ARTICOLO
GIA’ APPARSO SULLA WEBZINE MAT2020
Maxophone-“La
Fabbrica Delle Nuvole”
di
Athos Enrile
“La Fabbrica Delle Nuvole”, appena
rilasciato dalla storica prog band Maxophone,
rappresenta il loro primo lavoro del nuovo millennio costituito da inediti, e
traccia un ponte ideale con l’esordio, il disco omonimo del 1975.
Nell’intervista a seguire emergono i
passaggi fondamentali che hanno guidato il corso della loro storia musicale, un
iter comune a molti gruppi nati in Italia al limite dello scemare del primo
prog, con la realizzazione di un album (per i più fortunati) e nulla più. Ma
quel singolo lavoro è diventato successivamente elemento di culto (è accaduto
anche ad Alphataurus, Semiramis, Museo Rosenbach…) ed è forse lo scoprire il
costante apprezzamento del pubblico per una creazione lontana nel tempo che può
aver motivato quasi tutte le band dell’epoca a riprendere il filo di un discorso
interrotto in “tenera” età. O forse è solo perché le passioni vere non muoiono
mai!
“La
Fabbrica Delle Nuvole” è a mio giudizio un grande disco, perché rappresenta
un vero salto di modalità, e i suoi contenuti propongono concatenazioni
concettuali che determinano il superamento delle linee guida e dei paletti che hanno
da sempre dato confine ai generi.
La musica progressiva ha tra le
caratteristiche principale proprio quella di regalare spazio alla creatività,
ai tanti movimenti esistenti, alle sperimentazioni, all’avere come regola il…
non avere regole.
In questo caso, per una serie di
circostanze comprese tra volontà e casualità, accade che il prog… quello più
radicato, si sposi al cantautorato, quel movimento a cui spesso si attribuisce il
declino del prog stesso, almeno nel nostro paese. Ma i tempi sono cambiati, e
l’incontro di mondi sulla carta diversi porta alla somma di due eccellenze,
quella musicale - e quindi il virtuosismo e le idee dei Maxophone - e quella
lirica, che come spiegato nelle prossime righe è il risultato del connubio tra
Alberto Ravasini - uno dei fondatori - e il poeta Roberto Roversi, ed è bello
il racconto del recupero delle liriche dopo la prematura dipartita dello
scrittore bolognese: senza il ritrovamento delle sue parole, scritte
appositamente per i Maxophone, l’album sarebbe probabilmente ancora in fase
costruttiva.
Grandi musiche e testi d’autore, elementi
perfettamente integrati che producono come risultato tangibile un album
godibile in ogni suo rivolo musicale.
Il racconto del “dietro le quinte” è il
compito del recensore, l’evidenziazione di una cornice la cui bellezza spesso
non viene colta, ma che è essenziale per comprendere nei particolari ciò che
invece colpisce all’impatto, in questo caso - ma è quasi sempre così - il
sound, inteso come trame, atmosfere e soluzioni ritmiche.
Ecco… il sound.
Se è vero che, per i motivi anticipati, l’unione
di elementi differenti porta alla creazione di un “prodotto” completamente
nuovo, è altrettanto rilevabile all’impatto che esiste una band del passato che,
più di altre, ha influenzato questi straordinari musicisti lombardi: i Gentle
Giant.
Brani come “Un ciclone sul Pacifico”, “Perdo
il colore blu” e “La fabbrica delle
nuvole” (anche la fase iniziale ricorda lo start di “The Runaway” di “In a glass
house”) riportano alle trame complicatissime dei fratelli Shulman, ai
contrappunti, ai cori, ai tempi composti spesso difficili da decodificare). Mi
spiego meglio.
Quando si paragona il presente col passato,
attraversando paesi ed ere, si utilizza un modello campione per facilitare la
comprensione, per evidenziare un profumo sonoro, un mood, che rimane nell’aria
dopo l’ascolto, ma i Maxophone non sono la copia di nessuno, perché i nuovi
innesti - decisamente rock - in un corpo
consolidato hanno dato vita ad una band che unisce enormi skills a gusto
compositivo e interpretativo, come dimostra la folkeggiante “La luna e la lepre” e l’evocativa “Estate ‘41”.
In sintesi: la musica nobile del passato fa
un tuffo nel rock, nel folk, nelle
auliche atmosfere britanniche abbracciate alle melodie nostrane… e poi la
poesia cesella un dipinto che rinvigorisce e impreziosisce la tradizione
italiana, lanciando un messaggio di speranza rappresentato visivamente da una
fabbrica, dalla cui ciminiera non esce fumo, ma “sogni e aspettative sottoforma di parole, una fucina di idee musicali e
di forti pensieri”.
La chiusura del cerchio è l’esibizione
live, la proposizione dell’album in diretta, un’esperienza che, a giudicare
dalle premessa, dovrebbe dare grandi soddisfazioni all’audience.
Disco imperdibile per gli amanti del
genere.
L’INTERVISTA
Tanto
per riassumere, per qualche giovane che ha appena scoperto che esiste… altra
musica: come si può descrivere la storia dei Maxophone?
Il
primissimo nucleo della band, costituito da Alberto Ravasini, Roberto Giuliani
e Sandro Lorenzetti, si formò a cavallo tra il'72 e il '73. Con questa
formazione e qualche collaborazione esterna registrammo alcuni demo tra cui “L'isola”, che abbiamo ripreso e
riarrangiato e che è uscito recentemente come EP. Verso la metà del '73
entrarono a far parte del gruppo Sergio Lattuada, Maurizio Bianchini e Leonardo
Schiavone, completando quella formazione che poi diede origine all'album del
'75. Fu un ensemble piuttosto innovativo per l'epoca, sia per le sonorità
particolari che per lo stile, dove varie tendenze musicali come il Rock,
l'R&B, il Folk e la musica classica venivano fuse insieme. L'incontro con
Alessandro Colombini, produttore del Banco del Mutuo Soccorso e di vari artisti
della discografia italiana, diede poi origine al contratto con la Produttori
Associati, e alla registrazione del primo album dei Maxophone che uscì in
italiano e in versione inglese alla fine del 1975.
Sono
tanti i casi in cui gruppi dei seventies, diventati successivamente di culto,
hanno inciso un solo album e hanno subito arrestato la loro attività (mi
vengono in mente i Semiramis, La Locanda delle Fate, il Museo Rosenbach…): che
cosa accadde ai Maxophone?
Gli
anni successivi furono anni di grande cambiamento, sia nell'ambito strettamente
musicale che in quello strutturale delle case discografiche. L'arrivo di una musica
di grande consumo come la “Disco”, introdotta da “La febbre del sabato sera” e
da vari programmi TV fece da spartiacque, e molti gruppi, pur non
sciogliendosi, cessarono l'attività discografica ormai ad appannaggio solo
delle major. Per quanto riguarda noi, che già eravamo stati fortemente penalizzati
dai ritardi di produzione e uscita dell'album, registrammo ancora un paio di
brani e poi il nostro scioglimento fu praticamente inevitabile. Alcuni di noi
continuarono poi a lavorare individualmente nel mondo musicale come autori,
arrangiatori o nella formazione, altri presero strade diverse.
Dal
primo album omonimo ad oggi ci sono stati altri episodi, anche live, ma l’album
appena rilasciato, “La fabbrica delle nuvole”, rappresenta il vero atto nuovo:
come siete arrivati alla decisione?
Prima
di risentire parlare di noi come Maxophone bisogna aspettare il 2005, quando
Sergio Lattuada, sulla scia di molte richieste provenienti dal web, decise di
ricostituire la band. Ci trovammo con una parte del gruppo originale - Roberto
Giuliani, Sandro Lorenzetti, Alberto Ravasini - e insieme a Sergio cercammo di
riprendere l'attività musicale del gruppo. Nel frattempo, grazie a Lattuada e
Giuliani, era uscito un cofanetto DVD contenente vari video e provini della
band che diede origine a un'esibizione live per Radio Popolare, performance che
vide ancora una volta presenti i membri originali, compreso Bianchini e
Schiavone. Successivamente, le strade si divisero nuovamente e finalmente nel
2008, con l'arrivo di Croci (basso), Tomasini (chitarra elettrica.) e Monti
(batteria e violino), prese vita la formazione definitiva della band. L'idea fu
subito quella di lavorare su materiale, nuovo pur proponendo nei vari concerti
il repertorio storico dei Maxophone. Così si arriva a "La fabbrica delle nuvole", un album
che rappresenta in pieno il nostro modo di far musica, arricchito dai nuovi
arrivati, ma che è a tutti gli effetti un logico continuo rispetto a quanto
fatto negli anni '70.
Mi
raccontate i contenuti lirici e quelli strettamente musicali?
Musicalmente
parlando, questo album è un po' uno sviluppo di quelle componenti che avevano
caratterizzato il primo album, ma con l'esperienza maturata in tutti gli anni
successivi. Le figurazioni tipiche della musica classica, come il contrappunto,
il canone, la fuga, i cambi ritmici e di atmosfera, si fondono con elementi
ancora più rock e fusion rispetto a quelli presenti nei primi Maxophone. A
parer nostro, però, la grande novità di questo lavoro è la presenza di testi di
alto spessore firmati da un grande nome della poesia e della prosa italiane,
testi che se prima erano esclusivo appannaggio del migliore mondo cantautorale
ora possono finalmente sposarsi con il rock progressivo. Per Alberto, cantare
Roversi, è stata un'esperienza unica e difficilmente ripetibile. E' stato come
recitare i capitoli di un libro avvincente, pieno di passione e con un
linguaggio diretto dove le parole suscitano stati d'animo ed emozioni
fortissime.
Già
che mi avete anticipato… che cosa ha rappresentato l’incontro e la
collaborazione con Roberto Roversi?
Alberto,
negli anni '90, ebbe la fortuna di incontrare e collaborare con Roberto per un
progetto Polygram che lo riguardava come solista, e che purtroppo non vide la
luce per via di vari problemi discografici che sfociarono poi con la chiusura
della casa discografica. Parte di quel materiale fu eseguito da Mina, Alex
Baroni e con Roversi rimase una grande amicizia e il desiderio di continuare a
lavorare insieme. Nel 2011 lo andò a trovare a Bologna per proporgli di
scrivere per la band e ne rimase entusiasta. Purtroppo nell'autunno del 2012
ricevemmo la notizia della sua scomparsa, e oltre al dolore per la perdita di
un grande amico che Alberto ama definire “il mio padre di penna”, ci ritrovammo
con le prime basi dell'album registrate ma senza parole. Passarono quasi due
anni, e mentre stavamo cercando collaborazioni con autori vari arrivò la
chiamata di suo nipote, Antonio Bagnoli, curatore delle sue opere e del sito
omonimo, che ci avvertiva di aver trovato una scatola piena di testi con il nome
Maxophone scritto sopra. Ci fiondammo a incontrarlo a Bologna per poi tornare a
casa con un grande e inaspettato tesoro fra le mani. Così nacquero i testi de
"La fabbrica delle nuvole",
così arrivò la poesia fra le nostre note.
Si
può dire che esista una certa continuità concettuale rispetto alla vostra
storia pregressa?
Come
dicevamo prima, sì, esiste ed è sicuramente un grosso passo in avanti in
termini di sviluppo musicale, e soprattutto nei contenuti lirici rispetto a
quanto fatto in precedenza. Se da un lato le sonorità sono pur sempre vicine
alle atmosfere di corno e clarinetto, e trovano espressione grazie ai campioni
e a strumenti come il violino, che mai avremmo immaginato fra le mani di un
batterista, la struttura musicale, i temi, le ritmiche e gli incastri
strumentali segnano decisamente una grande evoluzione rispetto al passato:
dalle cadenze Verdiane e dal Dixiland siamo passati a una musica classica più
contemporanea, a un jazz più modale e strutturato fino a toccare veri e propri
momenti fusion. Diciamo, che da “C'è un
paese al mondo” a “La fabbrica delle
nuvole” è passata un bel po' di acqua sotto ai ponti.
Mi
parlate dell’artwork? L’immagine di copertina mi sembra di forte impatto!
Con
la copertina, che è nata da uno sketch iniziale di Alberto e poi affinata e
completata magistralmente da Eugenio Crippa, volevamo mantenere l'atmosfera un
pò pastello e un pò sognante della cover Maxophone anni '70, ritoccando leggermente
il logo originale un pò troppo “Jeeg Robot” senza snaturarne il tratto. Ci
piaceva l'idea condivisa con Roversi di rappresentare una fabbrica che
generasse sogni e aspettative sottoforma di parole: una fucina di idee musicali
e di forti pensieri. Così nasce un panorama quasi irreale dove da una ciminiera
escono le keywords dell'album racchiuse in una grande nuvola con le nostre
sagome sullo sfondo, quasi a ripetere l'immagine dei primi Maxophone in
equilibrio su una barca da fiume.
In
che formato è disponibile “La fabbrica delle nuvole”?
“La fabbrica delle nuvole” è disponibile
in CD, in vinile (LP) e in formato digitale online su vari portali, tra cui
iTunes, Spotify ed altri ancora. In aggiunta, recentemente è uscito un EP
contenente come lato A “'L'isola”, a
cui facevamo riferimento prima, e come lato B lo strumentale che dà il titolo
all'album.
Come
lo pubblicizzerete? Sono previste date live?
A
parte le varie interviste e partecipazioni Radio/TV online, Il 21 aprile scorso
abbiamo presentato l'album in una Live Premiere che si è tenuta al Teatro
Giuditta Pasta di Saronno, il 17 giugno saremo alla Cascina Caremma di Besate
per partecipare a un evento Prog. Da stabilire restano le date di un concerto a
Bologna dedicato a Roversi e di un possibile ritorno in Giappone.
Un
velo di provocazione… mi date un giudizio sullo stato della musica in Italia?
La
musica in Italia, più che all'estero, è relegata a singoli eventi e fa ben poca
parte del mondo musicale così come se lo ricordano in molti fino a circa gli
anni '90. Oggi è soggetta a programmazioni radiofoniche stereotipate che, a
parte qualche emittente che fa eccezione, propongono ripetutamente i soliti 10
brani del momento. E' praticamente sparita dalle televisoni quasi come se
causasse una perdita inarrestabile di audience, e vive solo all'interno di
reality costruiti a forma di “Grande Fonografo”, dove la componente
artistico-musicale è l'aspetto meno importante. Addio a trasmissioni come Roxy
Bar, addio a locali storici che hanno visto esibirsi grandi artisti e grandi
esordienti, oggi i musicisti hanno un rating che va di pari passo con il numero
dei “coperti” che una band, possibilmente tribute, riesce a procurare al
gestore. Restano i canali video e le riviste online e qualche irriducibile
della carta stampata, ma per il resto è sicuramente una debacle diffusa a largo
spettro. Noi come band prendiamo atto di questa situazione e sostanzialmente
continuiamo, nonostante tutto, per la nostra strada. Certo non diventeremo
ricchi con la musica, né tantomeno famosi, cosa di cui non ci è mai importato
fin dagli inizi, ma almeno sappiamo che ai nostri concerti viene e verrà un
pubblico motivato ad ascoltarci e a stimolarci a continuare. Lo facciamo con
passione, la stessa che ci ha portato a rimetterci in gioco scrivendo cose
nuove.
Visto
questo rinnovato entusiasmo, esiste la possibilità di vedere una buona
continuità e presenza dei Maxophone nella scena musicale italiana e non?
Noi
speriamo di sì, il responso è stato molto positivo anche da parte di chi ha
ascoltato per la prima volta la nostra musica, e questo ci fa ben sperare per
il futuro. “La fabbrica delle nuvole” è uscito in Giappone e presto prenderemo
accordi per esibirci ancora in quel di Tokyo, abbiamo ricevuto richieste dal
Sudamerica e stiamo attualmente valutando varie proposte. Finché ci sarà
pubblico con la gioia e la curiosità di ascoltarci, noi ci saremo a dare sempre
tutto quello che abbiamo nella testa, nel cuore e nelle mani.
Side A:
1.Un
ciclone sul Pacifico
2.Perdo
il colore blu
3.Il
passo delle ore struggente
4.La
fabbrica delle nuvole rock fusion
Side B:
5.La
luna e la lepre
6.Estate
'41
7.Nel
fiume dei giorni i tuoi capelli
8.Il
matto e l'aquilone
9.Le
parole che non vi ho detto
Line
up
Sergio
Lattuada-pianoforte, tastiere e voce
Alberto Ravasini-chitarre, tastiere e voce
solista
Marco
Croci-basso e voce
Marco
Tomasini-chitarra e voce
Carlo
Monti-batteria, percussioni e violino