Il 19
agosto i Giardini Serenella di
Savona ospitano un One Man Band italiano di alto livello, El Bastardo (Luca Cocchiere).
Non è la prima volta che Luca arriva in Liguria
- vive a Torino, dove cogestisce una scuola di musica e ballo - ma nelle precedenti
occasioni, di cui sono testimone, sul palco era presente il Tin Pan Alley, ovvero, oltre a El Bastardo, La Terribile (voce) e Tony
Timone (violino e mandolino).
La storia musicale di Luca Cocchiere è
lunghissima, carica di esperienze live sparse per il mondo e pregna di
registrazioni: basta dare un’occhiata alla sua biografiaper avere una
chiara visione della portata dell’artista.
La status di One Man Band presuppone completa
autarchia e, ovviamente, grande responsabilità, ma quando Luca sale sul palco
non è proprio solo, perchè... accompagnato da un paio di chitarre acustiche, l’inseparabile
ukulele e tutta una serie di strumenti a fiato (armoniche e kazoo). E
naturalmente una voce, che si esprime rigorosamente in lingua inglese.
Il pubblico presente è diviso in due: i
passanti per caso e chi arriva appositamente per ascoltare la performance, ed è
confortante vedere un pugno di giovanissimi, in prima fila, attenti e
coinvolti.
Il genere è sicuramente di nicchia (non è di
certo così in altri paesi!) ma capace di colpire all’impatto chiunque, perché in
qualche modo è di comune appartenenza, essendo il sottofondo sonoro di tante esperienze di
vita. E così El Bastardo propone il suo blues, il country, il folk, il
bluegrass, pescando nello sterminato repertorio dei grandi maestri del passato
(Doc Watson, Hank Williams e Jonny Cash), alternanto però con la produzione
propria, notevole per qualità e quantità.
La sua tecnica è di grande livello e
difficoltà, e vederlo utilizzare in scioltezza il bottleneck mentre soffia sull’armonica,
alternando arpeggi articolati a tratti vocali impegnativi, dà il senso della
grande esibizione personale.
Ma tutto ciò non può essere fine a se stesso,
non è mera rappresentazione di skills, ma è finalizzato alla ricerca della
partecipazione, che in molti casi arriva, sotto forme differenti.
Non manca l’ospite obbligata, La Terribile (Marta Terribile), che regala il suo
contributo in un paio di brani, entrando “a freddo”, ma fornendo elementi
sufficienti per far capire, a chi non li conoscesse, cosa possono essere i Tin
Pan Alley in concerto.
A seguire un medley che racconta la bella
serata di musica, di quelle che in certi tratti dell’America sono la normalità,
e che noi, nel nostro bel paese, sottolineiamo come … inusuali!
Nell’ultimo numero di PROG Italia ho
provato a sintetizzare un album del 1970, disco omonimo degli Earth and Fire. Lo spazio disponibile ha richiesto un
naturale taglio al commento, una recensione che propongo qui in versione
completa.
Earth And Fire-"Earth And Fire"-1970 Label: Nepentha
11
tracce-45 minuti
L’esordio discografico degli Earth and Fire non passò inosservato, nemmeno in
Italia, in quell’inizio di decade caratterizzato dal particolare fervore musicale
del momento, capace di alimentare la voglia verso il nuovo che avanzava, ma
l’album omonimo arrivò al pubblico come elemento di serie B, e quando comparve
sugli scaffali dei nostri negozi dell’epoca - io lo trovai un anno dopo,
attorno al ’71 - costava esattamente la metà del resto del materiale importato.
Certo, un gruppo olandese appariva meno credibile e affascinante rispetto alle
band inglesi coeve, ma l’originalità di quella proposta, contestualizzata, non
può essere dimenticata e, anzi, va a mio giudizio rispolverata.
Siamo a cavallo tra il ’60 e il ’70, il periodo in cui il beat ha già
lasciato il passo ad una musica più impegnata e sperimentale, e gli Earth and
Fire propongono la loro filosofia musicale che, a posteriori, non si farà
fatica ad inquadrare nell’ambito del prog: costruiscono attorno al singolo “Seasons” - opera di George Kooymans dei GoldenEarring - una serie di trame
che rappresentano un vasto repertorio sperimentale, basato su ritmi rock, a
volte duro, ma incline alla psichedelia, con la tendenza ad allungare i tempi,
in un periodo in cui il brano da pochi minuti era ancora largamente diffuso.
E il profumo della musica progressiva resta intrappolato, anche,
nell’immagine di copertina, disegnata da un certo… Roger Dean! L’album viene
rilasciato dalla prestigiosa label inglese Nepentha.
Il disco inizia con “Wild and
Exciting”, un pezzo dove la voce della pionieristica JerneyKaagman - nell’insieme
mi ricorda molto la nostra Silvana Aliotta, del Circus 2000 - si presenta in
tutta la sua particolarità, e dove la pulizia solistica del chitarrista Chris Koerts evidenzia
la capacità di creare riff accattivanti, ancorchè di semplice fattura:
suggerisco di cercare in rete il filmato relativo, perché utile a ricondurre all’atmosfera
reale di quei giorni, difficile da spiegare a parole.
Segue “TwilightDreamer”, caratterizzata da una marcetta quasi scolastica, leitmotiv
che guida tutto il pezzo, ma con
l’inserimento di un “solo” di hammond abbastanza precursore dei tempi.
“Ruby Is The One”
è un brano tipicamente rock che ha il pregio di trasformarsi in tormentone, un
ritornello che, nonostante le divagazioni “distorte”, rimane nella testa:
melodia oltre la durezza musicale.
La
dolce e quasi beatlesiana - inzialmente -“Twilight Dreamer”
muta ben presto in esercizio vocale suddiviso su più attori, mentre con “Vivid Shady Land”
entriamo nella psichedelia, in un gioco di musica che evoca colori e situazioni
oniriche.
“21st Century Show” propone
due momenti diversi, e se da un lato si intravede un collegamento con il mondo
“Stones” - mi viene in mente il riff di “Paint
It Black” -, dall’altro esiste la creazione di un’immagine
bucolico-musicale che colpisce per la dolcezza, contrapposta all’energia della
partenza.
“Seasons”,
come accennavo prima, è la hit, il singolo da utilizzare in radio, molto
orecchiabile e legata al pop più spendibile, un genere a cui gli Earth and Fire approderanno negli anni
a seguire.
E si arriva alla lisergica “Love
Quivers”, otto minuti godibili - riconducibili alle cavalcate sonore dei più
famosi IronButterfly - con largo sfoggio delle skills individuali e totale
libertà nel proporsi.
Chiude la ballad “What's Your Name”,
un notevole abbassamento dei toni, brano in cui pare scemare, volutamente, la
forza inserita negli episodi precedenti.
Le note
ufficiali accreditano l’album di due bonus track -“Hazy Paradise” e “Mechanical
Lover”- ma non facevano parte del disco che acquistai - a 1500 lire! - e sono
forse contenute in una successiva riedizione.
Gli Earth and Fire sono stati a mio
giudizio precursori dei tempi, riuscendo a captare il cambiamento in atto,
accogliendo le nuove istanze musicali, nonostante non fossero esattamente al
centro della scena che contava. Al di là delle etichette di genere credo che il
loro rock grezzo e contaminato contenesse in sé i segnali di una nuova musica
che stava prepotentemente prendendo scena: dilatazione dei brani, cambi
frequenti di atmosfere e tempi, enfatizzazione dell’elemento solistico, saggio
e largo utilizzo di voce e cori.
“Earth and Fire”, fu il
preludio a quello che è considerato il loro miglio album, “Song of the marching children”,
del 1971, questo sì il loro
vero manifesto prog.
Tra
evoluzioni, separazioni e reunion l’ultima loro traccia in formato fisico
risale al 1989, un nuovo album che non ho mai avuto occasione di ascoltare e di
rapportare all’esordio.
Nel tempo ho
rivalutato il disco “Earth and Fire”
- che in quei giorni non reggeva il confronto con certi mostri sacri, seppur fosse
in una fase embrionale - che ascolto con buona continuità e soddisfazione, e
che consiglio vivamente a chi volesse entrare in un mondo di passaggio, quella
striscia di confine che ha segnato la differenza tra la musica easy listening e
quella di maggior impegno.
Voto sopra la
media per “Earth and Fire”.
Ascoltiamolo…
Tracklist
1.Wild and Exciting (Chr. and G. Koerts) – 4.06
2.Twilight Dreamer (W. and M.
Chr. Koerts) –
4.18
3.Ruby Is the One (Chr. Koerts) – 3.28
4.You know the Way (G. Koerts) – 3.48
5.Vivid Shady Land (W. and M.
Chr. Koerts) –
4.13
6.21st Century Show (W. and
M. Chr. Koerts)
– 4.16
La 3° RASSEGNA
D’AUTORE E D’AMORE, organizzata dall’Associazione
Aspettando Godot nei giardiniLowe di Bordighera, inizia il 4 agosto con una serata dedicata alla
musica progressiva. Cito Pino Calautti come organizzatore principe, ma è del tutto evidente che la riuscita di un evento simile necessita di svariate
collaborazioni che, in questo caso, non sono in grado di evidenziare.
Sottolineo invece il nome di Giancarlo
Golzi - Museo Rosembach e Matia Bazar - lo scorso anno tra il pubblico, ma
purtroppo non più tra noi: Mauro Selis, il presentatore della serata, lo
ricorderà più volte dal palco, dedicando a lui le ore di musica in corso.
I protagonisti di questa sezione prog hanno nomi altisonanti,
dal passato nobile e dal presente consistente: la Aldo Tagliapietra Band e gli UT New Trolls.
Proverò a evitare le lodi sperticate alla tecnica e al
virtuosismo dei singoli, perché è dato scontato, di cui ho scritto più volte:
sono tutti maledettamente bravi!
Provo invece a trovare dei punti in
comune - per me evidenti - tra le due entità musicali, tanto per annodare il file rouge che legherà
gli uomini on stage.
Entrambi gli ensemble hanno elementi storici che riportano
alla storia del rock nostrano degli ultimi 50 anni: da un lato l’ex ORMEAldo Tagliapietra e dall’altro due New Trolls seminali - Gianni Belleno
e Maurizio Salvi.
Ma è riduttivo.
In entrambi i casi gli “esperti” si sono contorniati di forze
fresche, non di comprimari, ma eccellenti musicisti, che probabilmente
subiscono il fascino dei miti che sono al loro fianco, ma sul palco - e in
studio - dimostrano alto livello di professionalità.
Questo bilanciamento e unione di forze produce un’altra
similitudine tra le due band: non solo la riproposizione del passato - che
comunque è richiesta dal pubblico - ma la voglia di creare nuova musica, nuovi
album, rivolgendo lo sguardo al futuro, in una sorta di scambio reciproco, dove
chi cede esperienze - e nome - riceve in cambio linfa vitale,
entusiasmo e freschezza.
Il risultato di tutto questo è a mio giudizio straordinario,
perché la serenità musicale di cui godono attualmente Tagliapietra, Belleno e
Salvi - almeno a giudicare dall’esterno - si riversa inevitabilmente sul loro
lavoro.
Per tradurre in fatti concreti il mio pensiero ho inserito
due stralci di serata, due video che in realtà partono da traccia antica, ma
sono lunghi medley che permettono al contempo di sollecitare la memoria e
captare l’attualità.
Ad aprire i battenti ci pensa una band che gioca in casa, i Blaemon
che riportano ad un mondo musicale strutturalmente complesso.
Formatisi nel 2009 come Tribute Band dei Goblin e dei
Daemonia, si presentano con Remo Calì alle tastiere, Simone Giudici alla batteria, Enrico Muratore alla chitarra e Bruno Verdoia al
basso.
Il loro set
è ridotto per la necessità di rimanere rigorosamente entro i tempi, e
vengono presentati quindi solo quattro brani: L’alba
dei morti viventi, Tenebre, Profondo Rosso e Roller.
Trame strumentali davvero complicate, di cui pare non esista
spartito, e la cui decodificazione richiede assoluta dedizione e forse un
pò di sana follia.
Il pubblico apprezza nonostante l’impatto forte, e a ogni
cambio di episodio sonoro il calore dell’audience si fa sentire.
Propongo Tenebre
per raccontarli, e sono certo che la partecipazione alla manifestazione rimarrà
per tutti un ricordo positivo.
A questo punto tutte le sedie sono occupate... il
pubblico non manca.
Onestamente avevo qualche dubbio sulla sua consistenze e la
tenuta nel tempo.
Bastava guardarsi attorno per capire che, salvo casi isolati,
le persone erano lontane dalla nicchia a cui il prog ci ha abituato, ma c’era
al contrario una certa eterogeneità, sociale e anagrafica, dettata
dall’elemento “vacanza” e dalla pubblicizzazione di nomi conosciuti; insomma,
molte le persone che pensavo potessero dare forfait a metà del percorso, non
tanto perché “agée”, ma per una possibile frustrazione rispetto alle
aspettative.
E invece niente di tutto questo, e ho assunto come simbolo di
serata la danza irrefrenabile di due signore apparentemente molto compassate
che, nel corso del bis degli UT New Trolls, si lasciavano andare dimenticando
per un attimo quel ruolo che forse hanno la necessità di mantenere nel
quotidiano: come da citazione da palco di Mauro Selis, la musica può essere
davvero l’elisir di lunga vita, e questa non è sicuramente retorica.
Quando Aldo
Tagliapietra e i suoi ragazzi iniziano il loro concerto si manifesta
qualche piccolo problema tecnico, caratteristico dell’affollamento da palco.
Assieme ad Aldo - voce, basso e chitarra - il suo ormai
tradizionale accompagnamento: Andrea De Nardi alle tastiere, Matteo Ballarin
alla chitarra e Manuel
Smaniotto alla batteria, ovvero 3/4 dei Former Life, band che amo particolarmente.
La scaletta che presento a seguire risulterà alla fine un po’
modificata, con l’inserimento, ad esempio, di Amico di Ieri, e l’aggiunta di Gioco
di Bimba, che Tagliapietra usa come riempimento, in attesa dell’intervento
dei fonici.
E’ un mix tra ciò che la gente si aspetta - il repertorio
delle ORME - e pillole di nuovo millennio e tutto porta ad un palese gradimento
generale.
La bella notizia è che è quasi pronto il nuovo album che, con
tutta probabilità uscirà entro fine anno.
La loro musica mi piace, così come mi piacciono le persone e
il loro modo di stare sul palco, e tutto ciò viene trasmesso al pubblico, e
poi… la voce di Tagliapietra è un marchio indelebile!
Il terzo atto, quello conclusivo, è come detto dedicato agli UT New Trolls, che oltre ai già citati Belleno - drummer - e Salvi
- tastiere - propongono una line up consolidata: Claudio “Clode” Cinquegrana alla chitarra, Stefano Genti
alle tastiere, Alessio
Trapella al basso, Umberto Dadà alla voce… e che voce!
Ma su questo aspetto occorre dire che gli UT mantengono una
delle caratteristiche che furono dei Trolls iniziali, cioè la cura degli
aspetti vocali al di là del frontman, e tutti contribuiscono in maniera
determinante al raggiungimento di tale obiettivo, anche se occorre rimarcare il
ruolo di - grande - voce solista di
Trapella e di Belleno.
Anche per gli UT presento la scaletta ufficiale che, con
grande felicità dei presenti, ha portato ad uno sforamento temporale
significativo.
Una miscela di passato e presente, e la band si propone come
una vera macchina da guerra che si perfeziona ad ogni occasione - rigorosamente
dal vivo, ovvero senza basi, come chiosa dal palco Salvi -, e i venti minuti di
filmato forniscono a mio giudizio l’esatta dimensione di un gruppo che, oltre a
creare in studio, finalizza il lavoro alla perfezione in quello che è poi il
momento della verità, l’incontro con il pubblico, quell'entità a volte indecifrabile che spesso ha bisogno di
essere sollecitata con la dimostrazione di giusta energia.
All’interno di “Improvvisazioni” una chicca - attorno al sesto minuto -, che ho sentito per la prima volta in un set degli UT… tutto da scoprire…
La serata finisce attorno a una tavola imbandita, come da
tradizione, con le parole che volano e le fotografie che si moltiplicano: la
tensione è ormai alle spalle e Pino Calautti, probabilmente sfinito dalla
fatica, mostra sul viso i segni della tensione, quello stato d’ansia che
accompagna sempre chi organizza e ha la responsabilità di un evento musicale
che, per definizione, non si sa mia come
andrà a finire.
E’ stata una serata di grande musica caro Pino, in una
cornice perfetta, in condizioni ambientali favorevoli, e tanta gente felice…
Giancarlo Golzi, da lassù, avrà certamente apprezzato.
Sono molti motivi di
interesse che mi spingono a parlare dei Sendelica, band di cui un paio di mesi fa non
conoscevo l’esistenza. Non è questa un’anomalia… è sufficiente curiosare tra le
scoperte di Davide Pansolin - tra le
altre cose titolare di una label dedita al vinile, la Vincebus Eruptum Recordings, etichetta che ha rilasciato "I'll Walk With the Stars for You”, ultimo dei
Sendelica - per constatare che la proposta musicale mondiale è largamente
superiore alla possibilità di conoscenza del comune appassionato di musica… più
si approfondisce e più si possono riconoscere i limiti personali.
Non potevo perdere il
loro concerto nella mia città, peraltro nel posto più fascinoso possibile, la
Fortezza del Priamar. Tutto ciò accadeva un paio di mesi fa.
Band gallese, in larga
parte strumentale - la performance a cui ho assistito era priva di parte vocale
-, è collocata all’interno del mondo psichedelico: sante etichette!
L’ora di live, vissuta
in diretta, mi ha mostrato una musica a cui non ero preparato, nel senso che è
largamente differente da quanto capita di incontrare di questi tempi, anche se
si bazzicano i circuiti di nicchia.
Brani prolungati -
dall’intervista a seguire si evince come ogni composizione subisca nel tempo
un’importante evoluzione -, atmosfere ipnotiche, loop ripetitivi, utilizzo di
suoni dilatati e penetranti e impiego di strumenti alternativi, come il Theremin,
lo strumento elettronico più antico esistente, capace di produrre trame ai più
sconosciute, senza alcun contatto fisico ma con grande espressività scenica.
Passano i giorni
- non molti - e ricevo in dono - grazie
Davide! - l’album, rigorosamente in
vinile, il già citato "I'll Walk
With the Stars for You”.
Metti assieme un
gruppo gallese, che produce musica che riporta indietro il calendario di
svariati lustri, ma capace di creare il bridge con l’attualità e… prova a
ritornare al rito del vinile!!! Tutto magico, difficile da spiegare.
Nel porre le domande
via mail a Pete Bingham, il leader,
commetto l’errore di basarmi solo sull’apparizione savonese, avendo sicurezza
di un’entità meramente strumentale.
In realtà nel disco 2
tracce su 5 propongono un vocalist - e che vocalist (si consiglia qualche
ricerca sul web per John Charles Edward Alder, meglio conosciuto
come Twink) - che caratterizza in
pieno l’intera produzione, e trovo che l’alternanza tra i brani strumentali - Moscow Bunker Blues, Albatross e I Once Fed Peter
Green's Pet Albatross - e quelli compresi di liriche - Black Widow Man e Dance Stars
Dance - sia una formula perfetta e irrinunciabile, perché lo strumento
“voce” si inserisce perfettamente nel contesto creato dai Sendelica.
Esiste una grande variabilità all’interno dell’album, con episodi dilatati
(tra gli undici e quindici minuti) accostati a momenti più raccolti ma non meno
ipnotici.
Vige la piena libertà, quella di inserire il riff della purpleiana “Space Truckin”, in Black Widow Man o la piena melodia nella magnifica portatrice di
sogni, Albatross.
Difficile descrivere le particolarità di questo album, un viaggio introspettivo,
un percorso a ritroso verso luoghi e tempi che personalmente avevo accantonato,
ma che procurano un elevato piacere da ascolto, seppur in modalità specifiche,
lontane dall’easy linstening. La sintesi, personalissima che ne ho tratto dopo alcuni “giri di giostra” è
che il mondo dei Pink Floyd ha incontrato la cupezza dei Velvet Underground (lo so,
sembra non c’entrino niente, ma basta ascoltare attentamente Dance Stars Dance per trovare la giusta
similitudine) e ha prodotto qualcosa di nuovo, fatto sorprendente di questi
tempi.
Ma per entrare meglio nel dettaglio propongo lo scambio di battute con Bingham e un brano dell’album, oltre che una
recente esibizione live.
Grande sorpresa!
Intervista a Pete Bingham
Puoi raccontarmi qualcosa sulla storia dei Sendelica, giusto per
farvi conoscere al pubblico italiano?
La band è nata nel 2006 con uno scopo preciso, quello di
divertirci suonando la musica che abbiamo iniziato ad amare da giovani, senza
nessuna pianificazione a tavolino o ambizione particolare, solo la voglia di
suonare insieme.
Credo che… ci siamo lasciati un po’ prendere la mano, e dopo la
pubblicazione del nostro primo album, nel 2007, abbiamo proseguito con
decisione, e dopo dieci anni siamo ancora qui, sempre più immersi nel progetto.
Esistono band o artisti che vi hanno realmente influenzato?
Personalmente i miei amori musicali
spaziano in molte direzioni... partendo dai classici krautrock e rock degli
anni anni '70, in particolare la musica giapponese dei seventies, proseguendo
nel tempo con band come Massive Attack, Portishead, Sigur Ros, Acid Mothers
Temple... e così via.
Siete definiti come un gruppo dedito al rock psichedelico: ti
piace questa definizione?
In un certo senso è vero, siamo una band “psichedelica”, ma la
nostra musica attinge tra molti differenti filoni musicali che rappresentano
solo il punto di partenza di quello che sarà poi il prodotto finale: abbiamo
provato a sintetizzare il pregresso per metterlo in scena nel 21° secolo.
Sarebbe noioso copiare e proporre tutto quanto è già accaduto prima, un
esercizio inutile: riprodurre è umano, creare è divino! Amiamo spingerci oltre,
usando i riferimenti del passato e dando loro un tocco di… Sendelica, e ci
piace anche un po’ di sano umorismo.
La vostra
musica - quella che ho ascoltato dal vivo - è strumentale, ma c’è spazio per
alcune parti vocali: qual è il vostro rapporto con le liriche?
Siamo essenzialmente un gruppo strumentale, ma abbiamo fatto
alcune cose con l’utilizzo della voce; una grande parte del nostro lavoro,
quella che abbiamo registrato perFruits De Mer Records, presenta tracce
vocali, e il nostro ultimo album, uscito per l'etichetta italiana Vincebus
Eruptum, contiene due pezzi con la voce in evidenza.
Ho avuto la fortuna di assistere a un vostro concerto, a Savona…
la vostra musica non é semplice ma molto coinvolgente: quanto amate le
performance live?
Amiamo suonare dal vivo, momento in cui le canzoni
sembrano assumere una nuova vita, e sul palco subiscono una continua
evoluzione. Un esempio classico sarebbe la traccia "Master Benjamin Warned Young Albert Not To Step On The Uninsulated Air”, dal nostro album “Anima Mundi”: dai suoi iniziali 10 minuti
siamo arrivati a 40, dopo una lunga evoluzione live che è testimoniata nel
nostro “Live At The Psychedelic Network Festival 2014”, doppio
album pubblicato dalla Sunhair Records in Germania.
Nell’occasione in cui vi ho visto, sono rimasto affascinato
dall’uso del Theremin, strumento inusuale in fase live. Come è nata l’idea?
Abbiamo sempre voluto utilizzare
una strumentazione inusuale, sostitutiva dei soliti “basso, chitarra e
batteria”. Il nostro prossimo album sarà caratterizzato dall’uso del mellotron
su una sola pista.
Come giudichi lo stato della musica nel tuo paese, il Galles?
Ad essere onesti ci sembra di
vivere nella terra di cover/tribute band, fatto che personalmente trovo molto
triste, ma ci sono in giro alcune band interessanti...Soft
Hearted Scientists, Spurious Transients, Consterdine, Chris Weeks...
Sono passati dieci anni dal rilascio del vostro primo EP, e da
allora la vostra discografia ha registrato una discreta espansione: come
spieghi questa intense attività "studio"?
Sì, fin qui siamo stati una band molto prolifica, sia in studio che dal
vivo, cioè un lavoro sul palcoche si conclude con molti album studio e live, rilasciati poi in
Europa e nel Regno Unito. Dal punto di vista della registrazione in studio, mi sembra di avere un sacco di canzoni nella mia testa che si fanno strada
e si riversano nel mondo del vinile. La “saggezza” che usiamo nei nostri
live ci porta a creare spettacoli ogni volta diversi, a causa della
immensa quantità di improvvisazione che mettiamo in atto, tanto che molte
etichette hanno voluto immortalare spettacoli dal vivo, e i fan sembrano
gradire notevolmente sia le nostre uscite in studio che i live album.
Il vostro ultimo album si intitola "I'll Walk With the Stars
for You": quali sono le maggiori differenze rispetto agli album precedenti?
Il nuovo album è piuttosto insolito
per noi, in quanto è stato registrato in un lungo periodo di tempo e in
differenti paesi. Tieni conto che alcuni dei nostri album sono stati registrati
in un paio di giorni, comeSpaceman
Bubblegum,per il quale è
bastato un pomeriggio in un fienile gallese. "I'll Walk..." è inoltre è
caratterizzato dalla presenza di un cantante ospite - fatto inusuale per noi -, il mitico Twink, fondatore
dei leggendari Pink Fairies. L'album ha avuto anche un
sacco di altri guest, tra cui Nik Turner (flauto suAlbatross), Virginia Tate,
Roger Morgan e diversi batteristi, tra cui Geoff Chase e Jack Jackson. E 'stato
un lungo lavoro d'amore in cui, come ho già spiegato, stavamo cercando di
ricreare un classico disco rock anni '70, ma rivestito di un abito
contemporaneo. E’ stato registrato in tre paesi diversi e una traccia ha preso
avvio a Boston, nel 2008. Così l'intero album ha avuto un periodo di gestazione
di 7 anni, con alcune registrazioni che si sono svolte anche in un bunker
sotterraneo e in disuso nel centro di Mosca, e anche nel Cardigan (Galles
occidentale). Abbiamo usato quattro ingegneri del suono, e la maggior parte del
disco è stato mixato da me e da un nostro collaboratore di lungo corso, Aviv,
con una traccia che è stata elaborata da un altro collaboratore di lunga
durata, Colin Consterdine. E’ stato abbastanza sorprendente vedere come un tale
progetto, diluito nel tempo si sia improvvisamente materializzato, e come
l’insieme sia apparso così coeso e il suono generale così completo…
Come è nato l’incontro con Davide Pansolin e la sua Vincebus
Eruptum Recordings?
Abbiamo conosciuto Davide attraverso la sua
fanzineVincebus Eruptume qualche anno fa, quando ha
deciso di aprire una sua label rigorosamente legata al vinile, si è avvicinato
a noi chiedendoci la licenza per l’albumSatori,perché diventasse il suo primo
atto. L’esperienza andò molto bene e… siamo arrivati al quinto lavoro assieme,
e Davide è diventato un nostro grande amico.
Che cosa avete pianificato per l’immediato futuro?
Quest’anno abbiamo festeggiato il decimo anniversario di attività
con un sacco di concerti e una pletora di uscite nel Regno unito (Ziggy Stardust, 7" eThe
Cromlech Chronicles,LP), Germania (Live at Imerrhin, LP ) e in Italia (I'll Walk With The Stars For You, LP). Il nostro album The Cromlech Chroniclesè già tutto esaurito e la
prossima release è una riedizione tedesca del nostroPavilion Of Magic,album che uscirà nel mese di settembre
(Sunhair Records), a cui verrà riservato un trattamento deluxe, LP
con bonus tracks. In occasione del 10° anniversario di attività abbiamo
anche previsto un rilascio del nostro album di debutto,Entering The Rainbow Light,e di14th Dream Of Dr. Sardonicus, e Davide e la sua etichetta stanno preparando una
edizione commemorativa diThe Satori in Elegance of the Majestic Stonegazere
diThe Kaleidoscopic Kat And It’s Autoscopic Ego, in edizione limitata di vinile colorato. E ultimo, ma non meno importante, FDM rilascerà il nostro
singolo natalizio a dicembre, una cover di Scott Walker, Nite Flights. Nel mese di agosto
ci rifugeremo nel Mwnci Recording Studio, nel Galles, per iniziare a lavorare
sul prossimo album... un doppio album!
Tracks 1 and
3 recorded at Afterhours Studio (Wales).
Tracks 2 and 4 recorded in a bunker in Moscow and Afterhours Studio (Wales).
Track 5 recorded in Boston (USA) and Afterhours Studio (Wales)