sabato 19 ottobre 2019

"Corsi Ripercorsi", un libro di Vera Torrero, il racconto della vita di Armando Corsi



Sono arrivato casualmente al libro “Corsi Ripercorsi” (De Ferrari Editore), avendo il compito di facilitatore nella presentazione del 18 ottobre alla Ubik di Savona.
Protagonista del libro di Vera Torrero una vita, una storia, un’epoca, quella del talentuoso chitarrista genovese Armando Corsi.

Nel recente passato ho avuto la fortuna di vederlo su di un palco accanto a molti altri personaggi musicali della sua città, ma il patrimonio culturale/ musicale/ tecnico di cui è in possesso, lo rendono un mito chitarristico che supera la dimensione locale e si espande oltre i confini nazionali.

Capita a molti - anche alle persone prive di visibilità -, una volta arrivati ad un traguardo temporale significativo, di sentire la necessità di raccontarsi, di raccogliere le idee e fissarle per sempre su di un formato incancellabile e, a pensarci bene, Armando Corsi arriva con un po’ di ritardo, essendo nato nel 1947, e la prima smania da “raccoglitore di ricordi” è solitamente più precoce. Il fatto è che occorre sempre lo schioccare di una scintilla, quella che permette di mettere a fuoco l’obiettivo e la volontà del momento, e spesso l’accensione è determinata da un incontro fortunato. Nello specifico l’unione di intenti si realizza con la conoscenza tra il chitarrista e Vera Torrero - avvocato con la passione della musica -, e l’incrocio dei due percorsi artistici porta alla realizzazione di un progetto denominato “In punta di piedi” - album di cui scriverò prossimamente su questo spazio -, e alla stesura di “Corsi Ripercorsi”, contenente anche un CD omonimo.

È un libro che si “divora”, consigliato a chiunque sia interessato ad abbinare lo scorrere del tempo ad avvenimenti che segnano per sempre, e che possono riportare ad un vissuto personale, in un parallelismo tra lettore e autore che sfugge dal mero argomento musicale.
Vera Torrero è abile nel far fluire un’esistenza che sarebbe un perfetto argomento da pellicola cinematografica, tanto intenso e variegato è lo sviluppo degli accadimenti.
C’è anche particolare maestria nell’utilizzo delle citazioni, che non appaiono forzate e inserite per creare effetto, ma sono estrapolate dalle letture e dal fermo credo di Corsi.
Mi sembra interessante iniziare da Alda Merini, perché il suo pensiero trova perfetta chiusura nella sintesi successiva, che diventa manifesto dell’autore:

Bambino, se trovi l’aquilone della tua fantasia legalo con l’intelligenza del cuore. Vedrai sorgere giardini incantati…”.
Armando Corsi: “Chi sarei oggi se non avessi trovato l’aquilone della musica? Non saprei, non mi so immaginare senza le corde della chitarra tra le dita, ma so per certo che sarei infelice. Così inizio a raccontare la mia storia, dicendo grazie a mio padre che mi ha donato il filo robusto e la stoffa colorata per realizzare il mio aquilone e ringraziando la vita, che lo ha fatto levare in altro.”.

Ringraziare il padre, in generale, potrebbe sembrare atto dovuto, ma in questo caso colpisce un’azione particolare che rappresenta probabilmente una svolta, quella sliding door che spesso si pone davanti a noi in tempi più maturi, ma che Corsi trova davanti a sé alla fine della scuola elementare quando, già innamorato dello strumento, trova pieno conforto nella figura paterna nel momento in cui, dovendo scegliere tra il proseguimento dello studio tradizionale e quello della chitarra, non esita nel privilegiare l’approfondimento della sei corde, con l’inusuale - ieri come oggi - assenso genitoriale.

E da lì la chitarra diventa la vita e il mezzo per condurla, la fonte di sostentamento, di divertimento, di aggregazione, di inclusione, di insegnamento e apprendimento, di ampliamento della cultura personale: a 10 anni certi argomenti filosofeggianti sono banditi, ma al tirar delle somme Armando Corsi ci propone la sua certezza attraverso il pensiero del Dalai Lama: “Trova un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno”, la magica ricetta della felicità, a dire il vero non facile da realizzare.

Da questo momento si dipana una vita avventurosa, carica di aneddoti, di viaggi in giro per il mondo, di esperienze formative e affascinanti, con momenti topici e incontri capaci di cambiare il percorso personale - Ricchi e Poveri, Anna Oxa, Ornella Vanoni, Ivano Fossati -, con l’amore di sempre che, poco alla volta, si trasforma in professione, dando senso compiuto ad un iter iniziato sessant’anni prima.
Il racconto si sofferma sulla vita famigliare, sullo sviluppo discografico, sulle amicizie e sul rispetto di colleghi, non solo quelli coevi.
Ne è passata di acqua sotto ai ponti da quando il giovin Corsi si iscrisse al conservatorio per lo studio del contrabbasso, essendo la chitarra considerata poco nobile e quindi non degna di approfondimento, momento ricordato con affetto ma dal quale esce fuori prepotentemente il musicista del popolo, quello che utilizzava la notte per proporre performance da osteria, osteggiato dall’ortodossia di un rettore poco incline a concessioni, nella sua ottica, “minori”.
Il libro, la cui prefazione è curata da Enrico de Angelis - giornalista e storico della canzone - propone anche una bellissima serie di immagini che rafforzano le parole e diventano ulteriore testimonianza della carriera di Armando Corsi.

E poi un Cd rappresentativo di un’idea musicale, capace di racchiudere mondi differenti in un unico contenitore, perché niente come la musica può annullare differenze e spazi temporali.
Tra i protagonisti musicali anche Vera Torrero, il cui connubio con Corsi appare davvero vincente, anime che si incontrano e da cui si diramano situazioni positive.
Vera chiude il libro utilizzando lo stesso autorevole personaggio con cui lo aveva iniziato, la scrittrice Alda Merini, amantissima da Corsi: 

Io non ho bisogno di denaro, ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente… di canzoni che facciano ballare le statue.”

La musica tutto può, e non esiste la necessità di catalogazioni e di realizzare graduatorie di importanza, e tutto questo potrebbe essere uno degli insegnamenti di questo scritto, a cui aggiungerei un paio di concetti “forti” che emergono prepotentemente: la prima è la possibilità di imparare dagli altri, persone a cui, magari, si sta insegnando, e quindi la capacità di aprirsi al prossimo, qualunque esso sia; la seconda è il proposito di “prendere il meglio dal peggio”, dogma vitale per Corsi che conduce al concetto attuale del dare il meglio di sé senza avere come riferimento un simbolo imposto dal sistema che, seppur positivo, potrebbe essere irraggiungibile per ovvi motivi legati al contesto e alle capacità personali:

Martin L.K.:” Siate il meglio. Se non potete essere il pino sulla vetta del monte, siate un cespuglio nella valle, ma siate il miglior piccolo cespuglio sulla sponda del ruscello. Se non potete essere una via maestra siate un sentiero. Se non potete essere il sole siate una stella, non con la mole vincete o fallite. Siate il meglio di qualunque cosa siate. Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati e poi mettevi a farlo appassionatamente.”

Alla fine della lettura ho avuto la possibilità di guidare la presentazione del libro, e dell’incontro propongo un medley musicale.

Un libro che consiglio di leggere, adatto a tutti, probabile prologo ad un nuovo progetto letterario.




domenica 13 ottobre 2019

La presentazione di “Paganini Experience” dei LATTEMIELE 2.0 nel sunto video


Ho già scritto a lungo di “Paganini Experience”, album dei LATTEMIELE 2.0, descrivendo il live d’esordio del 18 luglio a Genova (https://athosenrile.blogspot.com/2019/07/porto-antico-prog-festival-18-luglio.html) e commentando l’album uscito in edizione limitata in quell’occasione (https://athosenrile.blogspot.com/2019/10/lattemiele-20-paganini-experience.html), ma mancava l’atto ufficiale, la presentazione necessaria dopo che il progetto è uscito ufficialmente allo scoperto a fine settembre.



Il luogo deputato alla certificazione, avvenuta l’11 ottobre, è il 29 R di Via Del Campo, location gestita da Laura Monferdini, posto “sacro” dedicato alla storia musicale genovese, non solo quella cantautorale. Ma quella via antica è anche sede della Black Widow Records - etichetta che ha promosso questo progetto delicato e inusuale -, attività musicale la cui titolarità spetta a Massimo e Laura Gasperini e a Pino Pintabona.

Non ripercorrerò le tappe della progressione progettuale, né proverò a disegnare uno scenario musicale complesso come quello genovese, ma la video intervista a seguire permette di arrivare a conoscere qualche dettaglio in più, perché sono proprio i protagonisti che si raccontano, sollecitati dalla conduzione di Riccardo Storti.



Un buon pubblico di affezionati ed esperti, con la partecipazione di chi ha contribuito alla realizzazione dell’album - dai tecnici ai produttori di immagini -, ha ascoltato con interesse il racconto di Massimo Gori, Luciano Poltini e Marco Biggi. Elena Aiello assente giustificata a seguito importanti impegni musicali!



Propongo una mezz’ora di interlocuzione, interessante ed icastica.

Le immagini sono di Enrico Ghigino.

giovedì 10 ottobre 2019

Il nuovo volto di Tintozenna


Qualche anno fa mi è capitato di scrivere a proposito della proposta musicale di Tintozenna - autore/compositore/cantante/chitarrista -, musicista da “band”, ma attualmente in fase autarchica, un po’ per necessità e un po’ per scelta personale.
Forse qualche delusione di troppo, tipica per chi bazzica questo ambiente, lo ha portato a scelte passate non troppo soddisfacenti, perché se si ama la vita da palco - quella più elettrica -, rinchiudersi in un angolo acustico potrebbe non essere gratificante.
Suonare i vecchi brani? Cercare nuovi o vecchi compagni per formare un’altra band?
Magari al momento si possono perseguire altre strade, ad esempio quella della ricerca della totale libertà attraverso una strada mai calcata: una registrazione solitaria, il “fare tutto da solo” e accettarne le conseguenze. Forse un azzardo, ma volte occorre seguire l’istinto, e magari capita che non si sbaglia!

E allora escono dal cilindro sei brani di cui Tintozenna va molto fiero, perché, come lui dice: 

“… mi rappresentano completamente... non ci sono compromessi alcuni e, soprattutto, non c’è presente nessuno che possa storpiare il mio sentire... finalmente sono me stesso”.
Parlando di aspetti tecnici aggiunge: “Purtroppo la resa tecnica e i suoni son quelli che sono... considera che ho fatto il tutto con il mio vecchio portatile, con una piccola scheda audio esterna, con una chitarra elettrica, senza effetti, con un microfono e basta!
Il tutto realizzato con Cubase; per la prima volta mi sono anche cimentato nel costruire passo dopo passo le batterie e poi le linee di basso, una bella impresa per me, e alla fine lo si può considerare un progetto “casareccio”, ma son contento del risultato, davvero tanto!”.

I sei brani costituiscono una sorta di Ep potenziale, forse qualcosa di più, visto che altri tre brani sono in lavorazione.
Ho ascoltato con attenzione, forse maggiore di quella che metto solitamente al primo giro, perché ho catturato l’esigenza primaria dell’autore, che è quella di regalare al mondo il nuovo volto personale, cercando di capire se anche gli altri riescono a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda.

Mi interessa poco la qualità della registrazione - fortunatamente riesco a guardare oltre -, ma la cosa importante è che il suo sforzo di rinnovamento risulta palese e di grande entità, e credo che catalogare la sua filosofia musicale risulti impossibile - ma questo lo avevo già registrato in passato -, e di questi tempi di appiattimento universale raccontare qualcosa di diverso è già molto.

A seguire fornisco un esempio, il brano “IN-RiTORNATO”, che mi pare sia rappresentativo della nuova produzione.

Rock, psichedelia, post punk… una voce a cui occorre fare l’abitudine e un’atmosfera generale che mi ha catapultato in un mondo che ho già vissuto e, subito dopo, nella nebbia musicale, una distopia sonora non semplice da assimilare.

A bocce ferme ho scritto a Tintozenna il seguente pensiero: “Ho ascoltato con piacere, come accaduto in passato non riesco a dare una definizione ortodossa, e forse questo è un bene,
ma il rock che proponi, a cui tu avevi dato una tua catalogazione, è un mix tra tradizione, sperimentazione, ritmo... qualcosa di iconoclasta, pregevole anche per il tuo modo autarchico di realizzarlo…”.


I brani sono presenti on line, ascoltabili da chiunque cliccando sul seguente link:


… spazio in cui si può trovare una breve biografia, testi, foto e altro.
E se qualcuno fosse interessato ad avere i brani a costo zero, è possibile contattare direttamente l’autore sulla sua pagina facebook:


o direttamente alla mail


mercoledì 9 ottobre 2019

Valerio Billeri-“Er tempo bbono”

ValerioBilleri
Er tempo bbono
(Folkificio)


Da questo spazio ho parlato in più occasioni di Valerio Billeri, cantautore romano che ha all’attivo un buon numero di album suddivisi su di un lungo percorso che inizia nei primi anni ’90.

Uomo dedito al blues e al folk - amante quindi, anche, degli aspetti “elettrici” e ritmici - ha assunto già con il precedente “Gospel” un approccio minimale, intimista, che lo porta a raccontare il suo credo sottovoce, ma che appare sobrio anche nella fase di registrazione, una sorta di live in presa diretta dove si confronta con la sua voce e la sua chitarra, con l’unico ausilio del fido collaboratore Gian Luca Figus, con cui è nata un’empatia naturale che Billeri dichiara nell’intervista a seguire.

Il progetto che viene proposto in questa occasione è ambizioso, serio, didattico e, a mio giudizio, pienamente riuscito e quindi da divulgare in ogni dove.
Il disco, proposto e distribuito dal “Folkificio”, consta di 9 ballad che compongono “Er tempo bbono”, ovvero la trasposizione in musica di alcuni sonetti che Giuseppe Gioachino Belli, poeta romano vissuto 150 anni fa, inserì nella sua racconta “Sonetti Romaneschi”: nessuna interferenza personale, ma un fedele utilizzo delle liriche originali, utilizzate dal cantautore per raccontare il suo vissuto, creando un parallelismo tra differenti ere, personaggi, stati d’animo, con una sottointesa idea che, traccia dopo traccia, diventa convinzione, quella che lo scorrere del tempo, con tutte le variazioni che condizionano i comportamenti umani, lasci immutate le cause  dei variegati stati d’animo che incidono sulle nostre esistenze.

Belli maestro di satira, osservatore dei suoi simili visti in azione nel contesto quotidiano, che diventano strumenti e bersagli del suo pensiero, divertenti e drammatici, diversi uno dall’altro ma, inevitabilmente, raggruppabili in un unico microcosmo che trova similitudini tra epoche lontane.

Non si trova a proprio agio Billeri nell’attuale contesto cittadino - nella “sua” Roma -, come racconta nello scambio di battute a seguire, e allora utilizza un suo probabile maestro scolastico per fare opera di velata denuncia, in modo educato, come solo un cantautore potrebbe fare, mettendo a disposizione la sua arte musicale per “urlare sottovoce” cosa accadeva, cosa accade e, implicitamente, cosa occorrerebbe correggere.

Valerio Billeri prova a condurci verso un ragionamento circolare, con i sonetti - canzoni - divisi per tema: ('l'oscurità/la morte), (la vita), (l'universo/la natura), con l’intenzione di spingere l’ascoltatore alla riflessione rispetto ai problemi della nostra esistenza, il tutto cercando di dare una visione dell’opera del Belli un po’ più trascendente rispetto all’immediatezza delle sue parole “scritte per il popolo”.

L’essenzialità delle canzoni segue quindi una volontà precisa, quella di non distrarre l’ascoltatore, creando un sottofondo morbido che faciliti la concentrazione sulla lirica e i suoi significati, lasciando alla trama musicale il compito di accompagnare e condurre la navigazione. Da sottolineare come il romanesco sia, tra i linguaggi "locali", uno di quelli possibili da catturare se si mantiene una buona attenzione, magari utilizzando una iniziale lettura facilmente fruibile in rete.

Dalle parole di Billeri emerge la voglia di riproporre nel futuro prossimo la musica da band, una dimensione altrettanto soddisfacente, dove il blues e il folk possono permettere altri tipi di interazione, ma “Er tempo bbono” appare come contenitore estremamente attuale, reale, proponibile in molteplici situazioni, capace di condurre a sommessa riflessione e, si spera, ad azione conseguente.

Ho personalmente un vecchio pallino, che è quello di utilizzare certa musica all’interno della formazione scolastica, non in modo tradizionale, ma captando pillole sonore che possano essere analizzate a fondo e usate per… ragionarci su! La proposta di Valerio Billeri potrebbe essere una via per unire storia a pensiero contemporaneo: ne sono certo, il trasposto successivo e il coinvolgimento si tradurrebbe in un grande successo, molto più gratificante di un ipotetico numero di copie vendute.

Un album per chi ama la poesia, un album per chi ama la lirica musicata, un album per chi non ha paura di guardarsi allo specchio e giudicare ciò che vede, un album per chi non teme l’autocritica e l’attitudine all’azione conseguente.
Un bel album!

I BRANI:

La Creazzione Der Monno
La Bella Giuditta
buy track
La Bbona Famijja
Er Deserto
La Ssedia De Tordinone
La Luna
Chi Va Alla Notte Va Alla Morte
Er Tempo Bbono
Er Tempo Cattivo 

La nostra chiacchierata…

È appena uscito un nuovo tuo album, “Er Tempo Bbono” il cui titolo, per chi non ti conoscesse, indica la tua provenienza: puoi sintetizzare la tua storia musicale e la tua discografia?

Sono tanti anni ormai che faccio dischi, più che un outsider sono un outtake vivente del cantautorato italiano. I miei ultimi tre album, "Giona", "Gospel" e questo appena uscito, sono i miei preferiti. In “Acque Alte” ci sono forse i miei testi migliori, ma dal punto di vista musicale qualcosa manca.

Nel disco appena rilasciato riproponi nove sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli: da dove nasce l’idea e l’esigenza di musicare le sue liriche trasformandole in ballate?

L'esigenza nasce alla necessità di utilizzare qualcosa di forte, di vero, qualcosa che avesse nei suoi versi la potenza generatrice della natura e quella distruttrice del tempo (che per altro è una nostra convenzione); le mie liriche provano ad avvicinarsi a certi livelli. Le parole del Belli invece risuonano come verità, non hanno filtri né retorica, lui non doveva vendere, era un puro. La musica era già dentro alle parole, e a volte penso che sarebbe stato un ottimo bluesman: prendi la canzone “Er tempo cattivo” e confrontala con “High Water”, di Charlie Patton, vedrai che ci sono poche differenze nel modo di raccontare le cose.

Viene spontaneo chiedere il legame esistente tra il pensiero del Belli, vissuto 150 anni fa, e il tuo modo di vedere il mondo…

Io vorrei vedere il mondo con gli stessi occhi del Belli, con la stessa chiarezza, non sono ancora pronto, il mio comunque è un continuo stato confusionale, i modi di vedere il mondo cambiano di giorno in giorno, il modo di vedere gli esseri umani purtroppo no.

Il progetto, come il precedente “Gospel”, appare minimalista… tu e la tua chitarra: è questa la dimensione che ti dà maggiori soddisfazioni?

Dipende, così riesco a dare più forza alle liriche e all'interpretazione vocale. Ho trovato molto aiuto, per quanto riguarda la produzione artistica di questi due lavori, in Gian Luca Figus, che in questi casi ha la giusta sensibilità per capire dove intervenire e dove no. Ma ora mi manca il blues e il rumore delle chitarre elettriche… il prossimo disco sarà più caciarone e ci sarà la mia band.

Entriamo nei contenuti: qual è il fil rouge tra i sonetti? Che cosa esprimono?

I sonetti, per quanto riguarda il disco, sono divisi in tre terzine ('l'oscurità/la morte), (la vita), (l'universo/la natura); ho cercato di dare un senso circolare al lavoro, cosi che l'ascoltatore si sentisse all'interno di un microcosmo, che il tutto lo portasse a pensare ai temi principale della nostra esistenza.

Possiamo parlare di un viaggio tra il didattico e il didascalico per chi non conoscesse la realtà romana dell’epoca?

Guarda, sì, alcuni riferimenti della città che esistono nei sonetti sono spariti… la città e la sua gente possono così riscoprire un passato non molto remoto che gli appartiene. Ma questo dal punto di vista visivo, l'anima della città non è cambiata poi molto, anzi credo per nulla.  

Trovi che i sonetti del Belli siano ancora attuali se pensiamo a cosa Roma - e l’Italia - sta vivendo?

Attualissimi. Il Belli scava nell'animo umano, e non sono attuali solo a Roma… sapevi che il suo pensiero è stato tradotto in molte lingue? Persino in Russia il regime temeva i suoi sonetti, ancora fino a poco tempo fa andavano venduti incelofanati per non farli leggere dagli avventori; Andreotti nel dopoguerra subì pressioni dal Vaticano per censurare l'uscita integrale dell'opera Belliana.

Nel corso del nostro scambio di battute di qualche giorno fa mi hanno colpito due concetti che hai espresso… il primo riguarda il tuo modo di essere romano, ovvero il tuo distacco da certe forme di volgarità verbali e comportamentali che spesso accompagnano l’immaginario comune; la seconda si rifà ad un aggettivo che hai usato per definire Roma: “oscura”.
Mi spieghi meglio il tuo pensiero?

Odio l'ostentazione della volgarità che è venuta fuori in questi ultimi quarant’anni anni da un certo modo di fare cinema degli anni ‘70, dalla tv, il modo di alzare la voce, di strascicare le parole… una volta il romano non era così! Anche il Belli usa le parolacce, possono essere un arma molto forte, ironica geniale, ecco i vecchi romani erano geniali nell'usarle, il famoso "…io so io e voi nun sete un cazzo", fa parte di un sonetto del Belli (“li sovrani der monno vecchio”) ma quello è un atto di denuncia, una terribile sentenza... oggi si usa quella frase per fare gli sbrasoni, i coatti, senza sapere quello che c'è dietro, cosa che Monicelli e Sordi ben sapevano…

C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a   popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».

Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».

21 gennaio 1832 - De Pepp’er tosto

Per quanto riguarda l'oscurità, ci sarebbe da fare un grande discorso… sai che fine ha fatto il fondatore? Romolo fatto a pezzi dai suoi stessi senatori e sotterrato in vari punti strategici a protezione della città… ecco il peccato originale, il susseguirsi continuo del sacrificio, le bellezze di Roma, i suoi monumenti, le sue opere d'arte sono un continuo esorcismo verso la parte scura della stessa; sai perché Roma è stata così importante nella cultura, nella storia nell'arte? Non solo per l'Impero, sarebbe finito tutto là, ma sarà sempre così perché questa città, dove i piani temporali si intrecciano, piena di arte e di nefandezze, è il più grande monumento alla vera essenza dell'animo umano, non c'è salvezza ma solo un continuo ripetersi della morte e della bellezza. Ecco perché è eterna.

Entriamo in qualche risvolto tecnico… l’album è stato registrato in presa diretta in pochissimo tempo: ti soddisfa appieno questo tipo di modus operandi?

Sì, preferisco così, quello è il momento che amo, posso anche lasciare gli errori, non serve la perfezione; guarda i vecchi dischi dei bluesman, le registrazioni di Lomax… sono di una purezza estrema… gli American recordings, il primo di Cash… perfetto, non serve molto per raccontare storie. Voglio che l'ascoltatore abbia l'impressione del momento del racconto.

Come pubblicizzerai l’album? Hai pianificato concerti e presentazioni?

No, non ci saranno presentazioni né concerti specifici, è un lavoro che va suonato voce e chitarra in luoghi silenziosi; sto provando a contattare festival di poesia e letterari per presentare il mio lavoro in forma intima, nel frattempo continuo i miei concerti con le Ombrelettriche, blues e folk allo stato puro ed elettrico: il 16 ottobre saremo a L'Asino che Vola, a Roma.

Ma qual è lo stato dell’arte nella tua città, se ci riferiamo alla musica e alla cultura in generale?

Ma, per quanto riguarda il tipo di musica da me suonata è un po’ difficile trovare spazi adatti, l'asticella dell’età dell'ascoltatore medio per quanto riguarda il blues e il folk si sta alzando, bisogna centellinare le uscite mirarle bene, la città è un fermento continuo, nuove forme espressive d'arte si stanno affacciando tra i giovani, il modo di fare arte sta cambiando in fretta, sono molto fiducioso per quanto riguarda le nuove forme, ripeto, un po’ meno per la musica, la vedo stretta in tempi troppo veloci.

lunedì 7 ottobre 2019

De Lorians in arrivo in Italia


La mia amica Yoshiko (vicina a tutti gli amanti del prog), reincontrata pochi giorni fa al Festival di Veruno, mi ha consigliato una band dei suoi luoghi - i giapponesi De Lorians - che il 17 novembre saranno di scena alla Raindogs House di Savona.

Ho cercato qualcosa su di loro e sulla loro musica e ho provato a saperne di più attraverso qualche domanda mirata. Non si sono dilungati nelle risposte, ma forse l’estrema sintesi è una forma mentale che riguarda la cultura orientale.
Propongo quindi qualche nota relativa al loro unico album omonimo, e lo scambio di battute tra di noi.


Nati dalla scena musicale di Tokyo, sempre dinamica ed eclettica, e guidati da Takefumi Ishida, i De Lorians sono una band di difficile catalogazione. Il loro nuovo album omonimo - uscito in tutti i formati possibili -, “De Lorians”, è stato definito brillante, coinvolgente e cangiante, con utilizzo di strumentazione insolita per il genere, e suoni tendenti alla psichedelia, con larga diffusione percussiva.

Ecco una sintesi della recensione del disco proposta da Martin Boev… fidiamoci di lui:

L'album inizia con "Daytona", una traccia guidata dalla chitarra a cui si uniscono tastiere e sintetizzatori. La melodia è meravigliosa e cangiante durante tutto il disco, con variazioni chitarristiche e trombe dinamiche che entrano e creano un tono potente verso la fine. L'energica "A Ship of Mental Health" è un bel momento dell'album, una composizione che ruota attorno alla chitarra, con cambi di tempo e momenti elettrici strumentali. Il tono più lento di "Roccotsu" è quasi lunatico e meditativo, con suoni di corno che tendono al jazz e inventano atmosfere ipnotiche.
"Toumai" è un modo eccellente per terminare questo album, con una melodia a ritmo più lento, simile all'inizio del disco, mentre la chitarra elettrica e il sassofono guidano le danze, diffondendo forza vitale, e il sottile drumming si aggiunge al ritmo e al groove della traccia. Man mano che la musica prosegue la forza e il ritmo aumentano, innalzando il livello percettivo delle sonorità messe in campo.
Un progetto che merita attenzione, capace di proporre intense vibrazioni di jazz-rock.


La chiacchierata…

La prima cosa che vi chiedo è di raccontare al pubblico italiano la vostra storia, come sono nate le vostre passioni e come avete sviluppato la vostra musica…

Siamo andati alla ricerca di una musica ibrida, fatta di jazz, psichedelia e contaminazioni varie, ma non siamo riusciti a trovarla in Giappone per cui… ci abbiamo provato noi!

Quali sono le band o gli artisti a cui vi siete ispirati?

Amiamo vari tipi di musica, ma se dovessimo scegliere diciamo… Soft Machine, Hatfield and the North, Area, Frank Zappa, Jaga Jazzist e Pharoah Sanders.

Come definireste la vostra musica?

Musica patafisica e psichedelica.

Potete presentare la band, nomi e relativi strumenti?

Takefumi Ishida - Saxophone, Synthesizer, a volte suona Guitar & Pikaremin (una sorta di sintetizzatore modulare; Soya Nogami - Chitarra, Voce; Genki Goto - Basso, Violoncello; Hyozo Shiratori - Organo, Pianoforte, Sintetizzatore; Syzeuhl - Batteria, Percussioni; Yuya Osabe - Vocal (ma non parteciperà a questo tour).

Qual è lo stato della musica nel vostro paese, il Giappone?

Un disastro totale!

Vi trovate più a vostro agio dal vivo o in studio?

Ognuno di noi la pensa diversamente al riguardo.

Quanto incide la tecnologia sulla vostra musica?

La tecnologia ci appare come un giocattolo, ci diverte e a volte appare nella nostra musica.

Presto sarete in Italia: quante date farete e cosa vi aspettate da questi concerti?

Ci esibiremo a Firenze, Roma, Faenza, Torino e Savona.


Cosa vi sentite di dire al pubblico italiano che, probabilmente, deve ancora scoprirvi?

Speriamo che l’audience italiana sia ansiosa di conoscerci e noi ci impegniamo fin da ora a proporre ottima musica.

Attendiamo fiduciosi…


mercoledì 2 ottobre 2019

LATTEMIELE 2.0- “Paganini Experience”


LATTEMIELE 2.0- “Paganini Experience”
Black Widow Records

Non so se sia condizionante avvicinarsi ad un nuovo progetto musicale partendo dal live e risalendo verso il lavoro in studio… generalmente accade il contrario, ammesso che il collegamento tra le due fasi possa ogni volta avvenire. Resta il dato di fatto… il 18 luglio scorso, in occasione del tradizionale Festival Prog realizzato dalla Black Widow al Porto Antico di Genova, ho ascoltato per la prima volta l’album “Paganini Experience”, dei LATTEMIELE 2.0:


La continuità rispetto al passato è garantita da un paio di membri storici, Massimo Gori in primis - bassista e vocalist da sempre nel giro della band - e Luciano Poltini, tastierista presente nel lustro che ha chiuso gli anni ’70. A loro si è aggiunta nuova linfa: Marco Biggi alla batteria e la violinista Elena Aiello. Di loro e dei dettagli del progetto ci racconta Gori nell’intervista realizzata subito dopo il concerto a cui accennavo.

Sono passati oltre due mesi da quell'evento, e il silenzio parziale è dovuto ad una precisa scelta commerciale, anche questa sviscerata nella chiacchierata a seguire; in pratica si è attesa l’uscita parallela sul mercato giapponese, da sempre molto vicino alla band, e quindi nell’occasione del concerto sono state rilasciate copie in numero limitato (CD e Vinile), ma dal 27 settembre… nessuna restrizione.

Come ho già avuto modo di raccontare sono rimasto davvero sorpreso dalla resa da palco, dall’amalgama tra i componenti la band e dalla novità di una proposta che, sulla carta, poteva profumare di forzatura.
L’idea originaria nasce dalla Black Widow, etichetta genovese dedita a prog e metal, e viene naturale pensare che  i cittadini locali siano particolarmente orgogliosi di un certo Niccolò Paganini, vissuto 200 anni fa, violinista, compositore, innovatore, ma circondato da un alone di oscurità, un artista “maledetto e diabolico” - per usare termini che lo hanno caratterizzato -, e in quanto tale avvicinato al concetto di rockstar ante litteram.

Avere in formazione una giovane e superba violinista e "trattare" l'argomento Paganini potrebbe sembrare una facilitazione, ma l’esito di un album di questo genere prescinde dalle skills dei singoli musicisti, date in qualche modo per scontate. Conta molto di più ciò che si riesce a trasmettere, oltre gli aspetti di estetica musicale.

La mia sensazione, successiva ai ripetuti ascolti, conferma quanto avevo captato in estate, e non posso che parlare in termini pienamente gratificanti di questo lavoro discografico, nove episodi che si dipanano per una quarantina di minuti e che pongono come base la classicità - elemento che appartiene da sempre alla band - che si sviluppa tra le divagazioni emersoniane di Poltini e la versatilità della Aiello, troppo giovane per certe frequentazioni musicali, verrebbe da pensare, ma in realtà a completo agio tra fughe e contrappunti innestati su trame rock.

Apre l’album “Inno”, che propongo a fine articolo come testimonianza live.
L’inno è rivolto alla musica e a tutto ciò che la circonda, e l’omaggio a Keith Emerson contenuto nel brano è legato all’amore di Poltini per il mitico tastierista che, proprio mentre “Inno” nasceva, veniva a mancare.

Una spinta energica che trova immediata contrapposizione con la melanconica “Via del colle”, luogo in cui Paganini passò l’infanzia, in una casa che ormai non esiste più.
Pezzo struggente e carico di significati trasportabili in ere e situazioni temporalmente lontane, racconta lo status iniziale di un Paganini bambino (“Nato in Via del Colle, nella Genova dei poveri, dove i panni si lavano in piazza dentro ai trogoli, bambino io diverso restavo un po’ in disparte…”), emarginato a causa della sua anomala genialità.

L’Ora delle Tenebre” scatta come un coprifuoco, ed è in quel momento che si opera la dicotomia tra il comportamento ortodosso e quello definito deviato: l’oscurità protegge le diversità, quelle che in un artista amplificano le frustrazioni.
Brano di oltre sei minuti dove le trame sinfoniche diventano le basi per i giochi solistici di tastiere e violino. Coinvolgente.

Cantabile 2019” vede la collaborazione con il gruppo vocale dei Cluster, presente anche nell’uscita genovese e nel video a seguire. Pura magia determinata dal rimbalzo tra violino e delicate e sapienti vocalità.

Porto di Notte” riporta alla frequentazione notturna dei vicoli genovesi adiacenti al porto, luogo in cui Paganini può ritrovare la genuinità dei rapporti umani, dopo aver lasciato il volto ufficiale nei salotti e nei “luoghi” convenzionali.
Gioco di successioni solistiche tra la chitarra elettrica, il sintetizzatore e il violino.

Charlotte” è il brano che ho pensato di proporre a seguire come sintesi dell’album, due minuti e mezzo di musica strumentale, una manciata di secondi che provocano brividi e benessere, per l’atmosfera che si viene a creare e per la forte spinta verso una dimensione che trascende la materia.

Danza di Luce” si divide in due movimenti, il Primo Movimento attribuito a Poltini e il Secondo Movimento - Divertimento a Gori.
Un ospite importante, Aldo De Scalzi, e un obiettivo che estrapolo dal booklet: “Un percorso dal sacro al profano, dalla maestosità di una cattedrale ad una immaginaria jam session tra Paganini e una rock band. Contiene variazioni sul capriccio n. 24 di Paganini.”
È questo il momento di massima contaminazione tra rock tradizione, dove una sezione ritmica divisa tra regolarità e fantasia permette agli altri strumentisti divagazioni gustose e godibili.
Un po’ di spiccato seventies nella chiusura del brano.

Angel” è stata scritta da Jimi Hendrix - che probabilmente dedicò alla madre - arrangiato da Gori e Poltini, e sottolinea il desiderio di accostare innovazione/trasgressione a genialità, e quindi l’anima maledetta e illuminata del musicista genovese rinasce nel chitarrista di Seattle… rock star di ere diverse ma sempre, entrambi, rock star!

A chiudere il disco “Cantabile 1835”, altro gioiellino in bilico tra pianoforte e violino che potrebbe strappare qualche lacrima agli esseri particolarmente sensibili - e virtuosi, aggiungerei.

A livello compositivo Massimo Gori e Luciano Poltini sono onnipresenti, ma guardando oltre mi piace sottolineare il loro merito aggregativo, perché trovare musicisti adatti a tale impegno non deve essere stato semplicissimo.
Bellissimo il progetto fotografico, aspetto di cui Gori parla nell’intervista e che io propongo in parte nel video “Charlotte”.

Un lavoro molto… genovese… e molto attuale, dove concetti e storie del passato, analizzati e catalogati, ritornano prepotentemente verso il vissuto attuale, con la conclusione che, alla fine, il progresso da solo non è in grado di migliorare in modo significativo la capacità di relazione, incidendo forse nella modalità operativa ma non certo nell’essenza.

Come sottolineo nelle prossime righe ho trovato il tutto “fresco”, nonostante gli ingredienti musicali siano pezzi di un puzzle che rappresenta la storia, e quindi apparentemente una riproposizione di qualcosa che già esiste, ma fortunatamente ci sono gli uomini e le donne che sono in grado di fare la differenza, e “Paganini Experience”, partito forse nell'incertezza della sua riuscita, approda con successo ad un porto sicuro, quello di Genova, certamente, ma in maniera più diffusa in quello dell’ottima musica, che fugge da catalogazioni forzate e dà spazio a chi abbia voglia di quelle emozioni che solo la qualità sonoro può regalare.



Ma leggiamo il pensiero di Massimo Gori, intervistato a fine luglio…

La prima curiosità riguarda l’essenza del progetto: come è nata l’idea di rinnovare e modificare i Latte Miele, arrivando alla definizione di 2.0?

Dopo la pubblicazione di “Passio” la band si era trovata in difficoltà organizzative, perché ognuno aveva impegni importanti al di fuori del contesto ed era impossibile organizzare un’attività live. Da qui si decise che quello sarebbe stato l’ultimo disco dei Latte e Miele. Io avevo invece ancora molte idee che volevo realizzare nell’ambito prog. Da tempo avevo ripreso i contatti con Luciano Poltini e il lavoro di scrittura che stavamo facendo mi sembrava meritevole di essere ulteriormente sviluppato. È stato allora che abbiamo deciso di dare vita ad un nuovo capitolo, il “2.0” che tenesse conto della tradizione prog-sinfonica del gruppo, ma con alcuni elementi di innovazione.

La sintesi del vostro primo impegno si traduce in un album dedicato a un simbolo di Genova, Niccolò Paganini: che cosa contiene il disco dal punto di vista del messaggio?

Paganini è stata una rock star ante litteram. Innovativo, anticonformista e al di fuori degli schemi. Ci è sembrato che incarnasse alla perfezione l’idea di chi, partendo da una base di classicità, riesce a non farsi inquadrare da schemi precostituiti. In questo senso un esempio valido ancora oggi, in un panorama generale dove il pensiero unico sembra prevalere sulla voglia di sperimentare.

Mi parli della formazione, un misto tra storia e novità?

La formazione comprende, oltre al sottoscritto, Luciano Poltini alle tastiere, un membro storico della formazione 1974 al 1980. Poi due novità, delle quali una assoluta. Si tratta di Elena Aiello al violino, una strumentista con una solidissima preparazione classica (fa parte dell'orchestra sinfonica del Teatro Carlo Felice) ma con una spiccata sensibilità verso il rock ed altri generi musicali. Alla batteria Marco Biggi, strumentista di grande esperienza che ha anche suonato con i Garybaldi. Questa line up è esattamente l'obiettivo che ci eravamo posti sin da subito. Un rinnovamento che tenesse conto della storia dei Latte e Miele (con e senza la “e”). Un capitolo 2.0 ancora in buona parte da sviluppare.

A proposito di Elena Aiello, esiste una connessione tra il suo ruolo specifico e l’album? Mi spiego meglio, un lavoro dedicato a Paganini può nascere solo se nella band esiste chi ha grandi competenze relative al violino o è stata una scelta casuale?

Si è trattato di una fortunata coincidenza. Elena ha ben due diplomi di conservatorio, in violino e in pianoforte, ed è stata allieva di Luciano Poltini fin dall’età di nove anni. Quando cominciammo a progettare la line up della nuova band, io feci il nome di Marco Biggi alla batteria, e Luciano mi parlò molto bene di questa ex allieva. Una volta strutturato l’organico del gruppo, Gasperini della Black Widow mi propose l’idea di un disco su Paganini.

Mi è piaciuto moltissimo l’artwork: me ne parli?

Mi aveva colpito un fumetto che era uscito in allegato al quotidiano di Genova, il Secolo XIX, e mentre lo sfogliavo mi è venuta l’idea di “raccontare” i brani attraverso dei disegni e delle brevi didascalie. Ho contattato gli autori del fumetto ed abbiamo iniziato ad elaborare il tutto.

Il disco è uscito in numero limitato nell’occasione del Prog Festival di Genova, il 18 luglio, ma solo ora è disponibile al grande pubblico: mi spieghi le motivazioni e la pianificazione che avete messo a punto con la Black Widow Records?

Far uscire un disco Prog in piena estate sarebbe stato sbagliato. Oltre a questo, i giapponesi, che sono grandi amanti del prog ma non dimenticano mai le logiche del mercato, hanno chiesto che il disco uscisse contemporaneamente in Italia e in Giappone. Per questo abbiamo dovuto stabilire la fine di settembre come release date.

Proprio in occasione del Prog Festival avete presentato il vostro volto, e il pubblico ha particolarmente gradito… forse non si aspettava un progetto così fresco: non è stata una sorpresa anche per voi la verifica della vostra “consistenza” sul palco?

A costo di sembrare presuntuoso, non avevo dubbi sull’impatto live di questa formazione. Già nelle molte ore di prove che abbiamo fatto, il sound si era definito in modo preciso ed inequivocabile, come un giusto mix tra tecnica ed emozioni. Mi fa piacere che tu usi l’aggettivo “fresco” per definirlo, anche perché si tratta proprio di una ventata di novità. Avevo solo qualche timore che ora posso confessarti. Anche nel prog, purtroppo, esistono gli “integralisti”, e temevo che qualcuno non avrebbe accettato un progetto che, oltretutto, include una “quota rosa” di così grande spessore. Le donne nel prog sono ancora poco rappresentate, e la nostra è stata anche un po’ una sfida. Per fortuna le cose sono andate come hai visto.

I brani storici sono generalmente accettati senza troppe varianti, eppure, nel corso del concerto, sono rimasto colpito da una divagazione sul tema davvero notevole, la proposizione di “Hoedown” (https://www.youtube.com/watch?v=ZIk7X25oNIM) con l’hammond di Emerson in parte sostituito dal violino di Elena, apparentemente un azzardo, ma il risultato è stato sorprendente: come vi è venuta questa pensata, tenendo conto anche della giovane età della vostra violinista, che certa musica potrebbe anche non averla mai ascoltata?

Elena mi ha raccontato che a casa ascolta di tutto, da Mozart ai Motorhead. E poi è impossibile (ma è una battuta) avere a che fare con Luciano per tanti anni e non essere “contagiati “dalla sua passione per Emerson. Musicalmente siamo tutti “onnivori”, e da questo deriva un’apertura mentale che ci consente di rinnovare anche percorsi già sperimentati.

Una domanda che ti ho già fatto sul palco e provo a riproporre: Latte Miele 2.0 è un’idea da portare avanti nel tempo o risponde ad esigenze contingenti e quindi non esiste un programma a lunga scadenza?

Luciano ed io stiamo già discutendo del prossimo album. Sicuramente questo è un progetto che vogliamo portare avanti con altri lavori.

Avete pianificato altri concerti o presentazioni?

L’11 ottobre, al 29 R di Via Del Campo, a Genova, ci sarà la presentazione ufficiale dell’opera. Ringraziamo la titolare Laura Monferdini per la sua gentilezza ed ospitalità e aspettiamo un po’ di amici e fan alle ore 17,00.
E da qui si parte…


Line-up:
Massimo Gori: Bass, Vocals
Luciano Poltini: Keyboards
Elena Aiello: Violin
Marco Biggi (Paolo Siani, Garybaldi): Drums

Brani:
Inno
Via del Colle
L’Ora delle Tenebre
Cantabile 2019
Porto di Notte
Charlotte
Danza di Luce
Angel
Cantabile 1835

Versione live