giovedì 30 novembre 2023

Commento all'ultimo libro di Luciano Boero, “Le galline non mangiano la camomilla”


Arriva un nuovo episodio letterario di Luciano Boero, sempre in bilico tra musica e storia, una rivisitazione personale che contempla luoghi ben precisi, periodi di vita obbligati e situazioni avvolte da uno spleen incontenibile che avvolge il lettore sensibile.

Parlando di oggettività, il nuovo saggio si intitola Le galline non mangiano la camomilla (edizioni Baima – Ronchetti & C.) e propone una stretta dicotomia utilizzata per creare il parallelismo tra il susseguirsi delle stagioni e i differenti periodi della vita.

Le Langhe sullo sfondo, perché è lì che, tra realtà/fantasia/leggenda si snodano i 25 racconti che, partendo dall’infanzia dell’autore, arrivano all'attualità.

Pochi giorni fa mi è capitato di vedere “il film della Cortellesi” e sono uscito dal cinema con le lacrime agli occhi. Analogamente, arrivato alla fine di “Le galline non mangiano la camomilla”, quando cioè si materializza “La ragazza del Tirassegno”, mi sono sinceramente commosso, e ho sentito un groppo alla gola, una sorta di miscela tra angoscia e nostalgia che aveva bisogno di trovare sfogo.

Seguo Boero sin dal suo primo libro, e trovo che il suo attuale, splendido, modo di scrivere sia frutto di una evoluzione importante, che è solo in parte dovuta al talento, e la sua capacità di disegnare scenari bucolici intrisi di realtà equivale a quella del pittore, che riporta su tela ciò che vede o immagina…


La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede (Leonardo)

 


Il caro Luciano mi permette di ampliare il mio concetto di “stimolazione della memoria”, che da sempre abbino a trame musicali o a profumi/odori, mentre ho sempre trovato un freno rispetto al verbo, che può tranquillamente essere manipolato da un fine e abile narratore. Ma ora ho la conferma che un certo modo di scrivere spinge a ricordare, al di là dei contenuti.

Ho spesso evidenziato, commentando il lavoro di Boero, che il mio giudizio sul tema è condizionato da esperienze comuni, da quella Langa che ho frequentato da bambino essendo la terra in cui la mia famiglia era sfollata in tempo di guerra, e che ho continuato a bazzicare, provando sempre, in ogni occasione, il piacere derivante dalla visione di tutto quanto gira attorno. Sono ligure, ma in queste zone mi sento a casa mia.

Le stagioni che vedono protagonista Marco/Luciano si susseguono con la loro logica e le vicende più impensate sgorgano spontanee.

Ogni storia è preceduta da un titolo di una canzone e da una strofa del brano.

Mi viene in mente che proprio ieri, mentre mi apprestavo a leggere il capitolo 25, l’ultimo, quello della ragazza del Tirassegno, dalla televisione accesa in casa usciva una voce conosciuta, quella della mia concittadina Annalisa, protagonista dell’incipit dell’autore. Non è certo un brano che posso apprezzare - sono pur sempre carico di pregiudizi se si parla di musica - ma quella strofa che Luciano aveva scelto per terminare la sua playlist arrivava alle mie orecchie nel momento giusto. Casualità?

Sono tanti i momenti che vorrei evidenziare, ma occorre evitare operazioni spoiler!

Mi piacerebbe soffermarmi sulla struggente storia di Valeria e Luca, anticipata da Annie Lennox o sulle disavventure amorose di Nina introdotte da Pietro Franzi; vorrei scrivere dell’incantevole quadretto che unisce Rosa e Luna che, partendo da Enzo Aita e il Trio Lescano, mette in luce il susseguirsi di differenti generazioni. Mi soffermo invece su una visita ad un locale preciso di Monchiero avvenuta nel 2018, quando l’autore arriva alla soglia psicologica dei settant’anni e decide che è un buon momento per confrontarsi con le sue solide radici. È un’osteria, un tempo munita di sala danze - La rosa bianca -, dove il padre suonava, la madre faceva la cassiera, mentre imperversava Lascia o Raddoppia, i bambini giocavano, gli amori nascevano.

Ma un tuffo così profondo nel passato va fatto nel momento perfetto, perché ricreare un attimo di gioventù richiede una cura dei dettagli che solo chi è stato un protagonista in un antico passato può dominare e convogliare sui giusti binari.

La pioggia è fondamentale e necessaria nella scelta del giorno perfetto, quella che “rumoreggia leggera sui coppi del tetto, batte sulla tenda del dehors, rimbalza sul cemento del terrazzo, scroscia dalle grondaie, scivola sulle due canaline che affiancano la scalinata che dalla piazza della stazione scende fino alla strada principale, dove un tempo si affacciava il negozio di barbiere e pettinatrice dei suoi genitori. Per quelle stesse canaline lui ed Elena giocavano alla slitta scivolando seduti su un pezzo di cartone”.

Il gestore del locale diventa l’unico elemento capace di rompere il ricordo, tra una portata e l’altra, ma “non sa quante altre cose Marco ha degustato in quella sala. È tentato di scoprire le carte, ma preferisce tacere, pagare il conto ed uscire a farsi abbracciare da quella bella pioggia tintinnante”.

Boero, nella sua conclusione, si abbraccia alla saggezza di Alberto Gaviglio, mancato un paio di anni fa, a cui è dedicato il libro; musicista e compagno di viaggio, amico che ha sempre creduto nella capacità di creare lirica di Luciano, tanto da spingerlo a scrivere questo libro che, evidentemente, necessitava della giusta ponderazione e decantazione.

Il brano a cui si fa riferimento è “Molecole”, “molecole di noi, nell’universo e nell’eternità, dai nostri sogni sparsi in tutti gli angoli, al grande volo verso l’aldilà…”.

E la ragazza del Tirassegno diventa il simbolo di un maledetto destino, lei, che con indifferenza maneggia il fucile ed è pronta a sparare un colpo, casuale, finale, mortale.

Nelle parole di Boero, si legge la soddisfazione per un passato da ricordare e raccontare, tra musica e vita vissuta, ma si intravede la rassegnazione dell’attesa, quella sospensione mista a curiosità che è tipica dell’inverno della vita, perché per quanto giovani possiamo essere, io e Luciano, per quanto sia buona la salute che caratterizza il nostro attuale momento, siamo consci che gran parte del percorso è stato fatto e impiegheremo ciò che resta per esprimere saggezza e sentimenti, senza particolare pudore.

Perché mi sono inserito in questo finale? Cosa c’entro io? Beh, mi sento così vicino a Luciano che, almeno per un momento, voglio unire le nostre storie.

Davvero un libro imperdibile!


A vent’anni si danza al centro del mondo.

A trenta si vaga dentro il centro.

A cinquanta si cammina lungo la circonferenza, evitando di guardare sia l’esterno sia l’interno. 

In seguito, non importa: privilegio dei bambini e dei vecchi è essere invisibili. 

Christian Bobin


COMUNICATO STAMPA



È morto Shane MacGowan dei Pogues all'età di 65 anni



È mancato Shane MacGowan all'età di 65 anni. La causa della morte è stata l'encefalite, una malattia infiammatoria del cervello.

MacGowan era il cantante e leader dei Pogues, una band folk-punk irlandese formatasi nel 1982.

I Pogues hanno avuto un successo internazionale con brani come "Fairytale of New York" e "Streams of Whiskey".

MacGowan era una figura controversa, nota per il suo stile di vita sregolato e per i suoi problemi con l'alcol. Tuttavia, era anche un artista di grande talento, con una voce unica e un talento per la scrittura di canzoni.

MacGowan lasciò i Pogues nel 1991, anche a causa dei suoi gravi problemi di dipendenza da alcol ed eroina. Dal 2015 viveva su una sedia a rotelle e con grossi problemi di salute, dopo che si era fratturato il bacino con una caduta. Lo scorso ottobre gli era stata diagnosticata un’encefalite virale.

La sua morte è stata un lutto per il mondo della musica e per i suoi fan di tutto il mondo.







Ciao Guido


 

Mi è arrivata improvvisa la notizia della dipartita di Guido Wasserman, chitarrista degli Alphataurus. Solo pochi giorni fa avevo inserito nella sua pagina facebook l’uscita del libro “1973…”, perché nell’analisi di quell’anno c’è anche l’album omonimo della band. Purtroppo, non lo leggerà mai!

Lo conobbi nel 2011, in occasione di un loro concerto genovese, e lo ritrovai come spettatore ad una kermesse a base di Genesis e Pink Floyd (ma ricordo anche i F.E.M.) a Cusano Milanino. Insomma, non lo conoscevo a fondo ma l’empatia che si era instaurata tra noi non era certo forzata.

Ho pensato a come ricordarlo e l’unico modo che mi è venuto in mente e scrivere di qualche momento condiviso.

Il concerto del 2011 ebbe un seguito, un‘intervista a tutta la band che riporto a seguire, così come inserisco la sintesi video di quella serata, di ormai molti anni fa!

Ciao Wassy!

 


Intervista a cui rispondono i sei componenti degli Alphataurus:

 

Guido Wassermann – Giorgio Santandrea – Pietro Pellegrini – Fabio Rigamonti – Andrea Guizzetti – Claudio Falcone.

 

Giugno 2011


I ritorni di fiamma, la voglia di rimettere insieme un sogno interrotto, è cosa comune, e non riguarda solo la vita dei musicisti. Ero alla Prog Exibition di Roma è ho visto con i miei occhi quanto sia ancora viva la musica progressiva, quanto sia seguita, quanto sia per certi versi immortale. Tutto questo non mi appare come un’operazione nostalgia, ma piuttosto come la necessità di ritrovare musica di valore. Qual è il vostro punto di vista sulla musica prog e sulla voglia che giovani (e ne conosco tanti) e meno giovani musicisti hanno di esprimersi attraverso di essa?

“Prog”, come dice il nome, è tutta quella musica che si sviluppa, sperimenta, azzarda, si rinnova, cioé progredisce, per questo “per certi versi si può definire immortale”. Certo una volta avevamo davanti ampie praterie dove far correre la nostra fantasia. Oggi gli spazi si sono notevolmente ridotti ed i giovani che ci provano sono costretti ad estremizzare ogni nota, ogni canto, ogni “solo” per ottenere una novità. Però la voglia non è diminuita, anzi, per quanto ci riguarda lo stimolo è sempre lo stesso! Lo conferma il fatto che, dopo tanti anni, sei “sbarbati” si sono rimessi insieme per ripartire da un punto che non era un’interruzione, ma semplicemente uno “stand-by”. Pensiamo che anche i giovani d’oggi abbiano la stessa voglia che abbiamo noi di sfidare le proprie capacità di ricerca nella musica.

Ho vissuto l’epoca d’oro dei concerti anni ’70 e, nonostante fossi un adolescente, ho ricordi molto “freschi”. Di quei giorni ho anche memoria di “valanghe” di artisti talentuosi che nascevano a ritmo frenetico e mi sono spesso chiesto se c’era in giro maggior talento o se fosse solo questione di opportunità. Alcuni giorni fa, parlando col mitico Armando Gallo (ricordate Ciao 2001?) ho captato una frase un po’ chiarificatrice, che suona più o meno così:” … erano tempi in cui bastava provarci per diventare delle stelle…”. Se doveste fare un paragone tra allora e oggi, che tipo di bilancio vi sentireste di fare?

Beh, le praterie di cui parlavamo prima si adattano bene anche al concetto di possibilità di successo per quegli anni. Oggi rimane forse un pianerottolo in un condominio dove tutti abitano vicino, tutti si salutano e si parlano, ma non si conoscono e, soprattutto, non si ascoltano. Artisti talentuosi ce ne erano, ci sono ancora oggi e ci saranno sempre: meno male! La differenza la fa, oggi come allora, la qualità del “prodotto”. Se il prodotto è “buono” tutti lo ascolteranno con piacere e lo faranno per lungo tempo. Non ha data di scadenza!

Sempre restando su quei giorni, ho letto sul vostro sito dell’amore per ELP e della possibilità che avete avuto di fare da “spalla”, nei concerti del 1973. Io ero a quello di Genova, ed è questo uno dei ricordi più cari. Considerando la vostra breve vita artistica come Alphataurus, esiste qualche rammarico, qualche dispiacere per un treno passato e mai preso per mancanza di decisione?

Il concerto ELP a cui eri presente è proprio l’occasione della “spalla mancata”. Anche allora, purtroppo, c’erano gli “intrighi di corte”. Avrebbe potuto essere l’occasione per allungare, allora, la nostra presenza sulle scene musicali. Ma ci stiamo riprovando oggi: abbiamo rimesso in “play” l’interruttore che era in “pausa” da qualche anno. In quanto al treno perso non è stato per la mancanza di “decisione”, ma semplicemente dovuto a fatti, estranei alla musica, che comunque condizionano la vita. Soprattutto quando questi fatti, dopo analisi e tentativi per superare gli ostacoli senza trovare soluzioni, ti costringono a chinare la testa ed andare avanti. Certo il dispiacere è stato tanto, ma oggi ci stiamo riprovando, ed è un grande piacere vedere che c’è ancora gente che si ricorda di noi.

Ho ammirato venerdì scorso la copertina del vostro album e credo sia davvero tra le più belle mai viste. C’è qualcosa che si può fare per evitare che un LP diventi solo un pezzo da collezione? La scelta del formato è irreversibile? È impensabile tornare al rito del “disco e del piatto”?

Purtroppo, la svolta digitale ha fatto perdere molto fascino alla relazione tra ascoltatore e supporto fonografico; però è anche compito degli artisti (o di chi gli permette di fare il loro mestiere, cioè gli altri addetti ai lavori) creare un rapporto affettivo tra il loro “prodotto” e gli appassionati: oltre al talento creativo ci vuole la sincerità, cose che nel risultato finale si possono percepire. Questa strada è anche l'unica possibile per scongiurare la morte del disco in tutti i suoi formati, a favore del formato digitale puro degli MP3 e affini.

La musica, è appurato, non può cambiare il mondo, ma può “far stare bene” ed è forse l’unico contenitore dove cadono molte barriere, prime tra tutte quelle generazionali. Escludendo la frequente strumentalizzazione, è possibile passare reali messaggi efficaci attraverso una canzone?

La musica è un potentissimo mezzo di comunicazione internazionale. Trasmette su due “frequenze”: le parole e la musica. Escludendo l’accozzaglia di rumori che sempre più spesso viene trasmessa per radio, e che è fatta solo per guadagnare denaro, tutto il resto è da considerarsi musica. Come tale è fatta per far conoscere a chi ascolta le emozioni che l’autore prova in quel momento. Nel caso degli Alphataurus, l'impronta generale dei testi è la condizione umana, cosa che spesso al giorno d'oggi viene soffocata da messaggi più urgenti e non sempre onesti. Se un ascoltatore sa ascoltare la musica Prog con le sue mille sfaccettature e “complicazioni”, dovrebbe essere anche in grado di “leggere” certi contenuti testuali nel modo corretto per farsene un bagaglio utile ad affrontare l'esistenza.

Venerdì vi ho visto a vostro agio sul palco. Che tipo di interazione amate stabilire nel corso delle vostre performance? Quanto valore ha per voi l’esibizione live?

È bello vedere e sentire come tanta gente viene ai tuoi concerti per condividere le emozioni che questa musica riesce a dare. Nel momento in cui inizia lo spettacolo si instaura una specie di simbiosi tra pubblico e musicisti dove entrambi danno qualcosa alla realizzazione dello spettacolo vero e proprio. L’interazione con il pubblico durante un concerto può variare da data a data ma è immediato il sentore di come reagirà il pubblico appena cominci a suonare. In base a ciò riesci a capire fin dove puoi spingerti. L’esibizione live è per noi molto più importante della produzione discografica in quanto il messaggio musicale che viene inviato è immediatamente recepito dal pubblico che ti rimanda subito un feedback, qualunque esso sia, e capisci quindi se la tua musica piace e viene apprezzata.

Nel corso della vostra “assenza” musicale, siete rimasti in contatto con qualche artista dell’epoca? È possibile parlare di amicizia nel “vostro mondo”?

Personalmente abbiamo perso di vista parecchi amici dell’epoca, con altri siamo ancora in contatto. Ci piacerebbe, magari in occasione di qualche minifestival pop, ritrovare i contatti perduti. L’amicizia è un rapporto che va al di là dell’ambiente in cui si sviluppa. Il nostro mondo, cioè la musica, è come un brodo di cultura: ne favorisce lo sviluppo. Poi sono i partecipanti a saperne approfittare.

Immaginando una prosecuzione dei vostri progetti, quanto siete interessati alle nuove tecnologie e alla sperimentazione?

I vantaggi offerti dalla tecnologia possono compensare il fatto che non tutti possono dedicare tanto tempo alle attività creative, stritolati da altre urgenze della vita; il discorso vale per noi ma anche per tutti quelli che hanno qualcosa da dire in campo artistico, e non solo musicale. Ma alla base di tutto resta sempre l'emozione, l'uomo. Il sound che caratterizza la musica degli Alphataurus prende il via dalle sonorità tipiche degli anni 70, ma può e deve essere miscelato anche con caratteristiche sonore più recenti, senza stravolgere l’atmosfera che si vuole ricreare o, meglio ancora, creare!

È cambiato il vostro approccio alla composizione rispetto al periodo iniziale

Nel corso di questo periodo ognuno di noi ha acquisito informazioni, esperienze e quant’altro che ha arricchito il nostro bagaglio. Questo può aver cambiato forse il nostro modo di comporre, sicuramente ha cambiato “cosa” componiamo. Anche involontariamente, ogni composizione “subisce” l’epoca e l’ambiente che circonda l’artista. È importante fare molta attenzione. Le influenze musicali seguite in questo periodo di silenzio sono le più rischiose e vanno assolutamente dosate e adattate allo stile Alphataurus!

Immaginiamo di prendere in prestito una sfera di cristallo… che tipo di futuro musicale vorreste vedere nei prossimi tre anni?

Meno burocrazia, più facilità di accesso del pubblico a forme musicali meno abusate o troppo artificiali, contributi istituzionali allo spettacolo che non finiscano solo nei soliti “buchi neri” della macchina pseudo-culturale italiana e magari accendere la TV di Stato e vedere in prima serata un concerto di Frank Zappa, un’intervista a Peter Gabriel, uno special sul Rock Sudista, etc.etc… o magari un concerto degli Alphataurus! Perché no?






mercoledì 29 novembre 2023

Un ricordo di Guido Wasserman


 

Mi è arrivata improvvisa la notizia della dipartita di Guido Wasserman, chitarrista degli Alphataurus. Solo pochi giorni fa avevo inserito nella sua pagina facebook l’uscita del libro “1973…”, perché nell’analisi di quell’anno c’è anche l’album omonimo della band. Purtroppo, non lo leggerà mai!

Lo conobbi nel 2011, in occasione di un loro concerto genovese, e lo ritrovai come spettatore ad una kermesse a base di Genesis e Pink Floyd (ma ricordo anche i F.E.M.) a Cusano Milanino. Insomma, non lo conoscevo a fondo ma l’empatia che si era instaurata tra noi non era certo forzata.

Ho pensato a come ricordarlo e l’unico modo che mi è venuto in mente e scrivere di qualche momento condiviso.

Il concerto del 2011 ebbe un seguito, un‘intervista a tutta la band che riporto a seguire, così come inserisco la sintesi video di quella serata, di ormai molti anni fa!

Ciao Wassy!

 


Intervista a cui rispondono i sei componenti degli Alphataurus:

 

Guido Wassermann – Giorgio Santandrea – Pietro Pellegrini – Fabio Rigamonti – Andrea Guizzetti – Claudio Falcone.

 

Giugno 2011


I ritorni di fiamma, la voglia di rimettere insieme un sogno interrotto, è cosa comune, e non riguarda solo la vita dei musicisti. Ero alla Prog Exibition di Roma è ho visto con i miei occhi quanto sia ancora viva la musica progressiva, quanto sia seguita, quanto sia per certi versi immortale. Tutto questo non mi appare come un’operazione nostalgia, ma piuttosto come la necessità di ritrovare musica di valore. Qual è il vostro punto di vista sulla musica prog e sulla voglia che giovani (e ne conosco tanti) e meno giovani musicisti hanno di esprimersi attraverso di essa?

“Prog”, come dice il nome, è tutta quella musica che si sviluppa, sperimenta, azzarda, si rinnova, cioé progredisce, per questo “per certi versi si può definire immortale”. Certo una volta avevamo davanti ampie praterie dove far correre la nostra fantasia. Oggi gli spazi si sono notevolmente ridotti ed i giovani che ci provano sono costretti ad estremizzare ogni nota, ogni canto, ogni “solo” per ottenere una novità. Però la voglia non è diminuita, anzi, per quanto ci riguarda lo stimolo è sempre lo stesso! Lo conferma il fatto che, dopo tanti anni, sei “sbarbati” si sono rimessi insieme per ripartire da un punto che non era un’interruzione, ma semplicemente uno “stand-by”. Pensiamo che anche i giovani d’oggi abbiano la stessa voglia che abbiamo noi di sfidare le proprie capacità di ricerca nella musica.

Ho vissuto l’epoca d’oro dei concerti anni ’70 e, nonostante fossi un adolescente, ho ricordi molto “freschi”. Di quei giorni ho anche memoria di “valanghe” di artisti talentuosi che nascevano a ritmo frenetico e mi sono spesso chiesto se c’era in giro maggior talento o se fosse solo questione di opportunità. Alcuni giorni fa, parlando col mitico Armando Gallo (ricordate Ciao 2001?) ho captato una frase un po’ chiarificatrice, che suona più o meno così:” … erano tempi in cui bastava provarci per diventare delle stelle…”. Se doveste fare un paragone tra allora e oggi, che tipo di bilancio vi sentireste di fare?

Beh, le praterie di cui parlavamo prima si adattano bene anche al concetto di possibilità di successo per quegli anni. Oggi rimane forse un pianerottolo in un condominio dove tutti abitano vicino, tutti si salutano e si parlano, ma non si conoscono e, soprattutto, non si ascoltano. Artisti talentuosi ce ne erano, ci sono ancora oggi e ci saranno sempre: meno male! La differenza la fa, oggi come allora, la qualità del “prodotto”. Se il prodotto è “buono” tutti lo ascolteranno con piacere e lo faranno per lungo tempo. Non ha data di scadenza!

Sempre restando su quei giorni, ho letto sul vostro sito dell’amore per ELP e della possibilità che avete avuto di fare da “spalla”, nei concerti del 1973. Io ero a quello di Genova, ed è questo uno dei ricordi più cari. Considerando la vostra breve vita artistica come Alphataurus, esiste qualche rammarico, qualche dispiacere per un treno passato e mai preso per mancanza di decisione?

Il concerto ELP a cui eri presente è proprio l’occasione della “spalla mancata”. Anche allora, purtroppo, c’erano gli “intrighi di corte”. Avrebbe potuto essere l’occasione per allungare, allora, la nostra presenza sulle scene musicali. Ma ci stiamo riprovando oggi: abbiamo rimesso in “play” l’interruttore che era in “pausa” da qualche anno. In quanto al treno perso non è stato per la mancanza di “decisione”, ma semplicemente dovuto a fatti, estranei alla musica, che comunque condizionano la vita. Soprattutto quando questi fatti, dopo analisi e tentativi per superare gli ostacoli senza trovare soluzioni, ti costringono a chinare la testa ed andare avanti. Certo il dispiacere è stato tanto, ma oggi ci stiamo riprovando, ed è un grande piacere vedere che c’è ancora gente che si ricorda di noi.

Ho ammirato venerdì scorso la copertina del vostro album e credo sia davvero tra le più belle mai viste. C’è qualcosa che si può fare per evitare che un LP diventi solo un pezzo da collezione? La scelta del formato è irreversibile? È impensabile tornare al rito del “disco e del piatto”?

Purtroppo, la svolta digitale ha fatto perdere molto fascino alla relazione tra ascoltatore e supporto fonografico; però è anche compito degli artisti (o di chi gli permette di fare il loro mestiere, cioè gli altri addetti ai lavori) creare un rapporto affettivo tra il loro “prodotto” e gli appassionati: oltre al talento creativo ci vuole la sincerità, cose che nel risultato finale si possono percepire. Questa strada è anche l'unica possibile per scongiurare la morte del disco in tutti i suoi formati, a favore del formato digitale puro degli MP3 e affini.

La musica, è appurato, non può cambiare il mondo, ma può “far stare bene” ed è forse l’unico contenitore dove cadono molte barriere, prime tra tutte quelle generazionali. Escludendo la frequente strumentalizzazione, è possibile passare reali messaggi efficaci attraverso una canzone?

La musica è un potentissimo mezzo di comunicazione internazionale. Trasmette su due “frequenze”: le parole e la musica. Escludendo l’accozzaglia di rumori che sempre più spesso viene trasmessa per radio, e che è fatta solo per guadagnare denaro, tutto il resto è da considerarsi musica. Come tale è fatta per far conoscere a chi ascolta le emozioni che l’autore prova in quel momento. Nel caso degli Alphataurus, l'impronta generale dei testi è la condizione umana, cosa che spesso al giorno d'oggi viene soffocata da messaggi più urgenti e non sempre onesti. Se un ascoltatore sa ascoltare la musica Prog con le sue mille sfaccettature e “complicazioni”, dovrebbe essere anche in grado di “leggere” certi contenuti testuali nel modo corretto per farsene un bagaglio utile ad affrontare l'esistenza.

Venerdì vi ho visto a vostro agio sul palco. Che tipo di interazione amate stabilire nel corso delle vostre performance? Quanto valore ha per voi l’esibizione live?

È bello vedere e sentire come tanta gente viene ai tuoi concerti per condividere le emozioni che questa musica riesce a dare. Nel momento in cui inizia lo spettacolo si instaura una specie di simbiosi tra pubblico e musicisti dove entrambi danno qualcosa alla realizzazione dello spettacolo vero e proprio. L’interazione con il pubblico durante un concerto può variare da data a data ma è immediato il sentore di come reagirà il pubblico appena cominci a suonare. In base a ciò riesci a capire fin dove puoi spingerti. L’esibizione live è per noi molto più importante della produzione discografica in quanto il messaggio musicale che viene inviato è immediatamente recepito dal pubblico che ti rimanda subito un feedback, qualunque esso sia, e capisci quindi se la tua musica piace e viene apprezzata.

Nel corso della vostra “assenza” musicale, siete rimasti in contatto con qualche artista dell’epoca? È possibile parlare di amicizia nel “vostro mondo”?

Personalmente abbiamo perso di vista parecchi amici dell’epoca, con altri siamo ancora in contatto. Ci piacerebbe, magari in occasione di qualche minifestival pop, ritrovare i contatti perduti. L’amicizia è un rapporto che va al di là dell’ambiente in cui si sviluppa. Il nostro mondo, cioè la musica, è come un brodo di cultura: ne favorisce lo sviluppo. Poi sono i partecipanti a saperne approfittare.

Immaginando una prosecuzione dei vostri progetti, quanto siete interessati alle nuove tecnologie e alla sperimentazione?

I vantaggi offerti dalla tecnologia possono compensare il fatto che non tutti possono dedicare tanto tempo alle attività creative, stritolati da altre urgenze della vita; il discorso vale per noi ma anche per tutti quelli che hanno qualcosa da dire in campo artistico, e non solo musicale. Ma alla base di tutto resta sempre l'emozione, l'uomo. Il sound che caratterizza la musica degli Alphataurus prende il via dalle sonorità tipiche degli anni 70, ma può e deve essere miscelato anche con caratteristiche sonore più recenti, senza stravolgere l’atmosfera che si vuole ricreare o, meglio ancora, creare!

È cambiato il vostro approccio alla composizione rispetto al periodo iniziale

Nel corso di questo periodo ognuno di noi ha acquisito informazioni, esperienze e quant’altro che ha arricchito il nostro bagaglio. Questo può aver cambiato forse il nostro modo di comporre, sicuramente ha cambiato “cosa” componiamo. Anche involontariamente, ogni composizione “subisce” l’epoca e l’ambiente che circonda l’artista. È importante fare molta attenzione. Le influenze musicali seguite in questo periodo di silenzio sono le più rischiose e vanno assolutamente dosate e adattate allo stile Alphataurus!

Immaginiamo di prendere in prestito una sfera di cristallo… che tipo di futuro musicale vorreste vedere nei prossimi tre anni?

Meno burocrazia, più facilità di accesso del pubblico a forme musicali meno abusate o troppo artificiali, contributi istituzionali allo spettacolo che non finiscano solo nei soliti “buchi neri” della macchina pseudo-culturale italiana e magari accendere la TV di Stato e vedere in prima serata un concerto di Frank Zappa, un’intervista a Peter Gabriel, uno special sul Rock Sudista, etc.etc… o magari un concerto degli Alphataurus! Perché no?






lunedì 27 novembre 2023

I Belau pubblicano il loro emozionante album "Apriori"


 

I Belau pubblicano il loro emozionante album dreamtronica

 

Il nuovo progetto musicale dei Belau si intitola “Apriori”, il terzo dall’inizio della loro storia che risale al 2016. Anche in questo caso un lavoro concettuale, giacché l’unione del messaggio, e quindi il messaggio stesso, appaiono importanti quanto gli aspetti sonori.

Un po’ di storia recente di questo duo ungherese di “dreamtonica” composto da Peter Kedves e Krisztian Buzás.

I Belau hanno ottenuto diversi successi degni di nota negli ultimi sei anni, tenendo più di 200 concerti in più di 25 paesi diversi. Negli ultimi due anni le loro canzoni sono state suonate arrivate alla BBC Radio 1, a Triple J, KEXP e KCRW, ed è bello menzionare gli apprezzamenti ricevuti da Billboard, Clash Music, The Line of Best Fit o Rolling Stone. Il primo disco dei Belau ha ricevuto il premio Fonogram (che è l'alterazione ungherese per Grammy), e i loro stream hanno raggiunto un livello stratosferico.

Numeri asettici, certamente, ma dietro alla contabilizzazione legata a “soddisfazione e business” ci sono dei valori che si percepiscono facilmente ascoltando la loro musica.

Aggiungiamo la loro idea di coinvolgimento che permette di avere ospiti funzionali al progetto del momento, in questo caso Beth Hirsch (Ethereal), Sarah Jay Hawley (Unmaginable) - che ha cantato nelle canzoni dei Massive Attack - oltre alle voci come quelle di Böbe (Altered) e Myra Monoka (Focus).

Quello che i Belau propongono è un viaggio che nasce e provoca emozioni a iosa, un percorso interiore che viene condiviso e che mette in risalto elementi naturali e skills personali di prim’ordine, permettendo l’ascoltatore di entrare in contatto con culture inusuali - se si pensa alla musica -, perché le abitudini comuni portano a perlustrare zone di conforto, già conosciute, e la musica che arriva da Budapest sembrerebbe un azzardo!

“Apriori” ci guida nel sentiero della nostra coscienza, che viene a contatto con una ipotetica strada reale, e il sogno e il pragmatismo si uniscono per il tempo dell’ascolto, lasciando una eco importante.

Sono dieci le tracce proposte, e mi pare utile leggere il pensiero dei due autori -musicisti:

'Apriori' denota la conoscenza al di là dell'esperienza, qualcosa che la precede; una fonte inesauribile a cui tutti possiamo attingere. Il "dinamismo" di questa conoscenza, però, paradossalmente si diffonde in forme molto diverse nella vita di tutti gli esseri umani, origina e si unisce dalla stessa "costante" alla fine del percorso. Il cerchio prevale attraverso il suo attraversamento. L'umanità ha trovato le sue intuizioni su questo per migliaia di anni, e da allora è stato riscoperto ancora e ancora mentre si radica nella coscienza. Proprio come il percorso di vita dell'umanità è analogo allo sviluppo personale di un individuo, anche varcare questa soglia è una possibilità per ogni persona nella nostra vita, che, se non resistiamo, arriverà sicuramente. La questione: per quanto tempo vogliamo resistere?

Questo LP mostra l'ultima fase della nostra crescita, la storia dell'arrivo a casa, possiamo anche definirla la sintesi delle prime due uscite, l'ultimo episodio della nostra trilogia non pianificata. È un'enorme pietra miliare nella vita di qualcuno quando sei in grado di separare ciò che ti serve da ciò che desideri. È una rinuncia che riflette una grandezza umana tale da portare paradossalmente alla convergenza dei due. La mappa è dentro di noi, diventa visibile, se chiudiamo gli occhi."


Un gran disco, lo sottolineo, che invito ad ascoltare per intero attraverso il seguente link: https://tinyurl.com/apriorispotify


Siamo… sono… sempre alla ricerca di buona musica.

Siamo… sono… sempre pronto a criticare ciò che attualmente passa il convento, che però, mi accorgo, è molto differente dalla vera musica che gira intorno. “Apriori è un esempio di qualità sonora applicata a sentimenti e a cosa che si vogliono urlare. E mi viene in mente il messaggio di C.S.N.&Y. nel ’69: “Turn, turn any corner and hear, speaks, say what you think,  you can do it, you must have the courage to do it…”.

Bravi Belau!






domenica 26 novembre 2023

I Renaissance su Beat-Club


Renaissance è stato un gruppo di rock progressivo inglese, conosciuto soprattutto per alcuni classici del genere, come "Carpet of the Sun", "Mother Russia" e "Ashes Are Burning".

Svilupparono un suono unico, combinando una voce solista femminile con una fusione di influenze classiche, folk, rock e jazz.

Gli elementi caratteristici del suono rinascimentale passano attraverso l'ampia gamma vocale di Annie Haslam, l'accompagnamento prominente del pianoforte, gli arrangiamenti orchestrali, le armonie vocali, la chitarra acustica, il basso, il sintetizzatore e il versatile lavoro di batteria.

Tra i maggiori compositori “utilizzati” troviamo Bach, Chopin, Albinoni, Debussy, Rachmaninoff, Rimsky-Korsakov, Prokofiev, Ravel.

Gli album dei Renaissance, in particolare “Ashes Are Burning”, sono stati spesso mandati in onda dalle radio americane interessate al progressive rock. La band ha infatti creato un seguito significativo nel nord-est degli Stati Uniti sino dal 1970, e quella regione rimane la loro più forte base di fan.

La formazione originale comprendeva due ex membri degli Yardbirds, Keith Relf e Jim McCarty, insieme a John Hawken, Louis Cennamo e la sorella di Relf, Jane Relf. Intendevano mettere insieme "qualcosa con un'influenza più classica". Nacque così Renaissance e la band pubblicò un album in studio nel 1969 e un altro nel 1971. Successivamente John Tout sostituì Hawken alle tastiere, e da lì seguì un periodo di alto turnover di musicisti fino a quando non fu stabilita la "formazione classica", formata da Haslam, John Tout, Michael Dunford, Jon Camp e Terry Sullivan.

Dal 1972 al 1979 Renaissance hanno pubblicato sette album in studio, tutti di successo, anche se l’ultimo atto ufficiale della loro discografia risale al 2013, con il 13° album in studio, “Grandine Il Vento”.



Formazione attuale

 

Annie Haslam – voce (1971–1987, 1998–2002, 2009–presente)

Mark Lambert – chitarra (2015–presente)

Rave Tesar – chitarra, (2001–2002, 2009–presente)

Geoffrey Langley – tastiera (2019–presente)

Leo Traversa – basso

Frank Pagano – batteria, (2009–2017, 2018–presente)

 

Ex componenti

John Hawken - tastiera, (1969-1970)

Jane Relf - voce, (1969-1970)

Keith Relf - chitarra (1969-1970)

Louis Cennamo - basso (1969-1970)

Jim McCarthy - batteria (1969-1970)

Michael Dunford - chitarra (1970-1972;1973-1987;1998-2002;2009-2012)

Terry Slade - batteria (1970-1972)

Terry Crowe - voce (1970-1971)

John Tout - tastiera (1970-1980;1998-1999)

John Wetton - basso (1971-1972)

John Camp - basso (1972-1985)

Terry Sullivan - batteria (1972-1980;1998-2002)

Gavin Harrison - batteria (1983-1984)

Charles Descarfino - batteria (1985-1987;2017-2018)

Tom Brislin - tastiera (1989-1991;2009-2010,2016-2018)

Mickey Simmonds - tastiera (1999-2002)

Jason Hart - tastiera (2010-2016)

Leo Traversa - basso (2015-2018)

 




sabato 25 novembre 2023

20 novembre- Il sogno di Scott Halpin, batterista degli Who per un giorno



Da un ricordo di Gianni Lucini ( Rock & Martello)
Il sogno di tutti…

20 novembre 1973 – Ho suonato con gli Who, adesso posso anche morire…

Il 20 novembre 1973 la tournée statunitense degli Who fa tappa a San Francisco. Il quartetto sale sul palco accolto da un boato, ma fin dalle prime note si capisce che c’è qualche problema. Il batterista Keith Moon è visibilmente ubriaco. Prima di iniziare a suonare si è imbottito di tranquillanti e alcool e anche sul  palco, tra un brano e l’altro, continua a bere. I compagni lo guardano preoccupati perché, pur abituati alle sue pazzie, temono il tracollo da un momento all’altro. Nonostante tutto, per un’ora la band dà il meglio di sé proponendo numerosi brani di Quadrophenia la nuova, monumentale, opera che, nelle intenzioni del chitarrista Pete Townshend, dovrebbe dare continuità al lavoro iniziato con Tommy. La scaletta del concerto prevede che, terminata l’esecuzione dei nuovi brani, gli Who regalino poi al pubblico una lunga carrellata dei loro brani più famosi. Proprio mentre il gruppo è impegnato in quest’ultima parte, Keith Moon sviene in scena. Inebetito dalla mistura di alcool e tranquillanti scivola a terra dal suo seggiolino privo di sensi e gli infermieri di servizio non possono far altro che portarlo via dal palco. La scena si svolge sotto gli occhi del pubblico ammutolito. Nel silenzio generale Pete Townshend si avvicina al microfono. "Hey, qualcuno tra voi se la sente di sostituire Keith alla batteria?". All’appello risponde un ragazzo che, aiutato dal servizio d’ordine, si fa largo fino al palco. Si chiama Scott Halpin, ha diciannove anni ed è arrivato a San Francisco da Muscatine, nello Iowa. È batterista per hobby e conosce a memoria tutti i brani degli Who, il suo gruppo preferito. Si sistema sul seggiolino mentre il bassista John Entwistle lo rassicura: "Vai via regolare, al resto ci penso io!". Emozionato e incosciente il giovane Halpin suona con gli Who gli ultimi tre brani del concerto e partecipa con il gruppo all’apoteosi finale tra i flash dei fotografi che lo immortalano abbracciato ai suoi musicisti preferiti. I cronisti presenti lo prendono d’assalto nell’intento di catturare le sue sensazioni. Lui, sudato, li guarda con gli occhi stralunati e risponde con un filo di voce: "È stata un’esperienza fantastica, adesso posso anche morire…".


Scott Halpin è deceduto il 9 febbraio 2008 all'età di 54 anni. Scott è sempre stato restio a parlare dell'avvenimento, anche molti anni dopo, dicendo di aver vissuto quei momenti in maniera frenetica e di conservare solo ricordi annebbiati. Al termine del concerto gli Who ringraziarono Halpin promettendogli 1000 dollari e regalandogli una giacca del tour americano in corso che gli venne rubata quasi immediatamente. Il giorno successivo il Chronicle di San Francisco gli dedicò una lusinghiera recensione.
Originario dello Iowa, musicista e compositore, Scott ha lasciato una moglie e un figlio a cui Pete e Roger hanno inviato le proprie condoglianze.

Il pensiero di Scott Halpin:


Accadde quel giorno...



venerdì 24 novembre 2023

È uscito l'EP “Evasion”, di Antonio Pellegrini


 

È uscito l’EP “Evasion”, di Antonio Pellegrini, e mi piace sottolineare il suo lavoro che, almeno in questa occasione, si allontana dalla sua immagine pregressa.

Ho conosciuto Antonio un bel po’ di anni fa, quando in nostri interessi musicali e letterari si incrociarono e produssero anche una buona collaborazione.

Di lui quindi conosco la sua propensione verso un deciso rock, che propone attraverso la sua musica suonata in gruppo (ma che non ho mai ascoltato) e l’indagine giornalistica, tra The Who, Queen e il mondo del blues.

Ho anche imparato a conoscere una sua certa frenesia nel far susseguire progetti diversificati, ed è questo uno status che ci accomuna.

Ciò che non conoscevo ancora era la sua esigenza musicale autorale, quella basica e minimale che nasce quando hai in mano una chitarra e le dita scorrono mentre i pensieri galleggiano, o quando una tastiera di pianoforte richiede fortemente di essere accarezzata da parole e percossa da falangi ansiose di creare e disegnare immagini.

Pellegrini si autoproduce per raccontare i suoi sogni, la sua necessità di viaggiare sottolineando la bellezza nell’essere cosmopolita (e anche questo ci unisce fortemente!).

Ma la sua “evasione” ha un doppio significato, e affianco a quello più ovvio, legato al viaggio verso le mete più disparate, ne esiste un altro, abbastanza palese per chi lo conosce, e che fa riferimento alla mia introduzione, ovvero la fuga, almeno per un attimo, da un mondo sonoro fatto di ritmo e volumi, a vantaggio di una fase intimistica e contenuta dove, all’interno di atmosfere rarefatte, emerge il lato poetico, riflessivo e romantico, elementi che in tanti posseggono ma non trovano il modo/coraggio per manifestarli correttamente. Non è facile mettere in piazza i propri sentimenti, ma la fortuna di un autore - non solo musicista - è quella di poter realizzare un… “qualcosa per sempre”, e in questa ottica Pellegrini ci regala quattro canzoni (ma sì, chiamiamole col loro nome!), che svelano gli intenti già dal titolo.

Non c’è bisogno di ridondanza di arrangiamento, né di una grande fase di manipolazione tecnologica perché, quando ti trovi in una stanza e sogni, avendo a disposizione il tuo strumento, tutto il resto non conta, e se pensi che sia importante condividere le tue emozioni del momento, non ci sarà null’altro da cercare.

Bravo Antonio, e sono certo che, aperta la strada, questo nuovo progetto potrà seguire spedito in modo parallelo agli interessi di sempre.

 


Tracklist (cliccare sul titolo per ascoltare)

01 Casablanca

02 Il Mare del Nord

03 Vagabondo

04 Marrakech

 

Testo e musica, voce, chitarra, piano, tastiere: Antonio Pellegrini

 


Biografia

Antonio Pellegrini (Genova, 1976). Musicista e scrittore. Ha fatto parte di diversi gruppi musicali genovesi. È stato membro fondatore dei Biosound, con cui ha realizzato due EP, tre singoli, e suonato in giro per l’Italia e a Londra. L'ultima rock band in cui ha militato sono i Nextera. Come autore di saggi musicali, ha pubblicato i volumi: The Who e Roger Daltrey in Italia (2016), Italian Rhapsody. L'avventura dei Queen in Italia (2019), The Who. Long Live Rock (2022), Blues. La musica del diavolo (2022).


"Évasion" è disponibile su tutte le piattaforme digitali dal 

12 novembre 2023




Resoconto della presentazione savonese del libro "Woodstock-Ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi", di Pintelli/Enrile/De Negri

 


La Ubik di Savona rappresentava la penultima tappa del 2023 per quanto riguarda la presentazione del libro "Woodstock-Ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi", di Pintelli/Enrile/De Negri.

I tre autori, dislocati in differenti città, si sono mossi autonomamente per l’organizzazione degli incontri, e per chi scrive, dopo Alba, Genova, Alessandria e Milano restava solo la partita in casa, quella savonese, programmata per il 21 novembre.

È andato tutto oltre le più rosee aspettative, con una sala strapiena di persone che, per un tempo decisamente più lungo di un normale incontro, ha partecipato, ha ascoltato, gratificando il gruppo di “conduttori” che aveva di fronte.

Il driver dell’incontro è stato Alberto Sgarlato, melomane, musicista e giornalista, che con il suo allargato know how ha contribuito non poco alla riuscita dell’evento.

Oltre al sottoscritto, rappresentante del pool di autori, c’erano amici musicisti con cui è nato il quartetto “The B.E.S.T.”, denominazione utile a individuare la band di giornata utilizzando l’iniziale di ogni cognome (BRIANO Marco, ENRILE Athos, STORACE Roberto e TERRIBILE Giuseppe).

Una band per un giorno, che ha provato, con discreto successo, a ricreare a distanza di oltre mezzo secolo la magia di quei giorni, sottolineando musicalmente  gli eventi da me raccontati.

I commenti a posteriori confermano quello che avevo già potuto verificare nelle puntate precedenti, e cioè che la formula parole/musica funziona, così come appare ancora fresco il ricordo di fatti accaduti molto tempo fa, ma ancora vivi grazie all’immortalità della musica.

Un ringraziamento particolare alla mia “manager” Maura, che mi supporta in ogni fase del progetto, mettendo a disposizione la sua voce per la prosa che conclude gli incontri.

E un ringraziamento ai tanti amici presenti, alcuni dei quali inaspettati!

A seguire un piccolo video che sintetizza la narrazione e le immagini dell'evento fruibili cliccando sui nomi seguenti... Cristina Mantisi e Raffaella Bergonzi.

Prossima tappa a Celle Ligure il 14 dicembre!