A distanza di una settimana i Nathan ripropongono
i dettagli del loro nuovo album “Era” -
uscito il 12 di aprile - sollecitati dalla conduzione radiofonica di Mauro Selis.
Il luogo scelto è un locale di
nuovagestione, il Rock Cafè - gestito da Marco Pivari, alias Mr. Rock - e l’evento è stato inserito nella
programmazione di Radio Savona Sound, in una trasmissione da sempre gestita da Mr
Rock e Alfa.
Ma tutto ciò non è avvenuto nei
locali che ospitano tradizionalmente la Radio, perchè in un’occasione, il venerdì,
le due entità si fondono e nasce… la radio itinerante.
Locale imperdibile per gli amanti
del rock, con molteplici attività settimanali che coinvolgono un pubblico
trasversale.
Nel filmato a seguire non si
coglie quasi nulla dello scambio di battute tra Selis e i Nathan, protetti dall’isolamento
radiofonico, ma mi pare utile captare l’atmosfera del luogo, nella speranza di
stimolare la curiosità di chi ancora non conosce la nuova gestione.
E a proposito di nuovi e vecchi,
sullo sfondo del video compare Fabrizio
Cruciani, gestore precedente del pub, un tempo denominato Van der Graaf Pub, angolo cittadino in
cui hanno presenziato miti del rock, italiano e straniero.
Solitamente scrivo di musica, non
amo innescare polemiche sui social dove non è percepito il tono della voce e
dove un moto di reazione può scatenare l’inimmaginabile: parlando di musica,
tutto sommato, si contengono i rischi.
Ma mi piacerebbe urlare i miei pensieri
in altri campi, anche se sento quel senso di impotenza che alla fine sfocia
nella rassegnazione, e allora mi sono dato un termine e sono solito dire che il
giorno in cui non avrò più legami lavorativi aprirò il libro, la bomba che
tutti vorrebbero e potrebbero aprire. Per ora i miei libri, i miei scritti,
restano confinati all’ambito delle passioni.
Oggi descrivo un incontro diverso,
ma significativo.
Il 23 aprile, la pregevole Ubik
di Savona ha organizzato la presentazione del libro di Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte,
“La verità sul processo Andreotti”.
E’ da poco terminata la fiction
televisiva “Il cacciatore”, incentrata su quel Pool Antimafia che nei primi
anni ’90, nel periodo post Falcone e Borsellino, riuscì a catturare elementi di
spicco come Bagarella e Brusca - tanto per citare i più conosciuti -, un tipo
di impegno che Caselli ha conosciuto in prima persona.
Avere la possibilità di trovarsi
davanti cotanta esperienza e sapienza rappresenta un richiamo assoluto per un
comune mortale, e l’idea che la persona che parla e si racconta abbia visto,
sentito e fatto “cose che noi umani…”,
non lascia indifferenti.
Arriva con la consorte e la sua
scorta - che a me appare minimale - una mezz’ora prima e rapidamente la sala si
riempie: un pubblico non troppo giovane, interessato, probabilmente competente,
gremisce l’Aula Magna del Liceo Artistico e quando parte la prima domanda di
Mimmo Lombezzi il silenzio e l’attenzione sono assoluti.
Caselli si alza in piedi per ogni
risposta, e si rivela un fiume in piena, quasi impossibile da interrompere,
gentile ma fermo nei suoi intendimenti, e il suo ego (sarà lui a definirsi
“egocentrico”) non permette intromissioni, perché l’argomento è… la sua vita,
il suo lavoro, la sua passione, i suoi dolori, le calunnie, le verità nascoste,
la rabbia.
Il libro di cui parla è
incontestabile, fatti concreti e fastidiosi per molti, tanto che l’unica
presentazione televisiva, su RAI 1, è stata realizzata alle… 6.15, un’ora
improbabile. E’ lui che lo evidenzia.
Eppure in poco tempo si è arrivati
alla 5° ristampa, fatto che Caselli butta lì tra una frase e l’altra, non per vanto,
ma per sottolineare la sete di verità della gente.
Si leva qualche sassolino dalla
scarpa quando racconta degli incontri che avvengono nel terzo ramo del
Parlamento, quello di Bruno Vespa, ma non è certo questa l’occasione per
cercare rivincite, e il tutto appare quindi come istintivo.
E il contenuto? Credo che per
tutti il processo ad Andreotti sia terminato con una assoluzione, ed è questo
il falso storico che prende il via dall’opera mediatica inscenata ad arte
dall’avvocato Giulia Bongiorno nel 2004 quando, dopo la sentenza della Cassazione,
si lasciò andare alla gioia pubblica (al telefono con Andreotti) urlando
appunto “Assolto, assolto, assolto”,
davanti alle telecamere.
Caselli e Lo Forte nel libro
raccontano in modo molto semplice che Andreotti non è mai stato assolto.
Riprendo qualche nota trovata in
rete (Il Fatto Quotidiano): “Per farla breve: i giudici di primo grado, nel 1999,
mandarono assolto Andreotti con l’articolo 530 secondo comma, paragonabile alla
vecchia insufficienza di prove;
l’appello del 2003, invece, decretò il “non
doversi procedere… in ordine al reato di associazione per delinquere… commesso fino alla primavera del 1980,
per essere lo stesso reato estinto
per prescrizione“;
nel 2004 la Cassazione confermò riga per riga. Fine della storia. Fino al 1980 Andreotti ha “commesso” il
reato di associazione per delinquere con Cosa nostra (il reato di
associazione mafiosa, il 416 bis, è stato introdotto soltanto nel 1982), che
però è prescritto”.
Per
tutto il resto rimando al libro.
Poche
le domande finali, perché si è fatto tardi, e mi rimane in canna un dubbio che
è il seguente: la sensazione che rimane al popolo in occasione di eventi
epocali (Moro, Ustica, JFK…) è che parte della verità non venga mai a galla,
ma… esiste una giustificazione a tutto questo? Esiste l’albi del segreto di
Stato? E’ forse condivisibile la chiosa di Buscetta che, rivolgendosi a Falcone,
riteneva che quello non fosse il momento giusto per raccontare certe verità,
talmente grandi e impensabile da essere scambiate per fantasie?
E a
proposito di fantasie, sarà vera la storia del bacio tra Riina e Andreotti?
Il contraddittorio con Tatti Sanguineti
Sentiamo
dalla voce di Gian Carlo Caselli un commento a quell’episodio.
Qualche mese fa ho commentato l’esordio
discografico dei Dust Memories,
giovani musicisti savonesi che propongono una musica originale, basata sull’elettronica
e la psichedelica - ma è questa una denominazione riduttiva - sintetizzata
nell’album “Alienation”.
Il mio commento e l’intervista sono
fruibili al seguente link:
Come sempre accade il 25 aprile a
Savona, la Fortezza del Priamar diventa un luogo di ritrovo dove la musica non
può mancare, e mentre le celebrazioni del momento riportano al passato e alla
storia, giovani band si susseguono sui palchi disponibili, miscelando i generi
e proponendo novità per i passanti casuali ma interessati.
Era la prima volta che vedevo i DM dal vivo, ed ero curioso di
verificare la resa di un prodotto che sembrerebbe adatto alla sola fase “studio”
e ad ambienti e momenti molto specifici.
Provo a spiegarmi.
Non è musica semplice, non siamo al
cospetto di qualche accordo scontato e qualche giro di DO, ma la differenza
arriva dall’atmosfera che si riesce a creare e dal captare i particolari,
musicali e vocali/lirici.
In questo senso non credo che
questa fosse l’occasione migliore, e i problemi tecnici non hanno di certo
aiutato.
E’ una musica per certi versi “scura”,
che necessita della giusta location, dove il mood che si sviluppa nell’aria
coinvolge l’audience, quasi un’esperienza di vita, come sono solitamente le situazioni di tipo psichedelico.
Tastiere variegate - miste a
strumenti tradizionali (chitarre e flauto) - e la presenza del teremin creano
un contrasto apprezzabile che il pubblico dimostra di gradire.
Sono certo che i Dust Memories non
sono rimasti contenti della loro performance, ma il pubblico attento sa
guardare oltre, e sa immaginare le potenzialità accantonando le difficoltà al
contorno, che sono poi quelle che attanagliano i live quando non si è in ambito
professionistico.
Li vorrei rivedere, magari di
sera, magari tra quattro mura, anche se di questi tempi non ci si può
permettere di scegliere le location, ma si può solo ringraziare e andare avanti.
Mi piacciono le loro idee che si
distaccano da ciò che viene inteso come ortodosso, e non ho dubbi che qualche soddisfazione
arriverà.
Un po’ di tempo fa mi
è capitato di conoscere, per ragioni professionali, un inglese di nascita, ma
cittadino del mondo, forse per motivi di lavoro, forse per natura, forse per
entrambe le cose. In realtà lo vidi la prima volta qualche anno prima, e con
cadenza annuale l’ho ritrovato, ma non avevo mai avuto l’opportunità di
scambiare quattro chiacchiere al di fuori dell’argomento lavorativo.
In questa occasione,
partendo dal rigore con cui l’America” tratta l’argomento "safety on
job", siamo arrivati a discutere delle incongruenze e delle debolezze
della nostra società, e lui mi ha regalato l’immagine della sua giovinezza
londinese, quando era un “must” avere il coltello in tasca, dalle sue parti.
Associando la picture
anticonformista di questo professionista alle battaglie inglesi tra Mods e Rokers, tipiche
degli anni ‘60, mi è venuto spontaneo chiedergli se avesse vissuto qualche
importante evento musicale.
Avrebbe potuto
raccontarmi dettagli dei concerti di Genesis e Pink
Floyd, ma il primo pensiero che ha avuto, e che di getto mi ha lanciato
addosso, è da vero album dei ricordi: l’incontro, in un pub,
con Pete Townshend, leader dei TheWho.
Siamo entrati
immediatamente in sintonia e alla fine della giornata ci siamo lasciati con un
proposito: due giga di mp3 in cambio del racconto di quel giorno.
Dopo quattro giorni mi è arrivata la mail con il materiale, vale a dire il
breve aneddoto, la foto del pub, la casa di Pete, la birra…
Lo propongo, con un
pò di nostalgia.
“Era il 1976 ed
ero studente a Londra.
Lavoravo come barman
part time in un pub che si chiama “The Barmy Arms", sulle rive del
Tamigi, a Twickenham.
A quell’epoca,Pete Townshendaveva la casa affianco al pub.
Era noto a tutti
quando lui era a casa, perché aveva unaMercedes limousine color “vino rosso”... impossibile non notarla!All’interno della
macchina erano installati grandi altoparlanti.
Un giorno, verso le 12, arrivò il primo
cliente e… era Pete, con un amico. Io gli dissi: ”Ciao Pete, lo sai che sei uno dei miei eroi?!”
Lui rispose:
”Mezza
Guinnes”.
Io gli servii la sua
mezza Guinnes e gli dissi: ”Salute Pete!” E fu la fine
dell’incontro.
Non un grande
avvenimento quindi, ma incancellabile dalla memoria del giovane barman!
E anche io, che
ancora adesso direi:"Ciao
Pete, lo sai che sei uno dei miei eroi?!", ci ho fantasticato su.
"Behind Blue Eyes" in versione acustica.
Citazione del giorno:
"Il Rock'n'Roll non
eliminerà i tuoi problemi, ma ti farà venire come la voglia di ballarciattorno" (Pete
Townshend)
Ogni album, ogni
libro, ogni creazione personale, necessita di un primo atto ufficiale, di una
presentazione che sancisce ufficialmente il passaggio dal cumulo delle “fatiche”
al momento della soddisfazione, quando a bocce ferme si può mettere in vetrina
il risultato di un periodo di grande impegno.
I Nathan propongono
il loro secondo album, “Era”,
partendo dalla loro città, Savona, a distanza di una settimana dal rilascio
ufficiale per l’etichetta AMS.
Lo spazio individuato
per questo importante appuntamento è stato la libreria La Feltrinelli Point Savona, che ha accolto un buon pubblico di
sostenitori abituali, chiaramente interessati allo scambio di battute misto all’ascolto
di alcune tracce e alla proposizione dei due video già rilasciati.
Band al completo
(erano tutti presenti i protagonisti dell’album) e chiacchiere in libertà.
A seguire mostro
i primi minuti di incontro immortalati da Mauro Selis.
Accade a molti di “risvegliarsi” dopo lustri e proporre ciò che da tempo era celato in un cassetto.
La svolta passa spesso attraverso
attimi casuali, opportunità non cercate, incontri non voluti, quelle sliding
doors di cui si sente spesso parlare. E così ci si ritrova nella piena maturità
a scrivere libri, dipingere, cantare canzoni, creare sculture, provare la via
del palco. E’ come se la tanta energia accumulata nel tempo all’improvviso
chiedesse una fessura, anche minima, per poter fuoriuscire. Magari ci si rende
conto che il tempo a disposizione si riduce sempre più, o forse giova il fatto
che le barriere psicologiche - i pudori e i freni che caratterizzano la prima
età -, ad un certo punto della vita, vengono azzerate.
Tutti possono tutto, non ci sono
preclusioni per chi vuole cimentarsi in uno dei tanti campi artistici, grazie
anche alla tecnologia, ma in mancanza di talento gli exploit sognati diventano
un “una tantum”, perché senza competenze la maschera creata cade al primo
movimento azzardato, e se dietro non c’è sostanza le velleità personali
scemeranno facilmente.
Non ci sono dubbi sulle skills di Patrizia Macchia,
mia concittadina, amica di infanzia, ritrovata dopo molti lustri sotto una
veste completamente nuova, quella della pittrice. Ma a ben vedere i suoi
interessi spaziano in campi diversi tra loro, contenitori in cui primeggia,
come testimoniano i continui attestati di gradimento della critica ma, soprattutto,
dei tanti savonesi che la spingono nella sua impegnativa attività quotidiana,
quella di cui racconta nello scambio di battute a seguire.
Questo spazio è quello che mi permette
di parlare di musica in totale libertà, ed è proprio un elemento musicale preciso
quello che mi ha spinto a intervistare Patrizia (con il cui fratello Paolo
iniziai a suonare da adolescente): un volto di David Gilmour, sezionato, diviso a metà, l’immagine della
giovinezza contrapposta a quella attuale.
Beh, l’arte di Glimour, per fortuna,
non ha atteso molto per palesarsi!
Ci conosciamo sin dall’infanzia ma è
solo negli ultimi anni che ho scoperto la tua vena artistica: che cosa mi ero
perso?
Ci siamo conosciuti da bambini, è vero e, già allora c’era in
noi una… vena artistica. Ricordi? Poi gli anni ci ingoiano, diventiamo adulti,
diversi ma sempre noi; cosa ti sei perso?In questi
anni quella vena artistica, tenuta dentro per tanto tempo, è finalmente
scoppiata, lasciando… magicamente e indelebilmente evidente traccia sulle mie
tele.
Mi racconti su cosa si focalizza la
tua attività, visto che non ti occupi solo di pittura?
Non mi occupo esclusivamente di pittura (anche se non
abbandono mai il pennello), scrivo infatti poesie e racconti pubblicati su
antologie e riviste culturali e amo fotografare ogni cosa o persona che catturi
il mio sguardo. Creo inoltre i “miei bijoux” originali e unici perché frutto
della mia fantasia… ah, scordavo, personalizzo anche ricette di cucina, adoro
propinarle agli amici durante le mie cene!
Che tipo di soddisfazioni hai ricevuto
sino ad oggi, e non parlo solo di riconoscimenti ufficiali?
Ho avuto molte soddisfazioni fino ad oggi, oltre ai premi e
riconoscimenti ricevuti a mostre e concorsi, e ne sono fiera, ma la
gratificazione maggiore mi arriva dalle tante persone che, non solo mi
lusingano con commenti positivi, ma scelgono la “mia arte” per le loro case,
studi ed uffici… è come rimanere per sempre accanto a loro… con un pezzetto di
me!
Mi pare che tutto ciò ti impegni
molto: possiamo considerare la tua un’attività a tutti gli effetti, che supera
gli aspetti ludici?
Sicuramente tutto ciò che faccio mi impegna ma mi soddisfa
molto, è diventato oggi il mio piacevolissimo lavoro. Sai, ogni volta che vedo
la mia tela bianca prendere forma e colore è come veder nascere un nuovo fiore,
una nuova canzone, una nuova idea… ogni volta insomma, una emozione nuova!
Come hanno reagito all’interno della
tua famiglia? Ti hanno incoraggiata?
Vuoi sapere le reazioni della mia famiglia? FELICE UNO… FELICI
TUTTI E TRE! Oggi che la mia mamma non c’è più, è grande il vuoto che ho nel
cuore, era orgogliosa di me e anche la mia critica numero uno! I miei “amori”
mi supportano, mi seguono, mi aiutano molto, siamo una vera squadra. Sono loro
la fonte della mia ispirazione, il mio input, la mia meravigliosa realtà.
Tra i tuoi ritratti molti
rappresentano miti del rock e dintorni: che rapporto hai con la musica in
genere?
Come ben sai, sono
cresciuta con mio fratello batterista, appassionatissimo di musica, insieme
abbiamo mangiato pane e Deep Purple, Genesis, Pink Floyd, Toto e Dire Straits;
l’emozione dei primi concerti, i sacchi a pelo, le chitarre sulla spiaggia, e
ancora i baci in auto con le canzoni di Battisti e Baglioni… bei ricordi!
Il mio rapporto con la
musica è lo stesso di allora, quando mio marito mi ha conquistata cantando John
Denver, James Taylor, Jim Croce, Cat Stevens e Neil Young… e mio figlio che,
già da bambino, mi faceva piangere di gioia, suonando una chitarra più grande
di lui!
La musica, passione irrefrenabile, denominatore comune della
mia famiglia!
Sono rimasto colpito dal tuo “David
Gilmour” diviso a metà: come è nata l’idea?
Tra i numerosi ritratti dei miti della musica hai notato David
Gilmour. Mi hai detto: “Bella idea, farlo
così”. Bella sì ma non è mia; in verità è stato mio figlio a mostrarmi una
foto di David in cui era ripreso nelle due età… l’ho trovata originale et
voilà… è nato il ritratto.
Tu hai una sorta di mostra permanente
nel Caffè dei Mille, a Savona: che tipo di collaborazione avete instaurato?
Da settembre 2017 ho
avuto la grande opportunità di esporre permanentemente i miei quadri nel nuovo
“Caffè dei Mille”, grazie a Giusy e Paolo, amici miei e titolari del bar, con i
quali si è rafforzato un rapporto di affetto fiducia e stima.
Nel loro allegro
baretto, dove c’è sempre musica, oltre alla loro cordialità si possono gustare
colazioni speciali con torte fatte in casa e golosi marocchini di Paolo,
inoltre Giusy sa prendere per la gola con i suoi straordinari piatti!
Hai mai pensato, con un pò di rimpianto, che avresti
potuto iniziare prima?
Se mi domandi se ho avuto rimpianti per aver iniziato
tardi a dipingere, la risposta è no, perché prima di essere felice davanti ad
una tela sono stata molto felice e realizzata davanti al miracolo della mia
vita!! Dopo moltissimi anni di attesa nasceva il mio bambino, il mio scopo di
vita e, grazie al destino e al mio fantastico, marito ho avuto il privilegio di
fare la mamma a tempo pieno catapultandomi, con tutto l’amore possibile, nella
più spettacolare impresa che potessi sognare!
Lasciati andare e prova ad aprire il libro
dei tuoi sogni: cosa vorresti realizzare nel futuro prossimo?
Vuoi proprio sapere cosa ancora vorrei
realizzare nel mio prossimo futuro?
Le esperienze vissute sono piccoli sassi
che, accumulati nel tempo, formano la scogliera che siamo…ecco io devo molto
alla vita, non ho da chiedere nulla di più, se non la salute, la voglia e
l’entusiasmo di continuare questo mio viaggio provando le stesse emozioni e
regalando sorrisi per fare ciò che amo di più, e come quella forte scogliera
accogliere le onde… mettendoci sempre il cuore,
com’è nel mio stile!
La prima - e unica - volta che ho
avuto la possibilità di vedere di persona Giuseppe Scaravilli aveva tra le mani un flauto
traverso, si muoveva su di un palco un po’ improvvisato e stava proponendo la
musica dei Jethro Tull in forma
acustica, assieme ad Andrea Vercesi, altro amante e propositore del genere.
L’occasione era solenne, una
Convention dei Tull, nell’occasione a Novi Ligure. Era il 2006.
Gli anni sono passati e uno dei
maggiori protagonisti di quell’evento - Glenn Cornick - non è più tra noi, e
anche Scaravilli ha avuto qualche importante problema fisico personale, che non
cela ma, al contrario, racconta come una delle possibili “cose della vita”,
negative, che toccano e che fortificano mentre le si combattono, e che spesso
si riescono a superare, grazie anche alle passioni, qualunque esse siano.
Questo per dire che la musica
aiuta, a vivere e a ricordare, e gli amori originari, spesso irrazionali, non
ci abbandoneranno più.
Ed è tale l’amore di Giuseppe per
i Jethro Tull che, tra i mille impegni (musicali con i suoi Malibran e
professionali), trova il tempo per mettere su carta ciò che avrebbe voluto
trovare in qualche libreria e, vista la lacuna, si mette in azione
personalmente, approfittandone per raccontare quel mondo secondo il suo
pensiero.
Il titolo del libro è: “Jethro Tull, 1968-1978”, il sottotitolo è “The
Golden Years”: una precisazione temporale la
prima, che indica di quale periodo si tratterà nel book, accompagnata da una
sorta di giudizio storico sull’opera di una delle band più longeve della storia
del rock.
Concordo sul fatto che quello sia
stato il periodo d’oro, magari non solo per Ian Anderson e soci, ma per tutto
quel movimento che, a posteriori, è stato definito “Prog”.
A distanza di diversi lustri la
musica dei J.T. gira ancora sui palchi di tutto il mondo, grazie ad Anderson,
il “padrone” del brand, e occorre sottolineare come, tra difficoltà vocali e indubbie
skills, da quel decennio magico si attinga ancora oggi a mani basse.
Ciò che Scaravilli ci racconta nel
suo libro è un misto di passione, ricerca documentale, nalisi musicale e
sottolineatura dei dettagli, quei particolari che creano l’atmosfera e permettono
di rivivere in modo differente aneddoti, storie e filmati già metabolizzati, ma
che possono essere arricchiti da questa lettura.
Che cosa accadde l’11 gennaio a
Montreux quando fu presentato in anteprima “War
Child”? Che look avevano i componenti del momento?
Perchè Mick Abrahams “sparì” dopo “This Was”? E Cornick? Eppure era un bravo musicista!
Ogni capitolo si occupa di un anno
di vita e del relativo album rilasciato in quel periodo. Partendo dal titolo
del disco si arriva alla/e tournèe di riferimento, alle scalette dei concerti, all’evolversi
delle line up e agli aspetti di contorno, quelli che piacciono molto ai
fan di tutto il mondo.
Racconta Scaravilli di un feedback
che evidenzia una lettura molto rapida, del tipo… “quando inizi a leggere non ti fermi più!”. Personalmente ci ho
messo molto più tempo, perché una delle peculiarità di questo lavoro è, a mio
giudizio, la capacità di spingere ad un ascolto parallelo alla lettura, per
provare a sintonizzare musiche conosciute con aspetti decisamente nuovi - e
sarei curioso di sapere dove sono state trovate tutte queste informazioni, Giuseppe!
-; e così tra lo scorrere delle pagine e i Cd che girano ci si rituffa
facilmente nel mondo di appartenenza. Sì, di appartenenze, perché “Jethro
Tull, 1968-1978” è
soprattutto adatto agli “introdotti”, quegli affamati musicali che non saranno
mai sazi di notizie e musiche di Anderson e soci, ma si pensa sempre che la
curiosità possa spingere anche i giovani verso qualcosa che, probabilmente, è
completamente sconosciuto.
Un libro
davvero scritto bene, esaustivo di un certo periodo e stimolatore di
nuovi/vecchi ascolti.
Fantastica
anche la sezione fotografica, con immagini restaurate per l’occasione.
L’ultima
parte, l’appendice, costruisce il bridge con la musica dei Jethro Tull del
2018, ma la speranza è quella che Giuseppe Scaravilli trovi la voglia e il
tempo di proporre l’analisi capillare di altri 10 anni di storia, gliene
saremmo immensamente grati!
E’ appena uscito il nuovo album
dei Nathan, “Era” e, in attesa di
fornire un commento preciso, pubblico lo scambio di battute con parte
della band, utile a scoprire dettagli significativi, alla comprensione dei contenuti e all'iter realizzativo.
Intervista
a Piergiorgio Abba e Bruno Lugaro
Dopo
la lunga incubazione dell’esordio discografico del 2016, “Nebulosa”, ritornate
con grande rapidità ad un secondo capitolo che vedrà a breve la luce: viene
naturale chiedervi che cosa è cambiato rispetto al passato, tenendo conto che
la vostra storia è quella di una band di lungo corso, che ha dedicato gran
parte della vita alla proposizione di tributi, e che ora sguazza a piacimento
nel mondo della creazione personale…
BL:
Guarda,
i pezzi sono nati con una facilità estrema, come fossero lì ad aspettarci. Ne
abbiamo dovuti scartare una mezza dozzina. Credo che questa facilità nella
composizione sia dovuta ad una ormai consolidata sintonia tra Pier e me.
Tendenzialmente lui crea il manichino, il modello, e io lo vesto, gli cucio
addosso l’abito
PA: Praticamente è
dal 2007 che scriviamo, molto spesso separatamente, e poi curiamo le idee che
ci sembrano più promettenti; i Nathan si dedicano a musica propria appunto dal
2007, e per questo ho messo a disposizione la mia esperienza prima con gli
Armalite (prog classico anni ‘80, un CD autoprodotto) e poi con i Projecto
(power-metal sinfonico, con caratteristiche progressive, 2 CD prodotti dalla
Underground Symphony).
Spunti, riff, appunti sonori memorizzati
nel cassetto sono lì, pronti per uscire.
Ora
avete un’identità precisa che sarà bene sviscerare, ma chiedo a voi di
dipingere l’autoritratto del momento.
BL:
Siamo
meno “spaziali” (riferimento a “Nebulosa”)
e più “terreni”. Se il primo era un album di aria, questo è più cattivo,
nervoso: un album di terra e polvere.
PA: Per quanto
riguarda “l’autoritratto”, personalmente non lo riferirei al momento; credo che
sia una fusione di tutte le esperienza musicali personali, sia da autore, sia
da ascoltatore (a cominciare dagli anni ‘70!); inoltre sarà interessante vedere
come il nostro nuovo chitarrista contribuirà al sound del gruppo.
”Nebulosa”
è un gran disco e, al di là del mio giudizio, devo sottolineare come chiunque
lo abbia ascoltato sia rimasto piacevolmente sorpreso: potete tirare un pò di
somme a distanza di due anni dall’uscita?
BL:
“Nebulosa” è il primogenito, un’esperienza
unica e faticosa da realizzare. Con “Nebulosa”
ci siamo detti: “Sì, siamo capaci di
scrivere cose nostre…”, e abbiamo avuto riscontri eccezionali di critica,
ben oltre i confini nazionali. Resta un album speciale.
PA: I brani di “Nebulosa” mi suonano sempre convincenti
e, quando li proponiamo dal vivo, certe sezioni sono riarrangiate rispetto alla
versione su Cd, per cercare, per quanto mi riguarda, di adattare opportunamente
le parti tastieristiche alla resa live (che non è necessariamente la stessa che
su Cd).
Il
disco nuovo si chiamerà “Era”: trattasi ancora di un concept o avete scelto
un’altra strada?
BL:
No,
non è un album concept, ogni traccia vive di luce propria, non c’è un filo
conduttore ma piuttosto un’atmosfera unica, come ti dicevo prima.
Quali
sono i temi trattati e quali le eventuali novità meramente musicali?
BL:
Il
tradimento, il coraggio, il fratricidio, la mania che abbiamo di mascherare i
nostri sentimenti, persino il dolore di un cane abbandonato. Sotto il profilo
musicale, una chitarra più nervosa, un violino elettrico (in una sola canzone)
fuori di testa, molto crimsoniano, parti vocali più presenti e curate rispetto
a “Nebulosa”, e un grande lavoro di
tastiere.
Dal
punto di vista della costruzione dei brani - dall’idea sino alla soluzione
finale -, avete cambiato qualcosa?
BL:
Come
ti dicevo, scriviamo in due. Pier mette in piedi il brano, la struttura, l’idea
base, e io la melodia del cantato e il testo. Chiaramente con interazioni
continue.
Che
cosa unisce “Era” a“Nebulosa”?
BL/PA:Beh, crediamo
cheil sound cominci ad avere una
propria identità: il gusto per le melodie “aperte”, le tastiere stile prog anni
Ottanta, gli ampi spazi per sezioni strumentali, il sette quarti!
E’ appena uscito il nuovo album dei Nathan, “Era” e,
in attesa di fornire un commento preciso, pubblico lo scambio di battute con
parte della band, utile a scoprire dettagli significativi e alla comprensione dei contenuti.
Una
delle caratteristiche principali dei due lavori è fornita dalla chitarra di
Daniele Ferro che però non è più presente nell’attuale formazione: mi dite
qualcosa della new entry in un ruolo che appare fondamentale nella vostra
produzione?
BL/PA: Quella
da Daniele è stata una separazione dolorosa, decisa da lui per dedicare più
tempo ai suoi progetti. Ci ha lasciato, però, delle vere “perle” su “Era”. Il nuovo chitarrista, il genovese
Andrea Laurino, ha lo stile simile, ottima tecnica ed è subito entrato in
sintonia con il gruppo, grazie alla sua simpatia e disponibilità. La prima
volta che ci siamo visti ha portato tre pezzi di “Nebulosa” eseguiti esattamente come Daniele. Siamo stati fortunati.
E’ stato lui a contattarci leggendo il nostro annuncio su un sito per
musicisti.
Riassumiamo
quindi la line up?
BL/PA: Piergiorgio Abba,
tastiere; Bruno Lugaro, voce; Mauro Brunzu, basso; Fabio Sanfilippo, batteria;
Andrea Laurino, chitarre; e, dal vivo, Monica Giovannini, cori.
Cosa
mi dite dell’ospite?
BL/PA:Manuel Rosso, 28 anni, è un violinista che Robert Fripp
avrebbe reclutato immediatamente. Fa urlare lo strumento, lo distorce, ne
dilata il suono. Ci ha fornito il suo supporto in un solo brano - “Invisibile” -, per soli 30 secondi, ma
sono attimi originali e perfettamente inseriti nel brano, e in ogni caso… da brivido.
Il dibattito è avvenuto sul
suono… più pulito o carico di effetti? Alla fine abbiamo messo entrambe le tracce, con un opportuno bilanciamento.
Proseguiamo con le curiosità: l’etichetta… ancora AMS, come
all’esordio…
BL/PA: Con Ams è stato naturale proseguire il rapporto dopo la felice
esperienza di “Nebulosa”. E’ una
label estremamente seria e professionale e abbiamo trovato l’accordo in pochi
minuti. Mathias Sheller ha grande sensibilità per il prog e questo è
naturalmente un vantaggio.
Un commento sull’artwork?
BL/PA: La copertina deriva da un quadro di Federica Pigmei, un’artista
romagnola scoperta girovagando sul web. Avevamo una vaga idea di cosa fosse la
cosa migliore per l’album e cercavamo un’immagine suggestiva di un falco in
volo, e alla fine abbiamo trovato il dipinto di Federica - entusiasta della
possibilità - che a nostro avviso ha grande forza: unisce l’energia di un falco
a quella delle onde del mare.
Soffermiamoci un attimo sulla costruzione “fisica” del disco…
B.L./PA: Il grosso del
lavoro - le parti strumentali - lo abbiamo fatto nei nostri home studio (Abba, Lugaro
e Ferro). Siamo partiti dalla base ritmica, scritta
da Pier ed eseguita da Fabio Sanfilippo alla batteria e da Mauro Brunzu al
basso. Con Monica abbiamo registrato le voci dal bravissimo Giulio Farinellli -
lo stesso che aveva curato le voci di “Nebulosa” - mentre mixaggio e
masterizzazione - punto più delicato di tutta la catena di produzione - sono stati realizzati da un vero maestro, Giovanni
“Ragnar” Nebbia, all’Ithil World Studio di Imperia. Anche Giovanni, così
come Giulio, si è rivelato una persona affidabile ed ha lavorato con molta cura
e professionalità.
Recentemente
vi ho ascoltato dal vivo, al Teatro Don Bosco di Savona(con Il Cerchio D’Oro) e in quell’occasione
avete proposto un paio di tracce di “Era”: qual è stato il vostro feeling in
occasione della performance nella vostra città, e in particolare come giudicate
la resa live dei nuovi pezzi.
BL:
E’
stata una bella serata, ricca fra l’altro di richiami al passato, perché su
quel palco vidi suonare alcune band prog. E nel 1977 io feci ai Salesiani forse
il mio primo concerto, cantando e suonando al basso “The Knife” e “The Musical Box”.
C’era un buon feeling in sala e siamo complessivamente soddisfatti della nostra
esibizione. Andrea ci ha sturato le orecchie!
PA: Ottima serata:
anch’io l’ho trovato un flashback davvero emozionante, per il luogo (nel ‘75
era in programmazione il film “Yessongs”),
ma soprattutto per il pubblico, a mio avviso presente per assaporare ancora il
gusto del progressive. I nuovi brani vanno ancora rodati per la resa live,
comunque direi più che soddisfacente.
In
realtà i concerti sono stati due, ravvicinati, perché avete proposto la stessa
scaletta(sempre in compagnia de Il
Cerchio) in uno studio di registrazione, senza pubblico, come atto di amicizia
verso Yoshiko, presente in Italia in quei giorni: come descrivereste
l’esperienza?
PA:
Anche il “concerto ad invito” ha rappresentato un’esperienza interessante
(vissuta dall’altra parte quando vidi i Marillion dopo l’uscita di Brave: li ho
ascoltati in una sala-discoteca di Milano praticamente con il mento sulla
tastiere di Mark Kelly!)
In
realtà il pubblico c’era, ed era molto... selezionato!
Oltretutto,
dalle registrazioni effettuate, i brani mi sono sembrati più equilibrati
rispetto al Teatro Don Bosco!
So
che avete già materiale per il futuro, ma il futuro ora è rappresentato da
“Era”, e il secondo album rappresenta solitamente una conferma degli intenti o
il cambio di rotta: che cosa vi siete prefissati nel medio termine?
BL:
Ora
godiamoci “Era”. Ne siamo davvero
orgogliosi, personalmente credo sia un balzo in avanti rispetto a “Nebulosa”. Da settembre penseremo al
nuovo materiale. C’è roba notevole.
PA: beh, settembre è
un riferimento “provvisorio”, nel senso che il lavoro sui brani del prossimo album
è già in corso (direi perennemente in corso), intervallato dalle prove per
eventi live a cui dovremmo partecipare.
Un’ultima
cosa, rispetto a due anni fa avete inserito una novità per quanto riguarda il
lancio promozionale, curando gli aspetti visual che appaiono ormai
indispensabili come biglietto da visita: mi spiegate la scelta del brano -
“Esistono ore perfette” -e qualche
curiosità sul video?
BL:
E’
forse il brano dal testo più “scenografico”, ispirato alla storia di Caino e
Abele. Andrea Vescovi e Stefano Baldini hanno realizzato un video intenso e
artistico. Giorgio Zinola un ottimo interprete.
PA: Per il video
promo (che uscirà in anteprima), creato dopo varie insistenze di Bruno, ci
siamo messi a tagliare e ricucire i brani (già nella versione definitiva), una
specie di trailer cinematografico, dove compariamo nella veste di musicisti,
video sempre realizzato da Andrea e Stefano.