Non sapevo dell’esistenza
di “Creatures from a drawer”, l’album uscito
esattamente due anni fa ad opera di Maurizio Guarini, musicista legato
indissolubilmente al nome “Goblin”.
E non sapevo che
Guarini vivesse lontano dalla sua casa d’origine, in un paese, il Canada, dove
la cultura musicale è probabilmente più “matura” rispetto a quanto accade in
Italia.
Di tutto ciò, album e
contorni geografico sociali, si parla diffusamente nell’intervista a seguire,
con Maurizio che spazia tra gli ampi argomenti che riguardano la sua sfera professionale
e con un racconto dei dettagli relativi al disco.
Dieci tracce, dici
composizioni personali che riallacciano un lungo periodo di vita, brani - come
svela il titolo - dimenticati in alcuni casi nel cassetto, quelle creazioni, a
volte estemporanee, che si mettono da parte in attesa dell’occasione giusta che…
potrebbe non arrivare mai.
Ma per fortuna
Maurizio Guarini fornisce una chance alla sue “creature”, degne di un ampio e
diffuso ascolto.
Appassionato di tecnologia,
Guarini miscela questa sua attitudine all’informatica e alle nuove tecniche applicate alla musica, e ciò che emerge è un
album che in qualche modo riesce a mascherare il gap spaziale delle creazioni,
nel senso che non si avverte la differenza che normalmente esiste quando si
comparano musiche realizzate in periodi diversi, condizionate dalla maturità e
dal mood momentaneo dell’autore.
Emerge invece una
grande omogeneità dove occorre sottolineare un paio di cose.
Innanzitutto il brand
di Maurizio Guarini. Posso giudicare solo rifacendomi alla sua storia nei
Goblin, e pensando a quelle trame mi viene spontaneo abbinare l’ascolto di “Creatures...” al “tocco” di Maurizio, e
questo mi pare un grande pregio ed elemento di sua soddisfazione.
Altra cosa è la
materia proposta, qualcosa di antico che diviene avanguardia, tempi composti su
un tappeto elettronico melodico e mistura di rock, prog e intimismo elettronico dei maestri
tedeschi degli anni ’70.
Prendo ad esempio Black Dog, brano capace di far rivivere
i Gentle Giant, ammodernandoli con una pennellata di vernice musicale anni 2000:
il risultato è sorprendente!
Un disco gradevole che
mi pare adatto ad un pubblico trasversale, un album che appare come buona
sintesi di un lungo percorso di vita, un contenitore che, facendo quattro
calcoli, potrebbe non avere un seguito immediato, anche se Guarini sta
lavorando ad un nuovo episodio solista, ma si sa, i Goblin sono i Goblin, e il
mondo li aspetta in tour!
L’INTERVISTA
Un po’ di storia: come si può sintetizzare la vita musicale
di Maurizio Guarini?
Difficile decidere da dove iniziare. Partiamo
dai veri inizi, cioè dal mio incontro con la possibilità di creare musica, cioè
avere uno strumento musicale tra le mani e creare suoni e rumori. Il primo
strumento che ho avuto occasione di suonare è stato una chitarra, che mi fu
regalata dal fratello di mia nonna. Una volta che i miei hanno capito che riuscivo
a tirare fuori delle cose che avevano senso, si sono probabilmente impietositi
guardandomi trafficare ore e ore al giorno con quell'arnese, e mi hanno
comprato una pianola. Da lì inizia il mio percorso da autodidatta, rubando
trucchi dai musicisti che avevo la possibilità di sentire e vedere, solo per il
piacere di divertirmi e imparare. Le prime esperienze con gruppi, nel senso di
suonare insieme ad altre persone, risalgono agli inizi del liceo e in quel
periodo ho avuto i primi incontri con un pubblico vero. Facevo più che altro
rock, sentivo i Deep Purple e gli Huriah Heep, poi ho scoperto Emerson e i Pink
Floyd. Qualche anno dopo ho iniziato a fare più sul serio, e mi sono avvicinato
parallelamente al jazz rock e a quello che oggi si chiama progressive, come
Gentle Giant e Genesis. I gusti si evolvevano rapidamente per approdare così ai
Weather Report, Zappa e Mahavishnu. Erano i primi anni ‘70, c'era molta
attività di gruppi a Roma, e si suonava tanto, jam sessions praticamente ogni
sera. Non ho mai pianificato di diventare un musicista professionalmente, mi ci
sono trovato senza accorgermene, ho solo seguito l'istinto. Il primo tour
"vero" l'ho fatto nel 1974 con due cantautori, Loy e Altomare. L'anno
dopo, grazie a un chitarrista, amico comune,
ho incontrato Massimo Morante, che cercava un tastierista per suonare
dal vivo con questo gruppo - che io non conoscevo - chiamato Goblin, dopo il
grande successo del film Profondo Rosso
e della colonna sonora, visto che Claudio Simonetti, co-fontatore con Massimo,
aveva deciso di andare per la sua strada. Da lì è iniziata la mia carriera
gobliniana. Il primo tour - dopo il rientro lampo di Claudio - fu un grande
successo. Era fine 1975, eravamo in coppia con Riccardo Cocciante e durante il
tour siamo diventati primi in classifica con Profondo Rosso. Nello stesso periodo abbiamo registrato il disco Roller. A fine 76 sono uscito dal gruppo
per dissidi interni, mentre eravamo in studio durante la registrazione di Suspiria (tra parentesi nel disco non
sono menzionato, ma ho partecipato appunto alla prima fase di registrazione).
Da lì è iniziato il mio andirivieni nei Goblin, in alternanza con Claudio. Con
i Goblin ho partecipato alle colonne sonore di Patrick, Buio Omega, Contamination, Saint Helens, Notturno, e un disco che si discostava
dal nostro genere standard, Volo,
dove ho conosciuto anche Cinzia Cavalieri, autrice dei i testi di Volo, che poi èdiventata la mia
compagna. Nel frattempo lavoravo come session man con altri artisti, direi tra
i più importanti in Italia, sia in studio che dal vivo. Per nominarne alcuni,
Cocciante, Venditti, De Gregori, Mannoia, Patty Pravo, Renato Zero, Mia
Martini, Nada, eccetera. In quel periodo ho lavorato molto in studio anche
nell'ambito delle colonne sonore, soprattutto per film horror ma non solo,
collaborando con altri compositori. Per i curiosi ci sono più informazioni nel
mio sito: www.maurizioguarini.com
Dopo il 1990 ho iniziato ad affiancare lo
sviluppo di software alla musica, e nel 1998 una serie di eventi legati al mio
lavoro mi hanno portato a trasferirmi in Canada. Dopo qualche anno di attività
nel campo informatico ho messo su uno studio di registrazione nel mio basement
e sono tornato gradualmente alla musica, e nel 2004 Massimo Morante mi ha
ricontattato dall'Italia e abbiamo fatto una reunion con i Goblin che si è
coronata con l'uscita di BackToTheGoblin
e successivamente con il ritorno alle performance live nel 2009.
Dopo anni di esperienze multiple, che giudizio ti senti di
dare del ruolo dei Goblin all’interno del panorama musicale nazionale e oltre?
Che ai tempi fossimo innovativi non c’è dubbio,
è riconosciuto da tutti. Innovativi rispetto alle sonorità e rispetto
all'approccio riguardo al commento musicale, che era molto distinguibile. Non
saprei come collocarci. Alcuni ci classificano progressive, ma avevamo
decisamente la nostra sonorità, riconoscibilissima. Oserei dire che il ruolo
della nostra musica ha acquisito più importanza dopo il 2000, con la diffusione
della rete e il proliferare dei social network e quindi con la possibilità per
tutti di sentire cosa facevamo 30 anni prima. Stavolta, invece di essere un
fenomeno prettamente italiano come negli anni ‘70, la nostra popolarità è
cresciuta globalmente, in tutto il mondo, e questo ci ha fatto ovviamente molto
piacere. Sono rimasto sorpreso quando giravo per locali e tra musicisti, le
prime volte qui a Toronto, se dicevo di essere parte dei Goblin vedevo gente
che quasi si prostrava come se fossi un Dio. Ho realizzato che col tempo siamo
diventati sempre più importanti a nostra insaputa, e le nostre sonorità sono
diventate in qualche modo un punto di riferimento. Abbiamo involontariamente
influenzato molti gruppi techno o metal. Adesso se senti un certo tipo di
atmosfera puoi descriverla come "alla Goblin". E' una cosa bellissima
ma che ti fa anche sentire il peso di una certa responsabilità. Alla nostra
notorietà hanno anche contribuito gruppi famosi che hanno usato nostri suoni
campionati per brani di successo, e magari servizi giornalistici che usano la
nostra musica come commento per identificare suspence - Profondo Rosso e Suspiria
sono usati ancora oggi dovunque, dopo quasi quarant'anni. Dal 2009 comunque
abbiamo riiniziato la nostra attività live, abbandonata nel 1976, e abbiamo
avuto un successo sorprendente. Non solo in Europa, dove abbiamo fatto il tutto
esaurito a Parigi, Londra, Berlino, ma anche oltre oceano, Giappone, Australia
e Nuova Zelanda. Dovunque tutto esaurito e folle impazzite per la nostra
musica. Nell'autunno 2013 la coronazione con il primo tour negli Stati Uniti.
Sold out quasi dappertutto, con date che abbiamo dovuto fare tre volte, e altri
due tour aggiunti. Incredibile per un gruppo italiano che fa musica solo
strumentale. Peccato che in Italia non siamo così popolari e che soprattutto
non ne parli nessuno. Ma sappiamo come funziona, è la solita passerella dei
soliti noti, quindi non ci proviamo neanche. Adesso stiamo lavorando al nuovo
album, che sarà pubblicato a fine gennaio, e organizzeremo date in giro per il
mondo. La formazione attuale vede i quattro quinti della formazione originale
del 1975, ti assicuro che la chitarra di Massimo Morante, la ritmica originale
di Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo, e le mie tastiere, dal vivo sono
garanzia per una sonoritàGoblin DOC, e il pubblico lo sa.
La tua attività musicale si interseca con quella
professionale, dove regna la tecnologia: quanto ha inciso l’evoluzione tecnica
sul tuo essere artista?
Ho sempre avuto un'attrazione per la matematica
e la tecnologia in genere, e ho iniziato a trafficare con il software agli
albori del personal computer, a fine anni ‘70, prima con schede di sviluppo,
poi con PET e poi il primo Apple II nel 1978. Già allora, prima dell'avvento
del midi, ho iniziato a usare il computer in studio di registrazione per
costruire sequenze altrimenti impossibili con i sequencer dell'epoca, limitati
a poche note, e nel 1984 ho realizzato una scheda con relativo software per
Apple II, chiamata YUK, che è stato uno dei capostipiti dei moderni software
musicali, e ne sono molto orgoglioso. Quindi, direi che da subito la tecnologia
ha influenzato molto la mia produzione musicale, la mia capacità di produrre
musica e la mia vita in genere, ma nonostante questo sono convinto che
l'evoluzione tecnica non possa incidere più di tanto sull'essere artista.
Sicuramente ti può guidare e direzionare sulle tue scelte, e ti amplia le
possibilità in un modo sorprendente, ma non è detto che questo sia un bene,
anzi a volte se usata a sproposito la tecnologia può incidere negativamente,
rallentando la creatività, portandoti a focalizzare il tecnico, e questo va a
discapito di quello artistico. Per farti un esempio, tanti anni fa un
tastierista magari spendeva il 10% del tempo a creare suoni, e il 90 a suonare,
adesso il rapporto è invertito, si tende a rimanere aggiornati con le migliaia
di innovazioni e updates che arrivano giornalmente e di tempo per creare musica
ne rimane veramente pochino. E il danno della tecnica sull'arte non si ferma a
questo: purtroppo c’è un effetto collaterale che a mio parere è stato deleterio
per la musica e l'arte in genere: negli anni ottanta le case di produzione
discografiche, alcuni produttori, insomma, parte dell'industria, ha pensato
bene che con le nuove tecnologie emergenti chiunque potesse essere in grado di
produrre musica, e hanno pensato bene di iniziare a fare da soli, eliminando i
musicisti e stravolgendo il processo compositivo, tentando di farne un business
fine a se stesso. Risultato: abbiamo avuto la più grossa crisi che ci sia mai
stata, riguardo la qualità e, dopo qualche anno, ha avuto anche ripercussioni
economiche sul mercato. L'industria non aveva pensato che la gente compra la musica
quando è bella, quando è composta e suonata bene, non solo se sei bravo a
venderla. La gente non è stupida. Le masse sono manipolabili, ma dopo un pò la
realtà trionfa sempre. Sono andato fuori tema? Decisamente sì. Per tornare alla
tecnologia applicata all'arte, ne sono un profondo sostenitore, quando la
tecnologia è usata bene è al servizio dell'arte, ma dipende da come e da chi. E
questo non si limita alla musica.
Vorrei soffermarmi sul tuo album, “Creatures from a drawer”: come nasce
l’idea?
Nei tanti anni spesi tra studi di registrazione
e tour, spesso a lavorare per altri artisti, ho composto molti brani, che non
ho mai avuto il tempo e la determinazione di pubblicare, e se ne sono
accumulati veramente tanti. Anni fa, approfittando di un riordino totale delle
mie cose, che comprendeva la digitalizzazione di tutti i vecchi nastri e
cassette prima di disfarmene, ho fatto un riascolto del materiale, e ho
ritrovato idee e composizioni interessanti. Alcune le avevo addirittura
dimenticate. Appunto, delle "Creature
da un cassetto", dimenticate lì e in attesa di prendere vita. Ho
deciso che era ora di mettermi alla prova producendo un mio album, usando parte
di quel materiale e componendone di nuovo, e vedere cosa la gente pensa
veramente della mia musica. Insomma mi serviva un feedback mettendo in gioco me
stesso in prima persona, non come elemento di un gruppo o arrangiatore o
musicista per qualche altra produzione. Ho deciso di fare i pezzi proprio come
piacevano a me, non pensando assolutamente al lato commerciale. Non è stato
facile, ma credo di avercela fatta. Ora sono piacevolmente sorpreso della
quantità di persone che apprezzano la mia musica, che alla fine ho prodotto
solo per me. Ho optato per una distribuzione solo online, e non ho fatto alcuna
campagna pubblicitaria, solo passa parola. Si possono trovare più informazioni
sul sito
www.creaturesfromadrawer.com
Potresti definirlo un album concettuale?
Parzialmente sì, ma solo dopo un lavoro di
ricostruzione, essendo l'album stato concepito solo in un secondo tempo, quando
le composizioni erano già lì, indipendenti e in attesa di essere realizzate.
Diciamo che ho cercato di concentrarmi sull'essenza delle composizioni, e il
filo conduttore lo puoi trovare proprio estrapolandolo dalla natura staccata
dei brani. Sembra un controsenso ma non lo è. Uno dei problemi che ho
incontrato inizialmente era proprio l'omogeneità: siccome i pezzi venivano da
epoche diverse, non c'era una continuità compositiva. Noi tutti cambiamo, nel
tempo, le nostre idee, i nostri stati d'animo durano per periodi limitati,
nascono e muoiono, cambiamo in continuazione, e mi sono ritrovato pezzi
totalmente diversi tra loro. Comunque ho deciso di non esagerare con questo
processo di “omogeneizzazione” estetica, cercando di mantenere il più possibile
lo spirito delle composizioni originali, quindi troverai dal jazz al
progressive, dall'atmosfera all'elettronico, tutto diverso. E se c’è qualcosa
che lega, non è certo voluto, non è sotto il mio controllo. Insomma, se
riconosci che è un pezzo mio non è per i suoni o le ritmiche o l'arrangiamento,
è per l'essenza e il concetto.
Mi parli degli ospiti del disco?
Per il disco ho provato a seguire quello che
faccio nella vita, quando è possibile, cioè mescolare persone di provenienza
culturale diversa, e che magari neanche si conoscono, in modo da cercare nuove
energie. Se da una parte lavorare con persone che si conoscono bene e affiatate
musicalmente è un vantaggio per ottenere un suono definito e collaudato,
mettere insieme musicisti che non si conoscono può essere uno stimolo per
creare qualcosa di nuovo. I musicisti si trovano in un ambiente sconosciuto,
senza scudo, e potenzialmente liberi da vincoli. Per esempio, bassista,
batterista e chitarrista che hanno suonato sul pezzo “Gentle Robbery” si conoscevano a malapena prima di collaborare al
brano, e questo a mio parere fa avvertire quel non so che di freschezza che non
si ottiene quando una situazione è collaudata e i musicisti si conoscono. E' una
cosa che arricchisce il pezzo e tutti quelli che chi partecipano.
Il disco in genere è stato registrato in
diversi studi e alcune cose sono state impostate elettronicamente. Ho chiamato
musicisti diversi nei vari pezzi: Great Bob Scott alla Batteria e Chris Gartner
al basso sono due musicisti di Toronto che ho conosciuto 7-8 anni fa - ho
sentito Bob suonare la batteria in un after hour e mi hanno colpito la sua
tecnica e soprattutto il suo approccio sempre positivo e scherzoso con il suo
strumento. Suonare con lui è una gioia, una botta di positività. Con loro ho
formato un trio anni fa, chiamato “Orco Muto”, e abbiamo fatto dei concerti a
Toronto e in giro per il Canada.
Cinzia Cavalieri, mia moglie, ha partecipato
come vocalist e ha scritto le parole di uno dei brani. In Italia aveva già
collaborato con me in studio e dal vivo
in diverse occasioni.
Brandi Disterheft, con cui ho avuto l'occasione
di suonare a volte in jam session, è una contrabbassista molto talentuosa, vive
a New York e ha una sua produzione musicale propria. Suona soprattutto jazz,
nel mio disco suona su due brani molto complessi armonicamente e ritmicamente.
Matt Campbell è un chitarrista molto
interessante, eclettico e pieno di idee, a cui piace spaziare e che non ama
seguire schemi.
Con Bryant Didier ho suonato live innumerevoli
volte, è un bassista molto funk e ritmico, ottimo suono.
Stesso dicasi per Marcello Ciurleo, batterista.
L'ho conosciuto solo recentemente, da un paio di anni. Ha una mente e una
precisione fuori dal comune, un suono veramente interessante e energia da
vendere.
Chi ha curato l’artwork e quanta importanza dai all’aspetto
visual?
Ho pensato a tutto io, con l'aiuto di Cinzia
che mi ha dato un prezioso feedback e molti consigli sull'impostazione generale
della grafica, scelta delle foto eccetera. Riguardo il disegno dello gnomo, lo
avevo ritrovato anni fa nei vecchi scatoloni provenienti dalla cantina di Roma.
Era un disegno a penna. L'ho scannerizzato, ripulito, colorato, modificato un pò,
e aggiunto un ritratto di me stesso. Poi l'ho usato come icona per il mio
disco, mi sembrava che questi strani esseri di fantasia fossero in tema con
l'idea dell'album. Alla fine sono riuscito a risalire all'autore del disegno
originale, Sandro Cesaroni, “Cicero”, un sassofonista con cui ho suonato a Roma
e che lo aveva fatto estemporaneamente come regalo di un mio compleanno, negli
anni 70. Sono contento di averlo ritrovato. Altra grafica, mie idee e disegni,
che più o meno descrivono le situazioni da immaginare nei brani. Mi divertivo a
disegnare da piccolo, e mi piace ancora. Invece che a mano, con la tavoletta
grafica - tornando al discorso tecnologia e arte…
L'aspetto visuale è importante, e credo sia
sempre più importante col passare del tempo, vista la velocità con cui il pubblico
deve "digerire" i bombardamenti giornalieri di contenuti grafici da
ogni parte, e anche perchè le nuove generazioni tendono a classificare
qualunque cosa. In qualche modo l'aspetto visuale deve matchare col contenuto
nell'immaginario collettivo, altrimenti il prodotto non trova la giusta
collocazione. E' triste, ma è così, siamo assuefatti agli stereotipi nostro
malgrado. Io ho rischiato un pò, potevo dirigermi maggiormente su una grafica
più scontata o standard, magari più dark o horror, ma ho provato a discostarmi
e farne una cosa più mia, che credo rispecchi un pò il contenuto dell'album.
L’album è uscito nel 2013: sei riuscito a riproporlo dal
vivo?
Una sola volta al release party al Lula Lounge
di Toronto, nel giugno 2013. E' stato un successo decisamente oltre le
aspettative. E' stato messo su tutto velocemente, abbiamo avuto pochissimo
tempo per provare, ma alla fine è andata alla grande, con locale pieno e
pubblico molto attento. Grazie a tutti quelli che sono venuti e mi hanno
sostenuto. Presto mi organizzerò e inizierò a fare dei concerti suonando le mie
cose, ho già molte idee a riguardo. Per ora sono super impegnato coi Goblin.
Da qualche anno vivi in Canada: potresti comparare il modo in
cui si vive la Musica nei “tuoi” due paesi?
Parlo di Roma e Toronto, per non generalizzare
troppo. Dal punto di vista di quantità di musica live, non c’è neanche da fare
il paragone. Qui c’è' molta, moltissima musica dal vivo, in centinaia di locali
sparsi per la città. Si suona tutto, dal Jazz al progressive al metal al funk,
al folk alla musica sperimentale. E' molto di moda la musica improvvisata. Non
parlo solo di Jam session Fusion o Jazz, ma di totale improvvisazione che può
spaziare da musica atonale a ambiente, effetti e elettronica. Se vivi qui
scopri che ci sono tantissimi posti dove si suona, non menzionati da nessuna
parte, ma che impari a conoscere solo per passaparola. E' proprio in uno di
questi after hours che sono venuto in contatto con i primi musicisti, anni fa.
L'approccio dei musicisti tra di loro è molto diverso da quello che succede in
Italia, almeno nella mia esperienza. Qualcuno storcerà il naso sentendomi dire
questo, ma secondo me è così: qui c’è molto più rispetto tra musicisti e quelli meno
bravi non vengono criticati, ma accolti, incoraggiati e spronati da quelli con
più esperienza. Suonare in un ambiente amichevole e rilassato, essere a proprio
agio, è fondamentale per un musicista. Non ha paura di sbagliare e libera la
sua fantasia e creatività. Se sei a tuo agio riesci a fare cose che non
riusciresti a fare altrimenti in situazioni di stress o in un ambiente ostile,
specie se sei emotivo. Mi raccontava il mio amico compianto Stefano Cerri che
nel tour Animation che fece con Jon Anderson in Nord America intorno al 1980,
gli fu chiesto di fare dei cori, ma le note che doveva fare erano bel al di
sopra delle sue possibilità. Ebbene, l'ambiente era talmente amichevole e stava
talmente a suo agio che nel giro di pochi giorni riuscì a raggiungere quelle
note che non avrebbe mai immaginato prima. I musicisti sono più aperti
mentalmente e meno con la puzza sotto il naso. Si divertono, e non si
vergognano di scherzare, insomma non fanno pesare il loro essere musicisti.
Anche quelli più bravi, anzi, soprattutto loro. Questa è una cosa che mi piace
molto del Canada e del Nord America in genere. Non so, quando ho lasciato
l'Italia la situazione mi sembrava molto cupa e di casta. Mi ricordo locali
jazz a Roma molto tristi, da farti venire la depressione. Magari è cambiato,
sono 16 anni che vivo qui ormai. Un altro motivo che aiuta a far emergere
musicisti e i gruppi è proprio suonare dal vivo. Prendi un gruppo di giovani
che vogliono iniziare: cominciano andando nei locali meno importanti, magari
proponendosi gratis. Se sono bravi, la gente chiede al locale di richiamarli, e
la settimana dopo c’è più gente e magari il locale li paga un pò. Più gente va,
più acquistano valore commerciale e sono richiesti. Ed ecco che possono andare
nel locale più importante la settimana dopo, e iniziare la scalata. Non è come
in Italia, dove vai per conoscenze, è' come si vede nei vecchi film americani
degli anni ’40: “Vediamoci al locale tot,
stasera suona un gruppo interessante!”.
Un'altra cosa che aiuta la musica è il fatto che qui c’è poca pirateria. Il
pubblico, le persone sanno che i musicisti vivono di quello, e non hanno
problemi a comprare un CD. La gente compra e spende. Non per buttare soldi, ma
perché sono consapevoli che stanno usufruendo di un prodotto su cui hanno
lavorato molte persone, ed è giusto che si paghi. Quando mi sono trasferito qui
alcuni amici hanno sentito un CD che avevo e hanno chiesto cos'era. Io ho detto
che potevo fare una copia, e loro sorpresi hanno chiesto: "Perchè?
Ho i soldi per andarlo a comprare!".
Sembra che io stia parlando male dell'Italia e
facendo pubblicità al nordamerica, ma non so come spiegare, è proprio così, è
questione di mentalità e quella non si cambia con le leggi. Se uno non viene
qui, vive qui per qualche anno, non può capire, anzi, quando racconto queste
cose mi dicono che esagero, quindi normalmente evito.
Che cosa hai pianificato per il tuo futuro prossimo, restando
in tema “Musica”?
In questo momento sono al 100% dedicato alla
realizzazione del nuovo disco dei Goblin (sempre che non ci spariamo prima e il
tutto si concluda con un nulla di fatto visti i nostri caratterini non sempre
compatibili che hanno portato a scissioni furiose in passato). Per questo
disco, oltre al lato musicale, mi occupo anche di altre cose, tipo copertina,
grafica, produzione merchandising, pianificazione, coordinamento, insomma, non
mi rimane molto tempo per dedicarmi ad altro almeno fino a Febbraio. Subito
dopo, probabilmente ricominceremo a viaggiare come al solito. Per presentare il
nuovo album, con i Goblin organizzeremo concerti, e questo implica vederci per
provare il nuovo spettacolo live, probabilmente a inizio primavera. Non abbiamo
ancora un piano preciso del tour, ma probabilmente includerà date in Europa e
US, e forse Giappone e Australia.
Nel frattempo, nei ritagli, inizierò a lavorare
al mio prossimo album solista, che sarà la continuazione naturale di Creatures. Questa volta integrerò la musica
con elementi di grafica 3D in mondi virtuali, con strumenti virtuali interattivi,
un progetto basato su OpenSim a cui ho già iniziato a lavorare da un paio
d'anni e che ho parzialmente presentato lo scorso luglio al festival Electric
Eclectics, in Ontario.
Per un futuro più lontano, sto pensando a
realizzare cose per orchestra. Niente di pianificato esattamente, ma l'idea è
lì e la realizzerò di sicuro.
Note dal
comunicato stampa…
Il 31 gennaio 2013 è stato pubblicato il primo album solista
di Maurizio Guarini, intitolato ‘Creatures from a drawer’. Una uscita un po’ a
sorpresa, anche se gli appassionati dei Goblin ben sapevano che il tastierista
stava lavorando a questo progetto da alcuni anni.
‘Creatures from a drawer’ contiene 10 tracce (Dialogue,
Gentle robbery, Solar channel, Aniens comma 21, So dark, Black dog, Beside the
cathedral, Looking around, Magic tunnel, Lost my camera) per una durata
complessiva di circa cinquanta minuti e Guarini, oltre che delle tastiere, si è
occupato anche di basso e percussioni, dei missaggi nonché della grafica
assieme alla compagna Cinzia Cavalieri, già autrice dei testi di 'Volo' e qui
presente anche come cantante in un paio di pezzi.
All’album hanno contribuito anche altri musicisti, tra cui
spiccano il batterista Bob Scott ed il bassista Chris Gartner (già compagni di
Guarini negli Orco Muto), il chitarrista Matt Campell e la contrabassista
Brandi Disterheft. Il disco, registrato a Toronto, è stato prodotto dallo
stesso Guarini.
Pubblicato il 15 apr 2013