Conosco da molto tempo
Valerio Billeri, seppur virtualmente, ma
ho commentato alcuni dei suoi progetti e apprezzo la sua capacità di variare -
e quindi di stupire -, alla ricerca di nuovi stimoli… alla ricerca di sé
stesso, azione a mio giudizio facilitata dallo status di artista, e dalla
conseguente capacità di introspezione.
Chi avesse iniziato a
seguire Billeri da poco tempo, troverà un apparente gap tra il progetto del
2019 - “Er tempo bbono” - e la nuova uscita, “La trasfigurazione di Delta Blind Billy”, ma
in realtà è solo l’involucro che cambia, perchè risulta palpabile in entrambi i
casi la ricerca delle radici, della propria storia, dei propri convincimenti.
In uno dei tanti
passaggi interessanti dell’intervista a seguire Valerio evidenzia come la “sua
America”, mai toccata personalmente, sia forzatamente romantica e non
autentica, e di come il racconto della condizione dei neri americani degli anni
’30 abbia preso spunto da ciò che invece è stato vissuto in prima persona nel
nostro paese, e quindi l’aggancio alla drammatica attualità italiana, in alcune
parti della nostra penisola, diventa automatico.
Il focus del nuovo
lavoro risulterà sorprendente e spingerà alla ricerca di notizie -
probabilmente infruttuosa - su Delta Blind Billy, un fantasma, un uomo
di blues attorno al quale sono nate numerose leggende che non trovano conferme
certe. Pare abbia scritto soltanto tre canzoni, che risultano negli archivi
della “Library of Congress”, ma per il resto è buio, e il suo personaggio è
circondato da un’aura oscura: malvivente, cieco e chitarrista!
Da qui parte una
ricerca che non poteva essere esclusivamente musicale, per cui Billeri chiede
aiuto al “nobile” Vittorio Giacopini,
scrittore, disegnatore, giornalista e conduttore radio RAI, e con lui realizza
“…un libro visivo con il disco dentro”.
La storia e le
illustrazioni di Giacopini, volendo, si reggono da sole ma, diventando parte di
un lavoro concettuale ad ampio respiro, contribuiscono a realizzare un contesto
che, mi auguro, troverà spazio in qualche rappresentazione live futura, sarebbe
un peccato il contrario.
La forza delle
immagini, unite alla parola, dovrebbe colpire all’impatto, e in questo caso
realizzare una dicotomia tra messaggi e parti sonore diventa improbabile e inutile,
ma volendo scegliere un simbolo, un punto attorno al quale fare girare anime e
storie, utilizzerei l’“acqua”, quella del Mississippi o di ogni altro fiume dei
nostri luoghi, elemento che presenta una idealizzata capacità purificatrice, liquido
che può contenere forti impurità e dentro al quale si può perdere la vita:
sentimenti, situazioni e simboli divergenti.
Intorno ad acque
torbide, sulle rive di un fiume spesso difficile da vivere, Billeri e Giacopini
fanno camminare Delta Blind Billy, anzi, attraverso la loro opera realizzano la
sua trasfigurazione nel fiume stesso…
“Come uno sparo la
notte è arrivata signore, ero perduto a vagare sulla riva del fiume, lontane
voci portate a spasso dal vento e nessuno canta il blues come billy il cieco a
questo mondo; le donne fanno l'amore tra le acque fangose, il plotone è
accampato tra la nebbia e i fasci di luce. Non dovreste essere qua soldati
siete morti da tempo ma nessuno sa più come gira ormai questo vecchio mondo,
lasciati andare ragazzo nella corrente,
lascia che il sole
risorga e ti scaldi la fronte, ho un vago ricordo di terra e ossa tra il sale e
nessuno canta il blues dove non si può cantare, lasciati andare... lasciati
andare... lasciati andare…”
La parte musicale,
prevede undici episodi, e anche in questo caso c’è spazio per una certa varietà
di proposta.
Dopo la dolce e
misurata intro di “La trasfigurazione di John Fahey” si entra subito nel
vivo con “Pesce gatto”, un deciso brano di rock accattivante che prepara
la conoscenza con DBB: “Dio mi ha dato il
buio, insieme a buone gambe, un cane una chitarra e una pistola… donna di città
mi fai morire, sono un pescegatto, nero come il fiume, mentre nuoto tra le tue
lenzuola…”.
Con “Primo treno”
arriva il primo giro di blues, a cui Billeri aggiunge una ritmica spinta, e la
natura del “malvivente” si dipana tra le fotografie di un mondo fatto di
espedienti:
“… presto oggi vado
alla stazione, prenderò il primo treno, lontana destinazione… ho nascosto dei
soldi in una buca in riva al fiume, passerò il confine insieme al mio vecchio
cane…”
“L'uccisione di
Arthur McBride” è una ballad di stampo folk, tra Donovan e Dylan, e
permette la prosecuzione di un viaggio lastricato di insidie.
“Juke Joint” trasporta
fisicamente oltreoceano, e oltre alle basi del blues mette in gioco le skills
delle Ombrelettriche: non solo slide guitar, ma potenza rock al servizio di un mondo
fumoso, fatto di saloon, donne e alcol a gogò.
Classico blues quello
che contraddistingue “Sugaree”, storia d’amore e peripezie da film
western, brano gradevole e di facile presa.
Altra ballad è “Vado
giù”, atmosfera da “campi di cotone” anni ’30, un pezzo minimalista - voce e
chitarra - che rappresenta il momento della riflessione: “… vado giù verso
il fiume, rotolando come un tronco, i miei amici, i miei occhi, dove sono
andati tutti”.
“Scava nel fango”
è un episodio di presa immediata, caratterizzato a tratti da un duetto tra voce
e chitarra solista; riemerge l'immagine della melma del fiume, un fango che intrappola e
trascina verso il fondo segreti che, con un po' di sforzo, possono riemergere,
basta scavare con forza e volontà.
“Occhio buio” è
l’autoritratto del “bandito, la sua storia, il suo percorso e il prodotto di
azioni discutibili. Brano gradevole e molto vicino alla forma canzone in ambito
rock.
“Alcofrisbias” è
una proposta molto classica e intimistica, un gioco tra vocalità e pianoforte,
un testo criptico e sonorità tendenti al jazz.
A seguire la title track, “La
trasfigurazione di blind delta billy”, altra picture soffusa: attraverso il
dialogo voce/piano/chitarra ci si avvicina all’epilogo: “… lasciati andare
ragazzo nella corrente, lascia che il sole risorga e ti scaldi la fronte, ho un
vago ricordo di terra e ossa, e nessuno canta il blues dove non si può cantare,
lasciati andare...”.
“E se fosse il diluvio”,
rappresenta l’epilogo del viaggio, e lascia il dubbio, la curiosità: “… e se
fosse il diluvio a lavare ogni cosa, e se fosse il fiume l’unica strada, stare
giù tra i pesci mentre l’acqua sale e travolge ogni cosa, i ponti e le case…”.
Il blues è sinonimo di sofferenza, è
il grido di dolore trasformato in musica, il mezzo che, ancor oggi, viene
spesso utilizzato per denunciare il disagio.
La storia oscura di Delta Blind Billy
è la perfetta rappresentazione di un mondo antico che diventa la proiezione di
situazioni contemporanee, e quasi stupisce che il passare del tempo influisca
davvero poco sul risultato delle azioni umane.
Forse DBB non sarà mai esistito… o
forse non era cieco… magari non era un fuorilegge ma, probabilmente, è stato un
grande chitarrista, ed è probabile che da domani qualcuno si metterà alla
ricerca del “chitarristaciecofuorilegge”.
Progetto di alto livello quello di
Valerio Billeri e Vittorio Giacopini, un mix di elementi artistici che producono,
tra l’altro, qualcosa di unico e dal sapore quasi didattico.
Superlativa la band che accompagna
Billeri, le Ombrelettriche.
Ho scambiato qualche parola con
Valerio…
Ti ho lasciato
neanche un anno fa con “Er tempo bbono”, album molto legato alla tua terra
nativa, e ora ritorni nuovamente in pista con Le Ombrelettriche, per raccontare
un mondo molto lontano - per tempo e spazio - a base di blues, tuo precipuo
amore: qual è il tuo vero volto, o meglio, in quale conformazione ti trovi più
a tuo agio?
Ho molte facce, per
natura sto molto bene da solo perché posso fare come voglio ed essere me stesso
in tutte le mie espressioni artistiche e non; ma per crescere non posso fare a
meno degli altri, sia come artista che come uomo, e le Ombrelettriche significano molto per me, sono musicisti
preparati tecnicamente e grandi amici che sanno come instradarmi; delle volte
sono un fiume in piena che agisce per istinto, e loro sono la mia diga, detto
questo mi considero un cantautore folk/blues che a volte viene colpito da
scariche improvvise di elettricità espressiva.
Esiste qualcosa che
lega i due progetti?
La linea temporale
dei personaggi: il Belli muore negli anni ‘60 dell'Ottocento, questo disco si
muove in un territorio che va dagli anni ‘30 agli anni ‘40 del 900, e ogni
tanto appaiono fantasmi della guerra civile americana che fanno da ponte tra le
due ere.
Sono un
appassionato di storia e di letteratura, credo sia un’ossessione!
Proponi questa volta un concept album su un artista
fuorilegge, Delta Blind Billy, attorno al quale è nata la leggenda: come sei
arrivato a lui e come si sviluppa la storia?
Sì, è vero, ci sono pochissime registrazioni (https://youtu.be/pgO1GdABeIA), non si trova quasi nulla, e avevo
voglia di fare un disco che sembrasse un film, con un personaggio
semisconosciuto, raccontare la sua parte mancante, così ho cercato in ogni cosa
che trattasse il blues: dai libri ai documentari, dai siti delle università
americane alle registrazioni di Lomax, sino alla Biblioteca del Congresso, e ho
trovato un Delta Blind Billy cieco e fuorilegge. Qualcuno addirittura dice che
dice sia l'autore di "Man on Constant Sorrow" (canzone
tradizionale folk americana), altri lo nominano di sfuggita… non si conosce la
data di morte, anzi, esiste una tomba di un Blind Billy, anche lui musicista,
ma è di cento anni prima; cieco, come racconta qualcuno? Fuorilegge, come canta
anche lui in una sua canzone "…arrivo prendo ciò che mi serve e vado
via…"? Insomma, un rebus, e ho avuto bisogno di un amico, come avrai
capito - il direttore della scena e della fotografia - per completare il tutto.
Del progetto fa parte una magnifica illustrazione a fumetti e
racconto annesso: chi l’ha curato, e come è nata l’idea dell’abbinamento?
Il fuoriclasse,
scrittore, disegnatore, giornalista e conduttore radio RAI Vittorio Giacopini;
ha scritto diversi libri molto belli, tra cui " la Mappa" e
"Roma".
In realtà il lavoro
lo abbiamo intavolato assieme, scambiandoci le idee; io scrivevo una canzone e
lui mi mandava parte del racconto e i disegni, e così ci siamo ispirati a
vicenda.
Io direi che è un
libro visivo con il mio disco dentro.
La forza di
Vittorio sta nella sua eleganza e semplicità, un grande artista e un brav'uomo.
Mi spieghi la motivazione del titolo?
Tempo fa Bob Dylan, nel corso di un’intervista, disse di
essersi trasfigurato il giorno dell’incidente in moto. John Fahey pubblicò un
disco, "Transfiguration of Blind
Joe Death"; ora tu sai meglio di me che nel blues c'è molta spiritualità
mischiata alla carnalità, come musica è la quintessenza dell'animo umano, e
dovevo dare una fine al disco… farlo morire o vivere mi sembrava banale, quindi
l'ho trasfigurato nel fiume stesso, l'acqua è l'elemento che purifica per
eccellenza, ma l'acqua del Delta sappiamo tutti che è fangosa, o almeno così la
immagino.
Il messaggio che
viaggia tra un brano e l’altro è qualcosa che trova spunti nell’attualità?
Mettiamola così, io
per condizioni economiche non sono potuto mai andare America, ma ho viaggiato
molto in Europa, persino in Palestina e Israele, ma sempre per lavoro; la
visione che ho dell'America, idealizzata nella mia testa, è fasulla, inventata,
un po’ come faceva Salgari, una visione romantica, dunque per forza di cose il
mio spunto principale per raccontare la situazione dei neri americani degli
anni ‘30 era ciò che ho visto qua, stando molto attento ad usare termini,
posti, luoghi e parole che trasportassero la scena nel Delta, comprese le
pratiche magiche del Hoodoo. Ma se ascolti "Scava giù nel fango", o
"Occhio buio", puoi spostarti tranquillamente nel tempo in alcuni dei
nostri campi di raccolta agricola del Sud Italia.
Abbiamo anche noi il nostro “Delta del Mississippi”?
Io penso che
l'intero bacino del Mediterraneo sia un immenso delta, con tradizioni musicali
e storie che andrebbero riscoperte al più presto. I colori e i suoni non hanno
nulla da invidiare al suono del delta, anzi lo precedono e gli sono antenati.
Credo che il mio
prossimo lavoro cercherà di contaminare le due cose in maniera silenziosa.
Il disco viaggia tra il blues, il folk e le ballad, con pillole
di deciso rock (“Pescegatto”), decisamente adatto a performance live ad ampio
respiro: cosa hai progettato, coronavirus permettendo?
Le Ombrelettriche sono un gruppo che sa spaziare in più
generi musicali mantenendo un suono riconoscibile, credo che stavolta suoneremo
in maniera ancora più libera e matura; abbiamo molte maschere da indossare,
tantissimi brani nostri e di altri musicisti più bravi dai quali poter
attingere.