisa sensazione di aver viaggiato, un lungo percorso nel tempo e nello spazio, in un sentiero prestabilito, quasi un ciclo di vita, e la soddisfazione e l’appagamento arrivano ad un livello fisico: cosa chiedere di più alla musica!
Artwork sempre in primo piano, curato ancora una volta dalla tedesca Nele Diel, già collaboratrice in “Wayfarer” e “La Tierra”.
Formazione:
Marco
Bernard: Shuker Bass
Kimmo
Pörsti: drums and percussion
Steve Unruh: violin, flute, vocals, acoustic and electric guitars
Composizioni di: Christian Bideau,
Alessandro Di Benedetti, Oliviero Lacagnina, Elisa Montaldo, Ronaldo Rodrigues,
Ton Scherpenzeel, Octavio Stampalia, Yuko Tomiyama
martedì 10 novembre 2020
Greg Lake, l'Italia e... un ukulele!
Il mio incontro speciale con Greg Lake
Tra il 28 ed il 30 novembre 2012 ho
incontrato Greg Lake, l’ho
ascoltato, gli ho parlato e l’ho sentito suonare per due volte, prima su di un
palco e, successivamente, in un piccolo luogo da sogno, in una sala di un
castello affacciato direttamente sul mare. Mi soffermo su quest’ultimo episodio.
Siamo a Zoagli, nello splendido Castello Canevaro, in una
zona che Greg era solito frequentare in un lontano passato. Location ridotta
per un set teoricamente breve, che dovrebbe essere il contorno alla
presentazione del suo libro: due giorni prima ho assistito al suo concerto a
Piacenza, ed ora Greg impegna il suo momento “libero” per tornare nei luoghi
che ha conosciuto e amato in gioventù.
In teoria un evento per pochi intimi, ma la voce della
sua presenza si sparge, e anche in questa occasione il pubblico risulterà
notevole, e alla fine la sala dedicata al set risulterà stracolma.
Molti sono i brani che propone, a diretto contatto
col pubblico, ma questa volta Lake dà segni di nervosismo, attimi che, come
racconta chi è a lui molto vicino, sono solo episodi minimali, se comparati al passato.
Qualcosa non funziona a dovere con i suoi fonici e risulta palese il suo disappunto.
Ancora un fitto dialogo col pubblico e tanta musica… un’ora e mezza di spettacolo - gratuito - che sarà difficile dimenticare.
Alla fine del set sarà molta la delusione tra i presenti,
in attesa in coda per un autografo, perché Greg viene inghiottito dalle sale
del palazzo… svanisce, probabilmente cerca la solitudine per sbollire il
nervosismo.
Ma è il mio giorno fortunato e riesco ad essere
ricevuto - solo io -, per errore, e raggiungo Greg in una sala gigantesca dove
lo trovo seduto ad un enorme tavolo rotondo. Qualcosa di magico, almeno per me,
sta per accadere… un lungo, intenso minuto in cui rivivo una vita e che terminerà con un suo dono significativo.
Non ho portato con me album da autografare, ma un
piccolo strumento.
Mi trovo così davanti ad uno dei miei miti, un po’
alterato nell’umore, ma trovo il modo di porgergli il mio ukulele - di forma
anomala -, che diventa così l’oggetto della discussione per alcuni secondi.
E arriva la sua firma, il marchio che appone all’ukulele
con il mio pennarello indelebile. Greg sigla lo strumento e… si “piega” davanti
a me, cercando di accelerare l’asciugatura dell’inchiostro con il suo soffio:
mai avrei pensato di poter vedere un terzo di ELP chinato su di un mio
strumento!
Avrei voluto raccontargli di quando, sedicenne, vidi ELP a Genova, nel giugno del ’72, oppure di quando passai due giorni a Milano - nel 1973 - senza riuscire a vederli per un problema alla voce di Greg, ma… troppa emozione, così tanta da dimenticare in quella stanza la custodia del mio ukulele!
lunedì 9 novembre 2020
Roberto Gavazzi-“My Sacred Forest”
Roberto Gavazzi - "My
Sacred Forest
Ep
Esistono trame musicali e artisti che regalano
all’impatto il profumo della genuinità, non importa se i gusti personali viaggiano
normalmente su altre onde, perché viene presentato un modus propositivo che
appare trasversale, capace di abbattere sia le barriere generazionali sia
quelle più ostiche che hanno a che fare con la moda del momento.
Certo, occorre un po' di virtuosismo, capacità
di comprensione, voglia di trovare la sintonia tra l'ascolto in proprio e il
pensiero del musicista, e per quanto riguarda quest’ultimo è necessario provare
ad “usare” i suoi occhi, confrontando la nostra “visione” con la sua.
È un po’ la differenza che esiste tra l’arte
tradizionale - quella che propone chiarezza e oggettività, che piaccia o no - e
quella contemporanea, dove l’apprezzamento non è quasi mai immediato, ma passa
attraverso la profonda conoscenza delle idee, spesso criptiche, di chi mette a
disposizione la propria opera.
E se poi si parla di musica strumentale, priva
della capacità didascalica di una lirica, l’istinto potrà avere ruolo
determinante, e le eventuali emozioni cadranno forse lontano dal luogo scelto
da chi crea, e troveranno un angolo proprio, confortevole, privato.
Questo lungo preambolo serve ad introdurre un artista che non conoscevo, Roberto Gavazzi, che ha raccolto in un Ep di piano solo - “My Sacred Forest” - il suo mondo, le sue esigenze, i suoi sentimenti, e nel ristretto arco temporale che racchiude quattro brani è riuscito a condensare - e ad urlare sottovoce - i suoi bisogni e il suo rapporto con tutto quanto lo circonda.
Racconta Gavazzi:
“In questo EP ho raccolto quattro brani che
riflettono la mia maturità, non solo artistica. Raccontano il mio amore per la
montagna, i suoi boschi e si suoi selvatici abitanti, raccontano la mia ricerca
interiore, così come la mia personale difficoltà a sentirmi parte di una
società che fa dell’apparire un valore assoluto.
Penso che ci siano delle affinità tra il fare
musica e lo scalare una montagna: entrambe aiutano a sopravvivere, possono
essere rifugio dove trovare ristoro per l’anima e curare ferite, entrambe sono
per me anche introspezione. Quando salgo una montagna in solitaria e quando
compongo non lo faccio solo per bisogno di avventura o libertà, lo faccio per
ritrovare me stesso, per conoscere meglio la mia forza e i miei limiti, per
liberare mostri del passato e del presente o assaporare bellissime scoperte che
la magia della vita è sempre pronta a donare.
“My Sacred
Forest” sono i tanti
boschi incontaminati e le foreste vetuste che ho attraversato come templi.
Sprigionano una forza vitale, una selvaggia e ancestrale bellezza in grado di
nutrire l’anima e l’umano bisogno di spiritualità. Dalla montagna, da Madre
Natura, dalla musica ricevo ciò di cui ho più bisogno: la pace, il silenzio
interiore e le energie necessarie per affrontare la vita di tutti i giorni. Dopo
tanti anni di cammino posso finalmente dire di aver trovato il mio centro.”
Il musicista - e in senso più ampio l’artista - possiede alcuni privilegi naturali
che sono legati al poter lasciare testimonianza tangibile di sé, qualcosa che
resisterà al fluire del tempo, creazioni che, se oneste, nascono seguendo
esigenze personali, e cammin facendo si trasformano in benessere per chi ne
usufruisce, magari un aiuto alla riflessione e al confronto.
La musica di Roberto Gavazzi mi ha colpito all’impatto,
e non credo serva un grande esperto per poterla apprezzare, ma è certamente
necessaria una minima dose di sensibilità. Verrebbe da pensare che un contenitore
musicale che vede protagonista il pianoforte debba richiedere un’analisi molto tecnica,
magari realizzata da strumentista specifico, ma sarebbe un errore imporre
rigidi paletti intellettuali, perché “My Sacred Forest” racconta di
ognuno di noi, dei nostri bisogni, dei nostri vincoli relazionali - non solo col
mondo umano -, della voglia di serenità che quasi sempre risiede nella
semplicità.
Dai link a seguire sarà possibile arrivare ad una delle tante fruizioni disponibili, e sono certo che per ogni ascoltatore nascerà una differente chiave di lettura, ovvero i brani di Gavazzi saranno reinterpretati in modo personale. La meraviglia della musica!
Ma vediamo qualche notizia oggettiva su questo autore romano.
Biografia…
Pianista, tastierista, compositore e
arrangiatore nato a Frascati (Roma), si diploma in pianoforte presso il
Conservatorio Licinio Refice di Frosinone sotto la guida della Professoressa
Ornella Grossi. Successivamente si dedica allo studio del pianoforte jazz e
della composizione contemporanea.
Nel 2000 si diploma in composizione,
arrangiamento e programmazione musicale presso la "Scuola di Alto
Perfezionamento Musicale di Saluzzo”, dove tra gli altri ha modo di studiare
con Gianni Nocenzi e Giancarlo Gazzani.
Fin dall'età di 15 anni svolge attività
concertistica in Italia e all’estero con gruppi di progressive rock, formazioni
jazzistiche e di musica contemporanea. Partecipa a Festival Jazz e World Music
italiani ed europei, esibendosi principalmente in concerti di piano solo, in
trio e in quartetto.
Ha collaborato e suonato con: Francesco Di
Giacomo e Rodolfo Maltese (Banco Del Mutuo Soccorso), Glenn Cornick (Jethro
Tull), John Wetton (King Crimson), Alberto Fortis, Gabriele Mirabassi, Gianni
Iorio e molti altri.
Ha lavorato come compositore per la RSI
(Radiotelevisione Svizzera).
Da più di venti anni svolge una intensa
attività didattica, insegnando pianoforte classico e jazz; teoria, armonia e
composizione moderna.
Dal 2010 al 2014 è stato docente di pianoforte
e composizione per il “Corso Universitario Internazionale Bachelor Of Arts” in
musica moderna (Essex University).
Spotify:
https://open.spotify.com/album/3mZXTePHbgQJcFIBByq6hV?si=ca1Vku73Q_i--E9Rf-dw-Q
YouTube:
https://www.youtube.com/playlist?list=OLAK5uy_nR7mk8Bhg4ehIWWqxs63dN_k06R2D78ZQ
Bandcamp:
https://robertogavazzi.bandcamp.com/album/my-sacred-forest-piano-solo