Alberto Sgarlato mi ha inviato la sua recensione relativa al concerto di IQ, a Cusano Milanino.
Ringrazio “Il Mulino degli Artisti”, di cui Alberto fa parte, per la gentile concessione.
IQ
Teatro “Papa Giovanni XXIII”
Cusano Milanino (MI), 24.10.2010
Testo e Foto di Alberto Sgarlato
I “Vecchi Leoni” del prog-rock britannico tornano a ruggire e il pubblico risponde assai bene all’appello. Infatti, domenica 24 ottobre il piccolo ma moderno ed elegante Teatro “Papa Giovanni XXIII” di Cusano Milanino è tutto completo (persino con alcune persone in piedi) per salutare una delle rare incursioni in territorio italiano degli IQ, band di Bury (poco lontano da Londra) ormai prossima ai trent’anni di carriera.
L’evento coincide anche con uno spiacevole annuncio: sarà una delle ultime due date live con la “meteora” Mark Westworth sul palco, tastierista da meno di due anni subentrato al dimissionario Martin Orford. E questa sarà l’unica vera pecca di un concerto, sotto ogni altro aspetto, ineccepibile. Sul palco si sentono infatti quattro musicisti “ben rodati” e deliziosamente affiatati (il cantante Peter Nicholls, il chitarrista Mike Holmes e il drummer Paul Cook, tutti membri fondatori, più il bassista John Jowitt, membro fisso ormai dal 1993), più il succitato Westworth che suona un po’ come un’entità a parte. Da ciò si percepisce che evidentemente il tastierista proveniente dai Darwin’s Radio non ha mai veramente legato con gli IQ. E la cosa più bizzarra è che non solo si coglie il fatto che Westworth non ha mai veramente “assimilato” le partiture di Orford, ma appare a disagio (e un po’ legnoso nell’esecuzione) persino su quanto composto da lui nell’unico album di studio a cui ha preso parte (“Frequency”).
La band, forse per metterlo più a suo agio, parte proprio con il brano che apre l’album e gli dà il titolo. Le atmosfere sono immediatamente emozionanti: suoni ineccepibili, bel light-show ed efficaci i tre schermi alle spalle dei musicisti.
La prima parte del concerto attingerà dal materiale più recente, regalando agli spettatori, subito dopo “Frequency”, uno dei momenti più commoventi con la struggente, amara “Red Dust Shadow” (dall’album “Dark Matter”), nel cui testo Nicholls rievoca alcuni dei più drammatici eventi luttuosi della sua infanzia. Dal nuovo album, oltre all’apertura, verrà eseguita soltanto “Ryker Skies”, mentre uno dei loro capolavori, cioè “Ever” verrà deliziosamente ricordato agli spettatori con l’esecuzione in sequenza di “Leap of faith” e “Came down”, proprio come sul CD. Chiusura ai massimi livelli con gli oltre 15 minuti di “The seventh house”, dall’album omonimo, un inno contro gli orrori della guerra.
Quest’anno ricorre il venticinquennale di “The Wake”, forse l’album degli IQ più amato dai fans, di certo il loro più famoso, e la seconda parte del concerto è la riproposizione dei 50 minuti più o meno di quel disco, nota per nota, seguendo la tracklist originale.
Qui si sente che anche Westworth ha lavorato sodo, non soltanto sulle esecuzioni, ma anche su ogni singolo suono, e l’impatto sul pubblico è esaltante. Il risultato è un’opera grandiosa, riassaporata in tutta la sua intensità, che non accusa minimamente il fatto di essere stata incisa nel 1985.
Peter Nicholls ha dovuto affrontare, prima della pubblicazione di “Frequency”, gravi problemi polmonari, e si sente che purtroppo la voce non è quella di quell’altro, meraviglioso, indimenticabile concerto italiano a Codevilla, nel 2000, quando presentarono in anteprima “The Seventh House”, non ancora uscito in Italia. In ogni caso la prestazione di Nicholls è egregia, nettamente superiore a tanto materiale degli ultimi 2-3 anni che si possa trovare su Youtube o in altri meandri della rete, e le note alte sono tutte al loro posto.
La band saluta dopo “Headlong”, come da copione, ma torna sul palco per un bis, una “chicca” per i fans più “completisti”: quella “It all stops here” inizialmente pubblicata solo sul demo “Seven stories into 8” del 1981 e poi “rispolverata” in qualche raccolta e, raramente, in qualche live.
Nuova uscita dal palco e nuovo rientro, con il pubblico che ormai ha dimenticato le comode seggioline del teatro ed è ammassato in prima fila, per salutare con un altro dei massimi vertici nella carriera della band: quella splendida “The Darkest Hour” che nel 1993 aprì il capolavoro “Ever”.
Al terzo richiamo sul palco (è ormai abbondantemente passata la mezzanotte) la band esegue ancora una volta il brano “The Wake” e si accommiata per davvero, lasciando al pubblico i ricordi e le emozioni di un concerto indimenticabile e “quasi” perfetto.
Prima dell’inizio del concerto, il bassista John Jowitt scende tra il pubblico, e ha un sorriso, una parola gentile, un abbraccio o una stretta di mano per tutti. Da me personalmente interrogato sul futuro della band dopo l’uscita di Westworth, mi conferma che i provini del successore sono già in atto tra una tappa e l’altra di questo tour. Pensando a Peter Nicholls e a Paul Cook, che in anni passati lasciarono la band per poi rientrarvi, non posso fare a meno di chiedergli se potrebbe essere così anche con Martin Orford. “Absolutely no”, è la sua risposta a bruciapelo. Dopodichè mi racconta che Martin sta attraversando un periodo difficile della sua vita, vive in campagna, ha fatto perdere ogni traccia di sé e si è venduto (testuali parole di John) “persino i cavi”. Se penso a che fine possa aver fatto tutto il suo monumentale equipaggiamento, compresi il Mellotron e il Memorymoog originali dell’epoca… “Sadly so”, conclude Jowitt. Eh, già, “sadly so”.
Immagini di repertorio