Sergio d’Alesio ci regala un altro capitolo che
lega la grande musica ai frammenti di storia e ai personaggi che hanno avuto il
coraggio, la forza e il talento per incidere e aprire una via da seguire.
George Harrison non ha bisogno di presentazioni,
neppure tra le nuove generazioni, e la sua figura intrisa di spiritualità è
sempre emersa anche in momenti in cui parlare della coppia Lennon/McCartney
pareva spiegare meglio certi fenomeni musicali.
Ma il talento di George, le sue abilità
di compositore e di artista completo si sono ben presto rivelate al mondo, così
come il progressivo distacco verso la materia, a favore dello spirito.
L’autore, nel libro “GEORGE HARRISON- MY SWEET LORD: LA VIA DELLA SPIRITUALITA’ ”,
ci descrive, soprattutto, questa seconda immagine, toccando i punti salienti,
gli incontri, le motivazioni e le relazioni fondamentali della vita di “The Quiet One”.
Ne emerge un quadro illuminante,
quasi didattico se si pensa alle scelte descritte che hanno a che fare con la
qualità dell’esistenza, una picture che permette di unire vite e musiche che intersecano
occidente e oriente, creando una sintesi culturale che appare alla fine come documento
di riferimento.
Una vita straordinaria, un uomo
predestinato, un musicista di enorme talento che verrà ricordato per la sua
arte e per la capacità di ritagliarsi in modo naturale un ruolo quasi mistico,
non per moda o convenienza ma per profondo credo.
Sergio d’Alesio ci racconta
magistralmente l’iter evolutivo di Harrison, a quindici anni dalla sua
scomparsa e in contemporanea con la distribuzione di “Eight Days A Week: The Touring Years”, il film documentario diretto
da Ron Howard con la collaborazione di Paul McCartney, Ringo Starr, Olivia
Harrison e Yoko Ono.
Allegato al book un CD edito dalla
CAPITANATART RECORDS, “In the garden of
George Harrison”, dieci brani “tributo” composti da Rino Capitanata e
interpretati da artisti indiani, tedeschi e italo finlandesi, che diventano
strumento per ogni terapia olistica e rientrano appieno nel progetto musicale e
spirituale voluto dall’autore, che nell’intervista a seguire racconta nei
dettagli la sua opera, suggerendo alla fine le modalità di fruizione.
L’INTERVISTA
Partiamo
dall’essenza del tuo nuovo libro dedicato a George Harrison: che cosa contiene,
in che cosa si differenzia da tutti quelli che hanno sino ad oggi trattato il
“mondo Beatles”?
Innanzitutto,
al pari del mio libro Eagles la leggenda
del country-rock, il libro inizia con una prospettiva panoramica circolare
che approfondisce il legame fra la religione e il rock’n’roll dedicata a
musicisti carismatici come Leonard Cohen, Carlos Santana, Roger McGuinn, Dan
Peek, Richie Furay, Cat Stevens, John McLaughlin, Prince e cento altri la cui
carriera è stata, fra virgolette “benedetta” dal rapporto con Dio e si chiude
con la citazione di album e canzoni in tema. Detto questo, My Sweet Lord: la via della spiritualità non è una biografia su
Harrison e tantomeno sui Beatles, quanto una sorta di diario di viaggio di un
artista che, a soli 22 anni, si trova nella posizione di diventare un esempio
folgorante per la sua generazione stimolando centinaia di migliaia di giovani a
partire per un viaggio di sola andata per l’India dalla quale non fanno più
ritorno. Grazie al connubio fra musica e spiritualità, George non assume solo
il ruolo di padre putativo della world music, ma introduce il mondo occidentale
ai mantra, allo yoga, alla meditazione e soprattutto alla lettura dei sacri
testi dell’induismo, inclusa la famosa Autobiografia
di uno yogi di Paramahansa Yogananda. In realtà, nel giro di poche stagioni
dal 1965 al 1969, grazie a compagni di viaggio virtuali (Swami Vivekananda,
Paramahansa Yogananda e Caitanya Mahaprabhu) e reali (Swami Vishnu-Devananda,
Maharishi Mahesh Yogi, Ravi Shankar, Sri Swami Satchidananda e A.C. Bhaktivedānta Swāmī Prabhupāda) acquisisce in
progressione la piena consapevolezza del vero significato dell’esistenza,
contagiando nella sua ricerca anche John Lennon, Paul McCartney e Ringo Starr.
Del resto è a George che si deve la presenza di Yogananda sulla cover di Sgt. Pepper.
Harrison
aveva un ruolo atipico all’interno della band, non il leader ma sicuramente
capace di emergere anche come autore e singer: come giudichi il suo lavoro
musicale nelle due fasi distinte, con i Beatles e “solo”?
Lavorando
con due geni come Lennon & McCartney, in seno ai Beatles la sua verve
compositiva è sempre rimasta in ombra sino ai suoi capolavori inclusi nel doppio
White Album: da Long, Long, Long a Piggies,
Savoy Truffle e l’incredibile riff
chitarristico di While My Guitar Gently
Weeps. Con un degno seguito, targato Here
Comes The Sun e Something che,
all’epoca, Frank Sinatra definì la migliore canzone d’amore mai scritta. Tutto
quello che ha fatto dopo emerge in oltre 30 anni di carriera, dove centinaia di
brani, anche in parte esclusi dalla selezione degli album dei Beatles, viene
finalmente alla luce in arrangiamenti contemplativi, intrisi di misticismo che
non rinunciano ad esaltarne la melodia e la coralità tipica dei Fab Four.
Canzoni che il grande pubblico ha conosciuto solo in parte e meritano una
riscoperta. Una annotazione degna di nota, riguarda proprio la stesura del
libro, dove George, al pari della narrazione degli eventi, parla sempre al
presente. In questo senso non è una biografia, ma un diario di bordo delle sue
esperienze e riflessioni spirituali e artistiche.
Tu
hai avuto modo di incontrarlo: che cosa ti ha maggiormente colpito dell’uomo
Harrison?
Come
diceva Ravi Shankar e io ripeto nell’introduzione e nella backcover del libro: “Ho
incontrato George Harrison in molte occasioni nel corso della sua carriera. Oltre
al talento, ogni volta ero sorpreso dalla sua apertura mentale perchè mostrava
il “tyagi”, un totale distacco dalla popolarità, come se lui fosse
profondamente differente da quello che la gente ascolta nella sua musica. In
realtà, ancor oggi, mi chiedo quali requisiti debba avere una persona per
trascorrere su questo pianeta “una vita straordinaria”. George appartiene a
quel novero, quasi fosse un fiore che germoglia, una pianta che si rigenera di
stagione in stagione o un peepal l’albero di lungo corso che prospera in India…”
Sarebbe
esistito un Harrison “mito” senza l’incontro con la spiritualità?
Quando
lui ha iniziato a suonare non c’erano ancora i grandi alla Jimmy Page, Jimi
Hendrix o Eric Clapton e ha dovuto creare il suo stile senza emulare nessuno.
Ovviamente la sua ricerca spirituale dona colori, anima e profondità alla sua
musica. Nel libro, l’artista ribadisce più volte la sua visione della vita
affermando: “Appena sono arrivato in
India, Ravi e suo fratello Raju mi hanno dato un mucchio di libri da leggere.
Uno era di Swami Vivekenanda che fra l’altro dice: < - ribadendo il
concetto nel corso degli anni in maniera sempre più personale -; partecipare ai corsi di meditazione per
lunghi periodi in profondità, mi offre la possibilità di collegarmi
direttamente all’energia divina ed elevare il mio stato di consapevolezza
privandomi della materialità del mio corpo. Per una persona che vive in
occidente e fa le follie da rockstar, non è mai facile raggiungere questa
connessione. In realtà, ho cominciato seriamente a riflettere sul fatto che il
mio stile di vita andava cambiato perché in totale conflitto con tutto ciò che
ho imparato in India… Leggere e rileggere le pagine di Autobiografia di uno
Yogi è illuminante e ti fa crescere ogni
volta. E’ come riconoscersi nelle sue parole. Di riflesso, i miei genitori sono
in ansia per il fatto che io rinneghi gli insegnamenti della religione
cristiana, ma io li rassicuro spesso al riguardo. Dio ha molti nomi, ma è Uno
solo… Per tanti può essere intesa come una moda, per me è una cosa del tutto
differente. Ovviamente esiste una forte contraddizione tra la ricerca
spirituale di Dio e la vita materiale, fatta di lusso, castelli, auto da corsa
e donne in vestito da sera. Ma c’è solo una realtà. Dio è tutto. Dio è in
ognuno di noi. La vita è assolutamente eterna ed anche in questo passaggio
terreno il Divino può essere colto in pieno, capito e vissuto in maniera totale… La morale della storia è che, se accetti
gli alti, dovrai passare anche attraverso i bassi. Nel corso della mia vita sto
imparando a conoscere l'amore e l'odio, il bene e il male, le sconfitte e le
vittorie. Pur reputandomi una persona fortunata, la mia esperienza è
semplicemente una versione amplificata di quello che vive chiunque altro.
Qualsiasi cosa sia accaduta è positiva se ci ha insegnato qualcosa, ed è
negativa solo se non abbiamo ancora imparato a rispondere a tre semplici
domande: ‘Chi sono? Dove sto andando? Da dove vengo?’. Non esiste altra verità.
L’unica cosa importante è connettersi con il divino, tutto il resto è relativo
e non ha alcun significato>>.
Qual
era il suo rapporto con la “materia”, necessaria comunque nel quotidiano?
Sin
dalla nascita del figlio Dhani, il suo rapporto con il quotidiano è
rappresentato dalla sua famiglia e dalla natura che lo circonda. “Dhani ha bisogno di me. Se non fosse per
lui, avrei abbandonato questo mondo da molto tempo…” ha sempre ricordato
l’artista nel corso della sua esistenza.
Nel
contenitore che hai realizzato è inserito anche un CD che propone un tributo
all’artista: me ne parli?
Al pari di poche
altre etichette italiane, la CapitanArt Records è una casa editrice
indipendente (in seno alla quale ho già realizzato una trilogia dedicata a Il Potere Curativo della Musica in
versione audiolibro ndr.) gestita in prima persona dal polivalente artista e
compositore Rino Capitanata, che vanta prestigiose collaborazioni con artisti
in tutto il mondo e preziose produzioni musicali dedicate alla meditazione,
allo yoga ed altre discipline olistiche. Concettualmente perfettamente
allineata ai principi della Meditazione Trascendentale del Maharishi Manesh
Yogi e alla fusione sonora fra occidente e oriente proposta Harrison &
Shankar sin dal 1974 con il rivoluzionario show “Music Festival from India”,
oggi l’etichetta propone il George
Harrison Music Tribute un vero e proprio omaggio strumentale di 10 brani
musicali originali composti da Capitanata che attraversano quella sottile linea
sonora che permette al corpo, alla mente e soprattutto all’anima umana di
instaurare un rapporto diretto con il Trascendente. Contrariamente al sentito
omaggio del Concert for George alla
Royal Albert Hall e del George Fest
di Los Angeles, il CD propone una colonna sonora reale/virtuale che ripercorre
tutte le esperienze spirituali della sua vita come singolo individuo, con ovvie
reminescenze condivise insieme ai Beatles descritte in Rishikesh e Maharishi. Il
CD interpretato dalla vocalist Deja Raja e il sitarista Hariprasad entrambi
originari dell’India, il tedesco Swami, l’italofinlandese Thea Crudi e lo
stesso Capitanata spazia in ogni più recondita e segreta dimensione spirituale
del pianeta Terra, donando all’ascoltatore la chance di portare alla luce la
scintilla divina che plasma l’anima umana.
Può
essere, anche, un aiuto, una agevolazione per arrivare a momenti di riflessione
e a una buona introspezione?
L’atmosfera sonora
dell’album è metafisica, surreale, quasi pronta ad elevare un ponte virtuale
fra la vita e il divino. Il tributo s’allinea perfettamente alle parole
dell’artista: “Tutte le religioni sono
parte di un grande albero. Non è importante che Dio venga chiamato Cristo o
Krishna o Buddha, quello che è veramente importante è entrare in contatto con
Lui. Grazie al supporto delle nostre guide spirituali, noi possiamo eludere il
male. Questo è il motivo per cui i mantra della fede induista ripetono
all’infinito “Hare Krishna, Hare Krishna” invocando la sua protezione”. In
questa prospettiva, leggere il libro ascoltando il CD può donare a chiunque
momenti di pace e di benefica autoriflessione.
Qual
è il ruolo in cui ha più apprezzato Harrison, tra i tanti da lui recitati?
Negli
anni sessanta nessuno pensava a lui come ad un santone tipo il Maharishi, Osho
o Sai Baba, ma più che altro come ad uno sperimentatore, precursore di un
futuro così denso di promesse. Questo è il suo ruolo che apprezzo maggiormente
anche se il suo rapporto con la musica resta l’elemento emotivo trainante anche
nella splendida avventura con il supergruppo dei Traveling Wilburys, condiviso
con Bob Dylan, Tom Petty, Jeff Lynne e Roy Orbison che pochi in Italia
conoscono.
Esiste
a tuo avviso qualcuno che possa raccogliere la sua eredità?
Sinceramente
non credo che possa nascere un altro George Harrison. Se ogni persona è unica e
irripetibile, penso che il The Quiet One sia davvero unico.
Hai
avuto modo di vedere “Eight Days A Week”, il film di Ron Howard?
Certo
e mi sono molto emozionato perché considero quelle immagini davvero vive e
pulsanti ancor oggi, ma nulla credo sia paragonabile al film Living in the Material World di Martin
Scorsese che giudico il migliore film-documentario musicale mai portato sul
grande schermo.
Per
concludere la chiacchierata… mi dai un giudizio di quell’epoca irripetibile che
a volte fa pensare che essere “antichi” hai i sui pregi, avendo potuto vedere
in diretta ciò che accadeva?
Personalmente,
penso che gli ultimi grandi nomi del rock siano stati gente come Police, Dire
Straits, Eurythmics, Costello, Springsteen e forse Lucinda Williams. Il resto è
poca cosa, inclusi i Coldplay che a me dicono poco. Perché? Tutto il resto è accaduto
“prima” e “dopo” non è accaduto più nulla. Non a caso nel recente raduno a
Indio, California, i dinosauri del rock sono ancora loro: Rolling Stones,
McCartney (leggi Beatles), Neil Young (leggi CSN&Y), Dylan, Who e Roger
Waters (leggi Pink Floyd). Forse mancavano e aggiungerei i Led Zeppelin, Paul
Weller, Van Morrison, i Fleetwood Mac di Rumours
e quel che resta degli Eagles e dei Genesis originari. Ma si sa, oggi se citi i
Byrds o i Kinks la gente ti guarda storto e pensa che sei un vecchio trombone
dinosauro, ancora ancorato al passato. Ma se hai vissuto quegli anni in prima
persona, dietro e sotto il palco, non puoi dimenticarli… Non essendo al momento
distribuito in libreria, chiunque fosse interessato a leggere il mio libro ed
ascoltare il CD può contattarmi via facebook. E’ un modo simpatico e diretto
per ritrovarsi e continuare a sognare, in barba ai mali del mondo.