venerdì 30 novembre 2012

Le perle di Augusto Andreoli



Un altro contributo dell'amico Augusto Andreoli.


UNA COLLANA DI PERLE

In questo 6° blocco lasceremo per un attimo da parte (ma solo relativamente!) i Jethro Tull e il loro leader per mettere al centro del palcoscenico un personaggio senza il quale, molto probabilmente, il sito che ci ospita non sarebbe mai nato. Qualcuno di voi avrà già capito a chi mi riferisco. Sì, cari Itulliani vecchi o giovani che siate, stiamo parlando di quel grande musicista – per molti aspetti artisticamente scorretto, cioè troppo originale per rientrare in qualunque rigida etichettatura jazzistica – che è stato Rashaan Roland Kirk.  

Nato nel 1935 a Columbus (Ohio) e divenuto cieco in giovanissima età, Ronald (questo il vero nome di battesimo, cambiato poi in Roland) è stato un artista difficilmente catalogabile: usando la tecnica della respirazione circolare suonava praticamente tutti i fiati, dai sax e clarini tradizionali ad altri di sua stessa concezione (come lo stritch o il manzello),  fino a tutta la famiglia dei flauti (incluso il celebre nose flute) molto spesso contemporaneamente. La sua concezione musicale, pur rifacendosi agli stilemi più consolidati del jazz, era sostanzialmente un insieme di varie influenze, a volte contraddittorie, ma tutte legate da un elemento fondamentale: l’urgenza di esprimere il proprio buio mondo interiore attraverso la manipolazione e l’esasperazione melodica e armonica di ogni tipo di materia sonora. Incluso un orologio a cucù, acquistato durante un tour, che gli ispirerà l’intro del suo brano flautistico forse più noto, Serenade to a Cuckoo, appunto (1964). Cioè quello che la leggenda tulliana narra essere stato il primo pezzo in assoluto suonato sullo strumento da Ian Anderson, che ha influenzato la sua tecnica e che poi è diventato la traccia numero 5 del primo album dei neonati Jethro Tull, This Was. In questo video, Kirk lo ripropone al pubblico durante la sua partecipazione al Montreux Jazz Festival, 1972:



LP (Luoghi e Personaggi)

Big Dipper riding
we'll give the local lads a hiding
if they keep us from the ladies
hanging out in the penny arcades

Già cantata da Ian, con nostalgia domestica da emigrante nella grande Londra (“The Smoke below”), in Up the ‘Pool (album Living in the Past, 1972), Blackpool, città del Lancashire e una delle principali località balneari del Regno Unito, torna ad essere protagonista 4 anni dopo in Big Dipper (album Too Old To Rock ‘N’ Roll: Too Young To Die, 1976). Il titolo richiama un’istituzione della città, le montagne russe, parte del grande parco divertimenti (“the Pleasure Beach”)  che si staglia, insieme alla celebre torre di ferro stile Eiffel, sullo skyline del Golden Mile, il lungomare di Blackpool.




In questa specie di Rimini inglese, tra un bagno nelle fredde acque del mare d’Irlanda e una tazza di tè, non mancano certo le occasioni per tentare la sorte in qualche coloratissima sala giochi. Anzi, nelle numerose penny arcades, dove l’azzardo è lecito e regala ai turisti illusioni a buon mercato. 




IPSE SCRIPSIT-DIXIT

Normally we have a drink at the hotel and then go to bed to read Agatha Christie novels. Or we sit around and say: "Hey, remember the time back in '73 when ..." and that's all we talk about”
(Di solito ci facciamo un drink all’hotel e poi ce ne andiamo a letto a leggere i romanzi di Agatha Christie. Oppure restiamo seduti dicendo “Ehi, vi ricordate quella volta nel ’73 quando…” ed è tutto quello di cui parliamo)

Altro che vite dissolute da rockstar, sesso, droga e rock’n’roll… Forse è proprio grazie a questa ordinaria e in fondo rassicurante normalità che Anderson e compagni sono ancora in giro alive and well and living in !



mercoledì 28 novembre 2012

Fernando Saunders-Happiness


Happiness” è l’album solo di Fernando Saunders, il polistrumentista e produttore americano che spesso abbiamo visto accanto a stelle del rock di prima grandezza.
Si è soliti applicare la proprietà transitiva anche a chi calca i palchi, e se un session man   suona accanto ad un “Dio”, sarà… minimo un santo! E di solito è così, il talento richiama talento. Ma essere virtuosi di uno o più strumenti non significa automaticamente saper condurre un’orchestra, e quindi ci si avvicina sempre con un po’ di curiosità a chi si cimenta nella “produzione propria”, deviando leggermente il proprio percorso.
Fernando è stata per me una grande rivelazione.
L’intervista a seguire chiarirà nei dettagli le dinamiche e i risvolti che hanno portato alla realizzazione di “Happiness”, ma il viaggio personale che si sviluppa nelle tredici tracce dell’album è caratterizzato da dimensioni che oltrepassano le tipiche caratterizzazioni. Rock? Pop, Soul?
Direi… una vita di musica rovesciata in un contenitore capace di miscelare generi e sentimenti, e in grado  di restituire emozioni che cambiano ad ogni passaggio. Sono questi i casi in cui un album - ma capita anche con un libro - diventa il primo bilancio di un’esistenza, e lo sforzo che si compie è elevato, perché concentrare lunghi periodi di storia in minuti di musica - o poche righe di book - è impresa ardua. Fernando riesce nell’intento, con una buona dose di semplicità e linearità, con il solo lasciarsi andare agli istinti, e con largo uso di un’intelligenza specifica affinata nel tempo.
I suoi ospiti principali - Suzanne Vega, Jan Hammer e Lou Reed - impreziosiscono il disco, è evidente, ma occorre sottolineare che sono i normali compagni di viaggio di Fernando, e il compito che lui ha loro assegnato è preciso, studiato per le loro caratteristiche e per il contesto, come sottolineato nello scambio di battute  a seguire.
Happiness” è anche un disco che può arrivare ad un’audience variegata, perché brani come “Reviens Cherie”, “Feel Like Crying oPlant A Seed  toccano i nervi scoperti che tutte le anime sensibili posseggono, e quando le trame vocali si intrecciano a liriche cariche di significati e musica d’impatto, il risultato che si ottiene è maggiore della somma dei singoli, o ogni regola matematica viene superata dall’arte.
Vorrei spendere una parola in più per un brano che di parole non  ne ha, “The Soul of Ostrava”, una rincorsa tra fisarmonica e basso fretless, scritta da Fernando in collaborazione con Zdenek Tlach, tre minuti e mezzo di struggenti atmosfere, e note che … piangono.
Solo la musica ha il potere di pilotare le emozioni!




Fernando Saunders ha risposto alle mie domande.

Sta per vedere la luce “Happiness”, l’album che uscirà per Videoradio. Come nasce la collaborazione con  l’etichetta italiana?

La collaborazione nasce per merito di un mio amico italiano, Giovanni Pollastri; ci siamo conosciuti pochi anni fa, quando stava lavorando con la Venus Records, promuovendo il mio album, “I will break your fall”. Da quel momento siamo rimasti in contatto e ritrovandoci dopo qualche anno abbiamo pianificato di  lavorare ancora insieme ad un nuovo progetto che fosse completamente di “Fernando Saunders”, e che potesse rappresentarmi come un artista completo, cantante, bassista, chitarrista ecc.., e abbiamo vagliato differenti opzioni. Come tu sai la vita riserva sempre nuove sorprese … si entra in un grande cerchio alla ricerca di risposte e… io le ho trovate in Italia, e il momento magico è arrivato quando Giovanni mi ha presentato a Videoradio e RaiTrade, ed è stato un matrimonio realizzato… in Paradiso! Mi è stata concessa totale libertà creativa, che per un artista è un sogno, ma tutto ciò comporta una grossa responsabilità, che conosco bene essendo anche io un produttore, obiettivo e onesto con me stesso. Videoradio, RaiTrade, Giovanni ed io siamo stati a stretto contatto nel corso della registrazione dell’album. In più abbiamo utilizzato alcuni brani che facevano parte di un disco che non è stato realizzato in Italia, così sono stati remixati con l’aggiunta di un nuovo feeling e nuovi “colori”.

Qual è l’elemento conduttore che lega i brani del tuo nuovo album?

Il collegamento tra i vari brani è… il “piantare nuovi semi”. Quando tutto sembra perduto la vita ci riserva una seconda chance, anche quando la perdita riguarda qualcuno che amiamo o amici che ci circondano. I genitori sono come alberi, e gli alberi fanno crescere le foglie, ma anche l’albero un giorno morirà, e le foglie, che sono i figli, diventeranno il nuovo albero. Non è una buona metafora?
L’album racconta differenti storie di vite, dove tristezza e gioia si alternano. La prima canzone è ” Feel Like Crying”, dove duetto con Suzanne Vega. E’ una canzone su come tutti ci possiamo sentire, con la voglia di piangere o di morire,  ma continuiamo a provarci … e l’ultimo brano “Faith Losing Time”, ha per tema la fede e il suo mantenimento. Direi che “Happiness”è un divertente viaggio di vita,
tra musica, liriche e… guarigione.

In “Happiness” sono presenti grandi ospiti internazionali, da Susan Vega a Jan Hammer sino a Lou Reed. Come avvengono le scelte? I brani in cui compaiono sono particolarmente adatti alle loro caratteristiche o esistono altre motivazioni tecniche o … sentimentali?

Sì, ogni canzone è particolarmente adatta alle caratteristiche degli ospiti,  Suzanne Vega, Jan Hammer e Lou Reed. Dal momento che, in un modo o nell’altro lavoro con tutti loro, avevo una visione chiara di ciò che sarebbe stato più funzionale al progetto. Siccome ho completato l’album nella Repubblica Ceca (Ostrava e Praga),  ho pensato sarebbe stato bello mostrare il mio rispetto a Jan Hammer - che è nato in quella zona - facendolo suonare in “Reviens Cherie”, che scrissi anni fa, quando lo incontrai. Lui è stato anche uno dei primi grandi artisti con cui suonai quando arrivai a New York, una band che presto diventò il "Jeff Beck/ Jan Hammer Group". Mi ha insegnato molto sulla musica ed è stato lui ad introdurmi in Europa. Così l’ho chiamato e gli ho detto: ” Sono nella tua patria per registrare il mio nuovo album,  vuoi farne parte?”. Gli ho mandato a New York, dove lui vive, la traccia audio di “Reviens Cherie”, e il brano gli è piaciuto molto e lo ha impreziosito con un suo fantastico “solo”.
Che dire di Suzanne Vega...      stavo facendo uno show con lei, Lou Reed e Joan Baez per il presidente Vaclav Havel, l’ultimo della Cecoslovacchia. Nell’occasione le diedi supporto morale e lei si è offrì di cantare con me non appena io avessi realizzato un nuovo disco.
Lou Reed… avevo cantato con lui molte volte la canzone “Jesus”; io amo la musica gospel e così ho sentito che sarebbe stato bello aggiungere una performance live al disco. Ho prodotto una registrazione dal vivo, mia e di Lou, mentre cantiamo “Jesus”, che poi ho remixato con Giovanni Pollastri: molti fan di Lou Reed non sanno che è una sua canzone, e pensano l’abbia scritta io, essendo Lou ebreo. Ma lui è innamorato del gospel e del soul. Come vedi per ciascuno di questi ospiti esiste una motivazione sentimentale.
Ho anche altre idee relative a collaborazioni future, con artisti con cui ho già lavorato,  come Jeff Beck, Steve Winwood, Slash, Anthony & The Johnson, Joan Baez ...  etc… è una lista molto lunga!
Mi piace miscelare  il vecchio ed il nuovo, ma come possiamo vedere oggigiorno il …”vecchio è il nuovo!”.

Nell’album suoni il basso, la chitarra, canti, e di mestiere fai anche il produttore. Qual è la veste in cui ti trovi maggiormente a tuo agio?

Mi sento a mio agio in tutti i ruoli che hai elencato. Suono il basso, canto,  faccio il produttore e molto altro… come i colori di una tela, tutti gli strumenti, compresa la voce, sono per me colori. Il “produttore” che c’è in me rispecchia il mio lato organizzativo, quello da dove nascono tutti i sentimenti.

 Quali sono le collaborazioni musicali del passato che ti hanno dato maggiore soddisfazione?

Ricordo con piacere Hamilton Bohannon, quando ero un adolescente e vivevo a Detroit… oppure  Marianne Faithfull, Larry Young, Kip Hanrahan, Jeff Beck , Eric Clapton, Jimmy Page, Anthony & The Johnson, Lou Reed, John Mclaughlin e molti altri. Comunque puoi vedere la lunga lista entrando nel mio sito:
www.fernandosaunders.net

Come definiresti il tuo genere musicale?

Il mio stile è un misto di esperienze che ho elaborato lavorando con i diversi artisti a cui accennavo; è come fare un minestrone e la mia grande influenza deriva dalla Detroit Motown, caratteristica del luogo in cui sono nato. La melodia e i cori sono molto importanti … è una vecchia concezione musicale ma funziona; anche Bob Marley era un grande fan di quel movimento e lo puoi dedurre ascoltando la sua musica: melodia e cori. Direi quindi che la mia musica è un misto di soul, pop, gospel, rock e folk, e credo che potrei dire di essere la schizofrenia applicata alla musica!

E’ previsto un tour di presentazione dell’album nel nostro paese?

Sì, il tour è in preparazione, ma occorre individuare la giusta agenzia per organizzarlo efficacemente, perché è fondamentale trovare il modo corretto per presentarmi come  artista “solo”, e far conoscere la mia musica al pubblico italiano.

Come giudichi l’attuale stato del businnes legato alla musica?

Sento che il businnes musicale sta cambiando… come tutte le cose DEVE cambiare, ma non so dire se è incanalato verso un miglioramento o, al contrario, ci aspettano momenti ancora più bui. Le cose si muovono in modo circolare e credo che per i CD succederà come per i libri, perché siamo umani e amiamo il contatto fisico che si può avere con un CD o un libro, ma da’altra parte è bello avere la possibilità di scaricare dalla rete la musica che ci piace.
Il grande problema che vedo è che il 30% della gente nel mondo non crede nell’utilità dell’acquistare CD , e vede la musica come una totale fruizione gratuita. Anche youtube è una grande idea, ma chi ha più bisogno di comprare un CD o una canzone quando può ascoltare, scegliere e scaricare dalla rete? E’ anche vero che in questo mondo digitale si può raggiungere facilmente un vasto pubblico, ma naturalmente è molto difficoltoso per gli artisti e per le etichette discografiche sopravvivere. Il businnes della musica troverà forse un compromesso, utilizzando un po’ di “vecchia scuola” e riportandola sulla strada, invece di dipendere da facebook e youtube. Ma sono contento che gli artisti abbiano maggior libertà creativa senza dipendere dalle case discografiche, e in questo modo si può trovare la via per lavorare di comune accordo.
Io vedo il mondo della musica in continua crescita, e il mio album “Happiness” può essere un buon esempio di prodotto in piena collaborazione tra artista, etichetta discografica e management: lavorare in team è sempre vincente! 

Che importanza dai alla la tecnologia nel tuo lavoro quotidiano?

Amo l’evoluzione tecnologica, è importante nel mio lavoro e negli aspetti comunicativi. Ma la tecnologia deve essere controllata e non deve essere lei a controllare noi, e poi… è fondamentale mantenere il contatto umano, laddove è possibile.

Potresti definirti un uomo… felice?

Sì, un uomo e un gentiluomo; di tanto in tanto esce l’adolescente che c’è in me, e quando canto con tonalità molto alte emerge il mio lato femminile, che io chiamo scherzosamente “Fernanda”.
Ho letto qualcosa di veramente bello scritto da Bruce Springsteen a proposito dell’essere uomo: “ E’ tempo di vivere diventare un uomo”. La stessa citazione potrebbe andare bene per una donna.
Sì… sono molto felice, e orgoglioso del mio nuovo album “Happiness”. Realizzare questo disco mi ha spinto ad andare in profondità, guardarmi dentro ed aprire molte porte che erano rimaste chiuse… e questo nuovo inizio come artista solista mi ha portato ad iniziare un nuovo capitolo della mia vita.



Biografia

Nato a Detroit, Michigan (USA), Fernando Saunders non è solo conosciuto come un ottimo bassista, ma anche come compositore e produttore. Sin dagli anni Ottanta ha solcato i palchi di tutto il mondo, lavorando con artisti della fama di Lou Reed e Marianne Faithfull, con i quali ha scritto e prodotto alcuni dei loro ultimi album; in passato ha fatto parte come elemento chiave del prestigiosissimo progetto a cavallo tra rock e jazz The Jeff Beck/Jan Hammer Group. Enorme anche l'attività dal vivo che lo ha visto collaborare, tra i tanti nomi, con Joan Baez, Jimmy Page, Eric Clapton, Steve Winwood, John McLaughlin, Joe Cocker, Slash, Tori Amos e persino Luciano Pavarotti.
Rolling Stone Magazine ha definito i brani del suo album 'I Will Break Your Fall', pubblicato nel 2006, come 'bellissime pop song d'autore, che arrivano a toccare il cuore delle corde'.
Il suo stile varia dal pop al rock, dal latin al soul, e Fernando si sente a suo agio in ognuno di questi territori musicali, che fanno da sfondo alla sua vellutata voce tipicamente soul.

martedì 27 novembre 2012

GREG LAKE a Zoagli-"Word Sculptures - racconti e note di una leggenda..



A Zoagli incontro esclusivo con 
GREG LAKE, il mito del rock progressive 

Venerdì 30 novembre alle ore 21.15 nelle splendide sale del Castello Canevaro a Zoagli (GE) si terrà "Word Sculptures - racconti e note di una leggenda...", un incontro con il leggendario vocalist, bassista e chitarrista inglese Greg Lake
L'evento arriva all'inizio del tour italiano di Lake, assente dal nostro paese dal 1997, nel pieno di un suo intenso periodo di riflessione autobiografica: non a caso il suo nuovo tour solista di chiama Songs Of A Lifetime: An Intimate Evening With Greg Lake, presentato proprio con il motto "La musica, gli aneddoti, domande e risposte con il pubblico e molto altro". 
Greg Lake ha dichiarato: "L'idea di una performance intima e autobiografica è una grossa sfida, è qualcosa di talmente stimolante che il solo pensarci mi emoziona: ho voglia di creare uno show diverso ogni notte, memorabile e unico, inatteso e d'impatto. Un evento intimo e imprevedibile insieme al pubblico".
 Nato a Poole il 10 dicembre 1947, dopo aver militato con gruppi underground come Shame, Shy Limbs e Gods, debutta nel 1969 con i King Crimson di In The court Of the Crimson King. Sua la voce nell'indimenticabile capolavoro del progressive, di cui interpreta l'atteggiamento più sfrontato e virtuosistico - incarnando anche lo slancio melodico e la vocalità suadente - con il supergruppo Emerson Lake & Palmer. Il trio, nel quale canta e suona basso elettrico e chitarre, è tra i protagonisti del rock internazionale degli anni '70: durante il decennio Greg collabora anche con Pete Sinfield, fonda l'etichetta Manticore, dopo lo scioglimento del gruppo lancia la propria carriera solista. E' un'avventura longeva e di grande successo, tra collaborazioni importanti (da Bob Dylan a Ringo Starr) e reunion con Emerson e Palmer, come quella del 2010 a Londra. Nel 2005 Greg Lake torna dal vivo con la sua band e ancora oggi è attivo on stage, con tanta voglia di raccontarsi.

Dopo la serata di Piacenza (28 novembre) e prima dei successivi cinque concerti (Roma, Bologna, Verona, Trezzo sull'Adda e Firenze), Greg approfitta del suo soggiorno italiano per incontrare il pubblico al Castello Canevaro, in una serata organizzata dal Comune di Zoagli in collaborazione con il promoter Paola Tagliaferro per ARTUPART e il Festival Internazionale di Poesia di Genova, che già ospitò Pete Sinfield e Peter Hammill. Ingresso gratuito posti a esaurimento.
Con l'artista inglese ci sarà Max Marchini, firma di Rockerilla e autore del nuovissimo libro Word Sculptures dedicato a Lake, che accompagnerà il pubblico nella lunga e ricca carriera dell'artista tra musica, aneddoti, racconti e ricordi.


Per informazioni per l'incontro di Zoagli:
OWL RECORD
Paola Tagliaferro tel. 3470371357

per informazioni sui concerti del tour:
Ufficio stampa Synpress44:  http://www.synpress44.com

Sito di Greg Lake: http://www.greglake.com

lunedì 26 novembre 2012

Novembre, mese tulliano...




L'amico Wazza Kanazza ci ricorda che...


Novembre (nel bene e nel male), mese tulliano.

Il "Gerovital"  era un farmaco contro l'invecchiamento, noi abbiamo il "Jethrovital", che ci aiuta a non invecchiare (almeno nella testa). Vorrei ricordare ai Tulliani alcune ricorrenze novembrine… felici e tristi (meglio tardi che mai).
Novembre è il mese ricordato generalmente per i "morti", e senza doppi sensi, vi ricordo che...

Il 2 novembre (per l'appunto) del 1947, nasce Dave Pegg, grande bassista, mandolinista e "caucciù", che non è uno strumento ma è il tubo per svuotare le taniche di vino!, Mai visto bere uno cosi! Fairport Convention e Jethro Tull, sono i gruppi della sua vita. (Happy Birthday Dave)
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Il 17 (guarda caso) novembre del 1946 nasce Martin "Lancelot" Barre, mitico chitarrista dei Jethro Tull, dal 1969 al 2011, poi accantonato da Anderson per "nuovi progetti" - ma che glielo avrebbe "messo in quel posto" era da anni nell'aria (vedi foto allegata!). Happy Birthday Martin.



Il 17 (guarda caso) novembre del 1946 nasce Martin "Lancelot" Barre, mitico chitarrista dei Jethro Tull, dal 1969 al 2011, poi accantonato da Anderson per "nuovi progetti" - ma che glielo avrebbe "messo in quel posto" era da anni nell'aria (vedi foto allegata!). Happy Birthday Martin.




Sempre il 17 (poi dicono che è solo superstizione!) novembre del 1979, moriva John Glascock, basso e cori, dei Jethro Tull, pochi ma intensi anni, con grandi album pubblicati,(la formazione a cui sono più legato "sentimentalmente"). RIP John.

Un'altra disgrazia, sempre a novembre.
Il giorno 26, nel 2005, dopo una vana lotta contro un tumore al pancreas, moriva Mark Craney, batterista dei Jethro Tull nel 1981, dotato di grande tecnica, apprezzato dai migliori batteristi americani, grande amico di Doane Perry. RIP Mark.




E per non farci mancare niente va ricordato (per molti fans una disgrazia), che il 18 novembre 1983, usciva "Walk into light", primo lavoro solista di Ian Anderson.
All'epoca si diceva che se c'era un artista che non aveva bisogno di fare un album solo era proprio Ian Anderson… la grande delusione fu che tutti si aspettavano un album di ballate folk-acustiche, con overdose di flauti, mandolini, tin whistle, chitarre acustiche, e invece spiazzò tutti con  un mix tra Ultravox e Depeche Mode, in piena "coerenza" con i maledetti (musicalmente) anni '80.

Anderson "giustificò" questo lavoro così:  "Pensavo che mi avrebbe divertito molto registrare un album senza il gruppo. Quando un gruppo registra un nuovo album, la maggior parte dell'anno se ne va via in registrazioni, promozione, tour. Mi sono quindi deciso di intraprendere questo mio progetto, non solo per il semplice fatto di creare suoni, ma anche per imparare a registrare negli anni'80, in termini di nuove apparecchiature. Con i Jethro Tull abbiamo sempre lavorato con un tecnico e anche se nel ruolo di produttore ho una certa conoscenza di questioni tecniche, non mi sono mai sentito totalmente responsabile e volevo imparare ad esserlo. Un'altra ragione per cui ho deciso di tirar fuori un mio album è stata quella di evitare le stesse persone... volevo lavorare da solo e scoprire da solo nuove cose. Poi c'era il fatto che potevo lavorare in casa, stare vicino alla famiglia, per un anno senza tour, imparare di nuovo a fare un disco in casa!".

Personalmente quando lo comprai, vedendo la copertina mi vennero dei "sospetti"… capelli corti e stirati, look da impiegato dell'Inps… ma dopo qualche sbandamento ho recepito il messaggio; Walk into light è un lavoro a 4 mani, aiutato dal giovane prodigio dell'elettronica Peter John Vettese, che avviò Anderson nel nuovo mondo dei "suoni campionati", ed è praticamente un "tirocinio" alle nuove esigenze di registrazione.
L'album vendette poco o niente, la critica non se lo filò più di tanto, e i fans come sempre si divisero fra i "traditi" e gli "innovatori"
Lo preferisco di gran lunga ad "Under Wraps",  e brani come Made in england,Toad in the hole, End Game, non sono affatto male, e se fossi Anderson li riproporrei dal vivo arrangiati alla Jethro… farebbero certamente un altro effetto!
Penso che sia un album da rivalutare o almeno riascoltare senza preconcetti, come sarebbe da rivalutare Vettese, entrato nei Jethro Tull rispondendo ad un annuncio di "Melody Maker", diventato in seguito un apprezzato tastierista e produttore di molti artisti di successo, reo per i fans di aver "condizionato" Anderson alla svolta elettronica... ma dai Anderson vi sembra uno che si fa condizionare!? Detto alla Totò.."ma mi faccia il piacere!"

Infine il 30 novembre parte il "Thick as a Brick Italian" Tour, dal Teatro Gex di Padova... per sei concerti. il Jethrovital funziona!!!

Buon novembre a tutti
WK

  




sabato 24 novembre 2012

JJJ Night in arrivo...




1° DICEMBRE AT MUDDY WATERS – J-J-J NIGHT THE ROSE PER JANIS JOPLIN AL VOSTRO SERVIZIO - RIDERS ON THE STORM PER I DOORS E DANIELE FRANCHI TRIO PER JIMI HENDRIX !


THE ROSE

"I The Rose sono il tributo Internazionale di Janis Joplin più autorevole e conosciuto d'Italia; la band ha un attivo di circa 80 show all'anno in tutto il paese e anche all'estero.
Tara Degl'Innocenti, cantante professionista e fondatrice della Band, è la leader indiscussa, non solo come frontwoman nei panni di Janis Joplin, ma definita e consacrata da tutte le più importanti testate di giornale del nostro paese come "MIGLIORE INTERPRETE ITALIANA DI JANIS JOPLIN".

La testata svizzera " Il Giornale del Popolo" definisce la talentuosissima cantante come " LA JANIS JOPLIN ITALIANA" in occasione della seconda apparizione di Tara al più importante Festival di Lugano, il: " BLUES TO BOP FESTIVAL".
La band si è esibita con i BBHC, band originale di Janis Joplin con i quali i The Rose hanno suonato il 1° Novembre 2010 presso il locale Druso Circus di Bergamo, in uno show organizzato dalla cantante Tara Degl'Innocenti che ha partecipato anche allo show “Woodstock all'Emiliana”,  insieme al chitarrista Andrea Braido che omaggiava Jimi Hendrix.
Lo show dei The Rose è ad alto impatto emotivo… la band cura minuziosamente ogni minimo particolare dal sound fedele a quello magico degli anni '60 all'aspetto visivo, e i musicisti sono vestiti a tema hippie e la cantante Tara possiede costumi fatti su misura identici a quelli di Janis, oltre ovviamente ai leggendari accessori come occhiali rotondi, boa, bracciali ecc..
Fra i prestigiosi locali e festival che ospitano i The Rose si ricorda: Naima Club Forlì, Hard Rock Cafè Bucarest,Zurigo Festival, Blues to Bop di Lugano, Sashall Firenze, Brudstock Festival, e molte importanti rassegne e Festival Europei ecc.

www.therose.it

RIDERS ON THE STORM

L'attuale formazione dei Riders On The Storm nasce a Genova nel 2009 dall'amore e dalla passione che tutti i membri della band nutrono per i Doors, con l'intenzione di ricreare sia musicalmente che spiritualmente l'atmosfera della storica band californiana.

La somiglianza vocale e l'interpretazione del cantante fanno da traino ad una accuratissima riproduzione strumentale dei pezzi, sostenuta dall'utilizzo della medesima strumentazione che i Doors utilizzavano per i loro concerti.
Il repertorio della band si estende a tutta la discografia di Jim e soci, comprendendo sia le hit più famose, sia numerose chicche per intenditori.
La scelta di avere il basso in formazione ha lo scopo di poter riprodurre fedelmente non solo l'aspetto live della band ma anche quello in studio.




DANIELE FRANCHI TRIO JIMI HENDRIX



DANIELE FRANCHI


Giovane chitarrista genovese, inizia la carriera professionale all’età di diciotto anni accompagnando artisti del calibro di Daniele Silvestri e Beppe Dettori dei Tazenda. 
Calca numerosi palchi italiani e non con la band Zibba&Almalibre, aprendo concerti di Jack Bruce, Gary Husband e Robin Trower. 
Con Zibba partecipa al Premio Tenco all’Ariston di Sanremo, trasmesso su Rai2, ed al programma televisivo di Serena Dandini e Dario Vergassola “Parla con Me” su Rai3.
Attualmente è all’attivo col “Daniele Franchi Trio” composta da Davide Medicina al Basso ed Andrea Tassara alla batteria proponendo un repertorio sofisticato tra il Blues e il Rock.
Nel Marzo 2012 esce il suo primo disco "FREE FEELING" con ospiti quali Paolo Bonfanti, Sean Carney, Francesco Piu, Ray Scona.

venerdì 23 novembre 2012

Le Orme-Collage


Poster di Ciao 2001

Scrivevo un pò di anni fa...

Ad inizio anni 70...
mentre iniziavo a conoscere i nuovi profeti della musica “progressive”, incappai in quello che per me ha sempre rappresentato l’inizio prog in Italia.
Parlo di “Collage “ delle Orme.
Ricordo come fosse adesso quel giorno in cui il mitico Fulvio, sempre all’avanguardia in fatto di informazione musicale, mi disse che era uscito un disco delle Orme, e mi raccontò minuziosamente, come solo lui era capace di fare, ogni singolo pezzo, lato A e lato B, con descrizione dell’eterea copertina.
Che stupore!
Le Orme per me erano quelli di “Irene”, ovvero una canzonetta, bella, ma non certo impegnativa. Acquistai il disco.
Sempre attraverso Fulvio, avevo conosciuto gli ELP e l’accostamento tra i due gruppi mi venne facile.
La formazione a trio, la stessa tipologia di strumenti, le arie classicheggianti, il bassista che canta….
Davvero un bel disco.
Come ho spesso raccontato su queste pagine, l’informazione del tempo passava attraverso “Ciao 2001” ed oggi utilizzo la recensione originale per proporre, attraverso gli occhi di Maurizio Baiata, il pensiero del tempo.
Il contenuto può essere discutibile, ed è in ogni caso il sentimento di un particolare momento, in un contesto di estrema eccitazione musicale.
Eravamo molto giovani e sapevamo prendere con molto entusiasmo tutto “il nuovo” in arrivo.
Evidenzio comunque che le recensioni di Ciao 2001 avevano la possibilità di influenzare pesantemente i giudizi e… gli acquisti.
Questo è facilmente capibile, dal momento che non esisteva alternativa informativa, e quel giornaletto era una specie di vangelo musicale.

IL RIMPIANTO.
Ho buttato via tutta quella “cartaccia” che riempiva la stanza troppo piccola.
Era il momento in cui “Ciao 2001” rappresentava il passato, ma io ero ancora troppo giovane per sentire l’esigenza di mantenere “le cose” che alimentano i ricordi.
Ovviamente sono pentito e mi piacerebbe tanto avere ancora quei mini poster che un tempo attaccavo alle pareti della stanza e sulle ante dell’armadio.
Fortunatamente esiste internet e sono quindi in grado di proporre la recensione a seguire.
A mio giudizio è un bel documento.

LE ORME

Collage - Philips (1971)

"Era molto tempo che in Italia si attendeva un disco veramente interessante. Fra i cantautori avevamo avuto solamente un superlativo Francesco Guccini ("L'isola non trovata"), mentre lo stesso Battisti ha per buona parte deluso con il suo "Amore e non amore". Fra i gruppi, dopo i tentativi degli esordient, fra i quali segnalai i Trip ed i Gleemen, ed i "ringiovanimenti" della vecchia guardia ("Id" della Nuova Equipe 84 contiene qualche spunto interessante), sono usciti i New Trolls con il loro "Concerto grosso", un medley gruppo-orchestra ad imitazione dei Deep Purple, ed i Formula Tre con il loro secondo LP. Ma questo album delle Orme mi sembra fra tutti decisamente il migliore.
"Collage" premia gli sforzi di uno di quei gruppi nostri che fin dall'inizio hanno cercato strade nuove, handicappati tuttavia dalla necessità dei 45 giri commerciali, e dall'imitazione straniera fin troppo evidente.
Anche qui i modelli stranieri sono facilmente lievabili: i Traffic in alcune linee melodiche di vago sapore folk (Stevie Winwood ha influenzato sempre da vicino la produzione dei Toni Pagliuca); e Keith Emerson, la cui recente esplosione ha incoraggiato l'organista italiano in quel discorso di riaggancio al classico già suo da tempo. Certe affinità espressive, la formazione triangolare (organo e piano, basso e chitarra acustica e canto, batteria e percussioni), l'uso temperato dell'elettronica, senza esagerato effettismo o sapore scenico, avvicinano le Orme a quello che viene oggi definito il più preparato gruppo inglese, gli ELP:
C'è però nello stesso tempo un lavoro di assimilazione personale da parte del trio italiano, per cui Pagliuca, Aldo Tagliapietra e Micki De' Rossi approdano ad un sound assai originale nell'attuale panorama nazionale. Nel barocchismo formale della bellissima prima facciata, come nella moderata sperimentalità della seconda, nei cantati che non tradiscono una certa impostazione prettamente italiana (ogni tano fa capolino Battisti), come nelle porzioni esclusivamente strumentali, che prevalgono, è sempre presente una linea comune, che supera l'apparente frammentarietà dell'album, e ne costituisce la spina dorsale al di là di ogni definizione stilistica.
"Collage", che apre l'album e gli dà il titolo, è un pezzo di chiara fattura classicheggiante, nelle forme ora trionfali dell'organo, ora quasi minuettistiche del clavine. "Evasione totale", quasi sette minuti, cerca un nuovo linguaggio espressivo mescolando il classico all'elettronico. Gli altri brani hanno sapore realistico nei testi, e musicalmente evidenziano temi ed arpeggi delle tastiere sorretti da un background ritmico eccellente. Notevolissima "Cemento armato", che supera gli otto minuti.
I titoli sono tutti firmati Pagliuca-Tagliapietra, anche se al primo vanno i meriti maggiori. E' presente a tratti l'orchestra diretta da Giampiero Reverberi.
Un album "Collage" che dovrebbe occupare le primissime posizioni della classifica italiana, in attesa di altre due speranze, i Panna Fredda e la Premiata Fonderia (sic) Marconi.
Maurizio Baiata"

Il filmato che propongo non è tratto da "Collage", ma è davvero antico, e soprattutto conforta quanto appena scritto a proposito della similitudine con gli ELP, dal momento che "Rondò" è lo stesso brano "cavalcato" dai Nice di Emerson.

Da: "Speciale per Voi", condotto da Renzo Arbore