“Il
Culto dell’Albero Porcospino – Storia, sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”
Enrico
Rocci - Chinaski Edizioni
“4 dicembre 1993. La prima data live dei
Porcupine Tree.
E’ anche il giorno in cui muore
Frank Zappa”.
Dopo
una cinquantina di pagine del libro “Il Culto dell’Albero Porcospino – Storia,
sproloqui e ricordi dei Porcupine Tree”, ci si imbatte in questa chiosa
- elemento oggettivo - a cui Enrico Rocci fa seguire la sintesi di un pensiero
amico, che immediatamente diventa quello dell’autore: “Niente è per caso”.
Rubo
le note di copertina per sottolineare la figura di Rocci: “Nato a Torino, fa il medico. Ha pubblicato con Chinaski quattro noir,
uno dei quali aveva per protagonisti anche i Porcupine Tree, sua fissa. Dopo
averli più volte stalkerati, il book diventa il suo atto di amore estremo per
la band”.
Ma
torniamo al “Niente è per caso”.
La
band di cui si “occupa” Rocci si identifica con Steven Wilson, il genio, il leader, il manipolatore di suoni, ed è
reale la dicotomia immediata e spontanea che il suo nome, di questi tempi,
provoca: il signore porcospino o il
super tecnico di cui si fidano persino personaggi complicatissimi come Ian
Anderson e Robert Fripp?
Non
voglio elogiare la qualità di certa musica, per me sacra… le evidenziazioni
positive sarebbero ovvie e probabilmente retoriche, ma proverò ad aprire la
strada verso la lettura, indispensabile per gli amanti della cult band, probabilmente
rivelatrice per chi, vittima di pregiudizi anagrafici, si sia fermato al
passato. E magari per tanti giovani che cercano soddisfazioni reali provenienti
da trame musicali che, quando sono magiche, provocano forti piaceri… anche fisici.
Il
racconto vuole delineare una storia interessante, fatta, ad esempio, di musica
progressiva in un momento in cui la stessa è stata relegata al mito dei
seventies.
Ma
il percorso è realizzato dall’interno, da chi conosce i dettagli, da chi ha
vissuto i live - italiani e non -, assistendo ad un’evoluzione artistica, alla
fama crescente, alle modifiche umane e tecniche all’interno della formazione.
Wilson
dice che un artista deve prima di tutto “... essere
onesto verso se stesso e creare arte per il proprio piacere personale… se
cominci a fare musica per chi ti ascolta - compreso stampa e critici - metti a rischio
te stesso, la tua anima”.
Ed
è con questo spirito che, nel 2000, “puntano
il dito contro media e stampa”, soprattutto quella di casa, definita la
peggiore al mondo.
Ma
se è vero che si suona soprattutto per se stessi è altrettanto vero che il
ruolo conquistato cambia la vita e incide sugli eventi, e l’arte che si crea
diventa patrimonio dell’umanità, quella più sensibile e attenta agli immensi
risvolti musicali, e quella che sul giudizio e pregiudizio ci deve - o vuole
- campare.
Certo
è che la vita in team è tutt'altro che facile.
Estrapolo
e sintetizzo ciò che dice Wilson nel corso di un’intervista riportata nel libro:
“Fare un disco solista è liberatorio, non
devo pensare al resto dei musicisti quando scrivo. Al contrario, quando creo
per la band ho delle limitazioni, perché penso, conoscendoli, alle loro risposte,
a ciò che amano, o meglio, non amano. E’ questa una ovvia limitazione che è
basilare quando occorre mantenere una direzione precisa. Allo stesso tempo sono
felice quando, lavorando per un mio album solista, questi obblighi non esistono.
I Porcupine lavoravano con una logica democratica, e remixando i primi dischi
dei King Crimson mi sono reso conto di come, ad esempio, certe fughe verso il
jazz sperimentale per noi fossero impossibili, per lo scarso amori di alcuni
per quel genere”.
Beh,
nel definire cosa sia la musica
progressiva, tutti penseranno a sottolineare, tra i tanti aspetti, la totale libertà espressiva, senza
paletti e vincoli legati a categorie tradizionali.
Questa
situazione di disagio porta al pensiero di Enrico Rocci che intitola un
capitolo: “Perché i Porcupine Tree non
torneranno (forse) mai più”.
Pagina
dopo pagina si sviluppa la storia - la discografia, il gruppo di amici/fan -, e
accanto al racconto degli eventi, personali e generali, si viene accompagnati
in una efficace introduzione alla sostanza, ovvero ai dischi creati dai
Porcupine Tree, alle loro evoluzioni e alla loro arte.
Uscendo
dall’argomento specifico, la lettura casuale, quella affrontata da chi non ha particolari amori
musicali, permette di disegnare un mondo di amicizie e relazioni “corrette”, che
nascono e si alimentano attraverso eventi a base musicale, dove la
socializzazione positiva di cui abbiamo tutti bisogno si realizza facilmente,
come quando da adolescenti eravamo ansiosi di acquistare l’ultimo album di ELP
o YES, per poterlo mettere su un “piatto” e farlo girare, commentandolo con gli
amici di sempre.
Ricca
e gradevole la sezione fotografica.
Enrico
Rocci colma un vuoto e ci regala un contenitore a tratti didattico, utilizzando
però il linguaggio colorito del fan, rendendo piacevole un viaggio che spesso
risulta oscuro per il mero fruitore della musica.
E’
interessante cercare di entrare nei dettagli? Io dico di sì… provate a leggere
e mi darete ragione!