lunedì 30 giugno 2025

The Alice Cooper Show: era il 30 giugno del 1972



Alice Cooper
Empire Pool, Wembley, Londra, 30 giugno 1972
The Alice Cooper Show

In realtà si tratta solo di uno specchio che metto di fronte a un pubblico per riflettere il lato più oscuro della natura umana

Alice Cooper a Roy Carr, Music Scene, 1972.

Andato in scena per la prima volta a New York il 1 dicembre 1971, “Killer di Alice Cooper era uno scioccante esempio di teatro rock che, secondo il cantante, “era figlio della televisione, del cinema e dell’America“. 
Con il singolo “School’s Out” in procinto di sbancare le classifiche britanniche, lo spaventoso spettacolo horror, con tanto di boa constrictor vivo, ghigliottina portatile e bambole decapitate, andò in scena a Londra guadagnandosi i titoli a tutta pagina dei quotidiani. Fra i presenti in sala quella sera c’era anche la giovane e accesissima fan Simone Stenfors.

Ero la più grande fan di Alice Cooper sulla faccia della terra. Tutto in lui era originale. Era un film dell’orrore, non la solita cosetta carina. Come Captain Beefhart e Frank Zappa, si trattava di musica per fuori di testa. Più o meno all’epoca del concerto, il gruppo suonò a “Top Of The Pops” e il pubblico era pieno di sosia di Alice Cooper e di ragazzine che urlavano in prima fila. Provai fastidio perché quello era il mio gruppo e mi disturbava che fossero diventati così famosi. Avevamo due posti molto indietro , ma io e la mia amica convincemmo due tipi a venderci i loro che erano all’incirca in decima fila. Quando il gruppo di spalla, i Roxy Music, finì di suonare, erano arrivati anche tutti i miei amici e mi ritrovai ai bordi della passerella, seduta in braccio a un ragazzo. Così, quando Alice si sedette lì a cantare ci trovammo alla stessa altezza. E quando cantò “Dead Babies” strappando i vestiti alla bambola i suoi occhi guardavano diritti nei miei.
“Non so dire se facesse paura o meno. Ero una ragazzina molto presa da quel tipo di cose. All’epoca uno spettacolo simile no si era mai visto. C’era il serpente per “It My Body”, il patibolo per “Killer” e tante capsule piene di sangue. Si diceva che Alice stesso avesse rischiato di finire decapitato. Credo fossero voci messe in giro ad arte, ma noi del pubblico avevamo tutti tra i 15 e i 18 anni per cui restammo parecchio impressionati.
Quando Alice, quasi alla fine, cantò “School’s Out”, lanciò gladioli al pubblico e me ne mise uno in mano. Arrivata a casa lo sistemai con la massima cura in un bicchiere pieno d’acqua. Mia madre lo buttò via: non aveva capito quanto importante fosse per me!”

Da “Io C’ero”, di Myke Paytress.

Immagini di repertorio...



domenica 29 giugno 2025

Tim Buckley: un giorno tragico, un'eredità immortale (29 giugno 1975)



Tim Buckley: il giorno in cui la musica perse un visionario – 29 giugno 1975


Il 29 giugno 1975, il mondo della musica perse una delle sue voci più originali e innovative: Tim Buckley. La sua prematura scomparsa, all'età di soli 28 anni, a causa di un'overdose di eroina e alcool, pose fine bruscamente a una carriera in continua evoluzione, lasciando dietro di sé un'eredità complessa e affascinante che continua a risuonare tra gli appassionati di musica a distanza di decenni.

Nato a Washington D.C. e cresciuto in California, Buckley emerse dalla scena folk rock della metà degli anni '60, ma la sua musica presto trascese le etichette convenzionali. Con una gamma vocale straordinaria che spaziava dal baritono al falsetto, e una propensione per composizioni che sfidavano le strutture tradizionali delle canzoni, Buckley era un artista che non temeva di esplorare i confini della forma e dell'espressione.

I suoi primi album, come l'omonimo Tim Buckley (1966) e Goodbye and Hello (1967), lo consolidarono come un cantautore di talento, con testi spesso poetici e introspettivi. Tuttavia, fu con opere successive come Starsailor (1970) che Buckley si spinse in territori più sperimentali, incorporando elementi di jazz d'avanguardia, folk progressivo e improvvisazione vocale. Questo album, in particolare, divise critica e pubblico al momento della sua uscita, ma è stato rivalutato nel corso degli anni come un capolavoro audace e visionario, un testamento alla sua volontà di non conformarsi.

La carriera di Buckley fu costellata di sperimentazioni e cambiamenti stilistici, riflettendo la sua inesauribile ricerca artistica. Dal folk intimista si mosse verso sonorità più rock e soul nei suoi ultimi lavori, come Greetings from L.A. (1972) e Sefronia (1973), dimostrando una versatilità e una curiosità musicale rare. Sebbene non abbia mai raggiunto un vasto successo commerciale durante la sua vita, Buckley era venerato dai suoi pari e dai critici per la sua integrità artistica e la sua innegabile abilità vocale.

Il 29 giugno 1975, la notizia della sua morte scosse il mondo musicale. Le circostanze della sua scomparsa, un triste epilogo per un artista così giovane e dotato, misero in evidenza i pericoli e le pressioni spesso associate all'industria musicale.

È passato mezzo secolo, ma l'impatto di Tim Buckley sulla musica rimane significativo. La sua influenza può essere rintracciata in generazioni di artisti che hanno osato spingersi oltre i confini del genere, dall'art rock al progressive folk, fino al pop sperimentale. Suo figlio, Jeff Buckley, avrebbe seguito le sue orme, ereditando parte del suo talento vocale e creando una propria, seppur breve, eredità musicale, rendendo il nome Buckley sinonimo di profondità emotiva e innovazione.

Il 29 giugno 1975 fu un giorno di lutto per la musica. Tuttavia, la ricchezza e la complessità del catalogo di Tim Buckley assicurano che la sua voce, la sua visione e il suo spirito sperimentale continuino a vivere, ispirando nuove generazioni di ascoltatori e musicisti a esplorare le infinite possibilità dell'espressione sonora. La sua musica è una testimonianza eterna di un talento indomito e di una ricerca artistica senza compromessi.




sabato 28 giugno 2025

Pink Floyd: il 28 giugno 1968 usciva "A Saucerful of Secrets", l'ultimo album con Syd Barrett-Riascoltiamolo nell'articolo

 

La copertina è formata da un collage di 13 immagini tra cui figurano alcuni frammenti del fumetto basato sul Dottor Strange, l’immagine di un alchimista, immagini di ampolle e bottiglie, una ruota con i segni zodiacali, il sole, alcuni pianeti e una piccola foto del gruppo sulle rive di un fiume fuori Londra. Sulla copertina si può leggere anche la scritta “y d pinkfloyd p“. Prima della pubblicazione viene rimosso l’articolo “The” dal nome Pink Floyd.


"A Saucerful of Secrets" è il secondo album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1968,  lavoro che segna una svolta significativa nella loro carriera, introducendo elementi psichedelici e sperimentali che li avrebbero resi celebri in seguito. È un'opera che perlustra territori sonori inesplorati e si distingue per la sua natura innovativa.

Emerge la title track, "A Saucerful of Secrets", un pezzo epico che dura oltre undici minuti, dove i Pink Floyd sfoggiano il loro talento nel creare atmosfere psichedeliche, con un'ampia gamma di suoni ed effetti sonori. La canzone è un susseguirsi di sezioni che si intrecciano, passando da momenti più riflessivi ad altri più corposi, richiedendo una buona attenzione da parte dell'ascoltatore, ma riesce a catturare l'immaginazione, con la sua complessità e la sua struttura avvolgente.

Altro punto forte dell'album è "Set the Controls for the Heart of the Sun", una traccia che esplora le atmosfere cosmiche e spaziali. La voce eterea di Roger Waters si sposa perfettamente con il mood onirico creato dalla strumentazione, conducendo verso una sorta di "trance", portando l'ascoltatore in un viaggio attraverso dimensioni sonore inimmaginabili.

"A Saucerful of Secrets" presenta anche pezzi più brevi e immediati, come "Remember a Day" e "See-Saw", che mostrano la vena melodica della band e,  sebbene meno sperimentali, non perdono la loro essenza psichedelica, grazie all'uso di strumenti come l'organo e le tastiere che conferiscono loro un suono unico.

Nonostante la grande qualità delle trame sonore, "A Saucerful of Secrets" soffre di alcune incongruenze e disomogeneità nella produzione. Questo può essere attribuito alla sua natura sperimentale, che potrebbe non appagare completamente i gusti di tutti gli ascoltatori. Tuttavia, è proprio questa ricerca del nuovo a renderlo un disco così affascinante e avvincente per gli appassionati di musica progressiva e psichedelica.


Artista: Pink Floyd

Album (in studio): A Saucerful of Secrets

Pubblicazione: 29 giugno 1968 nel Regno Unito-27 luglio 1968 negli Stati Uniti

Durata: 38:48

Tracce: 7

Genere: Rock psichedelico

Etichetta: Columbia Graphophone Company/EMI nel Regno Unito Tower Records/Capitol negli Stati Uniti

Produttore: Norman Smith

Registrazione: agosto–ottobre 1967

gennaio–aprile 1968

Abbey Road Studios e Sound Techniques Studios, Londra


Ma si possono fare altre considerazioni legate ad una figura in particolare, perché la nascita dell'album coincise con il declino dello stato mentale di Syd Barrett, frontman e chitarra solista del gruppo fino all'ingresso di David Gilmour. Questo è l'ultimo lavoro dei Pink Floyd a cui Barrett prese parte prima di essere allontanato definitivamente dal gruppo. È proprio in questo periodo che Barrett cominciò ad accusare problemi di carattere psichiatrico e psicologico. In sua presenza le registrazioni risultarono lunghe e difficoltose e divenne impossibile per il gruppo continuare con lui. Le uniche apparizioni di Barrett in quest'album furono la chitarra su “Remember a Day”, “Set the Controls for the Heart of the Sun”, “Corporal Clegg” e “Jugband Blues”, quest'ultimo unico brano dell'album da lui scritto e cantato.

La versione del brano “Set the Controls for the Heart of the Sun”, contenuta in quest'album, in particolare, è l'unica nella loro discografia suonata da tutti e cinque i membri della band.

"A Saucerful of Secrets" è da considerarsi un'opera imprescindibile nella discografia dei Pink Floyd e un importante tassello nella storia della musica rock.


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Lato A

Let There Be More Light – 5:39 (Roger Waters)

Remember a Day – 4:33 (Rick Wright)

Set the Controls for the Heart of the Sun – 5:28 (Roger Waters)

Corporal Clegg – 4:13 (Roger Waters)

Lato B

A Saucerful of Secrets – 11:57 (Roger Waters, Rick Wright, Nick Mason, David Gilmour)

See-Saw – 4:36 (Richard Wright)

Jugband Blues – 2:56 (Syd Barrett)

 

Formazione

David Gilmour – chitarra (tracce 1, 3-5), kazoo (traccia 4), voce (tracce 1, 4 e 5)

Roger Waters – basso, percussioni, voce

Rick Wright – pianoforte, organo, mellotron, vibrafono, xilofono, voce, tin whistle (traccia 7)

Nick Mason – batteria, percussioni, voce (traccia 4), kazoo (traccia 7)

Syd Barrett – chitarra acustica e slide guitar (traccia 2), chitarra (tracce 3, 4 e 6), cori (traccia 6), voce solista (traccia 7) 

Altri musicisti

Norman Smith – batteria, percussioni (traccia 2), voce parlata (traccia 4)

The Salvation Army (The International Staff Band) (traccia 7):

Ray Bowes – cornetta

Terry Camsey – cornetta

Mac Carter – trombone

Les Condon – tuba in Mi

Maurice Cooper – eufonio

Ian Hankey – trombone

George Whittingham – tuba in Si bemolle






venerdì 27 giugno 2025

Nel ricordo di John Entwistle



Il 27 giugno del 2002  moriva, a soli 57 anni, John Entwistle, bassista storico degli Who; il suo corpo viene ritrovato nella stanza dell'Hard Rock Hotel di Las Vegas: le cause del decesso riportano ad un attacco cardiaco aggravato da uso di cocaina.
Raccolgo stralci di un articolo di Roberto Brunelli, del 2002, dove viene ricordata la figura di John Entwistle.

Rimasero tutti di stucco, in quel 1965, quando dalle radio inglese esplose per la prima volta My Generation, l'esordio fulminante targato The Who: due accordi perentori implacabili, una batteria selvaggia, la voce che balbetta (sì, balbetta) “voglio morire prima di diventare vecchio”, e un riff di basso imponente, di quelli che segnano la linea di confine tra un “prima” ed un “dopo” nella storia della musica. Un marchio di fuoco che ha segnato la storia del rock in eterno, attraverso i roaring sixties, fino a toccare la rivoluzione punk nel '77, e che ancora oggi continua a riecheggiare tra i solchi degli emuli rockettari più giovani, che siano post grunge, crossover, post-punk o neo-psichedelici che si voglia. Quell'incredibile, mai sentita e irripetibile linea di basso elettrico era firmata da un tranquillissimo ragazzo che si chiamava John Entwistle.

Non è diventato vecchio, John Entwistle. Era nato lo stesso giorno di John Lennon, l'8 ottobre, ed è morto a 57 anni a Las Vegas, in una stanza d'albergo, l'Hard Rock Café. Problemi di cuore, quasi certamente (lo stabilirà un'autopsia).

Trentasette anni anni dopo quell'esordio fulmicotonico di quattro imberbi ragazzetti sovente e provocatoriamente avvolti nell'Union Jack, la bandiera britannica, doveva partire da Los Angeles l'ennesima tournée degli Who. Gli Who sono uno dei quattro o cinque gruppi-pilastri della storia del rock, insieme ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin. A 24 anni dalla morte del batterista Keith Moon (overdose di farmaci), si è archiviato nei meandri della memoria un altro capitolo della sezione “Olimpo del rock”, insieme a Elvis, Hendrix, Morrison, Joplin, Lennon, Moon, Harrison e compagnia divina. Lo chiamavano “The Ox”, il virtuoso Entwistle, il bue, oppure “The quit one”: al centro della rock revolution degli anni sessanta, al centro del caos, quando tutto era nuovo, sconcertante, inusitato, febbrilmente eccitante, c'erano gli Who. E loro stessi erano una tempesta al cui centro stava, immobile come una sfinge, John Entwistle. C'era Pete Townshend (il chitarrista, il gran maestro delle cerimonie, la mente, che mulinava il braccio sopra la sua Gibson), c'era Roger Daltrey (la voce, colui che roteava il microfono come un lazo verso il cielo), c'era Keith Moon (quello fulmicotonico e portentosissimo, quello che alla fine del concerto spaccava la batteria in mille pezzettini). E c'era “The Ox”: una roccia, un monolite nell'occhio del ciclone, impassibile, marmoreo. Solo le sue dita correvano, velocissime, sulla tastiera del basso. Il rock, si sa, ama l'iperbole. Molte riviste specializzate si sono sbizzarrite, nei decenni, a nominarlo, di volta in volta, “bassista del secolo” o, financo, “del millennio”. Certo era un grandissimo: la sezione ritmica Entwistle – Moon era davvero una delle più formidabili della storia della musica, una chimica esplosiva, che – accoppiate al chitarrismo furente di Townshend – hanno fatto gli Who un “live act” inimitabile, insuperabile, sconvolgente e sciamanico. Ovvio che i britannicismi Who sono stati molto più di questo. La mente febbrile di Townshend non poteva rimanere ferma al rock pelvico, impulsivo, voluminoso, adolescente e bastardo degli inizi: prima mettendosi i panni (probabilmente senza eccessiva convinzione) di eroi dei “mod” (giovani scicchettosi della working class che si opponevano, nei primi anni sessanta, ai rockers), poi cercando di allargare i confini del rock “oltre l'immaginazione”. Nacque così Tommy (1969), la prima opera rock, nacque così quella grande (a tratti eccessiva) partitura fantastica che era Quadrophenia (1973). Nonostante il loro impatto violento degli esordi (mai completamente abbandonato), gli Who hanno sempre incarnato l'ala intellettuale del rock, senza perderne di un grammo l'energia vitalistica: l'ambizione musicale di Townshend e soci era sfrenata, e quel monumento musicale e concettuale che è Tommy sta lì da 33 anni a dimostrarlo. John “the quiet one” era uno strumento formidabile nelle mani sapienti di Townshend. Di canzoni sue non se ne contano molte nel catalogo Who: epperò sono tutti pezzi proverbiali, da Boris the spider a My Wife, a Whiskey man. Pezzi venati di un sarcasmo oscuro, spiritosi, splendidamente arrangiati, così com'erano sempre curiosi e atipici i suoi album solisti (Smash your head against the wall, 1971, Wistle Rymes, 1972, Rock, 1996, John Entwistle, 1997). Perché John era uno atipico nel mondo del rock: nato nel '44 a Cheswick, sobborgo di Londra, aveva studiato pianoforte, tromba e corno francese, esperienza che gli tornò utile quando si ritrovò ad arrangiare tutte la partiture di fiati per gli Who. Aveva cominciato in un gruppo jazz, The Confederates, dove invitò a suonare il suo compagno di scuola Pete Townshend. Poi, sempre insieme a Pete, formò i Detours, nei quali venne assunto un giovane e rissoso cantante, Roger Daltrey. Dopo poco, su consiglio del produttore Kit Lambert, si decise di cambiare nome al gruppo in The Who. Come i Beatles e gli Stones, gli Who erano soprattutto un incontro tra personalità straordinarie: ovviamente meno appariscente degli altri tre, Entwistle rappresentava la spina dorsale del gruppo. Ma tutto questo, ormai, è solo ricordo.




Dire Straits live a Sanremo il 27 giugno del 1981


La mia partecipazione ai concerti rock ha avuto, nella giovinezza, un termine ben preciso, e un altrettanto preciso nuovo inizio nella maturità.
Ricordavo bene quella prima conclusione affrettata, perché coincideva con una grande performance - o almeno la ricordo come tale - dei Dire Straits, allo stadio comunale di Sanremo. Arrivammo in cinque in auto, compreso “quella” che l’anno successivo sarebbe diventata mia moglie.
Avevo però la convinzione che fosse un giorno di agosto del 1980, e invece ho scoperto che si trattava del 27 giugno del 1981 (pochi mesi premi i D.S.erano stati ospiti al Festival di Sanremo).
Non sarei in grado di commentare quella giornata vissuta in tempi lontanissimi, ma ho casualmente trovato un articolo che la ricorda, e propongo quindi la mia scoperta estratta dall’archivio de “La Stampa”.

In rete ho trovato un altro “reperto”, l’audio dell’evento, e lo propongo a fine articolo.
Ecco quindi il commento del giornalista Roberto Basso, poco “musicale” e molto concentrato sugli aspetti al contorno, quelli corretti per un giornale generalista come era ed è La Stampa.
In ogni caso un bel ricordo!

Stampa Sera 29/06/1981 - numero 174 pagina 7


Dire Straits strepitosi
Sanremo presa d'assalto per il concerto dei Dire Straits

SANREMO — Per il primo concerto nazionale dei Dire Straits, sabato in quindicimila hanno «aggredito» Sanremo. Tutti giovanissimi, dai 14 ai 25 anni. Sono arrivati in treno, in auto, in moto, con l'autostop, a piedi, con in spalla variopinti sacchi a pelo. Un'affluenza di pubblico mai vista in Riviera per uno show musicale. Neppure ai tempi d'oro del Festival la città è stata così affollata da patiti della canzone: è il miracolo del nuovo rock, che fa muovere da distanze anche di 200-300 km masse di fans.
Angelo Esposito, proprietario di un eccentrico ristorante a due passi dal Casinò, ed organizzatore dello show dei Dire Straits, era raggiante. Ha fatto soldi a palate, ha incassato più di ogni rosea previsione. Il complesso inglese non ha deluso. Per quasi due ore con la sua musica esclusiva, ha fatto impazzire il pubblico. Dagli amplificatori ha «gettato» sui 15.000 spettatori rock a fiumi: “Comunique”, “Making Movies”, “Dire Straits”, “Sultan of swing”, “Wild West end”, “Sacred loving”, “Tunnel of love”, “Romeo and Juliet… solo per citare i titoli più applauditi.
Il campo sportivo - dove alla domenica gioca la Sanremese Calcio di fronte ad un pubblico che difficilmente supera le quattromila unità - sembrava un miniconcentrato dell'isola di Wight. Anche dopo il concerto. Sul prato, sugli spalti, per strada, cumuli di lattine vuote, sacchetti di plastica, rifiuti di ogni genere. I netturbini hanno dovuto fare parecchio extra per rimettere tutto a posto.

In soli tre anni i Dire Straits sono diventati ricchi e famosi in tutto il mondo. Il loro primo album infatti viene alla luce nel ‘78. Esplodono in America dopo aver inciso alle Bahamas il loro secondo album, “Comunique”. Nel 79 a Los Angeles incontrano Bob Dylan e insieme realizzano “Slow Train Coming”. Vincono due dischi d'oro, uno in Olanda, un altro in Australia. Il disco di platino l'avevano già vinto due anni fa in America.
Mercoledì saranno allo stadio di Torino per il loro ultimo concerto. Anche a Torino la prevendita sta andando fortissimo. 

Quale il segreto di tanto successo? «Quello dei Dire Straits - ha dichiarato a Sanremo Franco Mamone, impresario rock - è l'unico vero megaconcerto di quest'anno. Logico che gli appassionati non perdano l'occasione. Il pubblico si è fatto più esigente. Corre e paga il biglietto solo se ne vale veramente la pena».

Per il concerto sanremese la polizia aveva predisposto un servizio d'ordine nutritissimo. Sugli spalti e nel campo parecchi spinelli, ma nessun disordine. In “tilt” invece il traffico automobilistico. In 15.000 hanno praticamente intasato l'ingresso Est di Sanremo. Sull'Aurelia, attorno allo stadio, erano parcheggiate file d'auto lunghe oltre mezzo chilometro, arrivate un po' da dovunque: Milano, Genova, Savona, Vercelli, Torino, Brescia, Nizza, Montecarlo. Grossi affari hanno fatto anche bancarelle volanti e abusive che offrivano per cinquemila lire variopinte magliette e una serie di sei bottoni metallici con sopra stampati i visi dei cinque magnifici Dire. 


LA SCALETTA

Once Upon a Time in the West
Expresso Love
Down to the Waterline
Lions
Skateaway
Romeo and Juliet
News
(dedicated to John Lennon and Bob Marley)
Sultans of Swing
Portobello Belle
Angel of Mercy
Tunnel of Love
Telegraph Road
Where Do You Think You're Going?
Solid Rock




mercoledì 25 giugno 2025

Buffalo Springfield: un lampo di genio che ha illuminato il Rock.

 

Nel crogiolo creativo e spesso turbolento della Los Angeles degli anni '60, prese forma un gruppo destinato a lasciare un segno indelebile nella storia del rock, pur brillando per un periodo relativamente breve: i Buffalo Springfield. La loro storia è un racconto di talenti individuali incandescenti, chimica musicale effimera e un'eredità di canzoni che avrebbero gettato le basi per il folk-rock e il country-rock a venire.

Le radici dei Buffalo Springfield affondano in un incontro casuale sulla Sunset Strip nel 1966. Stephen Stills, talentuoso chitarrista e cantante texano, riconobbe Neil Young, cantautore canadese dallo stile unico e intenso, alla guida di un carro funebre. Entrambi avevano militato in band precedenti e condividevano il desiderio di esplorare nuove sonorità musicali.

A loro si unirono Richie Furay, un cantante e chitarrista con una voce melodica e un'anima country, Bruce Palmer al basso e Dewey Martin alla batteria. Il nome "Buffalo Springfield" fu preso da un rullo compressore a vapore che videro per strada, un nome che evocava un senso di potenza industriale e paesaggi americani.

La band firmò rapidamente un contratto con la Atlantic Records e nel 1966 pubblicò il suo album di debutto omonimo. Il disco conteneva la canzone che avrebbe dato loro il primo assaggio di successo, "For What It's Worth". Scritta da Stephen Stills in risposta ai disordini giovanili sulla Sunset Strip, la canzone divenne un inno pacifista con la sua melodia inquietante e il suo testo riflessivo, raggiungendo le vette delle classifiche.

Il suono dei Buffalo Springfield era una miscela affascinante delle diverse influenze dei suoi membri. C'era l'energia rock e blues di Stills, le melodie folk e il lirismo intenso di Young, il tocco country e la voce armoniosa di Furay. Questa combinazione creò un folk-rock ricco di sfumature, con armonie vocali intricate e un interplay chitarristico dinamico tra Stills e Young.

Il loro secondo album, Buffalo Springfield Again (1967), mostrò una crescita artistica e una maggiore sperimentazione. Canzoni come "Mr. Soul" di Young, con il suo riff distorto e il testo introspettivo, "Rock 'n' Roll Woman" di Stills, con il suo ritmo incalzante e le armonie vocali, e "Bluebird" di Furay, con le sue influenze country, evidenziarono la diversità del loro talento compositivo.

Tuttavia, la chimica creativa all'interno della band era spesso fragile. Le personalità forti e le visioni musicali distinte di Stills e Young portarono a frequenti tensioni e conflitti. La band subì diversi cambi di formazione, con bassisti e batteristi che andarono e vennero, minando la stabilità del gruppo.

Nonostante le turbolenze interne, i Buffalo Springfield continuarono a produrre musica di alta qualità. Il loro terzo e ultimo album, Last Time Around (1968), fu un lavoro frammentato, con i membri che registrarono spesso le proprie canzoni separatamente a causa delle crescenti tensioni. Nonostante ciò, l'album conteneva gemme come "On the Way Home" di Young, "I Am a Child" di Young e "Kind Woman" di Furay, che preannunciavano le direzioni musicali che i membri avrebbero intrapreso nelle loro carriere soliste.

Neil Young e Stephen Stills

Nel maggio del 1968, dopo soli due anni di attività intensa ma travagliata, i Buffalo Springfield si sciolsero. Le divergenze creative e le difficoltà interpersonali si rivelarono insormontabili.

Tuttavia, hanno lasciato un’eredità significativa e, nonostante la loro breve esistenza, hanno contribuito in modo fondamentale allo sviluppo del folk-rock e del country-rock. Le loro canzoni hanno influenzato innumerevoli artisti e hanno contribuito a definire il suono della musica californiana della fine degli anni '60.

Dopo lo scioglimento, i membri dei Buffalo Springfield continuarono a lasciare un segno indelebile nella storia della musica. Stephen Stills formò i Crosby, Stills & Nash (e occasionalmente Young), diventando una figura centrale della scena folk-rock degli anni '70. Neil Young intraprese una carriera solista prolifica e influente, esplorando una vasta gamma di stili musicali. Richie Furay fu un membro fondatore dei Poco, una band pionieristica del country-rock.

I Buffalo Springfield furono una supernova musicale, un gruppo di talenti eccezionali che si unirono per un breve periodo, creando una musica brillante e influente prima di disperdersi in direzioni diverse. La loro storia è un promemoria di come la magia musicale possa nascere anche da dinamiche complesse e di come un breve lampo di creatività possa illuminare il panorama musicale per sempre.





martedì 24 giugno 2025

Nasceva il 24 giu Jeff Beck, l'innovatore incessante della chitarra

 


Dagli Yardbirds alla fusion sperimentale: un viaggio nel suono unico e rivoluzionario di Jeff Beck


Jeff Beck. Il nome evoca un suono inconfondibile, un timbro che ha attraversato generazioni e generi, plasmando il panorama della musica moderna. Più che un semplice chitarrista, Beck è stato un innovatore instancabile, un esploratore sonoro che ha costantemente sfidato i confini dello strumento, lasciando un'impronta indelebile nella storia della musica.

Nato a Wallington, Surrey, il 24 giugno 1944, la passione di Beck per la chitarra si manifestò precocemente. Le sue prime influenze, che spaziavano dal rock and roll di Gene Vincent al blues di B.B. King, gettarono le basi per uno stile eclettico e in continua evoluzione. L'esperienza formativa negli Yardbirds, seppur breve ma intensa, lo proiettò sulla scena mondiale, rivelando un talento grezzo e una visione musicale già distintiva. Il suo approccio dinamico e imprevedibile alla chitarra solista, caratterizzato da un uso audace del feedback e della leva del vibrato, contribuì a definire il suono psichedelico emergente degli anni '60.

L'abbandono degli Yardbirds segnò l'inizio di una prolifica carriera solista, costellata di album seminali che dimostrarono la sua straordinaria versatilità. Il Jeff Beck Group, con Rod Stewart alla voce e Ron Wood al basso, sfornò pietre miliari come Truth (1968) e Beck-Ola (1969), fusioni potenti di blues, hard rock e proto-heavy metal. Questi lavori non solo misero in luce la sua tecnica chitarristica innovativa, ma rivelarono anche la sua capacità di circondarsi di musicisti di talento e di creare un suono di band coeso e dinamico.

Negli anni '70, Beck intraprese un percorso ancora più sperimentale, abbracciando la fusion e il jazz rock con album come Blow by Blow (1975) e Wired (1976), entrambi prodotti dal leggendario George Martin. Questi dischi strumentali, caratterizzati da intricate melodie, ritmi complessi e un virtuosismo chitarristico sbalorditivo, consolidarono la sua reputazione come uno dei chitarristi più influenti e rispettati al mondo. La sua capacità di esprimere un'ampia gamma di emozioni attraverso la sola chitarra, senza il supporto della voce, era semplicemente rivoluzionaria.

La sua carriera successiva fu un susseguirsi di esplorazioni sonore, collaborazioni eclettiche e un'incessante ricerca di nuove sonorità. Album come Flash (1985), con la hit Rough and Ready cantata da Rod Stewart, dimostrarono la sua apertura a sonorità più pop-oriented, pur mantenendo intatta la sua identità chitarristica unica. Negli anni successivi, Beck continuò a sorprendere e a ispirare con progetti che spaziavano dal blues rock più viscerale alla techno-fusion sperimentale, dimostrando una curiosità musicale insaziabile e una maestria tecnica ineguagliabile.

L'approccio di Jeff Beck alla chitarra andava oltre la semplice esecuzione di scale e arpeggi. Era un maestro del suono, capace di manipolare le dinamiche, il sustain e il timbro con una sensibilità e un controllo sorprendenti. Il suo uso distintivo della leva del vibrato, spesso senza plettro, creava effetti sonori unici e inimitabili, conferendo alle sue linee melodiche un carattere fluido e quasi vocale. La sua capacità di improvvisare con libertà e inventiva, pur mantenendo una coerenza musicale, lo distingueva dai suoi contemporanei.

L'eredità di Jeff Beck è vasta e profonda. Ha influenzato generazioni di chitarristi, dai virtuosi del rock ai pionieri della fusion. Il suo spirito innovativo, la sua dedizione alla sperimentazione sonora e la sua instancabile ricerca della perfezione musicale lo hanno consacrato come una leggenda vivente. 

Anche dopo la sua scomparsa nel 2023, la sua musica continua a ispirare e a meravigliare, testimoniando la genialità di un artista che ha ridefinito il ruolo della chitarra nella musica contemporanea. Jeff Beck non era solo un chitarrista; era un architetto del suono, un visionario che ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo della musica, ma il cui contributo continuerà a risuonare per sempre.




Addio a Mick Ralphs: un pilastro del rock ci lascia a 81 anni

 


Addio a Mick Ralphs: scompare a 81 anni il co-fondatore di Mott the Hoople e Bad Company, lasciando un'impronta indelebile nel rock

 

Ci ha lasciati Mick Ralphs, chitarrista e co-fondatore di due band iconiche degli anni '70: i raffinati rocker Mott the Hoople e il celebre supergruppo Bad Company. Aveva 81 anni.

La scomparsa di Ralphs è stata annunciata dal suo portavoce, sebbene non siano state divulgate la data precisa o le cause del decesso.

"Il nostro Mick se n'è andato, il mio cuore è a pezzi", ha dichiarato Paul Rodgers, frontman dei Bad Company, in un commosso comunicato. "Ci lascia un'eredità di canzoni e ricordi straordinari. Era il mio amico, il mio compagno di scrittura, un chitarrista eccezionale e incredibilmente versatile, con un grandissimo senso dell'umorismo. La nostra ultima conversazione, pochi giorni fa, ci ha riempito di risate, e non sarà l'ultima. Ci sono innumerevoli ricordi di Mick che continueranno a far sorridere. Le mie più sentite condoglianze a tutti coloro che lo amavano, in particolare al suo unico vero amore, Susie. Ci rivedremo in paradiso."

Nato nel 1944 nell'Herefordshire, in Inghilterra, Ralphs fu tra i fondatori del Doc Thomas Group a metà degli anni '60. Dopo alcune modifiche alla formazione e un contratto con la Island Records, la band si trasformò nei Mott the Hoople. Il contributo di Ralphs come compositore e chitarrista fu fondamentale nel traghettare il rock 'n' roll dalla psichedelia degli anni '60 verso l'eleganza e la teatralità del glam rock anni '70. Le loro energiche performance dal vivo gli valsero un seguito fedele, che includeva futuri collaboratori come David Bowie e Mick Jones dei Clash, nonostante il successo in classifica tardasse ad arrivare.

Su suggerimento di David Bowie, la band cambiò management e la loro carriera prese il volo quando Bowie offrì loro la sua canzone "All The Young Dudes", che trasformò l'omonimo LP del 1972 in un successo mondiale. Anche il successivo album, "Mott", riscosse grande successo, con i singoli "All the Way From Memphis" e "Honaloochie Boogie".

Tuttavia, Ralphs nutriva ambizioni che andavano oltre i Mott the Hoople e nel 1973 decise di intraprendere una nuova strada, unendosi agli ex membri dei Free, Rodgers e Simon Kirke, e all'ex bassista dei King Crimson, Boz Burrell, per formare un nuovo supergruppo.

I Bad Company furono tra le prime band a firmare con l'etichetta Swan Song dei Led Zeppelin, ottenendo un successo globale immediato. Il loro album di debutto del 1974, anch'esso intitolato "Bad Company", raggiunse il quintuplo disco di platino, grazie a brani di successo come "Can't Get Enough" e una nuova versione di "Ready for Love" di Ralphs, originariamente registrata con i Mott the Hoople. L'album successivo, "Straight Shooter", conteneva il classico rock "Feel Like Makin' Love", e i Bad Company rimasero una presenza costante nelle classifiche fino al loro scioglimento nel 1982.

Ralphs si è riunito ai Mott the Hoople per un tour di reunion nel 2009 e ha partecipato a diverse formazioni riunite dei Bad Company e della sua Mick Ralphs Blues Band, fino a quando un ictus nel 2016 lo costrinse al riposo negli ultimi anni della sua vita. La sua ultima apparizione con i Bad Company risale al 2016, presso la O2 Arena di Londra. La band sarà introdotta nella Rock and Roll Hall of Fame entro la fine dell'anno.

"Era un caro amico, un meraviglioso cantautore e un chitarrista eccezionale", ha affermato Simon Kirke, batterista dei Bad Company, in una dichiarazione. "Ci mancherà moltissimo."

Ralphs lascia la sua compagna Susie Chavasse, i suoi due figli e i tre figliastri.








venerdì 20 giugno 2025

Il 21 giugno del 1948 nasceva il primo 33 giri della storia della musica

 

Negozio di dischi Sperati-Savona-anni'60

Il 21 giugno del 1948 nasceva il primo 33 giri della storia della musica. L'introduzione del nuovo supporto si deve al lavoro della Columbia Records che manda di fatto in pensione il vecchio 78 giri, dando il via ad un nuovo capitolo del mercato discografico, che durerà fino alla fine degli anni Ottanta.

Il 33 giri, rispetto al suo predecessore, ha una migliore qualità del vinile e durata. Sono questi i motivi che fanno sì che il nuovo supporto soppianti progressivamente il 78 giri.

Il nome del 33 giri, conosciuto anche come Long playing (Lp), deriva dal fatto che la sua velocità di rotazione è di circa 33 giri al minuto. Per la precisione 33 giri e un terzo, l'equivalente di 100 giri completi ogni tre minuti.

Ogni vinile 33 giri ha due facciate, ognuna delle quali può riprodurre fino a 30 minuti di contenuto musicale. La durata può aumentare anche fino a 40 minuti per lato, ma ciò implica una qualità sonora leggermente inferiore

Gli ingegneri della Columbia Records cominciano a lavorare al nuovo supporto a partire dal 1939, proprio con l'obiettivo di estendere la durata del vecchio 78 giri, che ha un tempo di riproduzione di massimo 20 minuti.

Lo scoppio del secondo conflitto mondiale rallenta per ovvie ragioni lo sviluppo del nuovo supporto musicale, ma la fine della guerra permette al team della Columbia Records guidato dall'ingegner Peter Carl Goldmark di risolvere le ultime criticità tecniche.

Il 33 giri viene, quindi, finalmente lanciato sul mercato segnando una svolta epocale per il mondo della musica e mandando in soffitta il 78 giri inventato nel lontano 1894. Con il nuovo supporto viene anche introdotto l'acronimo Lp (Long playing), che verrà utilizzato in futuro anche per i Cd.

La presentazione ufficiale del 33 giri va in scena il 21 giugno del 1948 presso il Waldorf Astoria Hotel di New York City. Sarà un successo che resisterà anche all'uscita del 45 giri di un anno più tardi.

La diffusione del 33 giri non verrà scalfita nemmeno dall'arrivo delle musicassette nel corso della metà degli anni Sessanta.

Nel 1978 vengono venduti in tutto il mondo circa un miliardo di dischi 33 giri. Si tratta dell'anno che segna il massimo successo di questo supporto.

L'incisione sul disco del 33 giri avviene attraverso la tecnica del microsolco che consente al supporto di contenere più informazione e, di conseguenza, prolungarne la durata. 

La riproduzione degli Lp 33 giri avviene tramite una puntina - che può essere in diamante o zaffiro - dei giradischi, che trasmette ad un complesso elettromagnetico le irregolarità del solco sul disco.

Sui 33 giri sono stati incisi alcuni dei più famosi brani nella storia della musica e successi commerciali che hanno segnato intere generazioni, come "Hot Stuff" di Donna Summer del 1979 (nella foto la copertina originale).

La diffusione su larga scala del 33 giri viene progressivamente ridimensionata dall'avvento del compact disc verso la fine degli anni Ottanta.

Gli Lp, pur non essendo più un supporto di massa, sono comunque sopravvissuti come prodotto di nicchia e da collezione per gli appassionati.







giovedì 19 giugno 2025

In ricordo di Nick Drake, un genio malinconico nato il 19 giugno 1948

 


Il 19 giugno 1948 segna la nascita di Nicholas Rodney Drake, un artista il cui impatto sulla musica folk e rock è, a decenni di distanza dalla sua prematura scomparsa, ancora profondo e risonante.

Nick Drake è stato un cantautore britannico la cui breve ma intensissima carriera ha lasciato in eredità tre album che, pur non avendo riscosso successo commerciale ai tempi, sono oggi considerati capolavori imprescindibili.

Drake era un musicista di rara sensibilità, capace di tessere melodie intricate e testi poetici che esploravano temi di malinconia, solitudine e bellezza. La sua musica, spesso caratterizzata da accordature aperte e un fingerpicking virtuosistico alla chitarra acustica, creava atmosfere intime e contemplative, quasi eteree. Brani come "Pink Moon" "Northern Sky" e "River Man" sono esempi emblematici della sua arte, capaci di evocare immagini vivide e stati d'animo complessi con una delicatezza sorprendente.

Nonostante il riconoscimento sia arrivato postumo, l'influenza di Nick Drake è innegabile. Artisti di generi diversi, dal folk al rock alternativo, hanno citato la sua opera come fonte d'ispirazione, ammirando la sua originalità e la sua integrità artistica. La sua musica è stata riscoperta e valorizzata da nuove generazioni di ascoltatori, grazie anche all'inclusione in colonne sonore di film e spot pubblicitari che ne hanno ampliato la notorietà.

La vita di Drake fu segnata da una profonda introversione e da una battaglia con la depressione, che lo portò a isolarsi progressivamente. La sua morte, avvenuta nel 1974 a soli 26 anni, ha avvolto la sua figura in un alone di tragica leggenda, alimentando il mito del "poeta maledetto" della musica.

A dispetto della sua breve esistenza, Nick Drake ha creato un'opera senza tempo, un tesoro nascosto che continua a svelare nuove sfumature ad ogni ascolto.

mercoledì 18 giugno 2025

Paul McCartney: un'icona musicale inossidabile nata il 18 giugno

 

 

Dalle leggendarie melodie dei Beatles a un'incessante carriera solista: un viaggio nel cuore pulsante della musica con Paul McCartney


Compie 83 anni oggi Sir James Paul McCartney, un nome che risuona con riverenza nel panorama musicale globale, incarna più di mezzo secolo di innovazione, melodia indimenticabile e un impatto culturale duraturo. Dalle umili origini a Liverpool fino al suo status di leggenda vivente, la sua traiettoria artistica è una narrazione avvincente di talento grezzo, incessante creatività e una capacità unica di connettersi con il cuore e l'anima di milioni di persone.

La sua ascesa alla fama come membro fondatore dei Beatles ha segnato una svolta nella storia della musica popolare. Insieme a John Lennon, George Harrison e Ringo Starr, McCartney ha ridefinito i confini della composizione, dell'arrangiamento e della performance musicale. Il suo innato talento melodico, la sua versatilità strumentale e la sua abilità lirica hanno contribuito in modo significativo al catalogo rivoluzionario della band, che continua a influenzare generazioni di musicisti e appassionati. Canzoni come "Yesterday", "Let It Be" e "Hey Jude" non sono solo successi commerciali, ma anche pietre miliari culturali che testimoniano la sua genialità compositiva.

Dopo lo scioglimento dei Beatles, un evento che scosse il mondo della musica, McCartney non si adagiò sugli allori. La sua carriera post-Beatles è stata un'esplorazione audace e prolifica di diversi generi musicali e collaborazioni artistiche. La formazione dei Wings, insieme alla sua compianta moglie Linda McCartney, ha dimostrato la sua capacità di reinventarsi e di raggiungere nuove vette di successo. Album come Band on the Run e Venus and Mars hanno consolidato il suo status di forza creativa indipendente, sfornando ulteriori successi che sono entrati nell'immaginario collettivo.

Oltre al rock e al pop, McCartney ha dimostrato una notevole apertura mentale e curiosità artistica, avventurandosi nel mondo della musica classica, della musica elettronica e delle colonne sonore cinematografiche. Le sue collaborazioni con rinomati direttori d'orchestra e altri artisti testimoniano la sua versatilità e il suo desiderio costante di superare i confini creativi.

L'impatto di Paul McCartney trascende la sua produzione musicale. Il suo impegno per i diritti degli animali, la conservazione ambientale e l'educazione musicale lo hanno reso una figura influente anche al di fuori del palcoscenico. La sua longevità nella musica, mantenendo una rilevanza artistica e un'energia performativa sorprendenti, è una fonte di ispirazione per artisti di tutte le età.

In definitiva, Paul McCartney non è solo un musicista; è un'istituzione culturale. La sua musica ha fornito la colonna sonora a innumerevoli vite, le sue melodie sono diventate parte del tessuto della nostra esistenza e la sua eredità continua a evolversi con ogni nuova generazione di ascoltatori. Esplorare la sua carriera attraverso un libro significa intraprendere un viaggio affascinante attraverso la storia della musica moderna, testimoniando la genialità di un artista che ha plasmato il suono del nostro tempo e che continua a incantarci con la sua inesauribile creatività.