ValerioBilleri
“Er tempo bbono”
(Folkificio)
Da questo spazio ho parlato in più occasioni di Valerio Billeri, cantautore romano che ha all’attivo
un buon numero di album suddivisi su di un lungo percorso che inizia nei primi anni ’90.
Uomo dedito al blues e al folk - amante quindi, anche, degli
aspetti “elettrici” e ritmici - ha assunto già con il precedente “Gospel”
un approccio minimale, intimista, che lo porta a raccontare il suo credo
sottovoce, ma che appare sobrio
anche nella fase di registrazione, una sorta di live in presa diretta dove si
confronta con la sua voce e la sua chitarra, con l’unico ausilio del fido
collaboratore Gian
Luca Figus, con cui
è nata un’empatia naturale che Billeri dichiara nell’intervista a seguire.
Il progetto che viene proposto in questa occasione è
ambizioso, serio, didattico e, a mio giudizio, pienamente riuscito e quindi da
divulgare in ogni dove.
Il disco, proposto e distribuito dal “Folkificio”,
consta di 9 ballad che compongono “Er tempo bbono”,
ovvero la trasposizione in musica di alcuni sonetti che Giuseppe Gioachino
Belli, poeta romano vissuto 150 anni fa, inserì nella sua racconta “Sonetti
Romaneschi”: nessuna interferenza personale, ma un fedele utilizzo delle
liriche originali, utilizzate dal cantautore per raccontare il suo vissuto, creando
un parallelismo tra differenti ere, personaggi, stati d’animo, con una sottointesa
idea che, traccia dopo traccia, diventa convinzione, quella che lo scorrere del
tempo, con tutte le variazioni che condizionano i comportamenti umani, lasci
immutate le cause dei variegati stati d’animo
che incidono sulle nostre esistenze.
Belli maestro di satira, osservatore dei suoi simili visti in azione nel contesto quotidiano, che diventano strumenti e bersagli del suo pensiero,
divertenti e drammatici, diversi uno dall’altro ma, inevitabilmente, raggruppabili
in un unico microcosmo che trova similitudini tra epoche lontane.
Non si trova a proprio agio Billeri nell’attuale contesto
cittadino - nella “sua” Roma -, come racconta nello scambio di battute a
seguire, e allora utilizza un suo probabile maestro scolastico per fare opera
di velata denuncia, in modo educato, come solo un cantautore potrebbe fare,
mettendo a disposizione la sua arte musicale per “urlare sottovoce” cosa
accadeva, cosa accade e, implicitamente, cosa occorrerebbe correggere.
Valerio Billeri prova a condurci verso un ragionamento circolare,
con i sonetti - canzoni - divisi per tema: ('l'oscurità/la morte), (la vita),
(l'universo/la natura), con l’intenzione di spingere l’ascoltatore alla
riflessione rispetto ai problemi della nostra esistenza, il tutto cercando di
dare una visione dell’opera del Belli un po’ più trascendente rispetto all’immediatezza
delle sue parole “scritte per il popolo”.
L’essenzialità delle canzoni segue quindi una volontà
precisa, quella di non distrarre l’ascoltatore, creando un sottofondo morbido
che faciliti la concentrazione sulla lirica e i suoi significati, lasciando
alla trama musicale il compito di accompagnare e condurre la navigazione. Da
sottolineare come il romanesco sia, tra i linguaggi "locali", uno di quelli possibili da
catturare se si mantiene una buona attenzione, magari utilizzando una iniziale
lettura facilmente fruibile in rete.
Dalle parole di Billeri emerge la voglia di riproporre nel
futuro prossimo la musica da band, una dimensione altrettanto soddisfacente, dove
il blues e il folk possono permettere altri tipi di interazione, ma “Er
tempo bbono” appare come contenitore estremamente attuale, reale,
proponibile in molteplici situazioni, capace di condurre a sommessa riflessione
e, si spera, ad azione conseguente.
Ho personalmente un vecchio pallino, che è quello di utilizzare
certa musica all’interno della formazione scolastica, non in modo tradizionale,
ma captando pillole sonore che possano essere analizzate a fondo e usate per…
ragionarci su! La proposta di Valerio Billeri potrebbe essere una via per unire
storia a pensiero contemporaneo: ne sono certo, il trasposto successivo e il
coinvolgimento si tradurrebbe in un grande successo, molto più gratificante di
un ipotetico numero di copie vendute.
Un album per chi ama la poesia, un album per chi ama la lirica
musicata, un album per chi non ha paura di guardarsi allo specchio e giudicare
ciò che vede, un album per chi non teme l’autocritica e l’attitudine all’azione
conseguente.
Un bel album!
I BRANI:
La Creazzione Der Monno
La Bella Giuditta
buy track
La Bbona Famijja
Er Deserto
La Ssedia De Tordinone
La Luna
Chi Va Alla Notte Va Alla Morte
Er Tempo Bbono
Er Tempo Cattivo
La nostra chiacchierata…
È appena uscito un nuovo tuo album, “Er Tempo Bbono” il cui
titolo, per chi non ti conoscesse, indica la tua provenienza: puoi sintetizzare
la tua storia musicale e la tua discografia?
Sono tanti anni ormai che faccio dischi, più che un outsider
sono un outtake vivente del cantautorato italiano. I miei ultimi tre album,
"Giona", "Gospel" e questo appena uscito,
sono i miei preferiti. In “Acque Alte” ci sono forse i miei testi
migliori, ma dal punto di vista musicale qualcosa manca.
Nel disco appena rilasciato riproponi nove sonetti di
Giuseppe Gioacchino Belli: da dove nasce l’idea e l’esigenza di musicare le sue
liriche trasformandole in ballate?
L'esigenza nasce alla necessità di utilizzare qualcosa di
forte, di vero, qualcosa che avesse nei suoi versi la potenza generatrice della
natura e quella distruttrice del tempo (che per altro è una nostra convenzione);
le mie liriche provano ad avvicinarsi a certi livelli. Le parole del Belli
invece risuonano come verità, non hanno filtri né retorica, lui non doveva
vendere, era un puro. La musica era già dentro alle parole, e a volte penso che
sarebbe stato un ottimo bluesman: prendi la canzone “Er tempo cattivo” e
confrontala con “High Water”, di Charlie Patton, vedrai che ci sono
poche differenze nel modo di raccontare le cose.
Viene spontaneo chiedere il legame esistente tra il pensiero
del Belli, vissuto 150 anni fa, e il tuo modo di vedere il mondo…
Io vorrei vedere il mondo con gli stessi occhi del Belli, con
la stessa chiarezza, non sono ancora pronto, il mio comunque è un continuo
stato confusionale, i modi di vedere il mondo cambiano di giorno in giorno, il
modo di vedere gli esseri umani purtroppo no.
Il progetto, come il precedente “Gospel”, appare minimalista…
tu e la tua chitarra: è questa la dimensione che ti dà maggiori soddisfazioni?
Dipende, così riesco a dare più forza alle liriche e
all'interpretazione vocale. Ho trovato molto aiuto, per quanto riguarda la
produzione artistica di questi due lavori, in Gian Luca Figus, che in questi
casi ha la giusta sensibilità per capire dove intervenire e dove no. Ma ora mi
manca il blues e il rumore delle chitarre elettriche… il prossimo disco sarà più
caciarone e ci sarà la mia band.
Entriamo nei contenuti: qual è il fil rouge tra i sonetti?
Che cosa esprimono?
I sonetti, per quanto riguarda il disco, sono divisi in tre
terzine ('l'oscurità/la morte), (la vita), (l'universo/la natura); ho cercato
di dare un senso circolare al lavoro, cosi che l'ascoltatore si sentisse
all'interno di un microcosmo, che il tutto lo portasse a pensare ai temi
principale della nostra esistenza.
Possiamo parlare di un viaggio tra il didattico e il
didascalico per chi non conoscesse la realtà romana dell’epoca?
Guarda, sì, alcuni riferimenti della città che esistono nei
sonetti sono spariti… la città e la sua gente possono così riscoprire un
passato non molto remoto che gli appartiene. Ma questo dal punto di vista
visivo, l'anima della città non è cambiata poi molto, anzi credo per nulla.
Trovi che i sonetti del Belli siano ancora attuali se
pensiamo a cosa Roma - e l’Italia - sta vivendo?
Attualissimi. Il Belli scava nell'animo umano, e non sono
attuali solo a Roma… sapevi che il suo pensiero è stato tradotto in molte
lingue? Persino in Russia il regime temeva i suoi sonetti, ancora fino a poco
tempo fa andavano venduti incelofanati per non farli leggere dagli avventori;
Andreotti nel dopoguerra subì pressioni dal Vaticano per censurare l'uscita
integrale dell'opera Belliana.
Nel corso del
nostro scambio di battute di qualche giorno fa mi hanno colpito due concetti
che hai espresso… il primo riguarda il tuo modo di essere romano, ovvero il tuo
distacco da certe forme di volgarità verbali e comportamentali che spesso
accompagnano l’immaginario comune; la seconda si rifà ad un aggettivo che hai
usato per definire Roma: “oscura”.
Mi spieghi meglio
il tuo pensiero?
Odio l'ostentazione
della volgarità che è venuta fuori in questi ultimi quarant’anni anni da un
certo modo di fare cinema degli anni ‘70, dalla tv, il modo di alzare la voce,
di strascicare le parole… una volta il romano non era così! Anche il Belli usa
le parolacce, possono essere un arma molto forte, ironica geniale, ecco i
vecchi romani erano geniali nell'usarle, il famoso "…io so io e voi nun
sete un cazzo", fa parte di un sonetto del Belli (“li sovrani der
monno vecchio”) ma quello è un atto di denuncia, una terribile sentenza... oggi
si usa quella frase per fare gli sbrasoni, i coatti, senza sapere quello che c'è
dietro, cosa che Monicelli e Sordi ben sapevano…
C’era
una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò
ffora a popoli st’editto:
«Io sò
io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori
vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo
ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo
vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si
vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la
vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi
abbita a sto monno senza er titolo
o dde
Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello
nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co
st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno
tutti in zur tenore;
e
arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».
21
gennaio 1832 - De Pepp’er tosto
Per quanto riguarda
l'oscurità, ci sarebbe da fare un grande discorso… sai che fine ha fatto il
fondatore? Romolo fatto a pezzi dai suoi stessi senatori e sotterrato in vari
punti strategici a protezione della città… ecco il peccato originale, il
susseguirsi continuo del sacrificio, le bellezze di Roma, i suoi monumenti, le
sue opere d'arte sono un continuo esorcismo verso la parte scura della stessa;
sai perché Roma è stata così importante nella cultura, nella storia nell'arte? Non
solo per l'Impero, sarebbe finito tutto là, ma sarà sempre così perché questa
città, dove i piani temporali si intrecciano, piena di arte e di nefandezze, è
il più grande monumento alla vera essenza dell'animo umano, non c'è salvezza ma
solo un continuo ripetersi della morte e della bellezza. Ecco perché è eterna.
Entriamo in qualche
risvolto tecnico… l’album è stato registrato in presa diretta in pochissimo
tempo: ti soddisfa appieno questo tipo di modus operandi?
Sì, preferisco così,
quello è il momento che amo, posso anche lasciare gli errori, non serve la
perfezione; guarda i vecchi dischi dei bluesman, le registrazioni di Lomax…
sono di una purezza estrema… gli American recordings, il primo di Cash… perfetto,
non serve molto per raccontare storie. Voglio che l'ascoltatore abbia
l'impressione del momento del racconto.
Come pubblicizzerai
l’album? Hai pianificato concerti e presentazioni?
No, non ci saranno
presentazioni né concerti specifici, è un lavoro che va suonato voce e chitarra
in luoghi silenziosi; sto provando a contattare festival di poesia e letterari
per presentare il mio lavoro in forma intima, nel frattempo continuo i miei
concerti con le Ombrelettriche, blues e folk allo stato puro ed elettrico: il
16 ottobre saremo a L'Asino che Vola, a Roma.
Ma qual è lo stato
dell’arte nella tua città, se ci riferiamo alla musica e alla cultura in
generale?
Ma, per quanto
riguarda il tipo di musica da me suonata è un po’ difficile trovare spazi
adatti, l'asticella dell’età dell'ascoltatore medio per quanto riguarda il
blues e il folk si sta alzando, bisogna centellinare le uscite mirarle bene, la
città è un fermento continuo, nuove forme espressive d'arte si stanno
affacciando tra i giovani, il modo di fare arte sta cambiando in fretta, sono
molto fiducioso per quanto riguarda le nuove forme, ripeto, un po’ meno per la
musica, la vedo stretta in tempi troppo veloci.