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venerdì 26 novembre 2010
Intervista a Verdiano Vera dello studio Maya di Genova
Lo Studio Maya e Verdiano Vera non hanno certo bisogno della mia pubblicità, ma mi piace parlare di quelle persone, brave e intraprendenti che riescono a fare coincidere passione primaria e lavoro, e se poi questo mix ha a che fare con la musica allora… non so resistere. Io che sanamente invidio questo genere di “lavoratori”, li definisco anche fortunati.
Attraverso ciò che seguirà, sarà facile capire l’essenza dello Studio Maya e dei suoi ideatori, ma quello che tengo a sottolineare, quello che ho trovato ogni volta che sono stato in quel luogo, per motivi molto differenti tra loro, è l’atmosfera che vi regna. Forse non saprò apprezzare il lavoro minuzioso di pianificazione dei differenti spazi, essendo argomento da dettaglio tecnico, ma è chiara e immediata l’idea di spazio multifunzione, con possibilità di mutazioni rapide e passaggi dal formato “recording/editing” a quello radiofonico e ancora alla forma “meeting a tema”.
L’estrema modernità si fonde con l’efficienza e fa sentire davvero a proprio agio anche chi è di passaggio, come è capitato a me.
Ma leggiamo le parole di Verdiano.
Mi racconti qualcosa del tuo iter formativo?
Ho cominciato in modo tradizionale studiando al Conservatorio. Nonostante fosse proibito per uno studente esibirsi in contesti diversi dai saggi scolastici, contemporaneamente agli studi, suonavo nei locali della riviera ligure con un gruppo rock. Durante la settimana mi dedicavo sia allo studio della chitarra classica con Sor, Aguado, Carcassi, Giuliani, Carulli sia al rock dei Pink Floyd, Queen, Dire Straits, U2. Inoltre suonavo le percussioni in un gruppo afrocubano.
Come nasce il tuo amore per la musica e quando hai deciso di far coincidere tale passione col tuo lavoro?
Mi è sempre piaciuto occuparmi di musica a 360 gradi. Qualsiasi fosse il progetto musicale che mi si proponeva, io accettavo e lo facevo per il piacere di farlo. Per fare questo mestiere bisogna amare ciò che si fa, altrimenti non si può andare avanti. Mi sono reso conto che stavo trasformando la mia passione in un lavoro nel momento in cui ho cominciato a guadagnare insegnando agli altri ciò che settimanalmente imparavo a fare io. Tenevo lezioni di chitarra e di percussioni, ma insegnavo anche l'uso dei primi sequencer e dei primi software per la notazione musicale. Per divertirmi ho cominciato a fare piano bar utilizzando basi musicali arrangiate da me. Questo fece si che ogni sera che mi esibivo, incontravo qualcuno che mi chiedeva di arrangiare nuovi brani musicali. Mi sono iscritto alla SIAE nel 1995 e ho cominciato a comporre pezzi da far cantare agli amici che si presentavano ai concorsi canori. In poco tempo ho aperto uno studio di registrazione che mi serviva per registrare la mia musica e quando non lo sfruttavo io, lo affittavo agli amici che lo usavano per le loro prove musicali. Da lì è nata la necessità di ingrandire gli spazi a mia disposizione. Fu così che dai fondi di un palazzo di Corso Torino a Genova mi trasferii nel seminterrato di una farmacia vicino alla stazione Principe, da lì ho successivamente aperto il Mediatech Studio, ricavato in una casetta indipendente in Via Montaldo, e dopo circa undici anni ho realizzato Studio Maia.
Il tuo Studio Maia nasce come luogo dedito alle registrazioni, ma mi appare come spazio multifunzione, dove la parte “recording” è solo una tra le tante attività. E’ così che l’avevi ideato o il progetto iniziale si è modificato nel tempo?
Studio Maia è nato da un progetto mio e di mia moglie Linda per soddisfare ogni necessità riguardante il nostro lavoro. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli e tutti gli spazi sono stati concepiti per essere sfruttati in maniera polifunzionale. Al centro c'è la regia LEDE, nella quale è possibile effettuare registrazioni e mixaggi audio ma lo studio è progettato per lavorare anche su montaggi video, post-produzione e persino trasmissioni radiofoniche. Studio Maia è il nucleo intorno al quale orbitano tantissime attività riguardanti l'audio, la musica e il video. All'interno dello studio docenti professionisti svolgono corsi di musica di tutti gli strumenti, teniamo incontri didattici e serate a tema musicale, giriamo videoclip, registriamo dischi e svolgiamo attività editoriale e discografica.
Ti ho visto impegnato su più fronti, come ingegnere del suono in studio e nei concerti, come padrone di casa nel corso di meeting a tema, come conduttore radiofonico, come organizzatore di concorsi … ma qual è la dimensione che più ti soddisfa?
Come ho già detto, io vedo l'audio e la musica a 360 gradi. Non riuscirei ad occuparmi di una cosa sola. Vivo il mio lavoro sotto ogni aspetto. Sono nato come musicista, ho lavorato per molti anni come tecnico del suono e adesso faccio il produttore. Credo che sia stata un'evoluzione naturale. Mi piace occuparmi di tutto ciò che riguarda l'audio e musica. Sono sempre stato così innamorato del mio lavoro che per me non c'è mai stato nulla di meglio, è uno dei sentimenti più piacevoli che si possa provare.
A quale tipo di aggiornamento tecnico deve sottoporsi chi fa il tuo mestiere?
La cosa più importante per fare il mio lavoro è ascoltare qualsiasi genere musicale e qualsiasi artista con lo stesso interesse. Bisogna essere capaci di accettare qualsiasi novità cercandone il significato, memorizzandone le caratteristiche e studiandone le sonorità. Chi fa il mio lavoro deve mantenersi sempre aggiornato, migliorare sempre, provare nuove strade e soprattutto osare.
Nel tuo studio sono passati molti musicisti storici, italiani e stranieri. Quale il più pignolo e quale il più… facile da gestire?
Solitamente i professionisti, quelli che sanno suonare davvero, sono anche i più facili da gestire. Fortunatamente in studio lavoro spesso con musicisti professionisti e quindi il lavoro è più semplice. Il problema è che spesso il più pignolo sono proprio io, e quindi mi trovo a lavorare di notte da solo per far quadrare un mix che per gli altri andava già bene così.
Hai un desidero professionale che prima o poi cercherai di realizzare?
Certamente. Mi piacerebbe realizzare la colonna sonora di un cartone animato della Pixar e organizzare gli eventi musicali in una finale dei giochi olimpici.
Un esempio...
mercoledì 24 novembre 2010
Liir Bu Fer-"3 juno"
“3 juno” è il primo album di LIIR BU FER.
Contrariamente a quanto sono solito fare, parlando di nuovi album, antepongo al mio feeling post-ascolto
l’intervista che mi ha rilasciato Marco Tuppo, per scoprire qualcosa di più su questo trio distribuito da Zeit Interference/Lizard Records.
L'INTERVISTA
I Liir Bu Fer nascono dall’incontro di Nicola De Bortoli e Andrea Tumicelli (già Vortex Meraviglia e Velcro) nel 2008. La prima fase del progetto culmina con la sonorizzazione di un’esposizione di Luca Armellini.L’attività del gruppo riprende nella seconda metà del 2009 e vede (dopo aver già militato nei NemaNiko,Raven Sad e Sciarada) il mio innesto nella formazione. In formazione trio l’ambito musicale che si viene a formare è un crocevia di elettronica dal cuore acustico (tra oggetti percossi in loop minimal e contrappunti cameristici) e ambient contemplativo (synth analogici e vecchi organetti), il tutto contaminato e imbastardito da tratteggi post e kraut. Dopo alcuni mesi di prove serrate nella ricerca di dare forma alle nostre idee abbiamo pubblicato a giugno il nostro debut album "3juno" per Zeit Interference/Lizard Records..
La musica ascoltata in “3juno” non è rivolta alla massa. La copertina in mia possesso(ho il demo, non so quella ufficiale) è da … decriptare. Notizie in rete, come dicevo, poche. Il vostro “restare sotto coperta” è una precisa scelta? Volete rivolgervi solo ad una nicchia precisa? Non pensate che, qualunque cosa realizziate debba essere il più possibile diffuso?
Come avrai avuto modo d’intuire dalla biografia il progetto Liir Bu Fer è molto recente quindi risulta fisiologico che per il primo anno di lavoro ci siano poche informazioni in giro. Dall’uscita ufficiale del disco le cose sono molto cambiate e attualmente in rete può trovare parecchio (biografia, recensione, foto, ecc). Concordo con te sull’importanza di diffondere il proprio operato,e a tal proposito diamo la possibilità tramite alcuni portali di scaricare gratuitamente alcuni brani e ci siamo fatti promotori, in collaborazione con altri gruppi, di una sorta di distribuzione dal basso, dando la possibilità al pubblico durante i nostri concerti di acquistare oltre “3juno” i lavori di gruppi a noi affini.
Qual è il vostro iter professionale e formativo? Cosa vi ha portato a realizzare un album così poco … convenzionale?
Abbiamo fatto parte di diversi progetti alcuni più propriamente rock, altri più trasversali, ma e ovvio che quando si realizza un disco come “3 juno” è la curiosità che fa da mordente. Sono cicli che fanno parte della storia di alcuni musicisti, si tende a spostare l’arrivo sempre un pò più in la, in modo tale di mettersi sempre in gioco, miscelando stili e modi di concepire la musica.
Sostanzialmente non è che vi siano dei paletti così rigidi. Ovviamente essendo la nostra musica particolarmente “destrutturata” avevamo bisogno che i nostri collaboratori fossero in grado di interagire con quest’ultima liberi dalle strutture classiche del cantato, in una sorta di contrappunto di emozioni. Ciò non vieta che in futuro ci sia occasione di collaborare con cantautori “più classici” contaminandoci a vicenda.
Potrei dirti Einstürzende Neubauten, Matmos, Murcof, Orb,Orbit ma anche Sigur Ros, Tortoise ma anche Dead can Dance e le linee ritmiche dei Joy Division ma anche Stravinsky e Ravel…In verita ogni grande artista è fonte di ispirazione dipende dal tipo di ambientazione si vuole ricreare.
Cosa rappresenta per voi una performance live? Che tipo di rapporto riuscite ad instaurare col pubblico?
Nei nostri live viene data grande attenzione all’aspetto visual, in una sorta di colonna sonora reale e irreale di immagini e ambientazioni. Inoltre poiché i loop che sono alla base delle nostre composizioni vengono costruiti da noi in tempo reale e non tramite sequencer, la dimensione live ha la capacità di svelare “l’artigianato” delle nostre tessiture sonore. “Rapporto con il pubblico?” Direi molta, molta curiosità.
La musica, qualunque essa sia, si “utilizza” a seconda dello stato d’animo e il nostro “mood” del momento ci può portare a scelte agli antipodi. A quale tipo di stato d’animo potrebbe essere adatta la vostra musica?
Nella nostra musica, libera da strutture e da convenzioni, ci sono tutti i nostri stati d’animo che caratterizzano ogni singola giornata e ogni singola composizione, come tali quindi sono caratterizzati da moltitudine d’aspetti emozionali. Quindi potrei dirti che “3 juno” va bene per diversi stati d’animo, basta aver voglia di ascoltarlo e che faccia parte di un momento emozionale della tua vita e non redimerlo a puro sottofondo o intrattenimento.
Quali emozioni pensate di trasmettere?
Riuscire a trasmettere delle emozioni, qualunque esse siano, è il più grande risultato a cui possa ambire un musicista. Ciò che bisogna evitare, è il puro e sterile esercizio di stile, indipendentemente dal genere musicale che si è scelto di utilizzare.
Esistono strumenti “banditi” o ritenuti incompatibili con la vostra musica?
Come dicevo non ci poniamo molti paletti, si accinge ad uno stile o ad uno strumento per ottenere un risultato concettuale e emozionale che si focalizza volta per volta in maniera naturale.
Nei momenti ludici, di relax, c’è anche spazio per un blues o un rock di poco impegno intellettivo?
Per noi fare musica “d’avanguardia” non è una sofferenza che ci siamo inflitti perché così siamo più cool, ma perché abbiamo deciso che “destrutturando” possiamo muoverci in maniera più libera, quasi fossimo dei bambini un po’ cresciutelli. Dopo anni che suono posso garantirti che percuotere lamine d’acciaio, far fischiare synth su ritmiche ipnotiche è più divertente e meno frustrante che cercare di incastrare strofa e ritornello di un brano rock.
Cosa vi aspettate dal vostro futuro prossimo musicale?
Non è che chi propone musica come la nostra si aspetti gloria e fama, tra noi abbiamo creato una bella atmosfera nella quale ci divertiamo e ci esprimiamo, e questo per noi è già un bel successo. Se poi alla fine del concerto qualcuno viene a complimentarsi dicendo che per un ora ha staccato la spina, allora tanto meglio. Diciamo comunque che gli obbiettivi che ci siamo prefissati e continuare nella nostra ricerca timbrica creando tessiture con oggetti sempre diversi e riuscire a collaborare con qualche giovane registra per da sfogo alla propensione filmica della nostra musica.
La settima domanda dell’intervista era relativa a uno stato d’animo corretto, adatto alla musica dei Liir Bu Fer, essendo io convinto che esista spazio per ogni tipo di musica (possibilmente di qualità), da utilizzare a seconda del nostro umore, operando a volte vero autolesionismo nell’esasperare momenti negativi.
Ciò che ho ascoltato in “3 juno” è per me qualcosa di “umorale”, e se il termine non è musicalmente corretto non è poi fondamentale… rende l’idea.
Oserei dire che potrebbe (anche) essere barattato con la classica canzoncina poco impegnata che facciamo partire (magari senza ascolto concentrato) in microscopici momenti transitori della giornata( esasperazione del concetto).
Potrei anche dire che è qualcosa di estremamente complicato da assimilare e, forse, relativamente semplice da eseguire … musica per pochi, sicuramente … musica per tutti … sicuramente.
L’album è pressoché strumentale e anche la voce è uno strumento tra i tanti campionatori, synt e probabilmente “attrezzi “ del quotidiano. Salvo in un brano, in cui ci si avvicina di più alla forma canzone, con un testo cantato da Claudio Milano (Nichelodeon), la performance vocale regala il mero senso della sperimentazione, arte in cui lo stesso Milano/Stratos è maestro.
Credo che sia una musica perfetta per essere abbinata a immagini, fisse o mobili, a una rappresentazione più ampia di quella usuale, e al primo ascolto la similitudine mi è arrivata senza sforzo, con un parallelo che mi ha portato a quella “Music For Airports” di Brian Eno, musica per ambienti, musica per “non musicisti”, capaci di manipolare gli oggetti quotidiani rendendoli funzionali alla necessità di esprimere suoni semplici e radicati in noi.
“Musica per non musicisti” potrebbe sembrare un concetto … negativo, ma il mondo dei suoni contiene la nostra essenza e ogni essere umano è in grado di dare e ricevere musica, nella forma più semplice e immediata.
Nicola De Bortoli, Andrea Tumicelli e Marco Tuppo sono tre musicisti, veri musicisti, che hanno scelto, tra le tante possibilità, l’espressione libera, senza codifica e con una larga improvvisazione, condizionata dalle sollecitazioni ambientali di quel preciso momento creativo.
Il risultato è qualcosa di estremamente piacevole, apparentemente difficile, realisticamente facile e fruibile da chiunque.
Sarei davvero curioso di assistere ad una performance dal vivo di Liir Bu Fer, probabilmente uno show, un’esperienza “avvolgente” e coinvolgente.
In any case, giudizio sintetico di “3 juno… da tenere a portata di mano… il bisogno è dietro all’angolo!
Contatti:
myspace.com/liirbufer
Tracklist:
martedì 23 novembre 2010
"Il tempio delle Clessidre"- CD/vinile
http://athosenrile.blogspot.com/search/label/Il%20Tempio%20delle%20Clessidre-recensione