mercoledì 31 dicembre 2008
Ricordo di Odetta
lunedì 29 dicembre 2008
Ricordo di Augusto Daolio
E’ stata dura , per organizzare una mostra di pittura di questo genere, che non è una qualunque mostra di pittura ma quella del leader carismatico dei Nomadi ,e cioè uno che è stato la voce di intere generazioni e che ha scritto pagine importantissime nella storia della musica italiana , ci son molte spese da sostenere ; si va dall’assicurazione dei quadri, agli inviti ,alle locandine ,all’allestimento . Poi ci sono i rapporti con gli enti pubblici ,che hanno aderito e ci hanno dato un appoggio importantissimo, non solo dal punto di vista logistico ma anche finanziario . Avere rapporti di questo tipo significa avere contatti con molte persone differenti, con molti uffici che hanno competenze diverse e basta una virgola dimenticata , un appunto preso male, un passaggio mancato, per scombinare tutto … poi , ci servivano degli sponsor perché in questo caso , non basta coprire le spese ma è vitale riuscire a fare una donazione importante all’Associazione, che finanzia borse di studio di ricerca contro il cancro, e anche li, non è stato uno scherzo , a batter cassa di questi tempi ci vuole una bella faccia tosta . C’è da dire che ne abbiamo trovati una ventina disposti ad aiutarci , più del doppio ci hanno detto no ma, la cosa bella ,è che nessuno ci ha presi a male parole il che non è poco .
Tutto fatto?
Ma neanche per idea , c’era da organizzare lo spettacolo in teatro “ Musica,pensieri e parole di Augusto”, quindi contattare l’ufficio cultura del comune , l’uomo che apre il teatro Giotto(il mitico Gino), il fonico, i musicisti , l’attore che doveva leggere i brani scritti da Augusto ( fra le altre cose scriveva anche delle cose bellissime) trovare qualcuno che presentasse la serata , fare una scaletta, decidere come impostare il tutto … Insomma un bell’impegno dentro all’impegno mastodontico della mostra , senza contare il fatto che li al teatro Giotto ,con la musica e con gli attori non si scherza, quel palcoscenico è calcato ogni anno dai più grandi jazz man italiani tanto per fare qualche nome, Cafiso, Fresu, Bollani,Rava e non solo, da qualche anno ormai, si esibiscono là anche musicisti classici dell’orchestra regionale Toscana … attori importanti tipo ,tanto per fare altri nomi , Nicoletta Braschi , Alessandro Haber , Rocco Papaleo… se poi aggiungete il fatto che a questo tipo di serate a favore dell’Associazione Augusto per la Vita, partecipano anche persone che suonano niente popodimeno che ,nella PFM , capirete che l’ambiente e l’occasione richiedevano una certa qualità … Di musicisti ne conosco a decine,di buoni musicisti un po’ meno … di grandi musicisti li conto sulle dita di una mano ,ma c’è da dire che la qualità di quest’ultimi c’è, anche e forse soprattutto dal punto di vista umano … ho valutato varie ipotesi e di tutte la più interessante mi sembrava l’Araba Fenice, un po’ perché questi ragazzi sono davvero una grande band e avevano nel loro vasto repertorio anche qualche canzone dei Nomadi, ma soprattutto c’era l’amicizia con Ermes Maffi ,autore di canzoni molto belle ,voce bellissima ,tecnica vocale non indifferente,e polistrumentista eccezionale…Che dire! La loro performance al teatro Giotto ha lasciato tutti senza fiato, è stata una serata memorabile , bellissima e densa di emozioni dall’inizio alla fine, indimenticabile il momento in cui Rosi ha raccontato il suo viaggio a Dakau insieme ad Augusto e di come in quel viaggio sia nata una delle canzoni più significative nella quarantennale storia dei Nomadi e cioè “L’Uomo di Monaco”, un racconto vibrante , seguito dall’esecuzione magistrale e personalissima di quella stupenda canzone da parte dei ragazzi! Non li ringrazierò mai abbastanza per averci aiutati col massimo impegno , sobbarcandosi un viaggio di tre ore su strade di montagna per essere li puntualissimi, per aver suonato con sentimento e in modo del tutto disinteressato, ho dovuto faticare persino per dargli le spese del viaggio.
Poi c’erano anche da gestire i rapporti con gli organizzatori della camminata del primo maggio con pranzo vino e musica , coordinare i loro volantini con la nostra brochure , le loro bandierine della pace con il nostro logo … insomma un casino.
E’ veramente stata una fatica enorme, ma le emozioni e l’importante donazione che siamo riusciti a fare per l’Associazione Augusto per la vita,(OLTRE DUEMILA EURO) ha ripagato me e i miei compagni del fan club , in modo stupendo. E’ stata un esperienza bellissima ed intensa.
Non so spiegare l’emozione di essere li , ad allestire le splendide opere di Augusto insieme “alla Rosi”, il nodo alla gola nel toccare quei quadri con la massima delicatezza, e le emozioni intense provate nel vederli.
Sono belli i quadri di Augusto , particolarissimi, vi si evince una tecnica straordinaria ed un lavoro di ricerca interiore molto profondo. Parlano di lui e della sua grande personalità , della sua visione del mondo , della sua Luna, delle sue canzoni. Sono magnetici esattamente come era lui... ti catturano e ti portano in un altro mondo.
E come dimenticare la Rosi nella mia cucina che ci prepara il pranzo?
E’ stato tutto bellissimo e per questo voglio ringraziare , tutti coloro che hanno collaborato per questo progetto. Gli sponsor che ci hanno sostenuto, il comune di Vicchio , la Comunità Montana Mugello…e soprattutto, le ore di lavoro volontario e disinteressato di tutti quelli che ci hanno messo tempo , dedizione , l’amore sconfinato per la musica dei Nomadi e per ciò che da sempre rappresenta.
Ci sono cose nella vita che non hanno prezzo , e l’organizzazione di questo evento per me è stata una di quelle, per tutto il resto... ci sono le carte di credito! J
Un saluto a tutti e SEMPRE NOMADI!
"Ogni esperienza che si risveglia in noi, accresce la nostra anima e rende più profonda la nostra memoria.
Le persone sono Nomadi, viaggiano di soglia insoglia, di esperienza in esperienza, in ogni esperienza nuova si schiude un'altra dimensione dell’anima.
Non è strano che sin dall'epoca antica si siapensato all'uomo come a un vagabondo,che attraversa territori stranieri e luoghi sconosciuti.
Ma il viaggio più lungo ed emozionante è quello dentro di se."
venerdì 26 dicembre 2008
Treves Blues Band al Raindogs
martedì 23 dicembre 2008
Dire Straits
Dopo aver vissuto , da adolescente, il boom dei concerti dal vivo, legato soprattutto a band progressive, il finire dei seventies portò a una momentanea sosta delle performance dal vivo di massa, e personalmente coincisero con una somma di fattori che sono quelli che normalmente allontanano dalla musica chi deve incominciare a pensare seriamente ad un lavoro e a tutto ciò che ne consegue.
In sintesi, la musica diventò per me marginale e non andai più alla ricerca del nuovo , crogiolandomi , nei momenti del “bisogno”, in ciò che conoscevo bene, una sorta di coperta di Linus che portava il nome di Genesis, Jethro Tull, Yes and so on, ovviamente in funzione dell’umore del momento.
L'ultimo grande concerto di quella mia “prima fase” coincise con l’avvento dei Dire Straits a Sanremo.
Io ero presente con amici e con la mia ragazza, che dopo due anni avrei sposato.
Ho altri fortissimi ricordi legati al gruppo e a gelide settimane coreane , a inizio anni 90, momenti in cui consumai le loro audio cassette , che sono rimaste per sempre unite a quei tristi giorni lontano da casa.
Dire Straits è stato un gruppo rock, inglese, fondato nel 1977 da Mark Knopfler (chitarra e voce), David Knopfler (chitarra), John Illsley (basso) e Pick Withers (batteria), e Ed Bicknell come manager. Gruppo nato in un periodo fortemente caratterizzato dal punk-rock, si affermarono con il rock and roll della vecchia scuola, con un suono completamente differente da ciò che il mercato offriva in maniera massiccia. Per questo motivo, i Dire Straits diventarono quasi immediatamente famosi.
Produssero il loro primo album nel 1978 con discreta critica della stampa, ma dopo solo cinque mesi dal loro primo singolo, ″Sultans of Swing″ si imposero al pubblico.
Il secondo album, "Communiquè", fu subito pubblicato e confermò le aspettative date dal primo album.
Il terzo, intitolato "Making Movies", vide la partecipazione del tastierista Roy Bittan (membro della E-street Band di Bruce Springsteen) e segnò una maggiore complessità degli arrangiamenti che rimase a caratterizzare anche il resto della carriera dei Dire Straits.
Il gruppo nel 1985 pubblicò "Brothers in Arms" che fu un successo mondiale e che presentò singoli come la conosciuta ″Money for Nothing″, il cui video fu trasmesso da MTV in Inghilterra.
Il successo di Brothers in Arms fu tale che l’ album fu il primo ad essere stampato su Compact Disc, registrato in digitale, capacità musicale scelta per dimostrare l'effettiva qualità sonora rispetto ai più vecchi supporti di registrazione.
Successivamente questa tecnologia fu, per i Dire Straits, molto proficua: molti dei loro fan, stupiti della qualità del nuovo supporto, comprarono nel nuovo formato tutto il loro precedente catalogo musicale.
Grazie anche alla partecipazione al Live Aid, i Dire Straits si confermarono campioni di vendite già a metà degli anni '80.
Successivamente, per 6 anni, la band rimase inattiva e non produsse alcun album, per poi “uscire”, nel 1991, con l'album “On Every Street”.
Questo ultimo lavoro però non riscosse il successo dei precedenti: Mark Knopfler, dai critici considerato l'unico leader, decise in seguito di portare avanti progetti personali e colonne sonore per il cinema.
Gli ultimi album prodotti sono raccolte di successi o concerti dal vivo.
Le ultime apparizioni come gruppo risalgono al 1993.
La band nel 1998 ha pubblicato il greatest hits “ Sultans of Swing –The Best of Dire Straits”.
L’ultima raccolta, la più recente, è del 2005, “The Best of Dire Straits & Mark Knopfler: Private Investigations”, realizzato in due edizioni, con cd singolo e doppio.
DISCOGRAFIA ESSENZIALE
DIRE STRAITS 1978
+COMMUNIQUE’ 1979
MAKING MOVIES 1980
ALCHEMY 1984
BROTHERS IN ARMS 1985
ON EVERY STREET 1991
LIVE AT THE BBC 1995
ON THE NIGHT 1996
SULTANS OF SWING - THE BEST OF 1998
THE BEST OF DIRE STRAITS & MARK KNOPFLER: PRIVATE INVESTIGATIONS 2005
Sultan of Swing
Citazione del giorno:
"L’amico mi è prezioso,ma anche il nemico mi può essere utile:
L’amico mi dice cosa so fare, il nemico m’insegna cosa devo fare" (Friedrich Schiller )
lunedì 22 dicembre 2008
Guillemots
Citazione del giorno:
"Un bimbo impiega due anni per imparare a parlare, un uomo impiega una vita per imparare a tacere" (Anonimo)
venerdì 19 dicembre 2008
Nada Surf
Componenti della band sono Matthew Caws (chitarra, voce), Ira Elliot (batteria,cori) e Daniel Lorça (basso, voce)
Daniel Lorça, di origini spagnole, figlio di un diplomatico, e Matthew Caws, figlio di due professori universitari, dopo essersi conosciuti da piccoli, si rincontrano a New York al Lycée Français, dove studiano in francese e fondano, con un professore, Pascal Thouron, la loro prima band, i Cost of Living.
I Cost of Living, che vedono alternarsi alla voce Matthew e Marcelo Romero, tra vari cambi di line up registrano due dischi, Day of some lord (1986) e Comic Book Page (1989). La loro carriera si chiude nel 1990 dopo aver suonato in diversi locali e aver registrato il video per la canzone "I needed you", passato anche su MTV 120 minutes.
Dopo vari pellegrinaggi per il mondo, Daniel ritorna a New York e ritorna a suonare con Matthew. Dopo aver suonato con un ragazzo di nome Dan, nel 1994, con Aaron Conte alla batteria, registrano il loro primo singolo, un EP in vinile limitato a 1.000 copie, The plan/Telescope, in cui verrà anche citato il loro primo batterista. Con questa formazione registrano anche il demo Tafkans.
L'anno dopo esce Deeper Well, ancora in vinile e ancora limitato a 1000 copie.
Aaron lascia la band a gennaio del 1996 e dietro le pelli arriva Ira Elliot, e da quel momento la formazione non cambierà più.
Durante i concerti di supporto all'EP Matthew incontra al Knitting Factory di New York Ric dei Cars e gli passa una cassetta di Tafkans. Forte del successo del debutto dei Wezer, da lui prodotto, Ric fiuta la possibilità di replica e qualche giorno dopo propone alla band di registrare il loro disco di debutto, proponendoli alla Elektra e alla Maverik, etichetta di Madonna.
Da quelle session nasce High/Low, registrato in 19 giorni, uscito nell'estate del 1996 per la Elektra. Un successo clamoroso bacia la band grazie al singolo Popular ed al relativo videoclip.
Il testo della canzone è una forte critica ai teenager americani ed in generale alla società dell'apparire e non dell'essere. Ma le parole vengono totalmente travisate e da canzone di critica sociale diventa esattamente la colonna sonora dell'estate delle persone che la canzone si proponeva di ridicolizzare. La band, in ogni caso, parte in un lungo tour che li porterà in Europa e in America. Escono altri 3 singoli, Treehouse, una riedizione di Deeper Well e Zen Brain per l'occasione ricantata in Francese. Proprio gli studi liceali, e quindi la facilità con cui Matthew e Daniel si esprimono nella lingua transalpina, fanno sì che in Francia si crei un grosso e fedelissimo seguito per la band.
Il successivo album, The Proximity Effect, uscito nel 1998, non riesce a replicare i risultati del precedente lavoro, per lo meno dal punto di vista commerciale. L'album non venne infatti nemmeno pubblicato negli Stati Uniti a causa di rimostranze da parte dell'Elektron Records, l'etichetta che li aveva sotto contratto all'epoca, che lamentava una carenza di "possibili singoli" nel disco e li rispedisce in studio a registrare cover e li prega di includere una versione acustica di Popular. Nonostante questo l'album viene regolarmente pubblicato sul mercato europeo, dove ottenne un buon riscontro da parte della critica e discrete vendite, soprattutto in Francia, dove pianificano un tour di 30 date.
Con questo disco suonano per la prima volta in Italia a Milano, al Rolling Stone, il 17 novembre 1998.
Soprattutto a causa del flop negli Stati Uniti e delle battaglie legali, inizia un periodo di crisi per la band. Solo nel 2000 il gruppo riesce a far uscire The Proximity Effect nel loro paese, dopo aver fondato una propria etichetta, la MarDey Records dal nome della nonna materna di Matthew .
Dopo una pausa durata quattro anni i Nada Surf si affacciano timidamente al mercato con Let Go. Soprattutto l'affetto del pubblico francese decreta il successo di questo disco pop rock.
Le recensioni sono tutte estremamente positive, e vengono estratti 3 singoli con relativi video e tra questi "Inside of Love" raggiunge la posizione 73 nella classifica dei singoli più venduti nel Regno Unito.
La band rimane in tour quasi 2 anni, girando l'Europa e gli Stati Uniti, dove, anche grazie al lavoro della loro nuova etichetta, il pubblico sembra tornare, anche se non ai livelli di metà anni '90, ad accorgersi di loro.
Durante il tour sono ospiti in trasmissioni televisive e radiofoniche e registrano varie cover, tra cui "There is a light that never goes out" degli Smiths e "L'Aventurier" del gruppo electropop francese Indochine. Questo pezzo inizia ad essere trasmesso dalle radio e piace così tanto da uscire come singolo e da permettere la ripubblicazione di Let Go, sul mercato francese, con l'aggiunta di questo pezzo. Nello stesso periodo la Labels, su autorizzazione della band, ripubblica The Proximity Effect.
A questo punto, la band inizia le session per il nuovo disco.
Nel frattempo in Francia esce un DVD e un cd live di due diversi concerti. Il DVD è registrato al festival Eurockéennes de Belfort il 6 luglio 2003, mentre il cd a Bruxelles, il 31 marzo 2003. Entrambe le uscite sembrano essere state pubblicate frettolosamente per sfruttare l'onda positiva, più che per dare un buon prodotto al mercato. Il DVD non presenta bonus e dura meno di un'ora, il CD non è sicuramente tra i migliori concerti del tour, a detta della stessa band.
Il rilancio della band in USA passa anche dalla cover del brano If You Leave degli OMD, che viene realizzata dai Nada Surf appositamente per la colonna sonora del telefilm “The O.C.”
Il quarto album della band, The Weight Is a Gift”, esce in il 5 settembre 2005 in Germania,e successivamente in Giappone, Australia , Stati Uniti e nel resto d'Europa .
È un disco che, nelle interviste, Matthew dichiara provenire da un periodo difficile per sé stesso, senza, però, voler confidare ai giornalisti cosa lo abbia spinto a scrivere i testi più tristi della storia della band. Nonostante i testi abbastanza "forti" i pezzi risultano sempre orecchiabili ma non necessariamente ruffiani. In concomitanza con l'uscita dell'album viene rilasciato il singolo "Always Love" e un video girato a Tallin, in Estonia.
Il gruppo riprende a suonare in Europa e Stati Uniti con la stessa intensità del disco precedente.
Il responso, come per il tour del disco precedente, è ottimo.
Ad Aprile del 2006 esce il secondo singolo, Blankest Year, accompagnato da un video in cui l'ombra di un personaggio si muove su ambienti reali.
Il tour dura circa un anno e mezzo e la band, che alla vigilia dell'uscita di "The Weight Is a Gift", dichiarava di avere materiale pronto per praticamente un altro disco, ritorna a lavorare sui nuovi pezzi.
Nell'estate del 2007, viene rilasciato Karmic in cd e vinile, con Pressure Free come bonus track.
Il 12 ottobre 2007, tramite il loro sito Myspace ufficiale, il gruppo annuncia l'uscita del nuovo disco Luky per febbraio 2008 e posta un nuovo pezzo, "See These Bones", scaricabile gratuitamente.
Ascoltiamoli.
Citazione del giorno:
"La delusione della maturità segue l'illusione della gioventù." (Benjamin Disraeli)
giovedì 18 dicembre 2008
Porcupine Tree
Rifiutandosi di dare una risposta, Steven Wilson ha fatto nascere una controversia riguardo all'origine del nome della band. Esistono un certo numero di teorie, comprese le seguenti:
mercoledì 17 dicembre 2008
Kate Nash
lunedì 15 dicembre 2008
Melissa McClelland e Luke Doucet
Circa un mese fa, nel locale savonese ...
che è ormai sempre presente in questo blog, il RAINDOGS, ho ascoltato in preserata due giovanissimi artisti, marito e moglie: Melissa McClelland e Luke Doucet.
Il preserata sta ad indicare che hanno eseguito per il pubblico presente, appositamente formato da bambini, un mini spettacolo costituito da alcune canzoni, inframezzate da domande del pubblico.
Luke era senza voce e quindi ha condotto il gioco Melissa.
Alla fine ho scambiato quattro parole con lei e ho scoperto che è dello stesso paese canadase in cui sono stato da poco.
Ho poi acquistato i loro dischi che, per mancanza di tempo, non sono riuscito a sentire sino a pochi giorni fa.
La voce di Melissa è incredibile e i brani proposti mi fanno pensare ad un'artista destinata ad un futuro luminosissimo sulla scena internazionale.
E pensare che avere davanti quei due ragazzini faceva quasi tenerezza!!!
Qualche nota biografica raccolta dal sito “Pomodori Music”, organizzatori di eventi musicali.
Melissa McClelland
Giovane e talentuosa cantautrice nata a Chicago, ma cresciuta artisticamente in Ontario presenta uno show profondamente intimo a base di chitarra e voce, nel quale ripercorre la sua carriera solista , ripescando parecchio dal suo ultimo lavoro “Stranded In Suburbia”(Orange Record Label/Universal - 2004).
E’ considerata una nuova stella del firmamento country rock, e alcuni critici già l’affiancano a Lucinda Williams ed Emmylou Harris.
www.melissamcclelland.com
www.myspace.com/melissamccleland
Luke Doucet
Nato ad Halifax in Canada, leader dei Veal sul finire dei ’90, chitarrista di Sarah McLachan poi, inizia la sua carriera solista nel 2001 con l’ottimo album “Aloha, Manitoba”, seguito nel 2001 da “Outlaws”, un live con alcuni inediti.
Un cantautore atipico, originale, che certo non può essere inserito nel ricchissimo pentolone del roots americano.
Pur conservando alcuni strumenti della tradizione, dal banjo alla pedal steel, il sound è ricco ed efficace.
Doucet ha gusto per la melodia, capacità di amalgamare bene i suoni e lo dimostra in ogni canzone dosando alla perfezione gli ingredienti della sua musica. Se a ciò aggiungiamo che ha pure una bella voce, gradevole e misurata anche quando si cimenta in pezzi solo per chitarra e voce, la convinzione di trovarsi di fronte ad un artista veramente dotato diventa ancora più rotonda.
È però nella dimensione “suonata”, che Doucet mostra le doti migliori .
Pop immerso nel jazz, atmosfere che troverebbero terreno fertile nella Big Apple, sembrano alla fine la cifra stilistica cavalcata da Doucet con maggior convinzione. “
www.lukedoucet.com
www.myspace.com/lukedoucet
Ascoltiamo uno stralcio dall'esebizione del RAINDOGS e a seguire "You Know I love you Baby"
Citazione del giorno:
"Non penso mai al futuro. Arriva così presto!" (Albert Einstein)
venerdì 12 dicembre 2008
Little Stevens
giovedì 11 dicembre 2008
Shout Out Louds
mercoledì 10 dicembre 2008
Fiction Plane
Nella band troviamo il cantante e bassista Joe Sumner (che è il figlio di Sting, ex leader dei Police).
Nel 2001 registrano il loro primo demo Swings and Roundabouts, con il quale iniziano a farsi conoscere in Gran Bretagna.
Nel 2003 registrano il loro primo album, Everything Will Never Be Ok.
Con questo album iniziano a farsi conoscere meglio anche al di fuori dell'Inghilterra.
Nel 2005 registrano il secondo album, Bitter Forces and Lame Race Horses.
Si sono esibiti anche in Italia, a Milano e Napoli, nel giugno del 2006, con un discreto riscontro da parte del pubblico.
I punti di contatto dei Fiction Plane con i Police sono piuttosto evidenti: la band è un trio, Joe suona il basso e canta come il papà, il sound presenta più di un riferimento.
Si può, come esempio, ascoltare gratuitamente il brano "Two sisters" che apre la loro area su MySpace:
martedì 9 dicembre 2008
churl
Il musicista di cui vi parlo oggi ha svolto un lavoro sorprendente , soprattuto se comparato alla giovane età.
Francesco Ciurlo, in arte Churl, ha realizzato " Dry Leaves".
Churl è nato nel 1987, e ha suonato maggiormente come batterista nei gruppi dei quali ha fatto parte, però se la cava bene anche chitarra, tastiere, piano e la war guitar, detta anche Megatar.
"Dry Leaves" è il suo primo EP.
I discorsi che ho captato, provenienti da Francesco e il suo gruppo di amici (che lo hanno aiutato nel portare a termine il lavoro) sono davvero "maturi" e la loro cultura musicale non presenta i "paletti" che normalmente i giovani mettono con estremo piacere.
Sentirli parlare di Frank Zappa, tanto per citare un esempio, mi pare cosa anomala, perchè normalmente è solo la maturità che regala la possibilità di spaziare senza pregiudizi tra i vari generi.
Churl ha realizzato qualcosa che prescinde dai soliti tre accordi, con cui normalmente si possono costruire mille canzoni.
E' musica complicata, raffinata , presentata però con una certa semplicità.
Se avessi ascoltato i brani senza aver prima letto un pò di storia, avrei pensato ad un gruppo ben amalgamato, alle ..."seconde armi"... promotore di un prog in gran spolvero.
E invece churl è una specie di one man band , coadiuvato dalla tecnica e da qualche amico/collaboratore.
Ho provato a far ascoltare ad un amico musicista "Dry Leaves", tanto per avere un gudizio da esperto, e la qualità del lavoro è stata confermata.
Al contempo è stata evidenziata l'immaturità generale del EP , ma credo che di questo fosse consapevole anche Francesco.
E' un bell'inizio ....una promettente partenza, ed io spero sia solo la prima puntata di una nuova storia musicale, che non necessariamente deve portare sull'olimpo, ma a 20 anni , con simile bagaglio e voglia di fare, si può puntare ad una vita di soddisfazioni musicali.
A seguire propongo due brani (evidenziati in rosso)
Tracklist
1- Dry Leaves (5:33)
2 - Aphtha (4:02)
3 - Lady in Blue (6:07)
4 - Destruction (3:55)
5 - Desire (4:08)
6 - Organic Revolution (6:18)
Tutti i pezzi sono di Francesco Ciurlo, tranne "Organic Revolution" il cui testo è stato scritto da Giovanni Bernini
Credits:
Churl: Keyboards, Guitars, Megatar, Drums, Voice
Jacopo Muneratti: editing, mixing, effects support
FJB: secret messages and queer suggestions.
Giovanni Bernini: lyrics on "Organic Revolution"
Brizz: brizzolution
Artwork by Gian Paolo Ciurlo and Mak.
www.myspace.com/rlociu
Citazione d'autore:
"Tu puoi dirmi che sono un sognatore, ma non sono il solo" (John Lennon)
sabato 6 dicembre 2008
Willard Grant Conspiracy
Anche questa settimana il Raindogs di Savona riesce a stupirci.
Domenica 7 sarà di scena…..
Willard Grant Conspiracy
Un giorno, durante una periodo di pausa della loro band, il cantante Robert Fisher e il chitarrista Paul Austin, di Boston, Massachussets, ricevettero una telefonata da una loro collaboratrice che diceva di avere appena installato uno studio di registrazione a casa e di volerlo provare. I due prepararono così una manciata di canzoni, presero l’amico Sean O’Brien e andarono dall’amica Dana Hollowell. Così nacque “3 AM Sunday at Fortune Otto’s”, l’album di debutto della Willard Grant Conspiracy, che riunì negli anni seguenti intorno al duo musicisti occasionali e amici.
Intervista di Lino Brunetti.
Robert Fisher è un narratore di storie; lo è da più di dieci anni coi suoi Willard Grant Conspiracy, una delle più emozionanti e capaci band del panorama folk-rock statunitense, e lo è stato durante l’ora abbondante in cui ho chiacchierato con lui in un albergo milanese, in un assolato pomeriggio primaverile. E’ un fiume in piena quando parla, sempre appassionato e infinitamente profondo e gentile, un conversatore di quelli che ben raramente si incontrano. Stare ad ascoltarlo e discorrere con lui è stato davvero un piacere enorme.
Dopo sette album e più di dodici anni di carriera, si può ben dire che siete in giro da un bel po’! Ti aspettavi di arrivare così lontano quando avete iniziato? Non ne avevo nessuna idea, ci speravo più che altro. Vedi, ho iniziato negli anni Ottanta a suonare, e prima che qualcuno si accorgesse di quello che facevo, molti anni e anche diverse band erano andate. In qualche modo, l’approccio è sempre stato diverso da quello di altre formazioni; non ho mai pensato in termini di "ora mi cerco un contratto, faccio un disco, poi andiamo in tour". Fin dall’inizio era una sorta di forza interiore .
Una cospirazione alt-countryche mi spingeva a fare musica, era ed è qualcosa che ho dentro e che deve uscire fuori. Quando facciamo un disco, spero sempre che alla gente piaccia, ma non c’è nulla di strutturato dietro e io, comunque, continuerei a suonare anche senza un contratto.
E’ un qualcosa che ha più a che fare con la tua vita che non con una carriera… Sì! E poi non la definirei neppure una carriera. Io vivo facendo un altro lavoro, quello che si guadagna col gruppo viene sempre reinvestito nel gruppo stesso, spesso sono più le spese che gli introiti. L’idea stessa di carriera è un po’ limitante per me. E’ davvero un onore essere conosciuti sia in patria che all’estero, poter girare il mondo portando la propria musica a persone che sai che ti seguono e l’ascoltano. Come musicista, tutto ciò ti fa sentire una grossa responsabilità nei confronti del pubblico e anche della musica stessa.
Con "Pilgrim Road" avete abbandonato le atmosfere elettriche di "Let It Rolll" per riconnettervi piuttosto a un disco come "Regard The End". Mi puoi dire come è nato quest’ultimo disco? La tua è una giusta osservazione. Mentre "Let It Roll" era un album con un feeling da live band, "Pilgrim Road" ha le stesse radici e parte dalle stesse idee di "Regard The End". Già quando registrammo quel disco, sapevo che in futuro sarei tornato su quelle idee per elaborarle ulteriormente e spingerci oltre. Proprio durante il tour di "RTE" ci trovavamo a Glasgow, al 13th Note, per uno show; fu uno di quei concerti in cui tutto va male fin dall’inizio, con un sacco di problemi tecnici e una serie d’intoppi assortiti. Al termine del concerto, che portammo a termine facendo del nostro meglio, venne a parlarmi sto tizio molto timido che parlava a voce bassissima. Si presentò come compositore classico e mi offrì di collaborare con noi. All’inizio ero piuttosto scettico, nei nostri dischi avevamo già usato archi, fiati, piano, e come ti dicevo prima, non pianifico mai nulla con largo anticipo. Quel tizio era Malcolm Lindsay che ha co-scritto con me l’intero "Pilgrim Road".
Il nuovo disco espone nuove influenze rispetto al solito; ha sempre le radici nel suono americana ma poi va a toccare lidi cameristici e qualche sfumatura jazzata… Non credo ci sia del jazz.. Io lo vedo come una combinazione di diversi elementi. Malcolm è un musicista classico, ma ha anche suonato la chitarra in gruppi rock, è un conoscitore della musica folk. Abbiamo un background simile. Quando collabori con qualcuno, porti con te tutte le tue esperienze precedenti. Per questo disco ci siamo messi a scrivere e a registrare tutto nello stesso tempo, con molto istinto e poco ragionamento. Volevamo evitare di fare come quelle band che scrivono il pezzo e poi chiamano un arrangiatore ad appiccicargli gli archi sopra, io volevo che quelle parti fossero parte integrante della struttura stessa delle canzoni, una loro significativa voce emozionale. Volevo usare le viole, i violini, il violoncello o il vibrafono in modo inusuale e non convenzionale e inserirli in strutture anch’esse non classiche. Un pezzo come Painter Blue, ad esempio, non ha il ritornello. O meglio, esso è rappresentato da una partitura musicale, come in un movimento sinfonico. Poi, ovviamente, ci sono anche pezzi più tradizionali, che puoi canticchiare facilmente, canzoni dall’appeal pop inserite in un contesto un po’ diverso. Un’altra cosa a cui abbiamo prestato attenzione è stata quella di mantenere un approccio minimale, evitando di suonare pomposi e magniloquenti. Abbiamo ragionato secondo il motto jazz less is more.
Quando prima dicevo jazz, lo intendevo infatti come mood… Sì, "Jerusalem Bells" ha un mood jazz senza esserlo, così come anche "Water And Roses". "The Great Deceiver" ha, per contro, un mood blues pur essendo strutturalmente una folk-song.
Chi è la ragazza che canta in "The Great Deceveir"? Brava, eh? Si chiama Iona MacDonald, è parte di un duo, formato col suo ragazzo che suona la slide guitar; si chiamano Dog House Roses, sono di Glasgow e tra un paio di mesi dovrebbe uscire un loro disco. Ci eravamo conosciuti attraverso My Space e così, mentre ero a Glasgow a registrare il disco, ho notato che suonavano e sono andato a vederli. Da lì a proporgli di collaborare al disco, il passo è stato breve.
C'è una gran cura per gli arrangiamenti in "Pilgrim Road" . Io e Malcolm ci abbiamo lavorato intensamente per dieci giorni, senza essere inutilmente puntigliosi ma dandoci la possibilità di lavorare a fondo su di essi e di essere il più possibile articolati. Stavolta, poi, ho voluto essere un po’ meno passivo del solito con gli altri musicisti: ho consegnato loro delle parti strumentali da eseguire precise e definite, specificando che avrei accettato dei suggerimenti, ma sempre partendo dalle parti che gli avevo presentato.
Mi sembra che un po’ tutte le canzoni di "Pilgrim Road" affrontino il tema della spiritualità. Diresti che c’è una connessione evidente fra le varie canzoni che compongono l’album? Non particolarmente. Non tutte le canzoni affrontano lo stesso tema e anche quando lo fanno, hanno punti di vista differenti. In "The Great Deceveir" il protagonista della canzone chiede che gli sia mostrato il diavolo per poter riconoscere Dio, il che ne fa una sorta di inno rovesciato e la rende diversissima da "The Pugilist", dove al centro della scena c’è un lottatore che si batte per realizzare i propri desideri, pur tentando di conservare dentro di sé la propria spiritualità. Forse sono argomenti inconsueti ma, se ci pensi bene, temi come quello della fede sono molto dibattuti oggigiorno nel mondo. Comunque, non ho scritto premeditamente di queste cose, in qualche modo, alla fine della realizzazione del disco, io stesso me ne sono meravigliato. Ho solo tentato di scrivere nel modo più onesto possibile, senza curarmi troppo del risultato finale e dell’affresco che poi ne sarebbe venuto fuori.
Ci sono alcune parole che ricorrono spessissimo nelle recensioni dei vostri dischi: triste, malinconico, gotico. Che ne pensi? Ti dà fastidio la cosa? Penso sia una scappatoia molto facile metterla giù in questo modo, dire: è triste! Malinconico è un termine che invece ritengo appropriato: molta musica, film, libri, specie degli anni 50 e 60 è malinconica, termine che porta dentro di sé una certa dose di dolcezza, anche se oggi viene usato quasi esclusivamente in un’accezione negativa, cosa che ritengo sbagliata. E’ un termine che in realtà sottende una qualche forma di riflessione; la gente spesso non ha tempo e voglia di riflettere sulle cose che non funzionano, pensa solo a trovare una soluzione veloce ai problemi, non meditando a fondo su cose come la perdita, il dolore. Giù una pillola e tutto è risolto. Invece attraverso queste cose c’è molto da imparare su se stessi, sulla vita. Alla fine, la gente, leggendo quelle parole in una recensione, finisce per associarli a cose come la noia o la tristezza fine a se stessa, cosa che ovviamente non è.
Probabilmente molti di quei termini vengono usati anche come sininimo di intenso, emotivo... E’ un po’ lo stesso problema di quando si mettono le etichette ai dischi. Come quando dici a qualcuno che odia il country che quello è un disco country e questo basta a indurlo a non approfondirne la conoscenza, magari precludendosi la possibilità di scoprire qualcosa che potrebbe esser anche per lui significativo. Io preferirei che non si dicesse di cosa parlano le mie canzoni, lascerei al pubblico la possibilità di interpretarsele da solo e di metterci dentro qualcosa di loro stessi.
Molto spesso hai registrato i tuoi dischi in Europa; cosa ti lega al Vecchio Continente in questo senso? Il posto in cui registro, in realtà, è dettato solo da motivi di comodità legata agli impegni del momento. Ho registrato un po’ ovunque, Glasgow, Boston, la Slovenia, l’Olanda. Registrare in giro per il mondo, molto spesso mentre sono in tour, ti apre possibilità che non ti aspetteresti, un po’ come per il caso dei Dog House Roses che ti dicevo prima. Ultimamente ho registrato la mia voce per un pezzo di Cesare Basile mentre ero in Olanda, mentre lui era in studio con John Parish chissà dove. E’ stata una cosa completamente improvvisata e quasi accidentale ma bellissima se ci pensi. La moderna tecnologia ti permette queste cose ed è una vera conquista, fantastica da usare. Anche Jackie Leven aveva una canzone che assolutamente voleva cantassi io; così ce ne siamo andati in Galles, in un cottage in mezzo alla neve, a registrare. Sono tutte grandi avventure e belle esperienze, che danno forma a una sorta di community, di grande famiglia. "Pilgrim Road" è stato registrato a Glasgow perché Malcolm vive lì e io ero in tour in Europa. Dove si registra non ha molta importanza, ci si affida a una sorta di geografia mentale, anche se l’atmosfera particolare, grigia e piovosa, di Glasgow un po’ ha influito sul risultato finale.
Trovi differenze tra il pubblico americano ed europeo Cambia molto da paese a paese; in posti come l’Irlanda o l’Olanda la gente continua imperterrita a parlare durante i concerti, in Germania sono tutti molto tranquilli. Io sono uno storyteller e quindi, in paesi come la Spagna o l’Italia, mi devo un po’ limitare perché so che non tutti parlano inglese. Io però, più che alle differenze, preferisco pensare all’universalità del linguaggio musicale e a come questo possa essere recepito in maniera sostanzialmente simile, a prescindere dai contesti culturali, dalla lingua parlata, dalla storia di quel paese. E’ tutta una questione di onestà della presentazione, d’intensità emotiva, di qualità tecniche ovviamente. Recentemente sono stato in Portogallo e mi sono appassionato al fado, pur non comprendendo una sola parola di quello che viene detto nelle canzoni. In questo senso, generalmente, gli americani tendono a rifiutare la musica non in inglese, la cosa li spiazza, non fanno molta fatica. Nel resto del mondo ci sono paesi che hanno conservato le proprie radici musicali, come l’Italia dove puoi ascoltare ottima musica cantata in italiano e dove avete una tradizione culturale ricchissima, e altri dove invece la propria tradizione musicale è stata abbandonata a favore dei modelli globali dominanti.
Sei interessato all’aspetto politico delle canzoni? Bella domanda! Io, generalmente, tendo a scrivere canzoni svincolate da un aspetto temporale. Credo che i testi debbano poter fluttuare nel tempo in modo che anche fra cent’anni o in qualsiasi altro momento possano risultare freschi e attuali. Non scrivo mai di politica in maniera specifica; quando affronto argomenti politici lo faccio senza entrare nell’attualità, senza specificare date o avvenimenti precisi, tentando di affrontare la cosa in maniera più universale.
C’è qualche produttore con cui ti piacerebbe lavorare? Non saprei rispondere. Io stesso lo sono e, secondo me, il ruolo del produttore è quello di facilitare e sviluppare ciò che c’è nella mente del gruppo, spingendoli oltre i loro confini, verso territori inesplorati. E’ una vera e propria sfida! Ora, se questo è quello che cerco in un produttore non saprei chi scegliere, perché dovrei conoscerli personalmente per sapere se possono fare qualcosa per me. Non sono affatto interessato al nome del produttore di grido, a quello che ha quello specifico suono che farebbe suonare il mio disco in quella precisa maniera. Io, piuttosto, cerco una sorta di purezza, di suono naturale degli strumenti.
E invece, gli artisti di qualsiasi disciplina che sono stati importanti per te? Oh, la lista potrebbe essere lunghissima, lungo un asse che va da Robert Rauschenberg fino a mio nonno (che era un suonatore di contrabbasso e fino a due anni fa neanche lo sapevo!), che mi ha influenzato come persona, non come musicista. Devi sempre avere dei modelli alti; quello a cui servono gli eroi, a prescindere dal talento che hai, è lo spingerti a fare sempre meglio e andare oltre le tue capacità. Loro mi spingono ad avere il loro stesso coraggio e la loro stessa ambizione, senza imitarne il suono però, ma attingendo piuttosto dalla loro attitudine e acquisendo il loro coraggio di sperimentare. Molte band fanno l’errore di voler imitare il suono della musica che amano, evitando di andare invece a cercare la propria vera voce.
Credo che nella musica dei Willard Grant Conspiracy ci sia una forte componente cinematica. Mai pensato di scrivere una colonna sonora? Sarebbe molto divertente farlo. Spero sempre che qualcuno prima o poi me lo chieda. La musica ha una componente visiva molto forte e mi piace molto l’idea che essa possa creare spazi e tempi nella mente dell’ascoltatore e che una sola canzone lo possa fare in miriadi di modi diversi a seconda dello stesso.
Un pezzo come "Vespers" ti fa sentire come se stessi mettendo piede dentro una cattedrale! E’ una canzone molto strana quella, solo due viole e quella specie di austero coro maschile russo con dentro Jackie Leven. La parte musicale è un estratto dalla musica per un balletto che Malcolm aveva scritto in Scozia e su cui vedeva benissimo la mia voce. Dal momento in cui mi propose la cosa alla sua realizzazione non passarono che poche ore: i versi li scrissi tutti di getto come in una specie di trance e registrammo la voce la sera stessa sulla partitura di viole. Tutto è andato alla perfezione, una sorta di dono dal cielo. E’ una canzone che amo molto, intensa, oscura, non facile. A volte un po’ mi spaventa, come un po’ tutto il disco.. Mi chiedo: "Non avrò esagerato?". Pezzi come "Jerusalem Bells" o "Water And Roses", a risentirli, mi domando come abbia fatto ad arrivarci. Verra capito? Spero di sì!
Scrivere ti viene facile oppure no, generalmente? E’ essenziale tenersi ricettivo verso qualsiasi fonte d’ispirazione. La nostra vita è programmata molto intensamente e quindi quando questa arriva, non è detto che tu abbia il tempo di recepirla e agire su di essa. Spesso non si ha neppure la possibilità di riconoscerla perché si è concentrati su altro; in qualità di songwriter, pur avendo la stessa vita complicata di qualsiasi altro, cerco di lasciare degli spazi per riconoscere e agire sull’ispirazione. Bisogna essere abbastanza onesti anche da capirne la qualità: quello che un giorno ti sembra fantastico, il giorno dopo potrebbe rivelarsi pura spazzatura. Sembra facile ma non lo è.
Come vedi il music business oggi e dove si collocano i Willard Grant Conspiracy all’interno di esso? Se fosse un palazzo, probabilmente in cantina. Non credo che il music business sia particolarmente diverso dagli altri tempi oggi: c’è un sacco di merda ma anche un sacco di roba ispirata, come sempre, con una predominanza della prima sulla seconda (fanno eccezione gli anni 60 e l’era punk, ma quelli erano tempi fuori dal comune). Quello che è realmente cambiato è il contesto culturale: la gente non sa più riconoscere la qualità perché è stata abituata a degli standard molto bassi, come se si trattasse di fast food. I discografici cercano di vendere il più possibile e nel più breve tempo immaginabile, fregandosene del coltivare artisti a lungo termine ma cercando di sfruttare al massimo il momento immediato; per fare questo hanno livellato la qualità su standard bassissimi, attraverso prodotti vuoti e incosistenti ma il più largamente possibile vendibili e comprensibili.
Per finire, mi devi proprio togliere una curiosità: come mai "Malpensa" si intitola così, come l’aeroporto internazionale di Milano? Bé, è una storia divertente.. Dovevo andare da Zurigo a Malta ed ero stato costretto a fare scalo a Malpensa dove avevo un’attesa di più di quattro ore, prima di potermi imbarcare. Il mio bagaglio era già stato spedito, il libro che stavo leggendo l’avevo finito e stavo sentendo musica nel mio i-Pod mentre guardavo fuori dalle vetrate il paesaggio e gli altri passeggeri intorno a me. E poi, bang, di colpo, mi viene in mente una melodia! Accidenti, mi dico, questa è una canzone! Non avevo con me né carta né penna, né alcun modo per registrarla o fissarla da qualche parte. Sono andato avanti per le cinque ore successive, fino a che non sono giunto in albergo e ho potuto metter mano al registratore, a canticchiarmela fra me e me, ininterrottamente. Quando raccontai questa storia a Malcolm, mi suggerì di chiamare la canzone così, in onore di quella che, in tutto e per tutto, era stata la madre della canzone, Malpensa! E per una canzone che parla di lasciarsi le cose alle spalle, il nome di un aeroporto mi sembra proprio azzeccato! Di tutti i problemi riguardanti l’abbandono dei voli di Alitalia e di tutti gli aspetti politici della faccenda so poco e nulla. Non era questo il tema della canzone!
venerdì 5 dicembre 2008
Judas Priest
La frase d'autore:
"Non tradire chi ti sorride: potrebbe avere la morte nel cuore e regalarti ugualmente un po' di vita" (Jim Morrison)