Steve Howe degli Yes parla degli ex
compagni di band, delle potenziali reunion e di quella turbolenta apparizione
nella Rock And Roll Hall Of Fame
Il chitarrista degli YesSteve Howeha
parlato del suo rapporto con Jon Anderson e delle possibilità di una
potenziale reunion con il cantante e altri membri del passato.
Dice Howe:
"È qualcosa a cui sono
assolutamente restio, perché ricordo il fiasco del Tour di Union",
dice, riferendosi al tour notoriamente difficile a supporto dell'album “Union”
del 1991, che comprendeva otto diversi membri passati e attuali degli Yes.
"È stato molto, molto difficile e fuori controllo. A volte ho pensato
che… un giorno… forse, perché mai dire mai, ma fondamentalmente non riesco a
vederlo".
Continua: "Amo Jon. Ora sono
molto più vecchio, e lo è anche lui, e l'unico modo di lavorare è quello in cui
mi sento felice e a mio agio. Non ho intenzione di prendere sulla schiena un
carico improvviso di cui non ho bisogno o che non voglio. La mia musica mi ha
sempre guidato, e non mi dice di andare in quella direzione, ma di andare
avanti. Ed è quello che faccio”.
Anderson è stato sostituito da Benoit
David nel 2008 dopo aver sofferto di problemi di salute respiratoria.
Successivamente ha criticato i suoi ex compagni di band per non aver aspettato
che si riprendesse e non aver agito da gentiluomini.
David stesso è stato sostituito nel
2012 dall'ex frontman dei Glass Hammer Jon Davison, che è apparso in tre
album in studio degli Yes, tra cui il recente “Mirror To The Sky”.
Eppure, i fan degli Yes vorrebbero
rivedere Anderson!
"Non ho alcuna responsabilità
in tutto questo", afferma Davison, che dice di aver incontrato
Anderson una volta, all'introduzione degli Yes nella Rock & Roll Hall Of
Fame di New York nel 2017. "Voglio dire, perché dovrei? Sono solo il
ragazzoche è stato assunto e e sarei pazzo a rinunciare! So che Jon se
ne rende conto, quindi io non devo sentirmi in colpa nessun motivo".
Steve Howe parla anche della
tumultuosa apparizione della band alla cerimonia della Rock And Roll Hall Of
Fame, in cui diversi membri, tra cui lui stesso, Anderson, l'ex tastierista
Rick Wakeman e l'ex chitarrista Trevor Rabin, hanno unito le forze per un breve
set degli Yes.
"Più vado avanti, più rimango
senza parole per quei due giorni", dice Howe. "C'è molto che
potrei dire, ma non ho intenzione di farlo. Fondamentalmente, c'era qualcosa di
infernale, come pattinare sul ghiaccio senza aver mai pattinato prima. Non
voglio sminuire l’evento, ma ci sono stati problemi, con uno strano farsi largo
per apparire. E alla fine alcune persone hanno ottenuto il dovuto rispetto e
altre no".
Eppure, Howe nel 2017 diceva: “Che
onore per noi essere coinvolti nella storia di questa band. Ringraziamo tutti i
fan degli Yes che si sono dimostrati così appassionati durante gli anni e ci
hanno aiutati a tenere alta la bandiera. Questi sono i fan che hanno sempre
chiesto la nostra inclusione nella Rock and Roll of Fame. Sono stati ascoltati”.
Per la cronaca i membri degli Yes
ammessi alla Rock and Roll Hall of Fame erano quelli del tour di “Union”
del 1991, quindi, Steve Howe, Alan White, il compianto Chris
Squire e gli ex – membri Jon Anderson (voce), Bill Bruford
(batteria), Tony Kaye (tastiere), Rick Wakeman (tastiere) e Trevor
Rabin (chitarra).
L'esclusivo concerto commemorativo di
John Wetton si terrà al Trading Boundaries ad agosto
Rick Wakeman, Steve Hackett, Geoff
Downes, Roger Chapman, Mel Collins, Annie Haslam, Phil
Manzanera e Martin Orford sono solo alcuni dei nomi che appariranno
in uno speciale concerto commemorativo per il compianto John Wetton ad agosto, che raccoglierà
fondi per l'organizzazione benefica Macmillan Caring Local, che si è presa
cura di Wetton nei suoi ultimi giorni.
La moglie di Wetton, Lisa, e il
figlio Dylan, insieme alla direzione di QEDG, annunciano che un concerto
commemorativo si terrà in memoria di Wetton al Trading Boundaries,
nell'East Sussex, il 3 agostoper la sua famiglia e i suoi amici. L'evento sarà
trasmesso in streaming per il grande pubblico.
L'evento commemorativo sarà ospitato
dal direttore di Prog Magazine Jerry Ewing, insieme a Geoff Downes, Steve
Hackett e l'artista Roger Dean.
"Sono molto entusiasta di far
parte del prossimo John Wetton Tribute", dice il tastierista degli Yes
Downes. "Come tutti sapete, ho avuto una collaborazione autorale molto
stretta e unica con John, e siamo stati cari amici, fratelli e compagni di band
per molti anni".
"Onorare l'eredità di John in
questo modo con così tanti dei suoi ex musicisti, colleghi e familiari riuniti
insieme, mostra quanto sia enorme l'amore, la gratitudine e il rispetto che
molti di noi avevano per John e la sua musica. Sarà una meravigliosa
celebrazione che coprirà tutta la straordinaria carriera di John. Non
vedo l'ora di farlo. Ci vediamo tutti lì".
Si
uniscono a Chris Braide (Downs Braide Association), Jim Cregan (Family), David
Cross (King Crimson), Chris Difford (Squeeze), Dave Kilminster (Roger Waters),
John Mitchell (Lonely Robot), Guy Pratt (Nick Mason's Saucerful Of Secrets),
Jay Schellen (Yes), Billy Sherwood (Yes), Harry Whitely, Laurie Wisefield
(Wishbone Ash) e The Paul Green Rock Academy.
L'evento sarà trasmesso in diretta
streaming la sera e tutti i proventi dei biglietti raccoglieranno fondi per
Macmillan Caring Locally. Ci sarà anche un'asta speciale online che si svolgerà
parallelamente ai lavori della serata vantando alcuni lotti unici, tra cui una
chitarra di proprietà dello stesso Wetton per raccogliere ulteriori fondi.
"Sono felice e onorato che
così tanti artisti leggendari che hanno lavorato con mio padre nel corso degli
anni abbiano accettato di riunirsi, sia per onorarlo che per raccogliere fondi
vitali per l'organizzazione benefica che lo ha sostenuto durante i suoi ultimi
giorni", afferma Dylan Wetton. "Non riesco a pensare a un modo
migliore per celebrare la vita di mio padre e l'incredibile eredità musicale
che si è lasciato alle spalle.Sarà una
notte fantastica, un evento unico, che è esattamente ciò che mio padre merita".
Toyah e Robert Fripp sui poteri
curativi della musica: "Dovremmo vivere ogni anno della nostra vita come
se fosse quello migliore "
Robert Fripp e ToyahWillcox sono apparsi su
BBC Breakfast News il 21 giugno, per promuovere la loro prossima apparizione a
Glastonbury, la prima volta per loro.
Alla domanda sui video delSunday Lunch di Toyah e Robert, "che
hanno diffuso tanta gioia" durante il lockdown, la signor Fripp ha fornito
un po’ di spiegazioni.
"Ci siamo resi conto durante
il lockdown che il rock classico cambia la vita delle persone e dà la
possibilità di rivivere ricordi davvero belli. Per me, ad esempio, è “Life On
Mars” di David Bowie, che ho sentito per la prima volta quando avevo 12 anni.
Ogni volta che sento quella canzone, vengo catapultata a quel periodo. E il
concetto di quello che stiamo facendo è riportare le persone al rock classico,
ma anche introdurre le nuove generazioni – che sono appena uscite dalla discoteca
– ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath, o addirittura introdurli ai classici
Blondie".
Il presentatore ha affernato che la
fascia d'età delle persone che entreranno a Glastonbury per il festival è molto
elevata. "Ammettiamolo", ha risposto Toyah, "dovremmo
vivere ogni anno della nostra vita come se fosse il migliore e l'età non
dovrebbe essere qualcosa da analizzare".
Fripp ha suonato in alcuni dei più
grandi festival del mondo e i King Crimson hanno aperto per i Rolling Stones ad
Hyde Park nel 1969. I due hanno appena suonato al Festival dell'Isola di Wight.
"Ero probabilmente la persona più anziana”, ha detto Fripp, "ed
ero probabilmente l'unica persona che aveva suonato nei festival degli anni
'60. Nel 1967, quando sono diventato professionista, sapevamo tutti che la
musica poteva cambiare il mondo, e i festival gratuiti erano un veicolo
primario per quella che oggi si potrebbe chiamare trasformazione sociale.
Unendoci con la musica e le molte persone in questi eventi, creavamo qualcosa
che aveva un tale potere che sembrava che il mondo potesse girare all'indietro
e il futuro potesse afferrarci".
Qual era la differenza tra i festival
di allora e quelli di oggi, gli è stato chiesto. "Per cominciare, erano
tutti gratuiti", ha detto Fripp, "principalmente gestiti da
volontari, compresi gli Hells Angels. E oggi lo spirito c'è, ma
l'organizzazione è molto più professionale, e se hai diverse tonnellate di
attrezzature sul palco e ti presenti a un evento con centinaia di migliaia di
persone, è molto positivo che l'organizzazione sia professionale".
Il mio pensiero/commento al volume
precedente, “Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE”,
è fruibile al seguente link, che permette di accedere anche all’intervista
realizzata con l’autore, certamente ancora molto attuale:
“IL ROCK VIVE”, scrive Baiata
a caratteri cubitali, e allora viene da chiedersi il punto di arrivo di una
raccolta dal taglio preciso, nostalgico, didattico, culturale, specifico.
Mi capita ogni volta, sia per i miei
scritti che per quelli di terzi, di immaginare il potenziale destinatario
perché, se è vero che si crea in primis per sé stessi, l’atto successivo
diventa obbligato, quell’opera di condivisione che, spesso, ha il senso del
lascito ereditario. In fondo, chi ha vissuto e ha creato “materia tangibile”,
possiede il privilegio di poter lasciare una traccia concreta. E allora… chi si
metterà alla lettura di questo tomo di oltre 400 pagine?
Mi sogno una generazione curiosa,
magari ipercritica, ma capace di prendere atto dell’esistenza di un mondo
lontano, interessata nel confrontarlo con quello contemporaneo e poi impegnata
nello stabilire in modo equilibrato i segni ancor presenti di quel Rock Vivente
- il termine è molto più di un’espressione musicale - nell’attualità, usando un
setaccio fine, per eliminare scorie e trattenere la sostanza, la quiddità
insomma.
Baiata cita spesso i The Who come suo
amore preminente, una band che solo pochi giorni fa è stata protagonista di un
concerto unico - in parte con orchestra - a Firenze, proponendo sonorità che
dopo cinquant’anni sanno ancora di fresco, di nuovo, di attuale, mentre Pete Townshend
salta sul palco come un grillo, alla soglia degli ottant’anni, proprio lui che
era il fautore del voglio morire prima di invecchiare!
Inutile sottolineare l’importanza di
questa opera per quelli che come me hanno vissuto un’epoca meravigliosa, quella
di Ciao 2001 e dintorni, quella dei giornalisti bravi e baciati da Dio - trovarsi al
posto giusto al momento giusto è uno status che non è solo frutto di volontà e bravura ma
anche di casualità -, e a un certo punto, grazie ai social, persone lontane
sono diventate potenzialmente raggiungibili, anche chi, ad esempio, è stato
protagonista attivo in un’epoca particolarmente elettrizzante, come Maurizio
Baiata, ai tempi giornalista in erba, successivamente innovatore, conoscitore,
viaggiatore, sognatore.
Questi aggettivi non sono posti a
caso ma rappresentano le linee guida che permettono al book di muovere, di crescere, di
raccontare.
La guida alla lettura è
fornita da Maurizio nel comunicato fruibile al seguente link:
Dopo la prefazione di Federico
Guglielmi e l’apertura di Baiata, la lettura si snocciola attraverso otto
sezioni che propongono recensioni, concerti, interviste, il tutto presentato in
ordine cronologico, a volte con la versione originale tratta dal giornale - ma
leggibile - affiancata alla rivisitazione.
Un viaggio entusiasmante, che suscita
la giusta e sana invidia di chi - come me - avrebbe voluto essere accanto
all’autore per poter vivere le stesse emozioni che nel tempo si sono
trasformate in ricordi, compagni per tutta la vita.
L’ouverture ci propone un brano
evergreen dei Rolling Stones, “You Can't Always Get What You Want”,
usato come collante del primo contenuto, inserito nella scena del funerale
all’inizio del film “Il Grande Freddo”, ma mi fermo qui, non è il caso
di far opera di spoiler…
E poi si succedono grandi nomi,
grandi band, grandi artisti, dai Beatles ai Pink Floyd, dagli ELP
a Frank Zappa passando per Jaco Pastorius e Velvet Underground.
La lista è lunga e vorrei lasciare
l’effetto sorpresa, ma un paio di cose mi sono rimaste particolarmente
impresse.
La prima riguarda l’8 dicembre del
1980, giorno in cui Baiata, in una delle sue fasi americane, si trovò sul pezzo
quando John Lennon fu assassinato. Il racconto di quei momenti,
l’agitazione, la comunicazione verso l’Italia e la reazioni di qualche
scellerato burocrate, rivivono, e prende forma la tragicità dell’evento, il
conseguente sbigottimento e il sincero dolore.
Un’altra curiosità - ma sono certo
che ogni lettore troverà spunti differenti - riguarda quello che viene definito
“un incontro surreale”, quello avvenuto il 3 giugno 1975, che vede Maurizio
intervistare Brian Eno e Robert Fripp. Leggere il susseguirsi di
domande e risposte porta ad evidenziare la figura del padre padrone dei King
Crimson, un campione estremamente negativo in una qualsiasi scala empatica,
ieri come oggi - anche se i suoi attuali siparietti con la moglie Toyah Willcox
lo rendono ora meno pesante -, almeno da quanto si può vedere dall’esterno.
Sono certo che la lettura porterà a
numerose reazioni estremamente personali, sentimenti che fuggono dagli aspetti
oggettivi, dai nomi, dalle date, dai luoghi…
Perché Rock Memories può
trasformarsi in una dolorosa seduta a base analitica, dove una determinata
pagina, attraverso la spinta/necessità a rimembrare, può portare a reazioni che
occorre saper gestire, facendo i conti, almeno per un istante, col passato e
col futuro, sempre più corto…
Se preghi la pioggia, metti in conto anche il fango
“Tempus
fugit, Carpe diem”, si chiosava già 2000 anni fa. Eppure, l’accelerazione del tempo ci ha fatto smarrire
il senso della unicità dell’attimo, lo stupore del presente, la speranza
dell’attesa, la memoria del nostro passato e, in ultimo, la nostra dimensione
identitaria. La Musica resta il mezzo più efficace per azzerare ogni coordinata spaziale e temporale.
Una particolarità, il libro ha un
traghettatore di ere, un accorciatore di spazi, un paladino del virtuosismo.
Se la copertina di Pablo Ayo nel primo volume presentava i Colosseum, band seminale del mondo rock,
la prima pagina tocca questa volta ad un chitarrista. Dall’immagine non è certo
riconoscibile, ma la sua postura riporta ad ipotetici guitar heroes, presenti e
passati.
Il suo nome è Davide Lo Surdo,
ha 24 anni ed è famoso per essere il chitarrista più veloce di tutti i tempi.
Non lo conoscevo e il concetto di velocità abbinato all’utilizzo della chitarra
non mi ha mai interessato, ma Baiata lo intervista - e quindi possiamo
estrapolarne il ritratto - e allora ho provato a cercare sue notizie, attivando
il tasto “curiosità”, quello che spero useranno i giovani lettori quando
leggeranno nomi come Jefferson Starship, Alice Cooper, Gentle
Giant, Jim Morrison, BANCO, PFM…
Ma forse basterebbe la fiducia
nell’autore che, parlando di Davide, chiosa: “Personalmente, sogno di
vederlo e sentirlo duettare su un palco con Pete Townshend, perché…
Il Rock è l’essenza di più
generazioni
In viaggio verso le stelle,
dove tutto è possibile.
Happy
trails, folk!
Grazie Maurizio e… Davide, fa presto,
Pete sarà longevo ma non eterno!
Lo scooter Vespa GS del 1964 è
stato utilizzato come supporto scenico nel Quadrophenia Tour del
1996 dagli Who.Billy
Idol, come cantante ospite del tour, si propose come Ace Face, arrivando sul palco ogni sera in sella allo scooter.
Dopo il tour, la Vespa è stata
conservata a pezzi in scatole, in un garage nella fattoria di Roger Daltrey,
vicino al suo birrificio. Qualche mese fa Des Murphy, genero di Roger e socio
nell'azienda di famiglia - la Lakedown Brewing Co. - stava chiacchierando con un
meccanico, suo vicino, a proposito dello stato dello scooter e su quanto si stesse degradando.
L'idea era sempre stata quella di restaurarlo e poi metterlo all'asta per
raccogliere fondi per il Teenage Cancer Trust. Entrambi concordarono sul
fatto che, se qualcosa non fosse stato fatto celermente, presto il danno sarebbe divenuto irreparabile. Ma mancava il tempo, la conoscenza e l'esperienza per
rimetterlo in sesto. Sarebbe stato necessario l’impegno di un fanatico dello scooter, qualcuno disposto
a dedicare tutto il tempo necessario per riportare la Vespa al suo antico
splendore.
Un paio di giorni dopo un uomo di
nome Jim Deans entrò nella Brewery Taproom indossando un parka Mod e Des, influenzato dall'abbigliamento, osò, e gli chiese
scherzosamente se sapesse come riparare gli scooter. Jim rispose negativamente
ma affermò di conoscere un uomo che era in grado di farlo.
Fu così che Des arrivò ad Aaron White,
della South Coast Customs UK, che ha fatto uno sforzo super umano nel restauro dello
scooter, non solo rimuovendo tutta la ruggine e ripristinando la vernice della
carrozzeria, ma revisionando anche il motore, utilizzando tutte le parti
originali del 1960.
Fu così che Des arrivò ad Aaron White,
della South Coast Customs UK, che ha fatto uno sforzo super umano nel restauro dello
scooter, non solo rimuovendo tutta la ruggine e ripristinando la vernice della
carrozzeria, ma revisionando anche il motore, utilizzando tutte le parti
originali del 1960.
Tutto il lungo e scrupoloso ripristino è stato fatto gratuitamente, per aiutare a raccogliere
fondi per Teenage Cancer Trust.
A metà del lavoro Aaron ha pensato
che sarebbe stato un peccato se, dopo essere stata messa all'asta, la Vespa fosse
finita a prendere polvere nel garage di un qualsiasi collezionista, e affermò: “È
davvero una cosa bella e dovrebbe essere vista e vissuta da quante più persone
possibile.” Così Des suggerì di portarlo in tour prima di metterlo
all'asta.
Aaron White e la sua compagna Julie
con Roger agli spettacoli del Teenage Cancer Trust alla Royal Albert Hall di
quest'anno
Aaron White con Phil Daniels (protagonista del film) sulla
Vespa GS di Ace Face al Quadrophenia Alley di Brighton
Così ora i fan degli Who, di Quadrophenia,
dei Mods e della Vespa potranno vedere la Vespa GS, quest'estate, nel corso di
spettacoli e festival lungo la costa meridionale e nell'attuale tour britannico
degli Who. Si potrà anche "cavalcarla" e farsi scattare una foto in cambio di
una donazione minima di £ 5 all'ente di beneficenza, che offre ai giovani malati
di cancro la migliore assistenza e supporto possibile. Le donazioni possono
essere pagate con carta e in contanti.
La messa in mostra dello scooter
inizierà il prossimo fine settimana, quando sarà visibile al Black Deer
Festival of Americana, a Eridge Park, nel Kent, sabato 17 e domenica 18 giugno.
Da un po’ di tempo Claudio
Sottocornola mi propone saggi che mi mettono in difficoltà, allontanandomi
dalla mia comfort zone legata al mondo della musica, spingendomi verso
sentieri fatti di ricerca interiore, di indagine approfondita, di
perlustrazione degli anfratti. Non occorre avere la mente - e la cultura -
predisposta alla “modalità filosofo”, perché se è vero che spesso le domande
volutamente non poste a sé stessi sono quelle di cui si ha il sentore di una
possibile risposta non gradita, è altrettanto certo che ogni testa pensante,
arrivata ad un certo punto della vita, inizia ad interrogarsi, magari in
estremo silenzio, forse nel contesto giusto, ma… si pone delle questioni
esistenziali, e quelle notti in cui si fatica a prendere sonno diventano
labirinti di cui si trova un’uscita solo con l’arrivo del primo frammento di
luce.
Nell’enciclopedia universale a
disposizione sul web è difficile trovare soddisfazione, soprattutto se si fa riferimento ad argomenti
poco tangibili, e pescare nel pozzo delle opinioni altrui può essere, a volte,
fuorviante. Molto meglio l’oggettività e la conseguente conclusione personale.
Ma i “maestri” esistono, tra studiosi
del passato e contemporanei, coloro che riescono ad allargare gli
orizzonti altrui, tanto da fare dire tra sé e sé: “Ecco, lo avevo in testa e
non mi usciva, e sono bastate poche righe per chiarirmi ciò che avevo dentro e
non voleva uscire!”.
Questa premessa sostituisce i
ringraziamenti a Claudio Sottocornola, legati alla spinta che mi fornisce verso
un più alto livello di riflessione.
In questo caso il ruolo del
“commentatore” dovrebbe portare al racconto dei sentimenti scaturiti dalla
lettura, giacché per tutto il resto è sufficiente un comunicato stampa ben
fatto.
Il titolo del nuovo lavoro di Claudio Sottocornolaè
“Fiorire nel deserto-Per una filosofia della
speranza”, edito da Velar, un’antologia in cui l’autore
propone alcuni dei suoi scritti filosofici del passato tra i più significativi,
che pescano nell’attualità attraverso il pensiero critico, gli aspetti
metafisici, la materia e tutto quanto gira intorno. La vita, insomma, perché
in tempi difficili come quelli che viviamo si ha bisogno soprattutto di
speranza per ridare fiato a esistenze sempre più sfiduciate, disorientate,
fragili.
Sarebbe facile immaginare che il
lungo periodo di disagio legato alla pandemia abbia avuto un ruolo determinante
nell’evoluzione di pensiero dell’autore, periodo per tutti condizionante, in
parte formativo … e forse è così, ma occorre tenere conto che almeno la metà
dei capitoli - e quindi degli argomenti - arriva da un periodo lontano, oltre
dieci anni, un tempo lunghissimo per chi cerca nel contemporaneo risposte di
carattere esistenziale, e sarebbe quindi interessante sapere come l’autore si
pone oggi rispetto a pensieri di un tempo, a fronte di un mondo che cambia a
ritmi inimmaginabili.
Ho più volte scritto di Sottocornola
e quindi mi limito a dire che è conosciuto come “Il Filosofo del Pop”, unione
di due suoi amori - filosofia e musica -, per lungo tempo insegnante ed ora,
terminata l’attività lavorativa, dedito pienamente alla scrittura e
all’osservazione del mondo circostante.
“Fiorire nel deserto…”, a mio
giudizio, può essere letto con differenti gradi di approfondimento.
Si può restare in superficie individuando una sorta di cronaca di un
percorso di vita, partendo dalla fanciullezza e approdando alla maturità. In
mezzo c’è un mondo, uno spazio che assume dimensioni estremamente variabili in
funzione del momento in cui lo si analizza.
Esiste poi la possibilità di un'analisi profonda, ciò
che si cela dietro la dinamicità della nostra esistenza, al di là dei nostri insistenti
pensieri e delle nostre radicate credenze.
Mi riferisco alla ricerca dei significati
universali incentrata sull’essere e sul suo cambiamento, unita alla
contraddizione legata al possesso di una generica conoscenza a cui si
contrappone la mancanza di consapevolezza di tale cognizione.
E quando il cielo si schiarisce e la
mente si illumina, è possibile che nasca il profondo timore di essere
inadeguati, e se non si ha né la forza di reazione né una vaga soluzione disponibile, la paura potrebbe essere il
giusto sentimento da provare.
Usiamo immagini e metafore,
disegniamo idealmente un deserto che, visto dall’alto, interrompe la sua
aridità grazie a tecniche evolute che permettono la nascita di vita e colori:
la fioritura tra la sabbia.
Anche la vita delle persone vede una
parte cospicua di aridità - e tristezza -, ma può essere irrigata da un’acqua spirituale,
dal pensiero approfondito, dalla voglia di capire, di dedicarsi al prossimo.
L’autore utilizza il giardino della
madre, ormai non più tra noi, come simbolo della bellezza che si può
generare nel mondo con disciplina e impegno, nella consapevolezza del tempo che
fugge, e che quindi non va sprecato: “Tempus fugit… Carpe diem…”, che è poi il
titolo di un capitolo del book.
Sono 23 le sezioni di cui si compone
il nuovo progetto di Sottocornola, e in ogni capitolo esistono i presupposti
per una lunga, lunghissima sosta riflessiva.
Esiste però un passaggio
rappresentativo dei concetti a cui accennavo prima, quelli che restano
imprigionati dentro di noi e poi sgorgano con impeto a seguito di un evento,
una frase, un pensiero apparentemente banale…
“L’accelerazione del tempo,
correlata alla sua omologazione intrinseca, ci ha fatto smarrire il senso
dell’unicità dell’attimo, lo stupore del presente, la speranza dell’attesa, la
memoria del nostro passato, in ultimo, la nostra dimensione identitaria. Ecco
perché forse temiamo il diverso, l’immigrato, il marginale…”.
Serena lettura!
Claudio Sottocornola (Bergamo, 1959)
si è laureato all'Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della
teologia. Già ordinario di Filosofia e Storia nei licei, è stato docente di
IRC, Materie letterarie, Scienze dell'educazione e Storia della canzone e dello
spettacolo alla Terza Università di Bergamo. Iscritto all'Ordine dei
giornalisti dal 1991, ha collaborato con diverse testate, radio e tv. Come
filosofo si caratterizza per una forte attenzione alla categoria di
interpretazione, alla cui luce indaga il mondo contemporaneo, spesso
utilizzando musica, poesia e immagini per parlare a un pubblico trasversale,
nelle scuole, nei teatri e nei più svariati luoghi del quotidiano. È autore di
numerose pubblicazioni, che coinvolgono tre aree tematiche prevalenti:
l'autobiografia intellettuale, la cultura popular contemporanea, l'attuale
crisi del sacro in Occidente e la sua possibile ricontestualizzazione.
DESCRIZIONE DEL PROGETTO
Questa silloge raccoglie alcuni
scritti realizzati dall’autore dal 2010 a oggi. Si tratta di riflessioni
filosofiche, con una particolare attenzione alla dimensione teologica, che si
configurano a partire da domande esistenziali per tutti noi ineludibili –
quelle sul senso della vita – soprattutto in tempi di crisi. Tali riflessioni
sono sfaccettate e diverse, come diversa era la destinazione dei libri da cui
sono tratte: il minimo comun denominatore è tuttavia il tentativo di
valorizzare la "pars construens" della ricerca, piuttosto che la
"pars destruens". Fra i temi affrontati: l’amore, il dono, la
relazione, la bellezza, la cura, il tempo, la nostalgia, l’equilibrio, la
gioia, la virtù, la preghiera.
Le ricadute del recente show di Roger
Waters a Berlino non accennano a diminuire
Il Dipartimento di Stato degli Stati
Uniti si è unito alla lunga lista di coloro che criticano Roger Waters per
l'uniforme in stile nazista che indossa regolarmente sul palco dall'uscita di The
Wall nel 1980 e il presunto uso di tropi antisemiti nel suo spettacolo.
La condanna del Dipartimento di Stato
dell'ex uomo dei Pink Floyd è arrivata in una risposta scritta a una domanda
posta in una conferenza stampa del Dipartimento di Stato all'inizio di questa
settimana, quando un giornalista ha chiesto se l'amministrazione fosse
d'accordo con le critiche a Rogers di Deborah Lipstadt, l'inviato speciale
degli Stati Uniti per il monitoraggio e la lotta all'antisemitismo.
Lipstadt aveva citato su Twitter un
post - che denunciava Waters - dell'inviata dell'UE Katharina von Schnurbein
dopo i due spettacoli a Berlino del mese scorso. Von Schnurbein scrisse in
quell’occasione: "Sono stufa e disgustata dall'ossessione di Roger
Waters di sminuire e banalizzare la Shoah e dal modo sarcastico in cui si
diletta a calpestare le vittime, sistematicamente assassinate dai nazisti. In
Germania. Quando è troppo è troppo".
In risposta, Lipstadt ha twittato di
essere d'accordo con la "condanna di von Schnurbein di Roger Waters e
della sua spregevole distorsione dell'Olocausto".
Ora il Dipartimento di Stato ha
appoggiato il post di Lipstadt, dicendo: "Il concerto in questione, che
ha avuto luogo a Berlino, conteneva immagini profondamente offensive per il
popolo ebraico e minimizzava l'Olocausto. L'artista in questione ha una lunga
esperienza nell'uso di tropi antisemiti per denigrare gli ebrei".
All'indomani delle critiche iniziali,
Waters ha rilasciato una dichiarazione, che diceva: "La mia recente
esibizione a Berlino ha attirato attacchi in malafede da parte di coloro che
vogliono diffamarmi e mettermi a tacere perché non sono d'accordo con le mie
opinioni politiche e i miei principi morali.Gli elementi della mia
performance che sono stati messi in discussione sono chiaramente una
dichiarazione in opposizione al fascismo, all'ingiustizia e al bigottismo in
tutte le sue forme. I tentativi di ritrarre questi elementi come qualcos'altro
sono in malafede e politicamente motivati.
La rappresentazione di un demagogo
fascista squilibrato è stata una caratteristica dei miei spettacoli a partire da
“The Wall”nel 1980.
Ho passato tutta la mia vita a
parlare contro l'autoritarismo e l'oppressione ovunque io lo veda.
Indipendentemente dalle conseguenze degli attacchi contro di me, continuerò a
condannare l'ingiustizia e tutti coloro che la perpetrano.
E la querelle continua, anche se è possibile farsi un'opinione guardando l'intero set del 18 maggio scorso alla Mercedes Benz Arena di Berlino...
Gli Argent furono un gruppo rock inglese fondato nel 1968 dal tastierista Rod Argent, ex componente dei The
Zombies.
I primi tre demo degli
Argent furono registrati nel 1968 e si avvalsero del bassista Mac MacLeod,
il quale però non divenne mai componente della band.
La formazione
originaria vedeva come bassista Jim Rodford, Bob
Henrit alla batteria e Russ Ballard nel ruolo di chitarrista e tastierista. Alla
voce si alternavano Ballard e Rod Argent.
Nel 1974 Ballard
lasciò la band e fu sostituito da John Verity e dal chitarrista John
Grimaldi. Lo scioglimento del gruppo avvenne due anni dopo, nel 1976,
quando Rodford, Henrit e Verity fondarono la band Phoenix (la quale durò pochi
anni).
Il maggiore successo
degli Argent fu "Hold Your Head Up", contenuto nel disco All
Together Now. Raggiunse la posizione numero 5 negli Stati Uniti, vendendo
oltre un milione di copie e assicurando il disco d'oro alla band.
Il sound della band,
propriamente progressive, si avvaleva anche di influenze spiccatamente rock e pop.
Gli Argent proseguirono la strada tracciata dagli Zombies e dal suo tastierista Rod Argent,
protagonisti di un rilevante successo negli Stati Uniti tale da farli
considerare appieno appartenenti al fenomeno della British Invasion. Ma quando
gli Zombies si sciolsero, Rod Argent scelse la via di un gruppo con nuovi
elementi che gli dessero la possibilità di sterzare, lasciandosi alle spalle il profilo sino a quel momento delineato per inserirsi nella dimensione musicale
del rock progressivo, dilagante nell’Inghilterra di fine anni Sessanta. La
nuova tendenza si appoggiava anche sugli innovativi e complementari metodi
compositivi di Argent e del chitarrista Russ Ballard e sulla formazione
musicale del tastierista che si era cimentato in esperienze di musica classica,
jazz e rock, influenze che confluirono nelle sonorità progressive del gruppo e
che culminarono nell’album Nexus, ricco di passaggi di rock sinfonico;
ma nonostante la cifra musicale gli Argent non riuscirono mai a raggiungere la
popolarità di altre formazioni progressive coeve rimanendo in seconda fila.
L’abbandono di Ballard
portò il gruppo alla perdita delle miscele sonore originarie in favore di
improvvisazioni solistiche strumentali, e tuttavia il gruppo non mancò in
seguito di avere un buon successo commerciale. La formazione originale della band si è riunita nel 2010 all'High Voltage Festival di Victoria Park, il 25 luglio. Ha poi proseguito con una serie di date nel dicembre dello stesso anno.
Discografia:
Argent (Epic, 1970)
Ring of Hands (Epic, 1971)
All Together Now (Epic, 1972) UK numero 13
In Deep (Epic, 1973) UK numero 49
Nexus (Epic, 1974)
Encore: Live in Concert (Epic, 1974)
Circus (Epic, 1975)
Counterpoints (United Artists, 1975)
The Best of Argent - An Anthology [Compilation] (Epic,
1976)
Hold Your Head Up [Compilation] (1978)
Music from the Spheres [Compilation] (1991)
BBC Radio 1 In Concert [Live] (1995)
The Complete BBC Sessions [Live] (1997)
Greatest: The Singles Collection [Compilation] (2008)
Singoli:
"Sweet Mary" (1971) U.S. numero 102
"Hold Your Head Up" (1972) UK numero 5; US
numero 5
"Tragedy" (1972) U.S. numero 106, UK numero
34
"God Gave Rock and Roll to You" (1973) U.S.
numero 114, UK 18
Quando si inizia il commento ad un
libro così particolare - ogni tanto capita - nasce naturale un dubbio, quello
relativo al tipo di narrazione, ovvero la ricerca di un equilibrio tra l’elemento
oggettivo - quello che dovrebbe arrivare al lettore e quindi stimolarne la
curiosità - e il coinvolgimento personale, con tutti i collegamenti del caso.
E poi c’è l’elemento didattico,
perché un libro come “CHE MI DICI DI STEFANO
ROSSO? Fenomenologia di un cantautore rimosso”, se letto in
quella che io reputo la maniera corretta, induce alla ricerca, alla scoperta,
all’ascolto, e alla fine un book che si potrebbe tranquillamente terminare in
un paio di ore - intense - dura due felici settimane, giorni in cui la lettura si
abbina a ricerche sonore che si moltiplicano, e si rispolvera ciò che era
nascosto negli anfratti della memoria, arrivando a toccare punti sconosciuti
lasciati in disparte per dolo o mancanza di occasioni.
Il concetto di “rimozione” utilizzato
nel titolo e nell’introduzione dagli autori, si presta a definizioni importanti
in ambiti scientifici, ma nel gergo basico, probabilmente il più calzante
rispetto alla storia e alla visione del mondo del protagonista del libro, conduce
all’annullamento di qualcuno o qualcosa che possa causare impaccio, e quindi da
eliminare. E cosa c’entra tutto questo con il cantautore Stefano Rosso, quello “dello spinello”, mancato a
soli sessant’anni per un male incurabile?
L’aggiornamento di questo volume,
uscito originariamente nel 2011, è da attribuire a Mario Bonannoe Stefania Rosso(la figlia di Stefano), di cui riporto breve bio a
fine articolo.
I primi anni ’70, quelli in cui nasce
l’attività musicale di Rosso, sono stati caratterizzati dalla nascita e convivenza di
numerosi e significativi generi musicali, dall’Hard Rock al Progressive, dalla
Disco al… Cantautorato, un vero boom di stimoli variegati, se si fa il confronto
con l’attualità.
Il mio significato personale del temine
“cantautore” riporta alla figura di un musicista che compone e propone una sua
creazione, e in questa logica tali figure abbondano nel mondo attuale, ma il “cantautore
degli anni ‘70” era quello che inviava messaggi che venivano realmente recepiti da
chi ascoltava, sollecitazioni spesso politiche, certamente immerse nel sociale.
Spesso bastava una chitarra, una voce
caratterizzante - non necessariamente ineccepibile ed ortodossa - e argomenti
che sapevano toccare l’audience, magari costituita da poche anime, ma a volte numericamente
importante, a patto che ci fosse un festival di mezzo.
Ora il mondo è cambiato, tutto questo
non esiste più, anche se trovo una certa similitudine rispetto al passato, perché
l’uomo solo con la chitarra trova ancora oggi spazio nei piccoli club, nei pub sottodimensionati,
un po' come accaduto a Stefano Rosso, soprattutto agli inizi, quando con il
fratello Ugo provò a sconfiggere l’anonimato.
Una vita povera sin dagli inizi per
Red e famiglia, nessuna possibilità di istruzione superiore, lavori umili per
poter vivere, ma una forte passione, quella per la musica, un talento naturale
accompagnato da una notevole vena sarcastica e pungente, una capacità di
realizzare empatia col pubblico, una grande abilità chitarristica - ovviamente creata
da autodidatta - che lo porterà a diventare un maestro del fingerpicking. E poi
quella “R moscia”… che distinzione!
Leggendo la lista dei suoi lavori
discografici, che sono tantissimi, mi sono quasi sentito in colpa, reo di
essermi perso tanta arte - di cui però, grazie al book, mi sto appropriando -,
di averlo accantonato in fretta come “uno dei tanti”, senza aver mai approfondito a
sufficienza.
In fondo penso sia questo lo scopo
del libro, accendere una luce laddove ha regnato a lungo il buio, energia che,
grazie anche alla tecnologia, può alimentare oggi ogni tipo di ricerca, colmando
vuoti rimasti tali essenzialmente per superficialità e, in molti casi, per
pregiudizio.
La vita di “Red” è stata davvero
complicata, e la scrittura sincera - e liberatoria - della figlia Stefania
disegna un mondo dove il termine “serenità famigliare” trova minuscoli e sporadici
spazi, tra drammi - reali - e delusioni, situazioni da lei descritte con grande
schiettezza.
Mario Bonanno appare come il regista
del progetto, e coinvolge personaggi che hanno avuto un legame personale e
professionale con il cantautore romano, e da ogni intervista emerge il buono -
personale e artistico -, e trova spiegazione ogni storia che ha sempre accompagnato
la figura di Stefano, dipinto spesso come “ostico” da discografici e addetti ai
lavori.
Ma è Stefania che ci permette di entrare
nei dettagli di un mondo complicato, e ci aiuta a ricordare che diventiamo ciò
che l’ambiente in cui viviamo ci spinge ad essere, anche se esiste un’essenza -
in questo caso positiva - che emerge sempre, anche se non tutti sono disposti a
guardare nel profondo, né a modificare un giudizio iniziale o una leggenda
consolidata.
Mi sono commosso leggendo le parole
di Stefania, provando ad immedesimarmi, perché la sua totale apertura le deve
essere costata tantissimo, ma il suo scritto ha la capacità di fornire una
posizione nuova, di regalare le giuste coordinate a chi volesse sintonizzarsi
sul mondo di Stefano Rosso, quello conosciuto da tutti per “Una storia disonesta” e “Allora senti cosa fò”, due atti singoli rispetto ad una attività
sterminata che è patrimonio di tutti.
La chiusura del suo pensiero…
Ecco come sono andate le cose, e con
questo credo di aver detto tutto quello che c’era da dire, perlomeno le cose
importanti. Adesso potete costruirvi un’idea più vicina alla realtà su chi è
stato davvero Stefano Rosso.
La parte finale del libro propone “L’osteria
del Padreterno”, una Commedia Musicale Romanesca con testi (e musiche) di
Stefano Rosso e le illustrazioni di Antonella Orsaja, il paradigma del pensiero
e della vita di Stefano Rosso, che conclude…
Ma in fonno in dé sta vita fio mio,
semo tutti cattivi e tutti bboni.
Poi quanno sò finiti canti e soni, aritornamo
tutti ‘braccio a Dio.
Nulla da aggiungere!
Un mio personale ringraziamento agli
autori, capaci di trovare l’equilibrio tra storia e sentimenti di un uomo - un
fine cantore della vita - su cui è obbligatorio tenere i fari accesi e non
dimenticare, non rimuovere, non sottovalutare, utilizzando onestà intellettuale
e, magari, rivedendo la sua opera con occhi nuovi, quelli che spesso la
maturità ci regala.
Io ho accompagnato la lettura all’ascolto,
come già sottolineato, e credo sia questo un connubio davvero soddisfacente,
che consiglio!
Uno dei suoi brani "simbolo"...
Con i contributi di “Massimo Di
Ciccio, Lino Fabrizi, Andrea Tarquini, Andrea Carpi, Antonino Campisi,
Francesco Giannattasio, Marcello Barillà, Diego Protani, Ernesto Bassignano,
Edoardo De Angelis, Claudio Lolli, Mimmo Locasciulli.
Gli autori
Mario Bonanno - È autore di articoli e saggi sulla
canzone d’autore. Fra i suoi ultimi libri: Rosso è il colore dell’amore.
Intorno alle canzoni di Pierangelo Bertoli; Io se fossi Dio. L’apocalisse
secondo Gaber; La musica è finita. Quello che resta della canzone d’autore
italiana; È vero che il giorno sapeva di sporco. Riascoltando Disoccupate le
strade dai sogni di Claudio Lolli; Ho sognato di vivere. Variazioni sul tema
del tempo in Roberto Vecchioni. Per Edizioni Paginauno ha pubblicato: 33 Giri,
Guida ai cantautori italiani, Gli anni Settanta; 33 Giri, Gli anni Ottanta,
Guida ai cantautori italiani; Il nemico non è. I cantautori, la guerra e il
conflitto sociale.
Stefania Rosso: figlia di Stefano rosso ha
contribuito a questo libro con due saggi.