"Cool
is Watching You" è il nuovo EP di M'Z's, una critica sociale legata a quanto
definito “cool”, sia nella vita che nella musica.
Leggendo il pensiero diMathieu Torres, titolare del progetto, si assorbe un bisogno preminente, quello di urlare un forte disagio affrontando temi
sociali e condividendo il bisogno di riflessione.
Stiamo parlando di un progetto
strumentale dove non appaiono liriche e questo potrebbe apparire un ossimoro: come
fornire messaggi con la sola musica? Il pregio intrinseco dell’album risiede proprio
nel tentativo di tradurre idee, pensieri e immagini in trame sonore, spingendo l’ascoltatore
ad entrare in piena sintonia con l'autore, che nel corso della sua creazione riesce a stimolare i sentimenti giocando sull'emotività
che deriva dall’immedesimazione.
Il francese Mathieu Torres prova quindi
ad adottare una posizione musicale «cool», cercando di mettere in prospettiva i
limiti di questo atteggiamento che spesso ci si impone, più o meno
volontariamente, e che i social media promuovono largamente, una “postura” che
sembra nuocere più che servire.
Dice l’autore: "Cool is
Watching You" è anche un punto d'incontro musicale tra Orwell e Huxley che
spera di curare il cool attraverso il cool.”
Sono sette i brani che compongono il
disco, sette capitoli che stimolano l’immaginazione e spingono a sognare.
Musicalmente parlando è difficile
incasellare "Cool is Watching You", contenitore dove convivono
elettronica, sperimentazione e virtuosismo strumentale.
L’esempio a seguire potrà dare buone
indicazioni.
Dice ancora Torres: “Ringrazio le varie
famiglie che mi circondano, particelle che contribuiscono a creare il tutto: Fari
quando sono al buio, che mi guidano anche nel silenzio. Brio quando sono nelle avversità e
che mi aiutano ad affrontare il mondo. Uno sguardo caloroso quando il mio lato
critico attacca il "Me" e lo blocca sul posto. Un polo più attraente
dell'abisso. Uno spazio dove anche le nostre follie sono amiche, giocano, si
esprimono e non si giudicano eccessivamente.”
Una musica che, nelle intenzioni di
M'Z's, si rivolge allo spirito, pur nutrendosi di elementi che profumano di
energia terrena, ma questa è l’alchimia che, nella mente dell’autore, si
realizza nel corso dell’ascolto… provarci è un obbligo!
La distribuzione è affidata a
Anesthetize Productions e Guillaume Beringer, impegnati nel portare alla luce
l’underground francese.
“21 GRAMMI DI SOLITUDINE”
è un libro di poesie proposto da Gianni Venturi,
di mestiere e per diletto “artista”. Che è qualcosa di più… qualcosa di diverso
dal concetto di specialista in un singolo “ramo”.
Ho conosciuto Venturi in ambito musicale, e con lui mi sono
sempre relazionato in quel settore, ma catalogare i suoi talenti sarebbe come
ingabbiarlo, porgli dei paletti rigidi e solide catene. Situazione inadeguata
al personaggio.
Le sue note bibliografiche riconducono ad una famiglia
bolognese in cui nacque al tramonto degli anni Cinquanta, padre fisarmonicista,
madre di origine gitana, entrambi ballerini di tango. La poesia lo colpisce da
giovincello e non lo abbandonerà più, tra pubblicazioni personali, performance
e organizzazioni di eventi.
Arriva anche la musica, che permette di sperimentare, di
unire suoni a liriche, di completare un percorso e soddisfare necessità
primarie.
Il libro “21 grammi…” rilasciato ad agosto rappresenta
il penultimo atto (dell’ultimo parlerò a breve) di un percorso molto lungo e
vario, costituito da produzioni poetiche e musicali.
Ma sono certo che qualcosa di altrettanto interessante
nascerebbe se Venturi si trovasse al cospetto di una tela vuota o con materiale
plasmabile tra le dita.
Arrivo all’oggetto del commento, con una premessa: l’ermeticità,
il celarsi dietro alle parole, il modus criptico sono parte dell’espressione
poetica - musicata o meno - e il mero lettore, accanto alla prova di decodificazione
mette in atto quasi sempre un processo di immedesimazione/comparazione,
trovando similitudini e congruenze, oppure valutazioni opposte; ma se l’acquisizione
delle parole lette sarà attiva, nascerà una sorta di interattività che renderà
la creazione una multiproprietà, e a quel punto il significato voluto dall’autore
potrà cambiare ad ogni passaggio di mano.
“un sentimento semplice dire per
sempre
e credere veramente
che sei consapevole che per sempre è
il tempo
di un respiro tra bacio e bacio
questa è la sera delle lucciole che
danzano
sul filo dei ricordi piccole schegge
di luce
quello che eravamo bimbi sognanti
che saltavano i fossi cosparsi di
viole
l’amore non è mai fuori tempo un
bacio non
[invecchia
le labbra eternamente morbide
Succhiano amore ad ogni età
mi guardo allo specchio sognante so
chi sono
l’uomo che vive al ritmo del cuore
seppure anni scavano la pelle
implacabili e definitivi
gli atomi che compongono questo corpo
sono eterni
è tempo di condividere l’assenza
tempo di estrema partenza
c’è un ponte di nebbia che separa le
strade
poco battute che conducono ovunque
partecipare condividere aggregare
mi sento la pietra lapidaria
non angolare nel muto dialogare
fuori tempo l’estremo abbandono.”
Queste strofe sono quelle che
concludono la prima parte del book, diviso in due sezioni, intitolata “La
memoria delle valli”.
L’ho presentata esattamente come ha
fatto Venturi, con la sua concezione di anarchia grammaticale, senza la minima
punteggiatura, una sola lettera maiuscola usata per iniziare i due capitoli, un
corsivo personalizzato, parantesi (quadre) che non trovano fermatura e un utilizzo,
a tratti, di una forma dialettale che necessita decodificazione.
Ma non sono casuali i pensieri che ho
scelto: l’epilogo di un bilancio di vita caratterizzato da un percorso che vede
sullo sfondo la pianura padana, la serenità legata alla semplicità, la terra,
le feste di paese, i canti e i balli, l’alternarsi felice - e rapido - delle
stagioni, il lavoro continuo nelle mani e nella testa, il sole accecante
contrapposto alla rigidità invernale e alla presenza di una nebbia che offusca
le idee e al contempo protegge come solo un isolante sa fare.
E quando ci si trova davanti ad uno
specchio incapace di mentire, mentre il giorno della partenza diventa un punto
sempre più vicino, il ristoro giace nei ricordi e nella consapevolezza che la
semina realizzata durante il percorso è avvenuta avendo coscienza del metodo e
del merito.
Non c’è creazione per lo meno
Non c’è felice creazione
La creazione è dolore che esplode
La fine gesto creativo
La seconda sezione è un poema unico e
regala il titolo al volume.
“vecchi curvi avanzano dimenticati
come roccia che si sgretola
il tempo che scorre e racconta il
silenzio
sono nel traffico impetuoso
questa distonia dimentica il passato
spaventa il bimbo in corpo di vecchio
la parola è vuota
un groviglio disarticolato
di bollette insolute e conti da
pagare
c’è vento dalle colline”
Il bilancio entra nel vivo e sgorga
un marcato pessimismo, o almeno così si percepisce.
Disagio e consapevolezza di uscire
sconfitti dalla contesa nata su di un sentiero che qualcuno ingannevolmente ha
descritto inizialmente come passeggiata colorata di rosa e che, a questo punto
del percorso ha assunto tinte fosche. L’ambientazione diventa distopica e l’umore
un potente freno che inibisce la reazione. Solo la parola e la musica
alleggeriranno un peso talmente grande da dover inventare una nuova unità di misura.
“La linea orizzontale ci spinge
verso la materia, quella verticale verso lo spirito” è unacitazione
presa in prestito da Battiato che mi porta a sottolineare come alla fine di ogni dura revisione
personale ci sia una forte e intima speranza, quella che induce tutti -
credenti, laici e agnostici - a immaginare che esista una logica, uno scopo,
una motivazione che possa rendere utile il nostro combattere quotidiano e che
alla fine quei 21 grammi di anima, una volta lontani da un corpo divenuto inadeguato,
trovino una giusta dimensione, difficile da immaginare, ma questo è parte del
mistero della vita.
Un plauso a Gianni Venturi che,
mimetizzato nella sua assoluta libertà di espressione riesce a mettersi
completamente a nudo, contagiando il lettore e spingendolo ad un minimo di autoanalisi
che facilmente sfocia in attimi di amarezza e grigiore di pensiero, o più
semplicemente fornisce uno specchio e gli occhi per guardarlo senza filtri.
È appena stato rilasciato “COSMO”, di Valerio
Billeri, cantautore romano di cui ho più volte scritto, artista
poliedrico e prolifico che ama esprimersi in ampio spettro musicale, tra folk e
blues, tra forma elettrica e acustica, in team o in posizione solitaria.
L’album è la conseguenza diretta
della riflessione generata dal periodo di isolamento legato all’emergenza
sanitaria e anche se appare incauto stabilirne oggi la sua valenza assoluta
rispetto ai lavori pregressi, credo che il progetto rimarrà il simbolo di un periodo
unico e irripetibile, drammatico e quindi stimolatore di sensazioni e mood che l’autore
rovescia nella propria arte e condivide col pubblico.
E ancora una volta la musica
diventerà una unità di misura…
“La vita è tempo, quindi la musica è
l’arte di misurare il tempo”
Agostino d’Ippona
Racconta Billeri: “Cosmo è un progetto nato
durante le lunghe giornate di coprifuoco, quando avevo bisogno di dare voce al
tempo sospeso che avevo (avevamo) vissuto. Sia nei testi che negli arrangiamenti
ho cercato di ricreare il suono del silenzio pochi suoni e poche parole, accordi
semplici, a volte con l'uso di accordature aperte.
Ho avuto la fortuna di avere come
compagni nella registrazione musicisti preparati, sia dal punto di vista
musicale che spirituale, consapevoli del suono semplice e folk da me ricercato
per questo EP:
Fabio Mancini, cantautore e
violinista spettacolare a cui ho lasciato campo libero e che a mio parere ha
fatto salire i brani ad un livello superiore a quello della loro scrittura; Gian
Luca Figus che, malgrado il nostro periodo di allontanamento, ha saputo cogliere
con le sue trame le atmosfere rarefatte e sognanti delle due canzoni che gli ho
chiesto di arricchire con pochi suoni”.
Tutti i brani sono stati scritti da Valerio
Billeri che, come da lui sottolineato, si è affidato agli interventi di Fabio
Mancini al violino e Gian Luca Figus alle tastiere.
L’EP si può inserire nella “casella”
del folk puro, uno dei tanti “terreni” fertili in cui Billeri è solito
seminare.
Si parte dalla title track che
propone il primo intervento violinistico e l’atmosfera che prende corpo ha qualcosa
di marcatamente “irlandese”.
Amore e ambientazioni che assumono
vigore attraverso efficaci immagini sonore: “Dammi un solo momento per
poterti parlare, sono vecchio da tempo, è mille anni che brucia il mio cuore, sono
qui per le fiamme, per bruciare il tuo cosmo, con un anello d'oro… dolcezza…”.
A seguire “Curzio”, una
ballad chitarra/voce/tastiera dalla costruzione minimalista e dall’incedere
cupo, capace di realizzare una picture un po' distopica: “Ora è buio pesto, la
città dorme, la tua guerra è persa tra le fiamme. Sei il re del bosco legato al
suo ramo, nel regno del nulla, ne sei il guardiano…”.
“Foglie di juta” è traccia
nuovamente caratterizzata dal violino di Mancini, che riesce a trasformare le
parole di Billeri in sensazioni concrete, una sorta di immedesimazione musicale
che cala l’ascoltatore all’interno della canzone: “Fuori c'è vento, fuori
piove, guardando oltre dalle stanze vuote; lei è lontana, persa nel sole, persa
signore… tutto è lontano, tutto è uno, tutto ritorna…”.
“Nostos” ha un profumo esoterico
e il tema del viaggio - trattato in tempi di assoluto immobilismo - si spinge
oltre i leciti confini, un trasporto che solo l’arte - e l’artista - riesce a
rendere vivo e coinvolgente: “Guarda dove s'alza il sole, tra le ossa e le
scogliere, guarda bene dentro l'alba, i tuoi passi sulla sabbia, e nessuno
capirà chi sei stato tempo fa, nessuno lo saprà; spinge il vento le tue vele
tra le onde e le sirene, verso casa fai ritorno alla fine di ogni giorno, verso
casa fai ritorno…”.
“Caos” ci consegna un
profilo sonoro molto “americano”, un ritmo tipico delle antiche storie di Neil
Young, con una nuova descrizione a tinte scure, una visione dall’alto, con
distacco, a tratti dolorosa: “Il caos regna nei tuoi sogni, le tue pupille sono
in fiamme mentre sorvoli la tua casa; polvere ovunque, su ogni cosa, niente
rimane in ogni caso…”.
Chiude il disco “Novembre”.
Inusuale affidare un’immagine positiva al meso grigio per eccellenza: “Fuori
è mattino, dobbiamo andare… novembre è alla porte, il sole è un disco di rame;
se il serpente è morto il veleno non nuoce, se il serpente è morto il mare è
così scuro, ma la nave andrà in porto…”.
Valerio Billeri regala al pubblico il suo dono natalizio, un
disco profondamente intimo, frutto di un’elaborazione enorme che lui riesce ad
intrappolare in un contenitore volutamente semplice, pochi suoni e parole - come
lui dice -, la ricerca del silenzio come necessità contingente, il bisogno di
raccogliere le idee e ripartire, non dimenticando mai quale sia la nostra reale
posizione in questo universo, caratterizzato dall’armonia dei suoi elementi e
dall’apparente ordine che convive fatalmente con il caos, con l’aumento dell’entropia
che prima o poi arriverà alla sua ultima misura.
E nei periodi neri, personali o collettivi, arriveranno a
getto più o meno continuo momenti in cui la fitta nebbia offuscherà la visuale,
e il disagio potrà avere tempi lunghi e insopportabili… saranno quelli i frammenti
di vita in cui occorrerà solo sedersi e aspettare, perché la nebbia, così come
è arrivata, prima o poi se ne andrà!
Un lavoro toccante, perfettamente dento al nostro tempo e,
come sempre, un grande Valerio Billeri.
Sottolinea l’autore: “L'EP sarà scaricabile gratuitamente,
ho sempre pensato che il dolore e la speranza non abbiano prezzo”.
Scrivere di "Viola Nocenzi", album di esordio di Viola Nocenzi, mi obbliga ad un rigore
supplementare, perché sono legato a lei da lunga e consolidata amicizia…
virtuale, un concetto apparentemente eccessivo, ma nel pieno spirito del
progetto che Viola ci propone. Urge in ogni caso il massimo dell’obiettività.
Sottolineare il termine “esordio”
potrebbe trarre in inganno: non siamo al cospetto di un’artista che spunta
fuori dal nulla, ma Viola ha una solida formazione musicale, studi approfonditi
specifici, esperienze importanti, tanta gavetta e, naturalmente, un DNA che
gioca a suo favore.
C’è poi da descrivere il “Suo”
strumento, una voce incredibile che può sfruttare un’estensione vocale non
comune (quattro ottave), una dote naturale che lei ha nutrito con l’applicazione
e che la rende performante sia nel registro basso che in quello alto, con
l’impressione, a tratti, di ascoltare di una vocalità operistica.
L’album “Viola Nocenzi” nasce al pianoforte, ed è
figlio della stretta collaborazione tra l’autrice - che firma tutte le musiche,
oltre al testo della conclusiva “Bellezza” - e lo scrittore siciliano Alessio
Pracanica.
Della cinquantina di brani
disponibili, alcuni dei quali creati anni fa, emergono sette perle, un numero
magico per Viola, che propone in ogni episodio una parte di sé, e la
sintesi del pugno di canzoni fa esplodere la concettualità che si cela -
neanche troppo - dietro al progetto.
Il file rouge che annoda i sette
pensieri di Viola si manifesta nella celebrazione dell’amore e della bellezza,
con il focus puntato su aspetti interiori e metafisici, e quindi su tutto ciò
che ruota attorno ad elementi relazionali, non solo all’interno di una coppia.
Ma per raggiungere obiettivi leciti e
ambiziosi - la comprensione, il perdono, la comunione di intenti, un credo che
sia coltivato nel quotidiano - occorre possedere delle virtù, cosa non certo scontata,
e il racconto dell’artista fa emergere, passo dopo passo, le sue qualità
personali, diventando al contempo monito e suggerimento, una via di uscita in
tempi bui.
Ma mi piace sottolineare come gli
aspetti estetici abbiano una loro valenza - spesso si ha timore nel metterli in
primo piano -, perché l’osservazione della magnificenza della natura, di un
quadro di uno sconosciuto o di un volto umano, possono fornire una scossa, o
più semplicemente dare gioia e serenità, esattamente come riesce a fare una
canzone… quella giusta per ognuno di noi.
Guardando dall’alto il lavoro nella
sua globalità si registra una certa atipicità.
Non troviamo né i caratteri della
musica progressiva - Viola si nutre da sempre di quel cibo musicale - né la
leggerezza pop che ci viene propinata oggigiorno dai media, ma la proposta è
fatta di sonorità estremamente moderne che legano episodi in cui spicca la
poesia e la capacità interpretativa. Inutile definire il genere di un album che
è il compendio di tante esperienze e skills, molto meglio assaporare ogni
singola perla, perché di questo si tratta.
Ovviamente la sezione “arrangiamenti”
può contare sull’eccellenza assoluta, ovvero la supervisione dello “Zio Gianni”
- che partecipa anche come strumentista (piano elettrico, pianoforte, sampler,
orchestrazione archi) e sulle competenze enormi di Lo Zoo di Berlino, i cui
elementi sono:Andrea
Pettinelli (rhodes, hammond, synth, theremin, mellotron), Diego Pettinelli
(basso elettrico, sampler, elettroniche, programming) e Massimiliano Bergo
(batteria, percussioni, drum machine), oltre a Roberto Masotti (percussioni);
Viola Nocenzi suona il pianoforte, ovvero lo strumento studiato una vita, con
cui crea ogni canzone.
Provo a fornire qualche immagine
seguendo il percorso, step by step:
Apre il sentiero “Viola”,
potenzialmente una hit, se fossimo in un paese normale.
“Viola” è - anche - un colore, ma ad
esso è immediatamente collegato un profumo; la stimolazione dei sensi non passa
solo attraverso le possibilità visive, e la capacità di eliminare le scorie
negative e guardare il mondo circostante con un po' di comprensione può aiutare
nel fornire “tinteggiatura” differente da quella imposta e a quel punto potremo
avere nuovi occhi che ci regaleranno la realtà. Un urlo preoccupato diventa un
monito: “… non vedi… il cielo è viola…”.
Musicalmente accattivante, tra
elettronica e maestosità sinfonica.
A seguire “Lettera da Marte”,
ovvero il brano uscito come anticipazione dell’album e che propongo a seguire.
Poesia scritta molto tempo prima da
Pracanica, arriva improvvisamente e telepaticamente sulle dite di Viola, in
piena libertà sul pianoforte mentre si lascia guidare dall’ispirazione, sicura
che le sue qualità canore impediranno ogni ostacolo di accoppiamento. Il fulcro del brano e l’aspetto
comunicativo, con immagini metaforiche molto convincenti.
La tecnologia non pone limiti e l’avvicinamento
tra mondi lontanissimi tra loro, un tempo impensabile, è divenuto realtà. Marte
non è poi irraggiungibile. Ma queste enormi possibilità esaltano un ossimoro,
quello che sottolinea il contrasto determinato dalla facilità di contatto tra
chi abita spazi lontani e le difficoltà relazionali rispetto a chi è a pochi
passi da noi, e le incomprensioni portano spesso ad un repentino stacco della
spina; ma le differenze tra simili, fatto di per sé oggettivo, non devono
obbligatoriamente condurre alla chiusura totale dei rapporti personali, e la
capacità di saper rispettare il prossimo sarà elemento premiante.
Risulta facile intravedere un
arrangiamento di gran lusso, con una voce modulante supportata da un tappeto
orchestrale che miscela analogico e digitale…
“Colui che ami” è il
terzo brano, citazione tratta dal Vangelo, utilizzata per affrontare il tema
del dolore e della sofferenza, presenti in abbondanza in questo mondo,
contrastabili con l’amore a la solidarietà.
Intimismo e atmosfera quasi aulica,
con uno stretto dialogo musicale tra pianoforte e voce.
E arriviamo a “Entanglement”,
termine molto tecnico nella sua concezione originale, quella che fa capo alla “correlazione
quantistica”, e il legame esiste, ma tra due persone - potenzialmente le stesse
che troviamo in “Lettera da Marte” -, due entità molto lontane tra loro
dal punto di vista spaziale, ma ugualmente vicine e, nonostante tutto,
dipendenti l’una dall’altra.
Incredibile prestazione vocale su di un tappeto sonoro elettronico.
“Itaca” può condurre
solo all’Odissea e quindi al tema del viaggio e permette all’autrice di mettere
a nudo aspetti differenti che convivono in lei, quello più spirituale accanto
ad uno più materiale, elementi con cui tutti dobbiamo fare i conti, seppur con
dosaggi differenti.
Traccia permeata da una certa
drammaticità, presenta una buona tensione sonora che non può lasciare
indifferenti.
Con “L’orizzonte degli eventi”
la ritmica ritorna in auge e l’elettronica incide, mentre la lirica assume una
nuova dimensione: “… sul confine solo stupidi pensieri, lascio i miei magri
poteri, perdo fame e desideri, io perdo tutto questo ma poi divento eternità…”.
Musicalmente forse più facilmente
adattabile alla lingua inglese - un plauso agli arrangiatori -, sprigiona una
buona energia che spinge ad abbandonare la staticità tipica dell'ascolto.
La conclusione è affidata al brano “Bellezza”,
come già sottolineato l’unico scritto in totale autonomia, una sorta di manifesto
che fornisce il brand all’album.
“Che si possa camminare per lasciare
impronte nella terra bagnata, un peso permanente che copra la rabbia, il dolore
e i sentimenti piccoli, non tutti sono disposti a misurare il proprio cuore e
la propria intelligenza, il proprio cuore; che la soluzione, in fondo, sia solo
l'amore e la bellezza?”.
Un concetto di bellezza che contiene,
ma supera, l’aspetto estetico, una gradevolezza non fine a sé stessa ma derivata
da sani principi, relazioni “pulite” e tanta semplicità, e a quel punto il
bello non sarà più quello definito dai canoni tradizionali, ma la summa di
sensibilità e virtuosismo.
Concludendo… Viola Nocenzi si mette
in gioco e propone un album coraggioso, sceglie la forma canzone ma pensa
istintivamente alla musica che ha assorbito sin dalla nascita - quella dei tempi
composti e dell’estrema difficoltà compositiva e strumentale -, si contorna di
musicisti esperti, persone fidate e affetti e tira fuori tutta la sua
personalità, preparazione e talento. Forte e chiaro risulta il suo messaggio,
il suo credo, la sua voglia di divulgare un pensiero positivo.
In attesa di qualche suo futuro live
- sapendo poi che molti brani sono rimasti nel cassetto - c’è da augurarsi una
buona continuità discografica: abbiamo tanto bisogno di musica di qualità che
possa contrastare la mediocrità che ci circonda.
Tracklist:
1.Viola
2.Lettera da Marte
3.Colui che ami
4.Entanglement
5.Itaca
6.L’orizzonte degli eventi
7.Bellezza
Biografia sintetica
Figlia del fondatore e da sempre
anima del Banco del Mutuo Soccorso, Vittorio Nocenzi, nipote di Gianni, Viola
inizia a suonare il pianoforte all’età di quattro anni, in seguito si dedica
allo studio del violino e intraprende poi quello del canto d’opera, affiancando
allo studio l’attività di insegnamento. La sua formazione umanistica e le
stimolanti frequentazioni artistiche all’interno dell’ambiente familiare nel
quale è cresciuta, hanno contribuito a plasmare la personalità di Viola, che si
rivela in un intrigante mix di estro, sensibilità e ironia.
Ho ascoltato in anteprima due brani
degli of NEW TROLLSche sono parte di un progetto piò completo che vedrà
la luce la prossima estate.
“Fuori
di qua” e “La mia musica”
saranno disponibili dal 18 dicembre con una confezione sontuosa i cui dettagli
sono riportati a seguire, nello stralcio di comunicato emesso dalla band
attraverso l’ufficio stampa.
Mi riservo di commentare in modo
approfondito l’album alla sua uscita, ma posso dare un primo giudizio basato
sulle impressioni iniziali, certo che la proposta sia rappresentativa dell’intero
lavoro.
“Fuori di qua” è
portatore di un messaggio ben preciso ma, come ogni lirica, può essere ripresa
dall’ascoltatore, reinterpretata e modellata a propria immagine e somiglianza.
Restiamo sul generico fornito dall’ufficialità: “Un testo attuale, un
attacco frontale, punta il dito verso chi si estranea dalla nostra vita o da
progetto, un urlo liberatorio, che tutti possiamo cantare.”
Il DNA New Trolls, quello per cui la
band diventò famosa cinquant’anni fa, è presente più che mai, e l’evoluzione naturale
non intacca il profumo conosciuto, che è marchio di fabbrica.
Il brano è di oltre cinque minuti -
quindi fuori dai tempi tradizionali della “forma canzone” - ed è questo lo
spazio temporale in cui Belleno, Di Palo e friends riescono a condensare il
loro umore attuale, con tre momenti espressivi differenti, tipici della libertà
collegata al prog, di cui sono stati alfieri.
Ritmo pazzesco, un riff chitarristico
che ti prende in un nanosecondo e non ti lascia più, un secondo frammento molto
“rock traditional” di un paio di minuti e una terza sezione, questa volta
melodica, che si riaggancia alla potenza iniziale.
In tutto questo altalenare di
situazioni resta cristallina una delle peculiarità del gruppo, ovvero l’aspetto
vocale per il quale il marchio “NT” resta punto di riferimento ed elemento
caratterizzante.
Con “La mia musica” - si
cambia decisamente mood e si quietano le acque.
Canzone toccante in cui, in quattro
minuti, si ripercorre la vita di uno degli autori, allo stesso tempo un
messaggio di speranza, perché “…si può rinascere e ancora vivere… con voi,
per voi, posso riaccendere, oltre ogni limite, la mia musica”.
Facile estrapolare il concetto della
solidarietà, dell’aiuto che serve per rialzarsi quando si cade duramente, della
forza che la musica può fornire a tutti, indiscriminatamente.
Atmosfera magica per una ballad quasi
commovente, con un finale di chitarra solista lacerante, e non sarà necessario
essere esperti di musica per lasciarsi coinvolgere.
E se il buongiorno si vede dal
mattino!
A seguire le indicazioni ufficiali…
of NEW TROLLS - il Progressive è più
vivo che mai! - (distribuzione SELF.IT)
Una imperdibile anteprima
discografica su 45 vinile white che sbalordirà vecchi e nuovi fans dei New
Trolls e del prog-rock.
A giugno il nuovo Lp. (SELF
distribuzione)
Due brani incisi su vinile a 45 giri
colore bianco impreziositi da un esclusivo cofanetto numerato (300 copie),
autografato con un cadeau all’interno per i fan: un bracciale con impresso il marchio
of NEW TROLLSche
usciranno il 18 dicembre 2020 e entreranno successivamente, con altri
gemelli, nel progetto finale che arriverà soltanto alla fine di giugno del
2021, (16 brani inediti di cui 10 inediti e 6 storici ri-arrangiati
) ci mostra la costruzione di un progetto molto ambizioso, che vede gli of NEW
TROLLS entrare frequentemente in sala d'incisione, nel corso delle pause tour
per completare le nuove partiture.
FUORI DI QUA – Un brano rock ottimamente
arrangiato, con un ritmo che ti rimane in testa a cui si aggiunge un bellissimo
testo attuale, un attacco frontale, punta il dito verso chi si estranea dalla
nostra vita o da progetto, un urlo liberatorio, che tutti possiamo cantare. Una
partitura, una scrittura provocatoria, che scivola via in modo fluido, tessuta
con delicatezza ed intelligenza musicale, esplode nel ritmo e nella coralità,
come ad indicare che la scelta, rimane su una strada diversa. Un concentrato
imprevedibile, fresco e decisamente personale, cantato da una splendida voce,
infarcito da venature rock che vanno anche oltre, con un riff dalle altissime
note. Un sound efficace permette di immergersi nella partitura, immaginando
un’altra angolazione, interpretato dagli of NEW TROLLS, una band che conosce a
menadito il proprio mestiere.
LA MIA MUSICA - Dal primo ascolto, si nota, che il
testo a grandi linee, ricamato su un sound accattivante e molto “sinfonico,
energico senza esagerare, ricco di riff e di tastiere ostinate, esprime, al
meglio, la biografia della voce solista, un viaggio che tocca il cuore con la
potenza di sguardi profondi. Il pensiero vaga nella testa e cantando lo
condivide, con chi, musicalmente lo ascolta, con dolcezza e passione. Un lavoro
interessante, dove voce e strumenti, mettono in evidenza le idee chiare, che la
band vuole esprimere e sarà, motivo in più, per seguirla nelle loro prossime
uscite live e discografiche. In poco meno di cinque minuti, stupendo tutti,
nella partitura si trova tutto quello che qualsiasi amante della buona musica
vorrebbe da un disco, ma che negli ultimi anni, non è di certo stato facile
trovare.
JULIUS PROJECTè il nome di un nuovo progetto musicale guidato da Giuseppe
"Julius" Chiriatti - musicista salentino dai trascorsi prog - e
coordinato dall'ex-JUMBO Paolo Dolfini.
Il titolo dell'album di esordio distribuito da G.T.
Music Distribution è "Cut the Tongue".
Prima di addentrarmi in un commento di un disco che, lo
anticipo, mi ha entusiasmato, riporto i dati oggettivi, quelli che estrapolo da
un ‘intervista che ho realizzato con la band e che sarà pubblicata per intero
nel prossimo MAT2020.
Sarò prolisso… volutamente prolisso!
Partiamo dalla storia raccontata e dal contenuto del concept
album, anche se il messaggio si presta a differenti varianti che dovrebbero
coinvolgere l’ascoltatore attento e sensibile, che avrà la possibilità di
elaborare la proposta interpretandola in modo personale. La traduzione in
italiano compresa nel booklet potrà facilitare l’opera di comprensione.
“Cut The Tongue” è un viaggio, difficile e a tratti doloroso,
che Boy, il protagonista, affronta per trovare il senso della propria vita e
per sconfiggere la nebbia che è calata nella sua mente. Dapprima si chiude in
sé stesso, poi, su indicazione di un amico di famiglia, si affida a un “profeta”
che gli decanta le meraviglie della ricchezza e l’importanza dell’apparenza,
fino a quando, la notte di San Silvestro, Boy non si rende conto che si tratta
solo di false illusioni. All’alba, in una dimensione onirica, ascolta la voce
di uno spirito guida che gli raccomanda di “tagliare la lingua” (“Cut the
tongue”) ai falsi profeti. Dopo varie vicissitudini, affrontando le tempeste
nel mare della vita, dove si troverà anche a naufragare, alla fine Boy troverà
il significato della sua esistenza, accettando la solitudine come virtù.
Oggettivamente un percorso e una metafora molto attuali,
probabilmente senza tempo.
Ma quando e come è nata l’idea? Cosa ha scatenato la voglia
di espressione?
L’iter creativo è antico e risale a una quarantina di anni fa…
Fra il 1978 e il 1981
Giuseppe “Julius” Chiriatti ha scritto 17 dei 18 brani che compongono “Cut The
Tongue”. La sua intenzione era quella di suonarli con la propria band
dell’epoca, ma alcuni membri li ritennero superati e poco interessanti e il
progetto fu così abbandonato. Nel 2014 la figlia maggiore di Julius, Bianca,
che impersona il protagonista del disco, scopre le vecchie carte e i provini
registrati su musicassetta e convince il padre a riprendere il tutto. Nel 2019
Julius completa, infine, l’opera scrivendo la title track su propri testi
dell’epoca. Tutti i pezzi sono stati ripresi solo nel 2014, dopo 33 anni di
“sonno” nel cassetto. Subito si è posto un problema di ordine concettuale, se
rispettare lo stile originale del 1978/81 oppure adattarlo all’attualità. È
stata scelta la prima soluzione e anche gli arrangiamenti hanno rispettato i
brani originali senza stravolgerli; sono stati usati moltissimi strumenti
vintage e il missaggio finale è stato fatto utilizzando apparecchiature
analogiche. I brani di “Cut The Tongue” sono molto attuali e forse sono nati
già proiettati nel futuro. Ciò probabilmente spiega anche il rifiuto degli
altri componenti della band dell’epoca ad abbracciare il progetto.
Accennavo inizialmente all’idea di “collettivo musicale” e
allora appare necessario delineare il pool di musicisti che hanno collaborato…
Oltre a Julius (Hammond, Mellotron, Moog Voyager, tastiere e
voce) e Paolo Dolfini (Piano, Moog model D, Korg Lambda, tastiere e cori),
Julius Project ha una base ritmica possente, costituita dal figlio di Paolo,
Filippo, alla batteria e dal bassista Marco Croci (ex-Maxophone) che ha anche
interpretato un personaggio dell’opera. Alle chitarre ci sono i salentini
Francesco Marra e Mario Manfreda e al flauto e voce l’ex Jumbo Dario Guidotti.
La voce del protagonista, Boy, è invece affidata alla figlia di Julius, Bianca
(in arte Bianca Berry). Successivamente sono stati chiamati a partecipare
grandi nomi del Prog italiano, quali l’ex-Jumbo Daniele Bianchini (chitarre) nonché
Flavio Scansani (chitarre) e, sul fronte salentino, Egidio Presicce al sax e
l’altra figlia di Julius, Martina, che interpreta la voce del “profeta”. La
title track è cantata dal grande Richard Sinclair, ex membro di gruppi storici
come i Caravan, i Camel, Hatfield and the North.
Veniamo alla musica, 57 minuti di sonorità sontuose, diciotto
episodi senza soluzione di continuità, una mini-opera che vede differenti
protagonisti, a partire da un “narratore” che introduce i vari “attori”.
Proverò a fornire pillole per ogni episodio.
Mi soffermo maggiormente sull’introduttiva
“The Fog” perché musicalmente mi ha spiazzato. Vorrei uscire dal
razionale e sottolineare come mi accada ogni tanto di essere colpito da una
trama, un’atmosfera, un particolare tratto vocale che mi induce ad un rapido
riascolto. È quanto mi è successo con “The Fog”, che è a mio giudizio la
sintesi perfetta della bellezza delle costruzioni prog: atmosfere sinfoniche
sostenute da una sezione ritmica virtuosa, una voce caratterizzante - in questo
caso di Julius - e, nello specifico, un particolare e semplice passaggio
ripetuto, che mi è rimasto in testa e ho
fatto mio.
Aggiungo l’importanza della lirica
che descrive una famiglia comune, tradizionale: “Sta arrivando la nebbia e
l’assassino della mente cancellerà tutto e distruggerà la ragione, anche quella
dei cervelli più brillanti. È facile abbattere ogni pensiero, anche il più
giusto, e quando la nebbia aprirà il suo ampio mantello potrai solo chiuderti
nella stanza, sperando che scompaia”.
Concetto semplice ma profondo,
illuminato e incredibilmente attuale.
L’album prosegue tra virtuosismo,
estrema bellezza estetica e facilità di ascolto, con un lavoro di squadra che
vede in evidenza differenti lead vocal, e questa varietà espressiva mi appare
premiante e un punto di forza del progetto.
Con “In the Room” entra
in scena “BOY”/Bianca Berry, imprigionato/a in una stanza da cui vuole fuggire
per ritrovare la libertà, e chiede aiuto: “Aiutami, rompi questo lucchetto,
liberami!”.
Pezzo per metà molto “tirato”, con la
chiusura affidata al nuovo cantato, che permette di conoscere una vocalità
davvero nobile e delicata.
E arriva l’amico di famiglia che
suggerisce l’aiuto di un profeta (“You Need a Prophet”): “Se
vuoi spazzare via tutta la tua nebbia e il nemico della mente che ti minaccia…
paga il profeta e sarai salvato”.
Altra nuova e piacevole voce - un po’
“morrisoniana” -, quella di Dario Guidotti, per un’altra traccia che colpisce
al primo giro di giostra. Perfetta armonia tra sezione ritmica e aspetti
melodici.
“Mask & Money” ci
presenta il dialogo tra BOY (Bianca Berry) e il profeta evocato (Martina
Chiriatti): “Ho cercato in tutti i modi di sapere come distruggere la
nebbia, ma è inutile…”; “Se vuoi un futuro luminoso devi seguire il mio
consiglio, dimentica tutti i tuoi sentimenti e pensa all’oro e il gioco
incomincia…”; “Il profeta è stato chiaro, devo cambiare e intraprendere un
nuovo corso…”.
Dialogo vocale delicato e sostenuto dai
tempi composti tipici del genere, con una sezione centrale che mi ha riportato
ad antiche costruzioni targate “Genesis”, con l’intervento pianistico di Paolo
Dolfini: una chicca!
In “Welcome to the Meat Grinder”
il conflitto è interiore: “Ora non sono più un ragazzo pieno di nebbia, ora ho
mucchi di soldi tutti per me, sono un uomo nuovo e recito la mia parte”; “Ma
forse sto sbagliando tutto, sono insoddisfatto, vuoto, triste, questo
tritacarne mi ha macinato troppo…”.
L’ascolto mi ha riportato a “Tommy” -
l’opera rock dei The Who -, una serie di immagini sonore che danno la perfetta
idea di “racconto musicale”, con un virtuosismo strumentale mai fine a sé stesso ma al
servizio della trama.
“Speed Kings” introduce i re della velocità che influenzano il BOY: “Ti piacciono le
macchine? Possiamo dartene una, dobbiamo correre, domani è il nuovo anno e ci
ubriachiamo stasera… siamo i re della velocità… viscidi, nebbiosi, sporchi,
polverosi…”.
La velocità a cui ho accennato è
rappresentata da uno start sostenuto, dove basso e batteria recitano ruolo
preminente ed entra in gioco un’altra voce, quella di Marco Croci, che presenta
una vocalità molto interessante e matura, da rocker tradizionale navigato.
“Clouds pt. 1 e 2” è divisa in due parti: “È l’alba
del giorno di Capodanno, la gente dorme perché la festa stanca, è orribile essere
bagnati e soli in questi giorni, mentre tutti rimangono davanti a un camino; vedo nuvole che
corrono via e la mia anima corre via con loro… e il profeta era una frode!”.
Dolce melodia condotta vocalmente da
Bianca Berry, passaggio lento e intimistico con il sax tenore di Egidio
Presicce che ricorda i giochi fiatistici di David Jackson.
E arriviamo a “Cut The
Tongue” che vede un ospite di eccezione, quel Richard Sinclair che non
ha bisogno di presentazioni. Sono stato testimone, negli ultimi
dieci anni, di alcune sue collaborazioni “italiane” un po' superficiali in fase
live, ma in questo frangente l’ospite dalla storia nobile regala vero valore
aggiunto, un’interpretazione magica che riporta ai fasti della “Canterbury Scene”.
“Taglia la lingua di ogni cattivo
profeta, di ogni uomo che cerca di portarti fuori dai tuoi giusti pensieri,
taglia le nostre lingue per parlare ogni lingua, la lingua del silenzio, taglia
tutte le lingue perché dobbiamo imparare a sentire la persona che ci sta vicino,
senza parlare…”.
Protagoniste le tastiere di Paolo
Dolfini - pianoforte e moog - che accompagnano l’iniziale delicatezza dell’ex
Caravan che sfocia in una atmosfera lacerante in cui si inserisce la solista di
Daniele Bianchini.
“The Swan” prosegue il
racconto: “Un cigno proveniente dal cielo mise le ali su di me… prese un
coltello e mi tagliò la lingua mettendola in una posizione diversa nella mia
gola e così posso parlare in tutte le lingue che il mondo conosce, io capisco
il mondo…”.
La mutazione del protagonista è
musicalmente commentata utilizzando pacatezza e profondità onirica; Bianca Berry
e Paolo Dolfini ancora in evidenza.
“Island” è il primo
strumentale, molto funky e “anni ‘80”, giri importanti di un basso elettrico
che gioca quasi a fare il solista, in contrapposizione all’elemento
tastieristico.
La breve “We Know We Are Two”
parla di amore: “Non vedo il tuo volto ma so che stai pensando a me, mi dai
la luce, mi fai sorridere, mi dai la luna… siamo due anime e sappiamo di essere
due…”.
Brano acustico, orchestrale, striscia
di passaggio, potenziale colonna sonora di una favola.
“I See the Sea” é il secondo
strumentale, inizialmente movimento aulico, quasi elegiaco, sfocia in un “veloce
andante e gioioso” dove sezione ritmica e moog conducono il gioco con orizzonti
molto “seventies”.
“Glimmers” rappresenta
il pensiero espresso da BOY, mentre naviga lontano dal suo amore: “Non
essere triste se devi partire, lei ti aspetta e dice che quei bagliori sul mare
sono i suoi occhi bagnati che ti vedono e ti seguono ovunque…”.
Brano magnifico che riporta alle
ballad di Gabriel e soci dei primi ’70 e vede la partecipazione preziosa di Flavio
Scansani alla chitarra (solista e 12 corde).
“Castaway” è un altro
strumentale di breve durata che rappresenta il naufragio di BOY, una marcetta
molto evocativa e immaginifica.
“Wood on the Sand” presenta
il dialogo tra il narratore e BOY: “C’è legno sulla sabbia, puoi accendere
il fuoco e scaldarti e passare la notte… cigno per quanto tempo starò qui ad
aspettare la tua chiamata?”.
Ritorno alla lead vocal per Julius -
che duetta con Bianca Berry -, una proposta davvero gradevole per una traccia che
riporta al prog più amato da chi ha vissuto il periodo d’oro del genere.
Con “Wandering” - ultimo
e breve strumentale - si sprigiona la forza della band prog, con tutti gli
elementi che sono diventati il brand di un movimento musicale mai sepolto.
Chiude l’album “Desert Way”
e la storia di BOY giunge all’epilogo: “Ora posso dire di conoscere la via deserta,
che amo dimenticare il giorno per vivere in una notte tranquilla, rinunciando a
lottare per uscire e andare via, per tornare nella mia strada deserta dove
cercherò di trovare tutto quello che ho perso nella mia mente, per trascorrere
una giornata deserta senza andare più via.”
L’approdo al porto sicuro e alla
serenità è magistralmente rappresentato da una fermatura musicalmente epica,
con arrangiamenti ad ampio respiro, la scena finale di un film che ha mantenuto
una forte tensione per tutta la narrazione.
E a questo punto viene la voglia di
ricominciare l’ascolto.
Mi sono dilungato nella descrizione
di un progetto che credo valga la pena divulgare senza esitazione, un album che
pongo tra i primissimi di questo 2020.
La speranza è che nascano le
possibilità per vedere JULIUS PROJECT dal vivo, e per fare ciò - emergenza sanitaria
permettendo - bisognerà individuare la giusta organizzazione/logistica che
possa oltrepassare i problemi legati ai collettivi musicali, per definizione composti
da un numero svariato di artisti, molti dei quali lontani tra loro. Non meno
importante il fatto che “Cut the Tongue” si presta ad una rappresentazione
teatrale, oggettivamente difficile, ma non impossibile.
Una segnalazione per il magnifico
artwork che, anche nel formato ridotto del CD, riesce da dare contributo
rilevante all’iter narrativo.
Il mix & mastering sono stati completati nell’agosto del
2020 ai RecLab Studios di Buccinasco (Milano) grazie all’esperienza e all’estro
di Larsen Premoli, anche lui catturato dal fascino di questo progetto e felice
di “mettere la parola fine a un disco che ha iniziato a vedere la luce nel
1978”.