Era l’ottobre del 2010
quando commentavo "La Locanda del
Vento", l’allora quarto album dei Lingalad.Alla fine
dell’intervista di rito chiesi al fondatore, Giuseppe Festa:
E la musica.. quale alchimia può concretamente compiere?
Per me è stato un veicolo espressivo fondamentale: parole
sconosciute che si trasformano in emozioni e trasmettono significati comuni,
trasversali.
Quell’insieme di stati
positivi e situazioni di vita si arricchiscono per mezzo di esperienze fondamentali
che, se da un lato hanno frenato l’attività del gruppo, dall’altro hanno permesso
di arrivare, dopo cinque anni, al nuovo disco, Confini
Armonici.
A proposito del titolo…
“ … i confini del mondo letterario e di
quello musicale si muovono in modo armonico e finiscono per intersecarsi,
creando un luogo, una “terra di mezzo”, in cui ha messo le radici la nostra
musica.”
Quale il contenuto?
Abbandonato il filone “Tolkien”,
il nuovo punto di partenza sono i personaggi che popolano i libri di Festa - Il passaggio dell’orso e L’ombra
del gattopardo (Salani Editore) - ed è proprio questa sua intensa attività,
unita all’impegno televisivo, a giustificare il lungo gap discografico che solo
oggi trova l’approdo in un nuovo
contenitore musicale.
Il fascino della
proposta risiede nell’evocazione che certa musica evidenzia, immagini e storie
che fuoriescono dalla sede originaria per trovare dinamicità e nuovo volto,
colpendo l’immaginazione e rispolverando ricordi che appaertangono ad ognuno di
noi.
Dalle pagine dei
racconti si ergono i protagonisti e si materializzano, attraverso la fusione
tra sonorità folk e liriche, o sola melodia.
Sono infatti tre i
brani strumentali - L'ombra del
gattopardo, Il passaggio dell’orso
e Orante della morte - che risultano
altrettanto efficaci nella creazioni di pictures bucoliche, ma si sa, spesso
non c’è bisogno di parole per arrivare al cuore!
La natura è l’elemento
fondamentale, l’argomento di cui i
Lingaland sono i portavoce, immaginando e proponendo un’interazione tra le
parti, e disegnando angoli di mondo che sanno di libertà, di ambiente “pulito”,
di rapporti umani di qualità, di tempo a disposizione per assaporare la
semplicità di un incontro casuale, riempiendosi il naso e la mente di profumi
naturali idee nuove.
L’ascolto del folk
rock dei Lingalad non necessità di molte spiegazioni.
E’ semplice entrare in
sintonia, così come è facile essere permeati di velata tristezza, per la spinta
fondamentale che certa musica può dare quando si associa la storia personale ad
occasioni mancate, o solo sfiorate.
La visione a seguire
del video Occhi d’ambra chiarirà parte del mio pensiero.
Anche le immagini dell’artwork
“parlano”: “Metaforicamente parlando, la
natura ci ha sempre dato gli “strumenti” per suonare. Ora, nel concept grafico
del cd, questa metafora si è fatta quanto mai letterale!”
Un film, un libro, una
canzone, un ritmo… Confini Armonici, concorre nel creare un’oasi di pace e un
momento di riflessione e un possibile ricongiungimento con le radici, spesso sostituite
da convinzioni distorte: un disco portatore di serenità!
LINGALAD
CONFINI ARMONICI
Lizard Records
11 brani, 40 minuti
Tracklist:
1 – Sogni
d’oblio
2 – Orante
Della Morte
3 – Occhi
d’ambra
4 – L’ombra
del gattopardo (strumentale)
5 – La
grande orsa
6 – Nella
terra di Aku
7 – Un solo
destino
8 – Il
passaggio dell’orso
9 – Nel
diario di Maria
10 – Oltre
il confine
11 – Orante
Della Morte (strumentale)
LINGALAD:
Giuseppe
Festa (voce e flauti)
Giorgio
Parato (batteria)
Luca
Pierpaoli (chitarra acustica)
Andrea Denaro
(strumenti etnici)
Dario Canato
(basso)
Claudio
Morlotti (strumenti etnici dal 2000 al 2012)
Corrado Rossiritorna all’impegno
discografico e svolta, o meglio, ritorna al punto di partenza, lasciando un
attimo da parte il successo d’oltreoceano legato alla sua Word Music e
proponendo “quartetti d’archi e
pianoforte”: cambiando i fattori il prodotto resta immutato, dal momento
che il suo In the Peony Gardenè stato premiato in un concorso
realizzato dall'Akademia Music Awards di
Los Angeles, come miglior album nella categoria “Musica Classica”.
Nove tracce
magiche, registrate a Budapest, con musicisti della Budapest Symphonic Scoring Orchestra, permettono a Corrado di
ripercorrere la sua vita, con l’influenza degli affetti più cari - e questa è
una realtà - ma immaginando un momento intenso in un luogo d’altri tempi,
circondato dalla pace assoluta, in perfetto accordo con la natura rigogliosa,
curata e curatrice, di certo protettrice: le peonie regnano, ma sono in buona compagnia.
E’ questo il
sottofondo che permette al pianista bergamasco di inventare musica e poesia,
epigrammi musicali che sanno raccontare, come e più di una lirica.
Invidio chi,
immaginando luoghi, persone e cose, riesce ad isolarsi dalla frequente noia e
mediocrità del quotidiano, dedicando suoni e armonie a idee e concetti,
firmando con un titolo che marchierà a vita un brano musicale e il suo protagonista,
che vivrà per sempre attraverso quei pochi minuti di ispirazione.
La musica che
Corrado Rossi propone nel nuovo disco ha questa peculiarità, con il valore
aggiunto che gli episodi di vita “raccontati” diventano con semplicità gli
stessi dell’attento ascoltatore, che entra in piena sintonia con l’autore.
Apro il CD, lo
estraggo, e ciò che appare è la frase che sintetizza l’album, un’anticipazione
che induce a pigiare rapidamente lo start per un primo giro di giostra…
“Nei miei
giardini
ti schiudi, Malinconia,
profumo di ricordi
inquietudine dolce
speranza e domani”.
L’INTERVISTA
E’ da poco uscito il tuo ultimo lavoro, “In the Peony Garden”: mi spieghi
la motivazione del titolo?
“In The Peony
Garden” può forse sembrare un titolo inusuale, ma per me è qualcosa di
speciale: ho pensato infatti di ambientare l'album in un giardino, uno di quelli
tipici delle ville padronali del 1700 che ho sempre ammirato, con vegetazione
lussureggiante, laghetti, ponti, fontane e naturalmente peonie (i fiori
preferiti di mia moglie). Vivendo in un appartamento in città, ho sentito il
bisogno di evadere almeno mentalmente dal caos e così mi sono immaginato
all'interno di questo giardino, seduto al pianoforte e ho preso spunto da ciò
che la mia immaginazione vedeva e sentiva, o voleva semplicemente vedere e
sentire... “Nei miei giardini”, che rappresentano metaforicamente la mia
interiorità, hanno preso poi vita tanti “personaggi” con le loro storie e le
loro emozioni.
In cosa si differisce dai tuoi precedenti dischi, in
particolare dall’elettronico “Panta
Rei”?
Questo è un album di genere neoclassico, sono dieci
quintetti (quartetto d'archi e pianoforte) che ho registrato lo scorso maggio a
Budapest con alcuni musicisti della Budapest Symphonic Scoring Orchestra. Qui
non c'è niente di elettronico, ma sono un pò ritornato alle mie origini. É
stato emozionante registrare nel magnifico Studio 22, presso la sede della
Radio Nazionale Magiara, su uno stupendo Bosendorfer Imperial!
Sbaglio o ci sono passaggi dedicati ad una persona che
ti è molto vicina?
Tutto l'album ripercorre un pò alcuni momenti della mia
vita e non potevano mancare quelli con Anna. C'è anche la nostra storia e il
primo e l'ultimo brano ne fanno capire bene il senso: da “In The Beginning” fino a “For
A Lifetime”... Anna mi ha dato la motivazione a comporre ed è sempre la
prima che ascolta i miei brani, mi dà suggerimenti e cura “ l’immagine” dei
miei lavori (packaging e grafiche).
Quando poi è arrivato mio figlio Davide, la mia vita è
diventata più completa: fare il papà mi piace molto. Un brano è composto
appositamente per lui e mentre lo registravo ho sentito un nodo salirmi in gola
e a stento sono riuscito a trattenere
l'emozione.
E’ un album facilmente replicabile dal vivo? Hai
pensato a proporlo in quella veste?
Non ti nascondo che ci ho pensato, perché questo lavoro
si presterebbe molto bene a essere suonato dal vivo. Mi piacerebbe, ma è sempre
difficile trovare spazi e sponsor. Spero
di trovare qualcuno che mi proponga un certo numero di date, altrimenti, come
si suol dire, la spesa non varrebbe l'impresa: come ben sai, per affiatare un
gruppo di musicisti ci vogliono un po' di prove... le partiture, comunque, sono
già pronte!
A chi ti sei affidato per art work, produzione e
distribuzione?
Anna ha curato la parte relativa all'immagine del
disco, sono sue infatti le foto che sono state poi utilizzate per la copertina.
L'album è distribuito dalla casa di produzione Soundiva
di Milano che ha co-prodotto il disco insieme a me e, per la prima volta, è in
vendita il CD fisico nel negozio storico della mia città!
Hai programmato anche una sorta di pubblicizzazione
/divulgazione?
Durante la registrazione a Budapest il mio editore ha
ripreso varie tracce video che poi sono state montate e sincronizzate in
editing. Ne sono nati 10 video, uno per ogni brano dell’album, che sono serviti
per pubblicizzare il disco. Ho partecipato anche ad una trasmissione radio
della mia città che trasmette attraverso un canale televisivo: in
quell'occasione ne hanno mandati alcuni. Prossimamente avrò una breve
intervista a Radio Mozart, una web radio.
Sono abituato ai tuoi successi oltreoceano: c’è
qualcosa che bolle in pentola?
Beh, ci ho provato e ho mandato il disco ad un concorso
organizzato dall'Akademia Music Awards di Los Angeles. Qualche giorno fa ho
ricevuto una mail che mi avvisava che “In The Peony Garden” aveva vinto come
miglior album nella categoria “Musica Classica” con questa motivazione:
“Corrado Rossi
delivers a compelling and distinct album with enchanting piano, graceful
strings and flawless arrangements tying all together; each song richly worthy
of mention.”
“Corrado Rossi propone un Album interessante ed
elegante, con un Pianoforte incantevole, archi leggiadri e perfetti
arrangiamenti. Ogni brano è meritevole di menzione.”
Certo vincere fa piacere, ma sapere di essere stati
ascoltati e che qualcuno per il quale sei un perfetto sconosciuto abbia speso
delle parole per la tua musica, dà la carica e la voglia di andare avanti e non
mollare mai!
Ed ecco l’album che
non ti aspetti. Me la vedo la felicità composta e controllata di Matthias Sheller dopo il primo ascolto!
Tutto questo ben di Dio in una botta sola? Che debutto scoppiettante!
I tre fratelli Wistons -
Enro, Rob e Linnon - sono in
realtà musicisti carichi di mostrine sulla divisa, e hanno in comune il DNA
Afterhours (come membri o collaboratori): Roberto
Dell’Era, Enrico Gabrielli e Lino Gitto.
Quando un’amica mi ha
suggerito l’ascolto dell’album non avrei mai pensato di trovarci l’essenza
della musica, un pugno di canzoni che ridisegna un periodo irripetibile, quei seventies che hanno visto la nascita e il massimo splendore
della musica progressiva, ma non solo quella.
La differenza rispetto
a quanto viene proposto normalmente, è che in questo caso la contaminazione è
dichiarata, voluta, ci si sguazza dentro con competenze estreme, ma anche con
la conoscenza perfetta della storia pregressa.
Sono dieci brani che
potrebbero rappresentare la sinossi musicale di un certo rock - dal beat dei
primi pub londinesi all’esperienza lisergica della costa ovest americana,
passando per il prog più classico, con soste sul versante jazz e su quello psichedelico.
Non affronto la
lettura dei singoli brani, perché sono gli stessi autori ad entrare nel
dettaglio nell’ultimo numero di PROG, una rivista che non mancherà certamente
nelle case dei cultori del genere, ma preferisco delineare l’atmosfera
generale, aiutato anche dallo scambio di battute a seguire, quello avuto col
drummer Lino Gitto.
Ascoltando le tracce
in sequenza sono tornato al “mio” mondo originale, ai miei concerti visti negli
anni’70, al vintage puro, all’analogico, al rito del vinile, alla forza che
solo certa musica è in grado di dare.
Ho rivisto passare
tuti i gruppi con cui mi sono formato, ma il mix è talmente riuscito da favorire
l’entrata, l’uscita, lo scorrere dei 1000 dischi ascoltati in un passato
lontano; un continuo altalenare di situazioni che prevede, ad esempio, il
materializzarsi di Ray Manzarek subito dopo Keith Emerson, uno scambio di
favori tra Elton Dean e David Jackson, con il passaggio del testimone tra i Fab
Four e Sid Barret, passando per Daevid Allen.
Le citazioni e le
suggestioni potrebbero continuare a lungo, ma ciò che mi preme disegnare è la
perfezione concettuale di un album che mi piace definire “didattico”, al di là
delle emozione che può provocare nel pubblico più sensibile.
Non mi è chiaro se il
progetto The Wistons sia nato spontaneamente o se esiste la piena
consapevolezza e conseguente pianificazione dell’evoluzione; non mi è altresì
chiaro se questo contenitore è quello del divertimento, dello sfogo, del
lasciarsi andare infischiandosene delle conseguenze, anche se il rilascio del
disco ha creato un buon sconquasso, attirando immediatamente l’attenzione di
musicofili e addetti ai lavori, e quindi esistono i presupposti per dare la
giusta collocazione a quello che poteva essere pensato come percorso parallelo, magari una tantum.
Come tutti i gruppi
che si rispettino, la fase live è decisamente da privilegiare, e il tour
presentato nell’intervista da Lino Gitto invoglia ad una solerte
partecipazione.
L’album - ed è questo
un simbolo preciso che sottolinea il profumo del passato - uscirà su CD, Vinile
e… musicassetta!
La cover è opera dell’artista
giapponeseGun Kawamura, autrice delle liriche di due brani (Diprotodon e “Number Number) cantate in giapponese da Gabrielli e Dell’Era.
Giudizio altissimo per
questo anomalo power trio!
L’INTERVISTA A Linnon
Wiston/Lino Gitto
Vorrei partire dalla vostra storia, dai vostri percorsi,
dalla cultura musicale con cui vi siete formati: possibile una sintesi del
supergruppo?
Siamo tre elementi che provengono da decenni e parti d'Italia
diverse: 60' 70' e 80 e Nord, Centro e Sud Italia. Ognuno di noi ha avuto vite
diverse e ascolti diversi che poi si son miscelati. Abbiamo ascoltato e ci siamo
formati con tante cose diverse e ancora altre dobbiamo scoprirle.
Nell’avvicinarmi alla vostra musica, leggendo quindi la line
up e l’etichetta prog appiccicata, mi ero fatto una idea che riportava al trio
tipico anni ’70, con la mera tendenza al lato classicheggiante, ma ho trovato
tutt’altro, direi un mix indefinibile che mi ha riportato indietro nel tempo,
toccando varie sponde espressive: come definireste a parole il vostro sound a
chi ancora non lo conosce?
Psichedelic jazz/prog/pop Trio. Praticamente l'idea iniziale
era di metter su una band prog dopo un capodanno passato da Enro Winston con la
moglie, a Tokio. Al suo ritorno mi raccontò di esser stato a Koenji, un
quartiere molto alternativo della città frequentato da gente "fuori di
testa" per i canoni Nipponici, dove per strada, dagli altoparlanti posti
lungo le vie, passavano musica Prog (tipo ELP e YES) alternata a jingle
natalizi e qualche rondò veneziano qua e là. Da lì la proposta di metter su un
trio prog con Rob Winstons. La direzione musicale dopo la prima prova ci portò
alla psichedelia jazz/prog pop, al sound che realmente ci piace, appunto che è
quello che realizziamo quando siamo insieme anche al bar.
Che cosa accade nei live dei The Wistons?
Di Tutto. Intanto siamo sempre emozionatissimi prima di
salire sul palco, sia per la musica inusuale - al giorno d'oggi - che suoniamo ma
anche per l'inaspettata affluenza della gente di tutte le età e sesso (di
solito questo genere è spesso seguito solo da maschietti!). Sul Palco
improvvisiamo tanto con strumenti e voci soprattutto, e in alcune occasioni ci
scambiano gli strumenti. Si suda e si viaggia mentalmente tanto.
E’ appena uscito il vostro album di esordio: quali sono i
contenuti? Esiste una linea concettuale?
Siamo una band dedita al culto dell'anarchia ancestrale. Di
linee concettuali ce ne sono molteplici. Ogni ascoltatore può dare un
significato diverso a quello che facciamo. E' una band senza barriere o
obblighi commerciali. Il sound è quello che esce da ciò che abbiamo a
disposizione.
L’album è stato rilasciato da BTF: come è avvenuto l’incontro
con Matthias Scheller?
E’ stato un incontro fortuito. Parlando con un mio conoscente
che aveva fatto uscire un disco con la AMS Records/BTF, che mi consigliò di
scrivere a Matthias Scheller e mandargli il materiale. Dopo un paio di mesi,
senza alcuna risposta, Enro si vide recapitare, ad un suo concerto con un'altra
band, un emissario (come negli anni che furono) con un LP dei Golblin
sottobraccio come dono e l'invito a presentarsi negli uffici dell'etichetta per
discutere circa l'uscita del nostro disco. E siam qui...
Il progetto - dalle immagini ai suoni - profuma di un
mondo musicale molto lontano ma sempre
coinvolgente, con la creazione di atmosfere che sembrano sempre più solide: c’è
ancora spazio per uscire dalla nicchia di ascolto quando si parla di musica
progressiva?
C'è tanta gente che ascolta musica
che ha bisogno di cose nuove e di vedere e ascoltare cose sincere. Sembra che la
situazione stia cambiando e che la nicchia stia diventando una macchia. Pian
piano. Cinque anni fa era impensabile un progetto come il nostro. Ai nostri concerti
abbiamo conosciuto tanti ragazzini che han messo su band di prog psichedelico.
Boh! Magari qualcosa sta cambiando!
Esiste una band su cui siete tutti d’accordo che rappresenta
un punto di riferimento continuo per la vostra ispirazione?
Oviously! Gong, Soft Machine, Wyatt, Pink
Floyd and many more.
Quanto puntate su The Wistons? Progetto parallelo marginale o
contenitore da curare e fare crescere?
Chissà! Ad aprile uscirà un nostro disco live e faremo un
altro tour di 10 date in giro per l'Italia, poi si vedrà. Ecco le date…
The Wistons Tour 2016
Dom 3
Venezia @ Spazio Aereo
Lun 4
Pordenone @ Astro
Martedi 5
Verona @ Fonderia Aperta Teatro
Merc 6
Ravenna @ Bronson
Giovedi 7
Roma @ planet Club
Ven 8 Prato
@ officina giovani
Sab 9
mezzago (MI) @ Bloom
Dom 10
Pesaro @ stazione gauss
Lun 11
Pastificio Elettrico
Martedi 12
Bologna @ Locomotiv
Mi dai una definizione ammodernata del concetto di prog dopo
50 di storia?
Sperimentazione senza limiti!
Che cosa avete pianificato nell’immediato futuro per la
pubblicizzazione dell’album?
Nuovo tour ad Aprile, nuovi video, disco live e forse un DVD
live. Vedremo!
I savonesiVanexatornano
all’impegno discografico a distanza di venti anni dall’uscita dell’album "Against the sun".
Per gli appassionati
di heavy metal la band resta un punto di riferimento, ma il nuovo corso va in
qualche modo disegnato, se è vero che è imminente la proposizione di “Too Heavy To Fly”, che verrà rilasciato,
probabilmente, in primavera.
Dal disco è stato
estratto un singolo che, lanciato in tutti gli store digitali lo scorso
dicembre, è diventato già un successo.
Questi i titoli:
Tracklist
1. Too
Heavy To Fly
2. Paradox
A fine articolo è
possibile leggere le note biografiche, ma è bene sottolineare come la band
abbia subito nel tempo normali evoluzioni (impossibile dimenticare la
lunghissima presenza del frontman Roberto
Tiranti, ora sostituito da Andrea “Ranfa”
Ranfagni), così come è doveroso evidenziare come la sezione ritmica formata
da Silvano Bottari alla batteria e Sergio Pagnacco al basso sia rimasta
immutata nel tempo, probabilmente la più longeva all’interno del genere di
riferimento.
Completano l’attuale
line up Artan Selishta, chitarrista di
larga esperienza proveniente dai Balcani, e il virtuoso Pier Gonella, l’altra chitarra del gruppo.
In attesa di fornire
un giudizio più completo legato all’ascolto dell’intero album, mi soffermo sui
due pezzi ascoltati, immaginandoli come rappresentativi dell’intero lavoro.
Nelle note di
presentazione ufficiali, sinossi musicale del pensiero dei Vanexa, si tende a mettere in primo piano la novità di un sound
fresco, più variegato rispetto al metal standard, frutto della miscela di
esperienze dei componenti vecchi e nuovi.
Ciò che per me appare “nuovo”
è la quasi contraddizione in termini legata alla realizzazione di un prodotto
che avrebbe trovato piena luce anche nei primi seventies, quando il metallo
pesante non era ancora stato ufficializzato… quindi… nuove forze, molteplici
idee, mix di esperienze, e ciò che ne deriva ha assonanza con atmosfere che,
pur mantenendo l’ago della bussola posizionato costantemente in posizione “futuro”,
fanno rivivere un copione nato con i primi gruppi hard rock.
Mi ripropongo di
allargare il giudizio a completamento dell’album e, spero, dopo il live
previsto per il mese di maggio nella mia città.
A seguire uno dei
fondatori, Silvano Bottari, parla di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che
sarà… i Vanexa sembrano lanciati verso nuove mete.
L’INTERVISTA
La storia dei Vanexa
parte da molto lontano, fine anni ’70: come si può sintetizzare l’evoluzione
della band sino ai giorni nostri?
Più di 30 anni dedicati
alla musica Rock, tante lotte, difficoltà e sudore, ma la passione è sempre
stata tanta e siamo ancora qui. Attraverso tutti questi anni chiaramente sono
passate e ritornate mode, noi abbiamo modificato la nostra formazione, ma
abbiamo sempre mantenuto la matrice Heavy/Rock e l'attitudine alla musica dal
vivo, cercando comunque di evolvere e raffinare il nostro sound, soprattutto in
fase compositiva.
Se non sbaglio, tra
progetto originale e attività parallele, ciò che resta immutata è la sezione
ritmica (Sergio Pagnacco a basso e Silvano Bottari alla batteria): feeling
assoluto, amicizia o cos’altro?
Un mix di tutto questo,
aggiungi anche che per alcuni anni abbiamo condiviso un progetto lavorativo
insieme.
Nel mese di febbraio
verrà rilasciato il vostro nuovo album: quali sono i contenuti?
Credo che l'uscita
dell'album slitterà di un paio di mesi, ci teniamo molto alla produzione,
quindi il missaggio ci porterà via parecchio tempo. L'album conterrà nove brani
inediti, in uno ci sarà uno special guest d'eccezione ma non ti anticipo ancora
chi sarà.
Possibile comparare il
disco rispetto ad “Against the sun”, uscito oltre venti anni fa?
Assolutamente no,
"Against the sun" era un
album transitorio, avevamo Roberto Tiranti come nuovo cantante quindi eravamo
invogliati ad esplorare nuove strade. "Too
heavy too fly" è in certo senso un ritorno alle origini, quindi sempre
un sound a metà strada tra i '70 e la
NWOBHM anni '80, ma con un groove più attuale e aggressivo; la novità del nuovo
chitarrista Pier Gonella e il nuovo vocalist Andrea "Ranfa" Ranfagni
hanno decisamente modernizzato e incattivito il nostro suono.
L’album è stato
anticipato dall’uscita del singolo “Too Heavy To Fly”: che peso date alle
attuali strategie di marketing dedicate alla pubblicizzazione della musica,
passanti per le nuove tecnologie?
Il fatto che dopo una
settimana il nostro singolo, in vendita solo nel circuito digitale, sia
schizzato al primo posto nella classifica "Hard and Heavy" di Amazon,
ci fa ben sperare...
Andrea Ranfa è il
frontman che ha il compito non facile di sostituire Roberto Tiranti: come si è
inserito nella band?
Il destino ci ha fatto
conoscere Ranfa in modo semplice durante il festival metal inserito nel F.I.M
di Genova l'estate scorsa dove suonavamo. Ormai non potevamo più contare sulla
disponibilità di Spino e Roberto, e dopo averlo sentito cantare con Joe Lynn
Turner e il tributo ai Rainbow ho chiesto a Ranfa se era interessato a fare un'audizione con
noi. Due prove in studio e abbiamo capito tutti subito che c'era il feeling
giusto, eravamo pronti, ognuno con le proprie motivazioni, a rimetterci in
gioco e ad affrontare questa nuova sfida. Probabilmente ci siamo trovati nel
momento giusto.
Che ruolo pensate abbia
in questo momento la musica metal all’interno del panorama musicale italiano e
internazionale? Possibile uscire dalla nicchia?
Non lo so, il panorama
rock italiano è sempre stato molto difficile (se per rock non intendiamo
Ligabue e Vasco Rossi), e non possiamo illuderci di uscire dalla nicchia;
chiaramente ci speriamo, probabilmente all'estero il nostro genere dal vivo
chiama ancora gente ed è apprezzato come negli anni passati. Dopo tanti anni
senza uscite discografiche, se non contiamo il live e una compilation di vecchi
brani cantati in italiano, il nostro unico obiettivo ora è uscire con un grande
disco che soddisfi noi e il pubblico che lo ascolterà, e soprattutto abbiamo
ancora tanta voglia di andare in giro a suonare e divertirci!
Avete pianificato
presentazioni e live per “raccontare” il vostro nuovo lavoro?
Una data certa per chi
ci segue l'abbiamo al Priamar di Savona, il 21 Maggio, all'interno di un
Festival, per il resto stiamo ancora pianificando, ora siamo impegnati a
terminare il disco.
Quali potrebbero essere
i progetti a medio termine dei Vanexa?
Come diceva la PFM…
"Suonare, Suonare, Suonare!"
Biografia
I Vanexa sono stati
una delle prime band heavy metal italiane, il loro LP omonimo è stato
consacrato dalla stampa nazionale come il primo album heavy metal italiano.
Nati a Savona nel
1978, il loro sound tipicamente anglo-sassone ebbe riscontri anche all'estero
dove furono citati da parecchie riviste specializzate come fautori della nuova
ondata di heavy metal band fine anni '70 primi anni 80. Inoltre parteciparono come
headliner al primo festival heavy metal italiano tenutosi a Certaldo in
provincia di Firenze il 21 maggio 1983. Nella loro carriera hanno partecipato
anche a varie compilation metal tra le quali Mountain of Metal, uscita negli
Stati Uniti, con il brano "Hanged Man" e Metallo Italia con il brano
"It's Over".
Nel 2006 sono stati
ristampati su CD il loro primo album omonimo con 3 bonus tracks inedite e il
loro secondo album "Back From The Ruins" con 5 bonus tracks live
tratte da un concerto del 1984.
Successivamente aver
eseguito alcuni live con Marco "Spino" Spinelli rientrato dopo
l'uscita di Roberto Tiranti, i Vanexa hanno scelto come sostituto il fiorentino
Ranfa (Andrea Ranfagni).
"Ranfa ha
l'esperienza e il carisma giusto per poter far parte dei Vanexa, ha collaborato
con parecchi musicisti internazionali come Ian Paice (Deep Purple), Bernie
Marsden (Whitesnake), Tracy G (Ronnie James Dio) e James Christian (House Of
Lords) quindi sicuramente porterà un valore aggiunto alla band".
Il nuovo progetto dei
Vanexa "Too Heavy Too Fly" avrà oltre al chitarrista Pier Gonella
anche Ranfa come cantante.
Affrontare il commento
di “DUNE”, utilizzando una descrizione
tradizionale, reca in sé il rischio di fornire poche indicazioni al curioso di
turno. Che fare allora per disegnare un’immagine che abbia parvenza di
rappresentatività? Forse lasciarsi andare in totale libertà può essere l’ideale
prosecuzione degli intenti di Ermanno
Librasi, Max De Aloe, Elias Nardi e Francesco D'Auria, quattro artisti virtuosi, ricercatori,
innovatori e… cittadini del mondo: l’ensemble si chiama SHARG ULDUSU’ 4Tet.
La lettura della
strumentazione utilizzata (metal & bass clarinet, balaban, furulya chromatic
& bass harmonica, oud, drums, percussion, hang) regala una prima
indicazione sull’affascinante viaggio che ci accingiamo ad intraprendere dando
lo start alla prima traccia.
I brani d’autore si
mischiano a quelli tradizionali, ma il sapore non cambia, e il comune
denominatore è la volontà di proporre culture alternative, lasciando largo
spazio all’improvvisazione inserita all’interno di schemi precostituiti.
Il jazz penetra nella
musica mediterranea, folk ed etnica e gli spazi reali - ed ideologici - si
accorciano, sino a scomparire nel corso di un ascolto rilassato.
E’ uno “… sguardo rigorosamente laico, perché quando
c’è di mezzo la religione la gente non ragiona più…”, chiosa Ermanno
Librasi, e così, traccia dopo traccia, emerge un perfetto dialogo che appare
sempre più difficile in questi giorni carichi di dolore, dove si arriva a
negare la funzione della musica, accostandola spesso ad elemento da osteggiare.
Le dieci tracce di
DUNE sono al contrario un possibile antidoto all’irragionevolezza dell’uomo -
spesso cieco e insensibile - perché l’incontro musicale di mondi differenti, di
culture spesso agli antipodi, di tradizioni radicate - e che nessuna persona
ragionevole vorrebbe stravolgere - dovrebbe condurre a momenti di pura felicità
e sintonia totale all’interno di questo universo.
Ma la musica di SHARG ULDUSU’ 4Tet può anche essere
afferrata in modo meno razionale - e forse utopistico -, traendo beneficio
dalla mera fruizione dei suoni.
Ascoltare l’hang, che
prendo come esempio di novità, ha a che fare con il pieno trasporto verso
luoghi da sogno, dove la meditazione nasce spontanea e le atmosfere orientali
si ergono, e poco importa se lo strumento sia nato nella pragmatica Svizzera.
Ma anche l’aspetto
visual legato alla percussione dell’hang ha qualcosa di magico, un’esperienza
dentro all’esperienza, e ciò mi spinge a
pensare che le performance live di SHARG ULDUSU’ 4Tet siano momenti in cui si
compiano alcune importanti alchimie, quegli attimi in cui le ferite comuni possono
trovare momentanea fermatura, in un rapporto osmotico che lega musicisti ad audience.
Il video che propongo
a seguire chiarirà i miei concetti.
Grande album, grande
musica che lascia uno stato prolungato di serenità, e di questi tempi non si
può proprio chiedere di più!
Ed ecco una primizia
assoluta, il secondo album dei Mad Fellaz - Mad Fellaz II
- che ho ascoltato in anteprima ma che viene ufficialmente rilasciato oggi, 13
febbraio.
Rispetto al disco di
esordio sono cambiate alcune cose, e la normale maturazione della band
vicentina ha portato, anche, mutazioni alla filosofia musicale, che non significa
aver cambiato rotta o rinnegato il pregresso, ma semplicemente intrapreso nuove
vie che possano allargare la gamma espressiva, ricerca tipica di chi abbraccia
il credo della musica progressiva.
Chiosa un mito del
metal, Steve Harris, con DNA dichiaratamente prog: “L’insegnamento più grande del prog? Fare tutto quello che ho in mente
di fare, qualunque cosa sia e in qualunque direzione mi porti!”.
Il senso di libertà
assoluta è quello che ho percepito in questo disco della durata di quasi
un’ora, suddivisa su 7 brani, e va da se che la lunghezza della singola traccia
risulti fuori standard, mero fatto oggettivo, ma testimonianza di come la lunga
distanza sia la più favorevole alla band per il singolo racconto musicale.
La differenza più
evidente rispetto al primo capitolo discografico, interamente strumentale, è rappresentata
dall’introduzione di una voce, quella di Anna
Farronato, che riesce a caratterizzare un’intera produzione pur inserendosi
in strutture già pronte.
E’ mio pensiero che
l’importanza di un ruolo vocale all’interno della variegata famiglia del rock
superi la necessità della descrizione, del messaggio, della proposizione di
argomenti, perché la timbrica, l’estensione, il colore, rendono il vocalist un
apportatore di un nuovo strumento, ammesso che ci sia talento e duro lavoro
alle spalle.
La new entry Farronato
contribuisce a dipingere atmosfere che danno il senso della completezza, della
corposità, di una buona dose di fantasia inserita in un rigido copione
distribuito a magnifici orchestrali, che all’interno del normale lavoro di
squadra trovano ampio spazio personale.
Sono molti i generi
che rimangono tra le mani, e la possibilità di utilizzare una buona gamma di
fiati permette di spaziare con una certa disinvoltura nelle ampie dimensioni
del prog, ma il feeling di sintesi, il retrogusto che mi è rimasto appiccicato, alla fine del primo
ascolto - quello che risulta per me quasi sempre il più importante -, è un
preciso sapore canterburiano, che mi ha riportato a
Daevid Allen e ai suoi seguaci.
Nessuna comparazione,
solo un aggancio ad un mondo passato che si rafforza sempre più con lo scorrere del
tempo.
Il pensiero della
band, riportato a seguire, chiarirà meglio il posizionamento di Mad Fellaz II all’interno del percorso
del gruppo, e il video a seguire darà spunti in più per spingersi oltre.
Da parte mia attendo
fiducioso di assistere ad una performance live, perché credo che sia quella la
giusta dimensione per un album davvero gradevole e che si candida ad essere tra
i più riusciti di questo 2016.
Giudizio critico:
ottimo
L’INTERVISTA
Sono passati quasi due
anni da quando scrissi del vostro primo album: cosa vi è accaduto in questo
periodo, musicalmente parlando?
Possiamo dire di aver
dedicato più tempo alla musica, e a questo progetto in particolare, sapendo di dover
migliorare tutti sotto l’aspetto individuale e collettivo.La consapevolezza di
avere veramente qualcosa da dire e un messaggio da lasciare ad un pubblico di
varie estrazioni musicali, questi sono gli obbiettivi che ci siamo
posti dopo l’uscita del primo album, insieme naturalmente
alla voglia di farci conoscere in più larga scala solo e grazie alla nostra
musica e non con escamotage vari.
Sta per uscire il
vostro secondo album, “Mad Fellaz II”: oltre alla vostra ovvia maturazione ed
evoluzione, in cosa si differenzia rispetto al precedente?
Ci sono parecchie
novità: voce,modalità compositive e nuova line up.Il salto a nostro
avviso è dato da basi/struttuture già di per se portanti dove si possono
scorgere delle linee armoniche ben delineate anziché base+solo o base+melodia
come si nota spesso nel nostro primo lavoro.Anna(voce) si è inserita
in un secondo momento in strutture già fatte e si è messa a completa disposizione
della band migliorando ancor di più il nostro sound con delle linee vocali per
nulla scontate.Jason(chitarra) con le sue
doti tecniche e d’improvvisazione ha alzato il livello generale e Lorenzo(percussioni) ha
tappato qualsiasi buco lasciato libero e ha dato più movimento e botta al
tutto.Un altro aspetto non meno importante è stato l'uso di strumenti
e suoni di notevole livello, dando ai brani una compattezza e una qualità
sonora che forse un pò mancava nel primo album. La durata media dei brani del
disco è rimasta pressochè invariata, raggiungendo un totale di 7 composizioni.
Rispetto al debutto
discografico ora proponete alcun liriche, ed è questo un grande cambiamento dal
momento che la musica strumentale era in passato una precisa scelta: a cosa è
dovuta la svolta?
In realtà la nostra
filosofia rimane la stessa con la piccola differenza che ora i brani, avendo delle liriche, raccontano delle
storie fantasiose anziché lasciare totale immaginazione e ambientazione
all’ascoltatore.La voce è un delizioso toccasana,un momento di respiro
tra ostinati e parti convulse che aiuta noi in primis, ma anche il pubblico
a prendere una boccata d’aria.Fortunatamente abbiamo conosciuto Anna in
veste di ospite in una nostra data live del 2014, l’abbiamo testata in
quell’occasione per così dire, e l’esito fu strepitoso: da lì decidemmo di
provare.
Ci sono state
modifiche alla line up?
A differenza del primo
disco al posto di Emanuele Pasin alla chitarra è subentrato il virtuoso Jason
Nealy. Oltre a questa sostituzione, nella band si sono uniti Lorenzo Todesco e
Anna Farronato, rispettivamente alle percussioni e alla
voce.
Ho visto che siete
molto attivi sulla promozione video dell’album: che cosa pensate dell’aspetto
visual legato alla musica?
Beh, certamente è
importante farsi conoscere e riconoscere non solo con la musica, ma anche
attraverso immagini e video legati alle nostre attività, soprattutto ora che
internet è diventato il canale principale di comunicazione e divulgazione.
Nello specifico, la pagina ufficiale e i social network sono un modo semplice e
immediato per tenere aggiornati i nostri sostenitori e per raggungerne di nuovi
possibili. I video ufficiali inoltre descrivono un pensiero che non è
strettamente musicale, ma piu in generale artistico, che
vorremmo arrivasse al nostro pubblico.
Chi ha curato l’art
work questa volta?
La realizzazione dell'
art work di “Mad Fellaz II” è ad opera di Maria
Todesco, amica di tutto il gruppo da parecchi anni, la quale si è occupata
inoltre di creare le grafiche per le t-shirts e di girare un video come
anteprima dell' album. Le siamo molto grati per quello che fa! E' parte della
famiglia ormai, il nono fellaz!
Avete pianificato
qualche live per far conoscere il vostro nuovo lavoro?
In particolare abbiamo
programmato un evento ad hoc in cui ci esibiremo per lanciare il nostro nuovo
album. Abbiamo intenzione di creare un'atmosfera sognante alla quale seguirà un
bel momento di festa. Il tutto avrà luogo il 13 febbraio nel live club
"Revolution", Molvena(VI). Per l'occasione saranno disponibili anche
le T-Shirt firmate MAD FELLAZ e Bottega Chilometri Zero. Ulteriori live sono
alcuni già fissati altri invece da confermare da qui a maggio in Veneto, e alcuni fuori dalla
nostra regione,tutte le informazioni si possono trovare
nella nostra pagina Facebook e sul nostro sito.
Che
cosa vi aspettate da “Mad Fellaz II”se pensate al risultato del primo album?
Abbiamo grandi
aspettative per questo nuovo album, siamo consapevoli del gran potenziale che
ha. Col primo disco ci siamo fatti conoscere e abbiamo riscontrato un discreto
numero di ascoltatori e buone critiche, soprattutto all' estero; ora con questo
prevediamo di allargare il nostro raggio d'azione. Siamo sicuri che chi ha
apprezzato il primo disco si innamorerà di Mad Fellaz II.
Con quale etichetta
uscirete e chi curerà la distribuzione?
Attualmente siamo
completamente scoperti da questo punto di vista, ma qualcosa si sta
muovendo e stanno arrivando alcune proposte interessanti.In realtà stiamo cercando
più una persona che ricopra la figura di manager e che cominci a farci entrare
nell’ambiente professionistico, che sappia muoversi nei canali giusti e
che trovi situazioni live importanti, perché siamo assetati
di palchi veri.Se qualcuno lì fuori ci sta osservando si
faccia avanti, noi siamo pronti a collaborare.Per quanto riguarda la
distribuzione, oltre che alla nostra vendita diretta, ci siamo affidati
alla pickuprecords (negozio di dischi) che distribuisce a livello mondiale.
Un’ultima cosa, anche
in questa occasione la durata dei vostri brani è generalmente fuori norma:
come
nasce e come si alimenta la vostra fase creativa? Esiste uno standard
compositivo?
L'impulso creativo
scaturisce principalmente dal chitarrista Paolo Busatto il quale gettale basi delle nuove
composizioni tracciandone le linee guida; sono idee che nascono
in modo istintivo ma che poi si sviluppano attraverso pensieri contorti, fino ad arrivare ad
un esito che nessuno può prevedere e immaginare.Successivamente, ad uno ad uno, ogni
musicista si inserisce nel pezzo, e grazie alle notevoli personalità
in gioco si cerca di rendere il tutto ancora più colorato ed
imprevedibile.La cosa più importante è mantenere uno
stile che sia uno e uno soltanto, anche se all’interno si trova un mondo
tutto da scoprire e si trovano influenze musicali di ogni genere e periodo
storico, dagli anni ’60 ai giorni nostri.Il tratto distintivo
dunque dell'album è che esso è estremamente personale, parla (e racconta) di
tutti noi e non sarebbe uguale a se stesso se anche un solo compontente fosse
sostituito.