domenica 31 agosto 2025

Compie gli anni Van Morrison: l'uomo, il mito, la musica

 


Un viaggio nel labirinto sonoro di "Van the Man"

 

George Ivan Morrison, meglio noto come Van Morrison, è una figura titanica della musica contemporanea, un artista la cui carriera, lunga oltre sessant'anni, è un continuo flusso e riflusso di generi, spiritualità e pura, inebriante energia creativa.

Nato a Belfast, in Irlanda del Nord, il 31 agosto 1945, Morrison ha scolpito il suo nome nella storia del rock, del soul, del blues, del jazz e del folk, creando un sound inconfondibile e una discografia vastissima che lo ha reso un'icona di culto e una leggenda vivente.

La carriera di Morrison inizia nei primi anni '60, quando ancora adolescente si immerge nella scena musicale di Belfast, suonando in diverse band di skiffle e rock and roll. La svolta arriva nel 1964 con la fondazione dei Them, una band di rhythm and blues che diviene rapidamente un punto di riferimento in Europa. Con i Them, Morrison incide brani iconici come "Gloria" e "Here Comes the Night", che mostrano già la sua voce potente e carismatica. Tuttavia, insoddisfatto del controllo in studio e della direzione della band, decide di intraprendere la carriera solista dopo un tour negli Stati Uniti nel 1966.

Il suo debutto come solista avviene con il singolo "Brown Eyed Girl" (1967), un brano pop-soul orecchiabile e di grande successo commerciale che lo proietta sotto i riflettori. Sebbene la canzone sia diventata uno dei suoi classici più famosi, Morrison ha sempre espresso insoddisfazione per le sessioni di registrazione e per l'album che ne è derivato, Blowin' Your Mind!, pubblicato senza il suo pieno consenso.

È con i due album successivi che Van Morrison si afferma come un genio visionario e un artista senza compromessi. Nel 1968 pubblica Astral Weeks, un capolavoro di folk, jazz e soul che sfida ogni etichetta di genere. L'album è un'esperienza mistica e poetica, con canzoni come la title track e "Cypress Avenue" che fluiscono come un fiume di coscienza, tra improvvisazioni vocali e arrangiamenti orchestrali rarefatti. Astral Weeks non ottiene un grande successo commerciale al momento della sua uscita, ma nel tempo viene riconosciuto dalla critica come uno dei più grandi album di tutti i tempi.

A soli due anni di distanza, nel 1970, Morrison cambia nuovamente rotta con Moondance, un disco più accessibile e orientato verso il pop-jazz e il soul. L'album, che include classici come la title track, "Into the Mystic" e "Caravan", segna un successo commerciale e consolida la sua reputazione di cantautore di primo piano, capace di creare melodie accattivanti senza sacrificare la profondità artistica.

La carriera di Morrison è un'evoluzione costante. Dopo la pausa spirituale e personale che ha seguito Moondance, egli ha continuato a esplorare e a fondere generi musicali, alternando periodi di ispirazione e sperimentazione a lavori più convenzionali. Album come Saint Dominic's Preview (1972) e Veedon Fleece (1974) mostrano una crescente propensione per le improvvisazioni e un'atmosfera più pastorale e riflessiva, mentre i lavori successivi, come Into the Music (1979) e Beautiful Vision (1982), combinano la sua spiritualità con influenze blues, gospel e celtiche.

Nel corso degli anni '80 e '90, Van Morrison ha continuato a pubblicare con regolarità, mantenendo un approccio riservato e concentrandosi principalmente sulla musica. Il successo commerciale torna a bussare con l'album Avalon Sunset (1989), che include la celebre ballata "Have I Told You Lately", una delle sue canzoni più famose e amate. Ha inoltre collaborato con artisti del calibro di The Chieftains, Cliff Richard e John Lee Hooker, dimostrando la sua versatilità e il suo profondo rispetto per le radici della musica.

Con una discografia che conta oltre quaranta album in studio, Van Morrison è un vero e proprio "working man" della musica. La sua voce, profonda, ruvida e capace di infinite sfumature, è il suo strumento principale. Il suo stile vocale unico, fatto di "gorgheggi" e improvvisazioni sciamaniche, è stato spesso paragonato a quello di un predicatore o di un bardo celtico. I suoi testi, spesso influenzati dalla spiritualità, dalla poesia e dal "flusso di coscienza" joyciano, sono un'esplorazione di temi come la nostalgia, la redenzione e la ricerca di una verità interiore.

Nonostante la sua nota avversione per il "music business" e una reputazione di artista schivo e burbero, il suo impatto sulla musica è innegabile. È stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame e nella Songwriters Hall of Fame, e due dei suoi album, Astral Weeks e Moondance, sono regolarmente citati tra i migliori di tutti i tempi da riviste come Rolling Stone. L'eredità di "Van the Man" è quella di un artista autentico, un maestro che ha sempre messo la sua arte al di sopra di tutto, creando un'opera che continua a ispirare generazioni di musicisti e ascoltatori.










sabato 30 agosto 2025

Led Zeppelin: il dirigibile che scosse il mondo


Dalle ceneri di una band blues-rock promettente nacque una forza musicale che avrebbe ridefinito il concetto stesso di rock and roll: i Led Zeppelin. La loro storia è un racconto di virtuosismo strumentale, sperimentazione sonora audace e un impatto culturale che risuona ancora oggi, elevandoli al pantheon delle leggende musicali.

Le fondamenta dei Led Zeppelin furono gettate nel 1968, quando il chitarrista Jimmy Page, reduce dallo scioglimento degli Yardbirds, fu incaricato di formare una nuova band per completare un tour precedentemente programmato. Page, un musicista di sessione esperto e un innovatore della chitarra, reclutò il talentuoso bassista e tastierista John Paul Jones, che aveva anch'egli una solida reputazione nel circuito musicale britannico.

La vera scintilla si accese con l'arrivo di due giovani musicisti che avrebbero completato l'alchimia sonora dei Led Zeppelin. Il primo fu Robert Plant, un cantante carismatico con una voce potente e un'aura da dio del rock. Il secondo fu John Bonham, un batterista dalla forza bruta e dallo stile inconfondibile, capace di creare ritmi complessi e potenti come un tuono.

Inizialmente, la nuova formazione si esibì sotto il nome di "The New Yardbirds" per adempiere agli obblighi contrattuali. Tuttavia, ben presto trovarono una nuova identità. La leggenda narra che il batterista degli Who, Keith Moon, commentò che la band sarebbe caduta "come un dirigibile di piombo" ("lead zeppelin"). Il nome piacque a Page e soci, che lo adottarono, omettendo la "a" per evitare errori di pronuncia, dando vita al moniker iconico: Led Zeppelin.

Il loro album di debutto omonimo, pubblicato nel 1969, fu un'esplosione di blues-rock potente e grezzo. Brani come "Good Times Bad Times" e "Dazed and Confused" miscelavano riff di chitarra pesanti con la voce acuta e sensuale di Plant e la sezione ritmica dinamica di Jones e Bonham. L'album riscosse un successo immediato, stabilendo il suono distintivo della band.

Negli anni successivi, i Led Zeppelin intrapresero un'inarrestabile ascesa verso la fama mondiale, pubblicando una serie di album che avrebbero ridefinito i confini del rock. Led Zeppelin II (1969) conteneva classici come "Whole Lotta Love", con il suo iconico riff e la sezione centrale psichedelica, e "Ramble On", che mostrava la loro capacità di fondere elementi folk e hard rock.

Led Zeppelin III (1970) vide la band esplorare sonorità più acustiche e folk, con brani come "Tangerine" e la maestosa "Immigrant Song", ispirata ai loro tour in Islanda. Questa versatilità dimostrò la loro crescente maturità musicale e la loro volontà di non essere etichettati in un solo genere.

Il culmine della loro carriera, per molti, arrivò nel 1971 con la pubblicazione di Led Zeppelin IV, un album senza titolo (spesso indicato con quattro simboli misteriosi) che conteneva alcuni dei loro brani più iconici e influenti. "Black Dog" con il suo riff sincopato, la potente "Rock and Roll", la delicata "Going to California" e, soprattutto, "Stairway to Heaven". Quest'ultima, una suite epica che cresce gradualmente da un arpeggio acustico a un crescendo hard rock, divenne un inno per una generazione e rimane una delle canzoni rock più celebrate di tutti i tempi.

Il successo dei Led Zeppelin non si limitava alla loro musica. I loro concerti erano leggendari, caratterizzati da improvvisazioni virtuosistiche, assoli di chitarra infuocati di Page, la presenza scenica magnetica di Plant e la potenza inarrestabile della batteria di Bonham. La loro aura di mistero e il loro stile di vita rock and roll contribuirono ulteriormente alla loro immagine mitica.

Negli anni successivi, album come Houses of the Holy (1973), Physical Graffiti (1975) e Presence (1976) continuarono a esplorare nuove sonorità e a consolidare la loro posizione come una delle band più grandi del mondo. Tuttavia, la tragedia si abbatté nel 1980 con la prematura scomparsa di John Bonham. La perdita del loro batterista insostituibile segnò la fine dei Led Zeppelin come gruppo attivo.

Nonostante la loro carriera relativamente breve (solo dodici anni di attività intensa), l'impatto dei Led Zeppelin sulla musica rock è incommensurabile. Il loro suono potente e bluesy, la loro sperimentazione con diverse influenze musicali, il virtuosismo dei loro musicisti e la voce inconfondibile di Robert Plant hanno influenzato innumerevoli artisti e continuano a ispirare nuove generazioni di musicisti.

I Led Zeppelin non furono solo una band di successo; furono una forza culturale che ridefinì il suono e l'atteggiamento del rock and roll. Il loro dirigibile di piombo non cadde mai, ma volò sempre più in alto, lasciando una scia sonora indelebile nella storia della musica.







venerdì 29 agosto 2025

"In-A-Gadda-Da-Vida": Ron Bushy e l'assolo che ha fatto la storia

 


Il 29 agosto 2021 ci lasciava Ron Bushy, il leggendario batterista degli Iron Butterfly, morto all'età di 79 anni a Santa Monica, in California, dopo una lunga battaglia contro il cancro all'esofago.

Ron Bushy è stato l'unico membro degli Iron Butterfly a comparire in tutti e sei gli album in studio della band. È celebre per il suo assolo di batteria, lungo e ipnotico, presente nel brano epico di 17 minuti, "In-A-Gadda-Da-Vida", considerato una pietra miliare del rock.

Nato a Washington D.C. il 23 dicembre 1941, Ron Bushy ha trovato la sua vocazione nella musica fin da giovane. Dopo aver suonato in una band chiamata The Voxmen, si unì agli Iron Butterfly nel 1966. La sua presenza costante e la sua abilità ritmica hanno fornito una solida spina dorsale a un sound che spaziava dal rock psichedelico all'acid rock.

La fama mondiale arrivò con il secondo album della band, In-A-Gadda-Da-Vida del 1968. L'assolo di batteria, un capolavoro di improvvisazione e intensità, divenne il simbolo di un'epoca. Si dice che per ottenere il suo sound unico, Bushy abbia rimosso le pelli inferiori dei tom. La sua performance non era solo una dimostrazione di tecnica, ma una vera e propria espressione dell'anima, come lui stesso amava dire, "ogni battito proveniva dal cuore e dall'anima". Questo assolo non solo ha reso il brano immortale, ma ha anche contribuito a gettare le basi per l'hard rock e l'heavy metal che sarebbero fioriti negli anni successivi.

Oltre al suo lavoro con gli Iron Butterfly, Bushy era anche un designer e ha contribuito alla grafica e al merchandising della band. La sua creatività non si fermava alla musica; arrivò persino a costruire un set di batteria in plexiglass, che si ritiene sia stato il primo nel suo genere.

Nonostante gli alti e bassi della band e i numerosi cambi di formazione, Ron Bushy rimase un punto fermo, suonando on-and-off con gli Iron Butterfly fino al 2012 e facendo occasionali apparizioni come ospite fino alla sua morte.

La sua scomparsa ha segnato la fine di un'era, perché Bushy non è stato solo un batterista di talento, ma una figura amata e rispettata, noto per la sua gentilezza, il suo sorriso e il suo spirito combattivo.





giovedì 28 agosto 2025

Compie gli anni Hugh Cornwell (The Stranglers)

 


Buon compleanno a Hugh Cornwell:

ricordiamo il genio lirico e l'innovazione musicale del leggendario frontman degli Stranglers


Compie gli anni Hugh Cornwell, nato a Londra il 28 agosto del 1949, noto per essere il frontman e l'autore principale dei testi dei leggendari The Stranglers. In questa occasione, celebriamo la carriera di un artista la cui visione unica ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama musicale.

Dalla sua fondazione con gli Stranglers alla sua prolifica carriera solista, Cornwell si è distinto per la sua capacità di mescolare intelligenza lirica e un'estetica sonora inconfondibile. Con gli Stranglers, ha dato vita a un suono distintivo che ha sfidato le convenzioni del punk, incorporando elementi di new wave, art rock e persino jazz. Brani come "Golden Brown", "Duchess" e "No More Heroes" testimoniano la sua maestria nel creare testi acuti e spesso sarcastici, accoppiati a melodie complesse e arrangiamenti innovativi.

Dopo aver lasciato gli Stranglers nel 1990, Cornwell ha intrapreso una carriera solista di successo, pubblicando numerosi album che hanno continuato a esplorare la sua evoluzione artistica. Lavori come Wolf e Totem and Taboo mostrano una coerenza stilistica e una continua ricerca sonora, confermando la sua statura come autore e interprete. La sua musica solista è spesso più intima e riflessiva, ma mantiene la stessa acuta osservazione della società e delle relazioni umane che lo ha sempre contraddistinto.

Oltre alla musica, Cornwell è anche un autore di successo, con diversi libri pubblicati, tra cui autobiografie e romanzi. Questo a dimostrazione della sua versatilità e della sua capacità di esprimersi attraverso diverse forme d'arte, a consolidamento della sua immagine di intellettuale del rock.

Hugh Cornwell è una figura che ha sempre navigato controcorrente, evitando le facili etichette e mantenendo una rara integrità artistica. La sua influenza è evidente in generazioni di musicisti che hanno apprezzato la sua onestà, la sua originalità e la sua intransigente visione creativa.






Ricordando Glenn Cornick mancato il 28 agosto 2014


Il 28 agosto del 2014, all'età di 67 anni, ci lasciava Glenn Cornick, primo bassista dei Jethro Tull, band con cui suonò  dal 1968 al 1970.


Io lo conobbi così…

La mia prima Convention ITULLIANS risale al 2006, Novi Ligure.
Arrivato nella zona dedicata al concerto, nel primo pomeriggio, la prima persona che vidi fu proprio Glenn, seduto nel bar antistante il teatro, con il figlioletto che lo faceva ammattire.


Sorridente, disponibile, allegro… mi sembrava impossibile all’improvviso trovarmi davanti a lui, che ero abituato a vedere solo sulle cover degli album.
Quel giorno comprai il suo nuovo disco, di cui andava palesemente fiero e che ascoltammo dal vivo.
Lo conobbi in quella occasione e successivamente mi rilasciò una lunga intervista che racconta molto su di lui e su… altri.
Ci fu poi un’altra occasione di incontro, la Convention del 2008, ad Alessandria, giorno in cui si presentò con una cresta colorata molto visibile. 


Si esibì nel pomeriggio con gli OAK e alla sera, sul palco “maggiore”: grande spettacolo!





mercoledì 27 agosto 2025

Ricordando Stevie Ray Vaughan, uscito di scena il 27 agosto del 1990


La notte del 27 agosto 1990, dopo aver partecipato ad un grande concerto all'Alpine Valley Music Theater di Alpine Valley Resort, con Eric ClaptonRobert CrayBuddy Guy e il fratello JimmieStephen "Stevie" Ray Vaughan sale su un elicottero per tornare al suo albergo di Chicago. Come dichiarato in seguito dallo stesso Clapton, Vaughan, stanco per il concerto, chiede di prendere il posto di Clapton e partire per primo. Poco dopo il decollo però il velivolo si schianta contro una collina a causa della fitta nebbia e della poca esperienza del pilota in simili condizioni atmosferiche. Nell'impatto oltre allo stesso Stevie Ray Vaughan muoiono il pilota Jeff Brown e i membri dello staff di Eric Clapton, Bobby Brooks, Nigel Browne e Colin Smythee. Nessuno si accorge dell'incidente fino alla mattina seguente, quando l'elicottero non giunge a destinazione.

Stevie Ray Vaughan viene sepolto il 31 agosto 1990 al Laurel Land Memorial Park di Dallas, accanto al padre, morto quattro anni prima nello stesso giorno del figlio. Aveva 36 anni.
Era nato a Dallas il 3 ottobre del 1954, ed è stato uno dei più grandi esponenti della chitarra blues americana. Benché durante la sua breve vita abbia pubblicato solo quattro album in studio e uno live, è noto come uno dei musicisti più dotati e influenti del suo genere. Nel 2003, la rivista Rolling Stone lo mette al 7º posto nella Lista dei 100 migliori chitarristi e Classic Rock Magazine lo mette al 3º posto nella lista dei 100 Wildest Guitar Heroes del 2007.

Stevie Ray Vaughan è il miglior chitarrista che abbia mai sentito suonare
(Eric Clapton)
Questo disse Eric prima della sua scomparsa prematura.

Il nome da solo vale una leggenda, in ambito blues, ed è così che l’ho sempre considerato.
Ma conoscere un nome, sapere magari a quale viso sia abbinato, non significa inquadrare il personaggio, e soprattutto non fornisce indicazioni sul suo effettivo "lavoro".
Ciò che riesce ad uscire dalla sua Fender è quello che normalmente abbiniamo a musicisti di colore, perfettamente a loro agio nella semplicità di struttura del blues e nell’infinita complicatezza che deriva dal far emergere gioia e dolore attraverso le sei corde.
Si dice che per fare il blues occorra avere sofferto, aver vissuto la strada, e l’accostamento porta quasi sempre al popolo di colore, anche se i casi opposti abbondano.
E Stevie Ray Vaughan ne è un esempio… purtroppo non più fisicamente presente.

Hanno detto di lui: 

È stato uno dei più grandi esponenti della chitarra blues americana.
Benché durante la sua breve vita abbia pubblicato solo quattro album in studio e uno live, è noto come uno dei musicisti più dotati e influenti del suo genere
.”


Ho trovato nel sito ufficiale Fender una descrizione esaustiva...

La leggenda di Stevie Ray Vaughan ha squassato gli anni '80 con la forza di un tornado: il suo talento purissimo, il suo playing caratteristico, la forte matrice blues hanno portato a dischi d'oro e tour "tutto esaurito", prima del suo tragico decesso all'età di 35 anni. La sua fama giunge comunque inalterata ai giorni nostri attraverso i puristi del blues e i fan del rock, che parlano di lui come uno dei più influenti bluesman elettrici della storia.Vaughan ebbe il merito di fondere il blues puro delle origini, di Albert King, Otis Rush e Muddy Waters, con la vena rock della chitarra di Jimi Hendrix per creare uno stile nuovo, sconvolgente, in grado di lasciare l'ascoltatore letteralmente senza fiato, in un periodo storico, tra l'altro, in cui il blues non era decisamente all'apice della sua popolarità come genere musicale. Nato e cresciuto a Dallas, Vaughan cominciò a suonare da bambino, ispirato dal fratello più grande, Jimmie. All'età di 17 anni abbandonò la scuola per concentrarsi esclusivamente sulla musica e suonare in una notevole moltitudine di gruppi, che servirono da embrione alla formazione, a fine anni '70, dei Double Trouble, chiamati così da un brano di Otis Rush. A quel tempo, Stevie cominciò anche a cantare, e i Double Trouble si ritrovarono a regnare sul fertile territorio musicale di Austin, Texas. Nel 1982, la performance al Montreux Festival catturò l'attenzione della leggenda del rock David Bowie, che arruolò Stevie Ray per le registrazioni del disco di quell'anno, "Let's Dance". I Double Trouble firmarono quindi con la Epic, e l'anno successivo vide la pubblicazione del primo album, "Texas Flood". Quell'album ebbe un successo immenso, riportò il blues nelle classifiche per la prima volta dalla fine degli anni '60; inevitabilmente, fu immediatamente registrato un nuovo album, e Couldn't Stand the Weather raggiunse posizioni ancora più alte in classifica e un più grande successo, in generale, di "Texas Flood". Il terzo album, "Soul to Soul", vide la luce nell'estate del 1985 e, nel 1987, dopo un intensissimo tour americano, fu pubblicato il live doppio "Live Alive". L'abuso di alcol e droghe minarono pesantemente la salute di Stevie, e lo costrinsero a un lungo periodo di disintossicazione. Nel 1989 finalmente, i Double Trouble tornarono più in forma che mai con "In Step", raggiunsero il 33° posto in classifica, e vinsero un Grammy per il miglior disco di blues contemporaneo, ottenendo il disco d'oro a soli sei mesi dall'uscita della nuova fatica discografica. Il 26 agosto 1990 i Double Trouble suonarono a East Troy con Eric Clapton, Buddy Guy, Robert Cray e Jimmie, il fratello di Stevie Ray. Al termine del concerto, Vaughan si imbarcò su un elicottero per Chicago, ma il velivolo si schiantò pochi minuti dopo il decollo, uccidendo il chitarrista e altri quattro passeggeri.Un disco di duetti col fratello Jimmie era stato registrato poco prima della sua morte e, quando fu pubblicato quello stesso ottobre, entro direttamente al numero 7 in classifica. Successivamente, le numerose uscite discografiche postume e le collezioni di inediti giunsero alla stessa popolarità dei dischi pubblicati da Vaughan da vivo. La Fender, nel 2002, riprodusse la famosa Stratocaster Number One di Stevie e ne fece un modello Signature.


Curiosità - Lo stile

Il caratteristico stile di Stevie Ray Vaughan è spesso paragonato a quello di Jimi Hendrix, dal quale Vaughan ha, per sua stessa ammissione, tratto grande ispirazione. Altre influenze molto evidenti derivano da Albert King,Chuck Berry, Buddy Guy, B.B. King, e da Kenny Burrel, per i brani dalle atmosfere jazz. Lo stile è scandito da fraseggi veloci e movimentati spesso ripetuti, con grande precisione ritmica, ma anche di assoli lenti e melodici. Durante il corso degli anni il sound di Vaughan è variato dall'uso di suoni e riff brillanti e taglienti (stile Albert King) dei primi anni 80, a figurazioni più melodiche e corpose (stile Eric Clapton) all'inizio del 1990. Una particolarità del suono di Vaughan derivava dall'uso di corde di dimensioni a volte molto superiori alla norma, di scalatura 0.13 e talvolta 0.14 fino ad arrivare a scalature estreme come la 0.18/0.74. Renè Martinez, suo tecnico, lo convinse ad abbandonare queste corde in favore di altre di dimensioni più convenzionali per evitare danni alle dita (per ovviare a questi inconvenienti ricopriva i polpastrelli di colla "Superglue", usata anche dai soldati americani in Vietnam per chiudere le ferite in attesa di soccorsi).








Brian Epstein, l'uomo che inventò i Beatles, moriva 58 anni fa


Il 27 agosto del 1967, a soli 33 anni, moriva Brian Epstein, manager dei Beatles, determinante per i loro successi e prototipo del ruolo imprenditoriale all’interno del mondo musicale, una dimensione che, nonostante l’inesperienza, lo portò a promuovere il gruppo con estrema efficacia, facendolo emergere dalla massa in cui ovviamente si stava muovendo.
Inserito molto presto all’interno del “settore musicale” come venditore di dischi, si appassionò all’argomento e iniziò a scriverne con buona continuità.
Le sue doti di persuasione, il suo fiuto e l’attenzione per la clientela lo portarono ad avvicinare i Beatles -di cui un 45 giri veniva ripetutamente richiesto nel suo negozio- che vide per la prima volta al Cavern, rimanendone impressionato e convincendosi che il compito di loro manager sarebbe stato gratificante per tutti: era il gennaio del 1962 quando le parti si legarono contrattualmente, per alcuni anni.
Epstein si dimostrò determinante per il successo iniziale della band, perché la sua cura si rivolse ad aspetti meta-musicali, alla costruzione dell’immagine, elemento che col passare del tempo avrebbe assunto sempre maggior importanza. Cambiò quindi il loro stile, il modo di vestire, i comportamenti e cercò di rendere le loro esibizioni consone alla domanda dell’epoca.
E fu attraverso la sua incessante attività che i Beatles arrivarono a George Martin, allora dirigente della Parlophone, e anch’esso fondamentale per il futuro successo della band.
Ma le sue intuizioni e le sue capacità mostrarono il vero volto con il passare del tempo, e passando al setaccio i suoi risultati resta, oltre all’intuizione Beatles, una buona tendenza all’organizzazione, ma furono abbondanti le sue mancanze in qualità di agente.
Nel 1966 la decisione dei Beatles di produrre la loro musica soltanto in studio, evitando esibizioni live, e la conseguente consapevolezza di non avere più un ruolo attivo e utile, proprio vicino alla scadenza del contratto, insieme a preoccupazioni di carattere prettamente economico e personale -l’azzardopatia, l’uso smodato di droghe e la necessità di nascondere la sua omosessualità- lo fecero cadere in una preoccupante spirale di depressione e paranoia.

Cinquantotto anni fa il giovane Brian muore. Dalla sua lussuosa abitazione, poco distante da Buckingam Palace, non arrivano i cenni di vita richiesti dalla servitù. L’intervento delle autorità preposte rivelerà la verità e presenterà una scena in cui compaiono flaconi di barbiturici, probabilmente effetto terminale di un’azione autodistruttiva in atto da tempo.
Non tutti in linea i referti medici, e al dichiarato eccesso di sedativo si contrappone il giudizio di chi sottolinea che la dose trovata nel sangue non sia stata fatale.
Mentre avveniva la macabra scoperta Paul, John, George e Ringo lo stavano aspettando ad un meeting a carattere esoterico, in Galles.
Paul McCartney, appresa la triste notizia, lo incorona come possibile Quinto Beatles... in fondo fu lui che li scoprì!


martedì 26 agosto 2025

Il Festival dell'Isola di Wight...

 


Il Festival dell'Isola di Wight del 1970 rappresenta un evento monumentale nella storia della musica, spesso citato come il più grande raduno umano per un festival musicale del suo tempo, superando persino Woodstock per il numero di partecipanti. Tenutosi ad Afton Down, vicino a Freshwater sull'Isola di Wight, dal 26 al 31 agosto 1970, attirò una stima di 600.000-700.000 persone.

È bene sottolineare che il Festival dell'Isola di Wight aveva già avuto due edizioni precedenti, nel 1968 e nel 1969 che, sebbene non abbiano raggiunto la fama e le dimensioni del 1970, sono state comunque significative:


Isle of Wight Festival 1968

Si tenne dal 31 agosto al 1° settembre a Ford Farm, vicino a Godshill.

Fu un evento su scala molto più ridotta, con un'affluenza stimata tra le 10.000 e le 15.000 persone.

Nonostante le dimensioni modeste, presentò artisti di rilievo come i Jefferson Airplane (alla loro prima apparizione nel Regno Unito), The Move, Arthur Brown, Tyrannosaurus Rex e Fairport Convention.

L'organizzazione fu piuttosto spartana, con infrastrutture limitate.

Questo primo festival è visto come l'inizio di una tradizione e dimostrò il potenziale dell'isola come sede per grandi eventi musicali.


Isle of Wight Festival 1969

Si svolse dal 29 al 31 agosto a Wootton Creek, attirando un pubblico molto più numeroso, stimato intorno alle 150.000 persone.

Questa edizione vide la partecipazione di artisti di fama internazionale, tra cui Bob Dylan & The Band (il suo ritorno sul palco dopo un lungo periodo di semi-isolamento), The Who, Joe Cocker, Free e i Moody Blues.

L'organizzazione fu più strutturata rispetto all'anno precedente, ma la gestione di una folla così grande presentò comunque delle sfide.

Il successo di questa edizione, in particolare grazie alla presenza di Dylan, proiettò il Festival dell'Isola di Wight sulla scena musicale internazionale e preparò il terreno per l'edizione mastodontica del 1970.

Ma allora, perché l'edizione del 1970 divenne così famosa rispetto alle precedenti?

Line-up ineguagliabile: la line-up del 1970 era semplicemente strabiliante, con molti degli artisti più grandi del mondo al culmine della loro fama (Hendrix, The Doors, The Who, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Miles Davis, ecc.).

Affluenza record: l'enorme numero di partecipanti senza precedenti catturò l'immaginario collettivo e lo rese un evento storico per la sua scala.

"L'Equivalente europeo di Woodstock": l'edizione del 1970 fu spesso paragonata a Woodstock per le sue dimensioni e per lo spirito della controcultura che incarnava, anche se con dinamiche e problemi logistici diversi.

Il "Canto del cigno" di un'era: per molti, il 1970 rappresentò l'apice e forse anche la fine di un certo tipo di idealismo e di grandi raduni della controcultura. La sua caoticità e i problemi logistici contribuirono a questa percezione.

La presenza di Jimi Hendrix: essendo una delle sue ultime grandi esibizioni prima della sua morte, la sua partecipazione al festival del 1970 lo ha reso un evento ancora più significativo e ricordato.

Soffermiamoci sull’edizione del 1970, considerata un evento monumentale nella storia della musica, spesso citata come il più grande raduno umano per un festival musicale del suo tempo, superando persino Woodstock per il numero di partecipanti. Tenutosi ad Afton Down, vicino a Freshwater sull'Isola di Wight, dal 26 al 31 agosto 1970, attirò una stima di 600.000-700.000 persone.


Una Line-up di Leggende

Il festival vantava una line-up impareggiabile di artisti iconici, molti dei quali all'apice della loro carriera. Vediamone alcuni:

Jimi Hendrix: questa fu purtroppo una delle ultime grandi esibizioni pubbliche di Hendrix prima della sua prematura scomparsa poche settimane dopo. Il suo set, sebbene afflitto da problemi tecnici, rimane un momento storico.

The Who: offrirono una performance energica, presentando la loro opera rock "Tommy".

The Doors: con Jim Morrison, questa fu una delle loro ultime esibizioni nel Regno Unito.

Joni Mitchell: la sua esibizione fu a quanto pare turbata da contestazioni da una piccola parte dell'enorme folla, evidenziando le sfide nella gestione di un evento così grande.

Leonard Cohen: la sua performance, protrattasi fino alle prime ore del mattino, è ora leggendaria per la sua intimità nonostante la vasta platea.

Joan Baez: una figura di spicco nella scena musicale folk e di protesta, offrì un set potente.

Miles Davis: la sua performance di jazz fusion rappresentò una deviazione dalla maggior parte della line-up orientata al rock, mostrando il gusto eclettico del festival.

E poiJethroTull, Free, Ten Years After, Emerson, Lake & Palmer, Chicago, Procol Harum, Sly and the Family Stone, Donovan, Kris Kristofferson e molti altri.

Wight ‘70 incarnò lo spirito della controcultura dell'epoca. Fu un raduno di persone unite dalla musica, da un senso di libertà e spesso da una comune opposizione alle norme sociali e alla guerra del Vietnam. La pura scala dell'evento divenne un simbolo del potere e della portata di questo movimento.

L'enorme afflusso di persone sopraffece le infrastrutture dell'isola. Ci furono significativi problemi con il controllo della folla, i servizi igienici e la fornitura di beni di prima necessità. Molti partecipanti, notoriamente, abbatterono le recinzioni e non pagarono le 3 sterline del biglietto d'ingresso per l'evento di cinque giorni, causando ingenti perdite finanziarie agli organizzatori.

Il caos logistico e l'incapacità di gestire una folla così vasta portarono infine all'Isle of Wight County Council Act del 1971, che impediva raduni all'aperto con pernottamento di più di 5.000 persone sull'isola senza una licenza speciale. Questo pose effettivamente fine ai festival su larga scala sull'Isola di Wight per oltre tre decenni.

Nonostante le difficoltà, il Festival dell'Isola di Wight del 1970 rimane un evento leggendario, avendo inoltre gettato le basi per i futuri grandi festival con campeggio, contribuendo alla comprensione della logistica e delle sfide coinvolte.

Per alcuni, la natura caotica del festival segnò anche un allontanamento dagli ideali più utopici del primo movimento controculturale. In ogni caso le performance e la pura idea di raduno musicale continuano ad affascinare e simboleggiano un'epoca cruciale nella storia della musica e della cultura.

Dopo la leggendaria edizione del 1970, ci fu una lunga pausa, ma il Festival dell'Isola di Wight è stato ripreso nel 2002.

Il promotore musicale John Giddings ha infatti rilanciato il festival, che da allora si tiene annualmente a Seaclose Park, un'altra località dell'isola vicino a Newport.

Dal suo ritorno, l'Isola di Wight Festival è diventato un importante appuntamento nel calendario dei festival britannici, attirando grandi nomi e un vasto pubblico.

Quindi, mentre il festival del 1970 fu un evento unico e leggendario che portò a una lunga interruzione, l'Isola di Wight Festival è ora un evento annuale regolare con una ricca storia che spazia dalla fine degli anni '60 fino ad oggi. Il festival attuale si concentra su un modello più organizzato e sostenibile rispetto alle sfide affrontate dai precedenti, enormi raduni.




lunedì 25 agosto 2025

Elvis Costello, il cantautore camaleonte, festeggia il suo compleanno

 

Compie gli anni Elvis Costello - nato il 25 agosto del 1954 - uno dei cantautori più originali e influenti degli ultimi cinquant'anni.

Nato a Londra come Declan Patrick MacManus, ha costruito una carriera straordinaria che lo ha visto spaziare con audacia e maestria tra generi musicali apparentemente distanti. Dalle radici punk e new wave dei suoi esordi, ha saputo esplorare con successo il pop, il rock and roll, il country, il soul, il jazz e persino la musica classica, dimostrando una versatilità e una curiosità artistica quasi senza pari.

La sua ascesa iniziò a metà degli anni '70, quando, con un look da “nerd” incazzato e una chitarra distorta, irruppe sulla scena musicale con brani intrisi di rabbia, ironia e introspezione. Il suo album di debutto, My Aim Is True (1977), fu un manifesto di poetica e sonorità che lo distinse subito dai suoi contemporanei. Con i The Attractions, la band che lo accompagnò per gran parte della sua carriera, Costello ha sfornato capolavori come This Year's Model (1978) e Armed Forces (1979), album che contengono alcuni dei suoi più grandi successi, tra cui "Oliver's Army" e "Pump It Up".

L'evoluzione artistica di Costello non si è mai fermata. Negli anni '80 ha sorpreso il pubblico con album come Almost Blue (1981), un omaggio al country, e King of America (1986), che ha consolidato la sua reputazione come cantautore di spessore. Ma la sua sete di sperimentazione non si è fermata qui. Ha collaborato con artisti del calibro di Burt Bacharach, con il quale ha scritto l'acclamato album Painted from Memory (1998), vincendo un Grammy Award. E non va dimenticata la sua collaborazione con il quartetto d'archi The Brodsky Quartet nell'album The Juliet Letters (1993), un lavoro che sfida ogni etichetta di genere.

Con oltre 30 album in studio, una menzione nella Rock and Roll Hall of Fame e una discografia che attraversa i decenni, Elvis Costello rimane una figura centrale nel panorama musicale contemporaneo. La sua capacità di scrivere testi incisivi, intelligenti e carichi di emozioni, unita a una profonda conoscenza della storia della musica, lo rende un artista unico nel suo genere. Le sue canzoni, da "Alison" a "Everyday I Write the Book", sono diventate dei veri e propri inni generazionali.

Ricordiamo oggi non solo la sua longevità artistica, ma anche la sua inesauribile curiosità e il suo coraggio di infrangere le regole, rendendolo un'ispirazione per generazioni di musicisti e ascoltatori.






domenica 24 agosto 2025

24 agosto 2023: l'addio a Bernie Marsden, la chitarra blues-rock degli Whitesnake

 


Il 24 agosto 2023 Bernie Marsden, chitarrista, cantautore e membro fondatore degli Whitesnake, moriva serenamente all'età di 72 anni.

Nato a Buckingham il 7 maggio 1951, Marsden è stato un musicista autodidatta che ha imparato a suonare la chitarra da bambino, traendo ispirazione da artisti del calibro di Eric Clapton e Peter Green. Negli anni '70 iniziò a farsi un nome nella scena musicale londinese, collaborando con band come UFO e Cozy Powell's Hammer.

La sua carriera svoltò nel 1978, quando si unì a David Coverdale per fondare gli Whitesnake. Con il gruppo, Marsden raggiunse la fama mondiale, suonando la chitarra solista in brani iconici come "Fool for Your Loving", "Walking in the Shadow of the Blues" e "Here I Go Again", che co-scrisse. La sua abilità e il suo stile, basato su un perfetto equilibrio tra il blues e l'hard rock, contribuirono a definire il sound della band.

Nonostante l'enorme successo con gli Whitesnake, Bernie Marsden ha continuato a perseguire altri progetti musicali, pubblicando diversi album solisti, collaborando con molti altri artisti e suonando con band come i Paice Ashton Lord e i The Company of Snakes. Negli anni '80 fondò la band "Alaska" e collaborò c con artisti come Jon Lord, Jack Bruce, Ringo Starr e Robert Plant.

Con il suo talento e la sua dedizione alla musica, Bernie Marsden ha lasciato il segno nella storia del rock.







sabato 23 agosto 2025

Ricordando Keith Moon, nato il 23 agosto del 1946


Il 23 agosto del 1946 nasceva Keith Moon, leggendario batterista dei The Who, che ci ha lasciato prematuramente il 7 settembre del 1978.

Negli ultimi anni ho avuto l'opportunità di vederli due volte (Verona nel 2007 e Milano nel 2016), con Zak Starkey, figlio di Ringo Starr, alla batteria, da poco sostituito.
Fantastico Zak, ma come dice Pete Townshend: “Zak non è Keith, per molti versi è meglio, ma non è lui ”.
Ho sempre immaginato il mitico provino a lui concesso dagli Who (allora Detours) già esistenti, dove con grande spavalderia si esibiva devastando lo strumento e convincendo tutti che era la persona giusta per riempire il vuoto lasciato dal batterista precedente.
Lo voglio ricordare oggi e per farlo utilizzo un sunto di quanto “rubato” nel sito “Drum Club”, portale dedicato alla batteria.

Il seguente articolo è tratto da Psycodrummer, una rubrica ideata per la rivista Drum Club, che analizza i tratti non solo musicali, ma anche umani e biografici dei batteristi entrati nella leggenda e nel mito.

Per il mondo della musica rock, Keith Moon non è solo il celebre “batterista pazzo” degli Who, scomparso a causa di una morte prematura.
Sul suo conto circolano ancora oggi numerose leggende al confine tra mito e realtà, molte delle quali alimentate dagli aneddoti fantasiosi riportati dallo stesso Moon.
Un personaggio esplosivo, nato per essere una rock star, un attore, una celebrità, un intrattenitore indiscusso.
Ma quale volto si nascondeva oltre la maschera del clown? E chi era realmente l’uomo dietro ai tamburi degli Who?
Nato il 23 agosto 1946, sotto il segno del Leone, Keith Moon cresce a Wembley, il sobborgo più conosciuto di Londra, in una famiglia benestante ed unita. Anche se trascorre l’infanzia in un ambiente protetto e amorevole (è molto legato alla madre), il piccolo Keith dimostra un temperamento impetuoso e inquieto sin dai primi anni di scuola. Un suo vecchio compagno di classe confessa: “All'epoca, non avrei mai pensato che quel ragazzo sarebbe diventato famoso. Ero più convinto che prima o poi sarebbe finito in prigione, dato che era sempre coinvolto in ogni rissa."
In realtà, la costante agitazione e irrequietezza di Keith sono tipici indicatori di iperattività, un problema che lo accompagna attraverso l’infanzia e l’adolescenza.
I problemi di Keith adulto possono leggersi come le conseguenze di un’iperattività infantile non curata; questi disturbi lo portano alla depressione, all’abuso di alcool e droghe, a comportamenti antisociali e violenti e all’instabilità psicologica (Borderline Personality Disorder).
Su suggerimento medico i genitori decidono di distrarre il ragazzo con la musica.
Lo iscrivono alla banda, dove gli viene affidata la tromba; lo strumento non sembra il più adatto per il ragazzo irrequieto, del tutto mancante della pazienza necessaria per esercitarsi.
I musicisti della banda non gradiscono particolarmente le ilari improvvisazioni di un giovane Moon alla tromba, così: “Mi diedero dei soldi per andarmene” - racconta il batterista con ironia - “e fu lì che scoprii per la prima volta che grazie alla musica si poteva guadagnare del denaro!”.
Gerry Evans è un amico d’infanzia di Keith, vive nel suo stesso quartiere e lavora presso un negozio di musica. E’ un batterista, ed un giorno gli propone di provare il suo drum set. Gerry rilascia una vivida testimonianza di quella occasione: “Non aveva mai suonato la batteria e voleva essere subito come Buddy Rich e Louis Bellson: era come vedere un folle libero dietro ai tamburi. Non aveva nessuna idea di quello che suonava. In pratica colpiva tutto quello che gli capitava a segno, producendo un gran frastuono. Era orribile. Cercai di fermarlo ed insegnargli qualche rudimento, qualche paradiddle, ma era come parlare ad un pazzo. Voleva solo fare un gran casino. Pensai tra me e me che non sarebbe mai diventato un batterista, figuriamoci un batterista professionista”.
Nondimeno, Keith Moon, il ragazzino squilibrato cacciato da scuola a 15 anni, trova quel giorno la sua ragione di vita: suonare la batteria e diventare una rock star.
Si fa acquistare un drum set dai genitori, suona come un pazzo in garage e prende saltuari lezioni da Carlo Little, il potente batterista di Screaming Lord Sutch.
Il suo primo gruppo sono i Beachcombers, e propongono un repertorio di classici rock’n roll e surf.
Quando viene a sapere che i Detours, la formazione emergente più in vista nei club della nascente cultura mod di Londra, sono alla ricerca di un batterista, si presenta ai provini con un vestito sgargiante laminato in oro.
Per nulla intimidito dalla differenza di età (è più giovane di 3 anni rispetto al resto del gruppo), suona con quella violenza, spavalderia ed energia che, negli anni, sarebbero divenute il suo marchio di fabbrica.
Alla fine dell’audizione il pedale della gran cassa è rotto e l’asta di un piatto è rovesciata.
Non è ancora entrato nel gruppo e già ha provocato dei danni. I ragazzi lo confermano per i futuri concerti.
E’ l’inizio della leggenda della band chiamata “The Who”.
Gli Who raggiungono il successo con il singolo “My Generation”, nel quale cantano “Spero di morire prima di diventare vecchio”, profezia che Keith Moon seguirà alla lettera.
Le esibizioni del gruppo sono celebri per intensità e volume.
Townshend e compagni sono i primi a distruggere gli strumenti al termine dei concerti.
Il più delle volte un indiavolato Moon getta i suoi tamburi - grancassa compresa - tra la folla.
Gli Who inaugurano anche lo stile di vita delle rock star, in particolar modo durante le tournée negli States, dove distruggono le camere degli alberghi in cui alloggiano, tanto che vengono banditi a vita dalla catena di hotel “Holiday Inn”.
Proprio Moon si dimostra il più scatenato dei quattro, e si rende protagonista di numerosi esperimenti con delle bombe esplosive.
La leggenda narra anche di una Rolls Royce guidata dal batterista fin dentro alla piscina di un hotel, durante il party del suo ventunesimo compleanno.
Keith diventa presto celebre per i suoi travestimenti, per le bravate e per i continui eccessi: stringe un’intensa amicizia con i Beatles - specialmente con Ringo Starr – e, per la sua natura scherzosa, viene affettuosamente soprannominato “Moon The Loon”.


Durante gli anni del successo, Keith non riesce a vivere lontano dalla batteria e dagli Who.
Per sua natura, si rifiuta di fare esercizio sullo strumento in luoghi che non siano il palco, la sala prove o lo studio di registrazione.
Nelle sue ville sono parcheggiate decine di automobili costose (anche se lui non ha la patente di guida), ci sono giochi e intrattenimenti d’ogni genere, si trovano droghe ed alcolici in abbondanza; ma non c’è una batteria montata.
Per lui la batteria va suonata solo in compagnia: odia studiare o suonare da solo, così i lunghi periodi in cui gli Who non si trovano in tournèe si dimostrano devastanti per il suo allenamento e per la sua forma fisica.
I lunghi show di due ore e più, infatti, nei quali Keith brucia le tossine e suda abbondantemente (fino a perdere 3 kg per volta), sono per lui una vera e propria palestra, che gli consentono di sostenere il ritmo di vita devastante costituito da party notturni e infiniti drink.
L’ombra dell’alcolismo minaccia la vita del ragazzo terribile.
Nella storia di ogni rock star morta giovane, esiste un episodio o un momento cruciale in cui l’ingranaggio del successo si rivolta contro il suo beneficiario, e determina l’inizio di un lento declino verso il baratro della distruzione.
Per Keith, questo avvenimento è rappresentato dalla tragica morte del suo autista ed assistente personale, Neil Boland.
E’ lo stesso batterista ad ucciderlo involontariamente - investendolo maldestramente con la sua lussuosa Bentley - nel tentativo di portarsi fuori da una cerchia di teppisti infuriati e minacciosi.
L’episodio fatale getta sull’animo di Keith - già provato dall’alcool e dalle numerose turbe psichiche - un senso di colpa opprimente e un’ombra di depressione e solitudine che resteranno sempre lontani dalla sua immagine pubblica, ma che saranno evidenti alle persone che gli staranno vicine fino alla sua scomparsa.
In seguito all’interessamento di alcuni medici, lo stato psichico di Moon viene definito “un caso limite di personalità disturbata” (Borderline Personality Disorder).
Questa particolare condizione psicologica, definita dallo psichiatra Adolph Stern nel 1938, designa un paziente che non solo è al limite tra sanità e malattia di mente, ma si trova anche al confine tra neurosi e psicosi.
Senza dubbio le sue relazioni con le persone attorno a lui sono instabili ed intense, caratterizzate da un’alternanza estrema di idealizzazione e svalutazione; più volte tenta il suicidio (in più di un’occasione si taglia i polsi per attirare l’attenzione dei suoi amici); è notoriamente insicuro e afflitto dalla paura di restare solo; è soggetto a scoppi di rabbia incontrollabile e a frequenti periodi di dissociazione.
Kim Kerrigan, che sposa il batterista nel 1966, quando lui ha 19 anni e lei solo 17 (ed è già incinta della figlia Mandy) è una delle poche persone che può dire di avere conosciuto a fondo tutte le diverse personalità di Keith Moon.



Le sue insicurezze di fondo e la sua paura di essere tradito e di restare solo, si manifestano in una forma di assoluta gelosia nei confronti della bellissima moglie, che nel corso degli anni deve anche fare i conti con i suoi violenti attacchi d’ira. “Quando mi innamorai di lui” - ricorda Kim - “Keith era dolcissimo e gentile, spiritoso e affettuoso. Con il passare degli anni, e con il sorgere del problema della dipendenza dall’alcool, il marito e il padre tenero divennero una persona violenta e gelosa. Quando Keith era sobrio, rivedevo in lui la persona di cui mi ero innamorata, ma quando beveva si trasformava in una sorta di mostro”.
Dopo liti furiose, tre nasi rotti e riconciliazioni varie, Kim progetta una fuga da casa (portando con sé la figlia Mandy) quando Keith arriva a minacciarla con un’arma da fuoco, mentre spara in aria e la insegue con gli “occhi insani di un assassino”.
Nel frattempo, la progressione di Moon nel consumo di alcool raggiunge un punto di svolta, passando dall’abuso alla dipendenza.
Nel 1972 consuma due bottiglie di champagne e due bottiglie di brandy al giorno - spesso anche di più - e comincia a miscelare questi due liquori nello stesso bicchiere. Dimostra anche uno dei più gravi segni di dipendenza dall’alcool, il bisogno di cominciare la giornata con un drink.
Gli anni successivi lo vedono impegnato nella lotta contro la bottiglia: nella sua vita si alternano periodi di forzata sobrietà (con ricoveri in cliniche ed ospedali) e periodi di decadenza ed abusi.
Durante la sua residenza in California, nel 1975, dove registra un fallimentare album solista (“Two Sides Of The Moon”) e dove abita insieme alla nuova fidanzata Annette Walter Lax in una casa sull’Oceano, Keith sviluppa anche la dipendenza dalla cocaina.
Proprio quando il batterista, ormai gonfio ed irriconoscibile, decide di dare una svolta definitiva al suo alcolismo, un incidente spezza la sua esistenza a metà.
A stroncarlo sono - per assurdo - proprio dei farmaci prescritti per curare la dipendenza dall’alcol.

Ultima sera

Egli ingerisce in quantità eccessiva delle pastiglie di chlormethiazole, assumendone una manciata in seguito ad un pasto notturno a base di carne e brandy. La morte lo coglie nel sonno il 6 settembre del 1978, all’età di 32 anni.


Keith Moon è passato alla storia per il suo stile unico e indisciplinato, manifestazione della sua personalità deviata e non di tecnica batteristica. Un drumming istintivo, del tutto mancante di chiarezza e coesione, eppure esplosivo, energico e soprattutto inimitabile.
Tanto che, dopo la sua scomparsa, neppure Kenny Jones, Simon Phillips e Zak Starkey (il figlio di Ringo Starr) riusciranno a rimpiazzarlo compiutamente.
Nella sua follia, è un incredibile precursore: già sul finire degli anni ’60, Keith inaugura la mania dei drum set customizzati e personalizzati, pieni di piatti e tamburi.
Adotta la doppia cassa per ripicca nei confronti di un batterista che, in tournèe, esibisce un kit più grande del suo. Abolisce del tutto l’utilizzo dell’hi-hat (fatta eccezione per le registrazioni in studio) e, dal vivo, lo rimpiazza con un crash.
Ogni cosa eseguita da Moon è rivolta al fine di divertire ed intrattenere: dal vivo cattura l’attenzione su di sé e, come un abile alchimista, trasforma la sua incontenibile energia in ottima musica. Suona in piedi, gira le bacchette nelle mani e le lancia in aria, oppure si piega all’indietro sul seggiolino fino a novanta gradi, ancorandosi con le gambe alle casse.
I concerti degli Who sono il suo show personale. Il suo volto è una smorfia continua: linguacce, occhi sbarrati, espressioni da pazzo scatenato.
E poi…entra in apnea e parte in uno di quei suoi irripetibili e continui rulli orchestrali.
Nessuno sa ancora come riuscisse a suonare timpani, piatti, tom e rullante in un solo passaggio.
Quando, a metà degli anni settanta, Zak, il figlio di Ringo, gli chiede indicazioni su come suonare un tipico ed elaborato fill “alla Keith Moon” sul suo piccolo set con soli due tom, Keith risponde regalando al ragazzo uno dei suoi immensi drum set con mille tamburi, dicendo: “Suonali tutti in un passaggio e vedrai”.

Zak Starkey ricorda così il suo eccezionale maestro: “Era assolutamente a corto di tecnica e suonava completamente ad orecchio. Non sapeva cosa fosse un paradiddle, ma quando era in forma lasciava tutti a bocca aperta. Normalmente devi prima conoscere le regole per poi poterle infrangere. Beh, non credo che Keith abbia mai imparato le regole, ma continuava a farle a pezzi”.
John Entwistle, bassista degli Who, ricordava che Keith Moon non aveva un grande senso del tempo. Per stargli dietro, Entwistle doveva "fare una media" tra i colpi di cassa e il resto della batteria. A seconda del suo umore, le canzoni potevano suonare lentissime (se era depresso) o velocissime (se era eccitato).. Se si sentiva depresso le canzoni suonavano lente, se era eccitato le canzoni erano velocissime”.
"Era eccezionale” - conclude Entwistle - “ma credo che lo sarebbe stato ancora di più se solo si fosse seduto dietro ai tamburi ed avesse dato più corda al suo talento. Ma lui non ha mai provato a chiedersi perché fosse così bravo. Era solo un batterista naturale”.

C’è una lezione che i batteristi possono assimilare dai vari aspetti della vita di Keith Moon?
Possiamo forse azzardare un “elogio alla follia”, una lode alla travolgente carica di entusiasmo e talento che in Moon prendeva il sopravvento sulla tecnica e sulla disciplina.
In un’era di drum machines, metodi didattici, batterie campionate e session man con caratteristiche seriali, la speranza è che qualche giovane drummer possa raccogliere anche solo un briciolo della sua eredità e, a distanza di quarant’anni, dimostri l’attitudine e la pazzia necessarie ad infrangere tutte le regole..

Ancora una volta, nel nome di Keith Moon.