Stairway to Heaven è uno dei brani più famosi dei Led Zeppelin ed è contenuto in “Led Zeppelin IV”. La canzone, acclamata per la sua composizione, è stata anche bersagliata per un presunto contenuto di messaggi subliminali di matrice satanica. Secondo alcune interpretazioni un verso della canzone, ascoltato al contrario, conterrebbe un inno demoniaco.
mercoledì 31 gennaio 2024
Il mistero di Stairway to Heaven
Stairway to Heaven è uno dei brani più famosi dei Led Zeppelin ed è contenuto in “Led Zeppelin IV”. La canzone, acclamata per la sua composizione, è stata anche bersagliata per un presunto contenuto di messaggi subliminali di matrice satanica. Secondo alcune interpretazioni un verso della canzone, ascoltato al contrario, conterrebbe un inno demoniaco.
martedì 30 gennaio 2024
La tragica e intensa vita di Bessie Smith, l'Imperatrice del blues
La recente lettura del libro di Antonio Pellegrini, “BLUES-La musica del diavolo”, mi ha portato ad approfondire la storia di Bessie Smith, cantante blues statunitense, molto famosa durante l'età del jazz.
Soprannominata "Empress
of the Blues", è stata la cantante blues femminile più popolare del 1930.
Inserita nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1989, è spesso considerata una
delle più grandi cantanti della sua epoca ed ha esercitato una grande influenza
sui colleghi cantanti blues, così come sui cantanti jazz.
Traduco dall’inglese la sintesi della sua storia…
In pillole… nata a Chattanooga, in Tennessee, Smith era molto giovane quando i genitori morirono, e lei e i suoi sei fratelli sopravvissero esibendosi agli angoli delle strade. Iniziò a fare tournée con un gruppo che includeva Ma Rainey, ma alla fine scelse di esibirsi da sola. La sua carriera discografica di successo con la Columbia Records iniziò nel 1923, ma fu interrotta da un drammatico incidente d'auto durante il quale perse la vita all'età di 43 anni.
Primi anni di vita
Il censimento
del 1900 indica che la sua famiglia riferì che Bessie Smith era nata a
Chattanooga, Tennessee, nel luglio 1892. Nel censimento del 1910 dichiara 16
anni e una data di nascita che risale al 15 aprile 1894, che apparirà poi sui
documenti successivi, ufficialmente riconosciuta per il festeggiamento dei
compleanni. I censimenti del 1870 e del 1880 riportano diversi fratelli o
fratellastri maggiori.
Smith era la figlia di Laura e William Smith, un operaio e predicatore battista part-time (era elencato nel censimento del 1870 come "ministro del Vangelo", a Moulton, Lawrence County, Alabama). Morì quando sua figlia era troppo giovane per ricordarselo. Quando Bessie aveva nove anni, anche sua madre e un fratello morirono. La sorella maggiore Viola si occupò della cura dei fratelli. Di conseguenza, Bessie non fu in grado di ottenere un'istruzione per gli ovvi problemi famigliari ed economici.
A causa della morte dei suoi genitori e della sua povertà, Bessie visse quindi una "infanzia miserabile". Per guadagnare qualcosa Bessie e suo fratello Andrew suonavano per le strade di Chattanooga. Lei cantava e ballava mentre lui suonava la chitarra. Spesso si esibivano agli "angoli delle strade per pochi centesimi" e la loro posizione abituale era di fronte al White Elephant Saloon a Thirteenth e Elm Street, nel cuore della comunità afroamericana della città.
Nel 1904, suo fratello maggiore Clarence lasciò casa e si unì a una piccola compagnia itinerante di proprietà di Moses Stokes. "Se Bessie fosse stata abbastanza grande, sarebbe andata con lui", disse successivamente la vedova di Clarence, Maud. "Ecco perché se n'è andato senza dirglielo, ma Clarence mi ha detto che era pronta, anche allora. Certo, era solo una bambina".
Nel 1912,
Clarence tornò a Chattanooga con la troupe di Stokes e organizzò un'audizione
per sua sorella con i manager della troupe, Lonnie e Cora Fisher. Bessie fu
assunta come ballerina piuttosto che come cantante poiché la compagnia
includeva già la popolare cantante Ma Rainey. I resoconti contemporanei
indicano che Ma Rainey non insegnò a Smith a cantare, ma probabilmente la aiutò
a sviluppare una presenza scenica. Smith alla fine passò ad esibirsi in linee
di coro, rendendo il "81" Theatre di Atlanta la sua base di partenza.
Si esibì anche in spettacoli sul circuito di proprietà nera della Theater
Owners Booking Association (T.O.B.A.) e sarebbe diventata una delle sue
principali attrazioni.
Iniziò a formare il proprio spettacolo intorno al 1913, al "81" Theatre di Atlanta. Nel 1920, si era creata una reputazione nel sud e lungo la costa orientale. All'epoca, le vendite di oltre 100.000 copie di "Crazy Blues", registrata per Okeh Records dalla cantante Mamie Smith (nessuna parentela), indicavano un nuovo mercato. L'industria discografica non aveva focalizzato il suo prodotto sui musicisti di colore, ma il successo del disco portò alla ricerca di cantanti blues femminili.
Sperando di
capitalizzare su questo nuovo mercato, Smith iniziò la sua carriera
discografica nel 1923; firmò un contratto con la Columbia Records nel 1923 con
Frank Walker, un agente, scopritore di talenti, che l'aveva vista esibirsi anni
prima.
La sua prima sessione di registrazione per la Columbia avvenne il 15 febbraio 1923, progettata da Dan Hornsby che era alla ricerca di talenti musicali. Per la maggior parte del 1923, i suoi dischi furono pubblicati sulla serie A regolare della Columbia. Quando la compagnia stabilì di promuovere una serie di "race records", "Cemetery Blues" di Smith (26 settembre 1923) fu il primo emesso. Entrambi i lati del suo primo disco, "Downhearted Blues" accompagnato da "Gulf Coast Blues", furono dei successi.
Con
l'aumentare della sua popolarità, Smith divenne un headliner nel circuito della
Theatre Owners Booking Association (T.O.B.A.), principale attrazione nel 1920.
Lavorando ad un pesante programma teatrale durante l'inverno ed esibendosi in
spettacoli di tenda il resto dell'anno, Smith divenne l'intrattenitrice nera
più pagata del suo tempo e iniziò a viaggiare nel suo vagone ferroviario personale
lungo una ventina di metri. Il dipartimento pubblicitario della Columbia la
soprannominò "Regina del Blues", ma la stampa nazionale presto
aggiornò il suo titolo a "Empress of the Blues".
La sua musica sottolineava l'indipendenza, l'impavidità e la libertà sessuale, sostenendo implicitamente che le donne della classe operaia non dovevano modificare il loro comportamento per essere degne di rispetto.
Nonostante il suo successo, né lei né la sua musica furono accettate in tutti i circoli. Si ricorda un'audizione per la Black Swan in cui non fu accettata perché considerata troppo rude, poiché presumibilmente smise di cantare per sputare. Gli uomini d'affari coinvolti con la Black Swan Records furono sorpresi quando divenne la diva di maggior successo perché il suo stile era abbastanza ruvido. Anche i suoi ammiratori – bianchi e neri – la consideravano una donna "rozza" (cioè, facente parte della classe operaia o addirittura "classe bassa").
Smith aveva una forte voce da contralto, che si evidenziava anche quando le registrazioni venivano fatte in acustico. L'avvento della registrazione elettrica rese la potenza della sua voce ancora più evidente. La sua prima registrazione elettrica fu "Cake Walking Babies [From Home]", che risale al 5 maggio 1925. Beneficiò anche della nuova tecnologia delle trasmissioni radiofoniche, anche nelle stazioni del Sud segregato. Ad esempio, dopo aver tenuto un concerto a un pubblico di soli bianchi in un teatro di Memphis, nell'ottobre 1923, eseguì un concerto a tarda notte sulla stazione WMC, che fu ben accolto dal pubblico radiofonico. Musicisti e compositori come Danny Barker e Tommy Dorsey paragonarono la sua presenza a quella di un predicatore, a causa della sua capacità di rapire e commuovere il suo pubblico.
Per la Columbia realizzò 160 registrazioni, spesso accompagnata dai migliori musicisti dell'epoca, in particolare Louis Armstrong, Coleman Hawkins, Fletcher Henderson, James P. Johnson, Joe Smith e Charlie Green. Un certo numero di registrazioni di Smith - come "Alexander's Ragtime Band" nel 1927 - divennero rapidamente tra i dischi più venduti dei rispettivi anni di pubblicazione.
La carriera di Smith fu interrotta dalla Grande Depressione - che quasi mise fuori mercato l'industria discografica - e dall'avvento del suono nel cinema, che segnò la fine del vaudeville. Tuttavia, non smise mai di esibirsi. I giorni degli elaborati spettacoli di vaudeville erano finiti, ma Smith continuò a fare tournée e occasionalmente cantò nei club. Nel 1929, apparve in un musical di Broadway, Pansy, anche se la commedia fu un flop.
Nel novembre
1929, Smith fece la sua unica apparizione cinematografica, recitando in un film
a due rulli, St. Louis Blues, basato sull'omonima canzone del
compositore W. C. Handy. Nel film, diretto da Dudley Murphy e girato ad
Astoria, nel Queens, canta la canzone del titolo accompagnata dai membri
dell'orchestra di Fletcher Henderson, dal Coro Hall Johnson, dal pianista James
P. Johnson e da una sezione d'archi, un ambiente musicale radicalmente diverso
da quello di qualsiasi sua registrazione.
Nel 1933,
John Henry Hammond, che era anche mentore di Billie Holiday, chiese a Smith di
registrare quattro lati per la Okeh Records (che era stata acquisito dalla
Columbia Records nel 1925). Affermò di averla trovata in semi-oscurità, "lavorando
come hostess in uno speakeasy su Ridge Avenue a Filadelfia". Smith
lavorò all'Art's Cafe di Ridge Avenue, ma non come hostess e non fino
all'estate del 1936. Nel 1933, quando realizzò i lati di Okeh, era ancora in
tour. Hammond era noto per la sua memoria selettiva e gli abbellimenti
gratuiti.
Smith spostò
la sua arte in qualcosa che si adattava all'era dello swing. L'accompagnamento
relativamente moderno era notevole. La band comprendeva musicisti dell'era
swing, come il trombonista Jack Teagarden, il trombettista Frankie Newton, il
sassofonista tenore Chu Berry, il pianista Buck Washington, il chitarrista
Bobby Johnson e il bassista Billy Taylor. Hammond non fu del tutto soddisfatto
dei risultati, preferendo che Smith rivisitasse il suo vecchio suono blues.
"Take Me for a Buggy Ride" e "Gimme a Pigfoot",
entrambe scritte da Wesley Wilson, furono tra le sue registrazioni più
popolari.
La morte
Il 26 settembre 1937, Smith rimase gravemente ferita in un incidente d'auto sulla U.S. Route 61 tra Memphis, Tennessee, e Clarksdale, Mississippi. Il suo amante, Richard Morgan, in quel momento al volante, giudicò male la velocità di un camion che si muoveva lentamente davanti a lui. I segni di slittamento sulla scena suggerirono che Morgan cercò di evitare il camion passando sulla sinistra, ma colpì la parte posteriore del camion ad alta velocità. Il portellone del camion si staccò dal tetto di legno del vecchio veicolo Packard della cantante. Smith, che era sul sedile del passeggero, probabilmente con il braccio destro o il gomito fuori dal finestrino, subì tutto il peso dell'impatto. Morgan ne uscì senza ferite.
La prima persona che arrivò sulla scena fu un chirurgo di Memphis, il dottor Hugh Smith (nessuna parentela). Nei primi anni 1970, Hugh Smith diede un resoconto dettagliato della sua esperienza al biografo di Bessie, Chris Albertson, che diventa quindi la testimonianza oculare più affidabile sugli eventi che circondano la sua morte.
Arrivato
sulla scena, Hugh Smith esaminò Bessy che giaceva in mezzo alla strada con
ferite ovviamente gravi. Stimò che aveva perso circa mezzo litro di sangue e notò
immediatamente una grave lesione traumatica: il suo braccio destro era quasi completamente
reciso al gomito. Affermò che questa ferita da sola non ne causò la morte.
Sebbene la luce fosse scarsa, osservò solo lievi ferite alla testa. Attribuì la
morte a lesioni da schiacciamento estese e gravi su tutto il lato destro del
suo corpo, coerenti con una collisione laterale.
Henry
Broughton, un compagno di pesca del Dr. Smith, lo aiutò a spostare Bessie sul
ciglio della strada. Smith fasciò la ferita al braccio con un fazzoletto pulito
e chiese a Broughton di andare in una casa vicina a chiamare un'ambulanza.
Quando Broughton ritornò, circa 25 minuti dopo, Bessie Smith era sotto shock.
Il tempo passava senza alcun segno dell'ambulanza, così Hugh Smith suggerì di portarla a Clarksdale con la sua auto. Lui e Broughton avevano quasi finito di liberare il sedile posteriore quando sentirono il rumore di un'auto che si avvicinava ad alta velocità. Smith fece lampeggiare le luci in segno di avvertimento, ma il mezzo in arrivo non riuscì a rallentare e si schiantò contro la sua auto a tutta velocità, andando a sbattere contro la Packard di Bessie Smith, distruggendola completamente e spostando il mezzo del dottore nel fossato sulla destra, mancando a malapena Broughton e Bessie Smith.
La giovane coppia nell'auto in corsa non riportò ferite mortali. Due ambulanze arrivarono poi da Clarksdale: una dall'ospedale nero, chiamata da Broughton, la seconda dall'ospedale bianco.
Bessie fu portata al G. T. Thomas Afro-American Hospital di Clarksdale, dove le fu amputato il braccio destro. Morì quella mattina senza riprendere conoscenza. Dopo la sua morte, emerse una storia spesso ripetuta, ma ora screditata, secondo cui morì perché un ospedale per soli bianchi a Clarksdale si era rifiutato di ammetterla. Lo scrittore e produttore jazz John Hammond fornì questo resoconto in un articolo nel numero di novembre 1937 della rivista DownBeat. Le circostanze della morte di Smith e le voci riportate da Hammond costituirono la base per l'opera teatrale in un atto di Edward Albee del 1959 The Death of Bessie Smith.
"L'ambulanza di Bessie Smith non sarebbe andata in un ospedale bianco; puoi dimenticarlo", disse Hugh Smith ad Albertson. "Giù nella Deep South Cotton Belt, nessun autista di ambulanza, o autista bianco, avrebbe mai pensato di mettere una persona di colore in un ospedale per bianchi".
Il funerale di Smith si tenne a Filadelfia poco più di una settimana dopo, il 4 ottobre 1937. Inizialmente, il suo corpo fu disposto nella casa funeraria di Upshur. Mentre la notizia della sua morte si diffondeva attraverso la comunità nera di Filadelfia, il suo corpo dovette essere trasferito alla O. V. Catto Elks Lodge per ospitare le circa 10.000 persone in lutto che si presentarono davanti alla sua bara domenica 3 ottobre. I giornali dell'epoca riportarono che al suo funerale parteciparono circa settemila persone. Molte meno persone presenziarono alla sepoltura al Mount Lawn Cemetery, nella vicina Sharon Hill. Jack Gee vanificò tutti gli sforzi per acquistare una pietra per la sua ex moglie, intascando una o due volte i soldi raccolti a tale scopo.
La tomba di Smith rimase senza nome fino a quando una lapide fu eretta il 7 agosto 1970, pagata dalla cantante Janis Joplin e Juanita Green, che da bambina aveva fatto le faccende domestiche per Smith. Dory Previn scrisse una canzone su Joplin e la lapide, "Stone for Bessie Smith"per il suo album Mythical Kings and Iguanas. L'Afro-American Hospital (ora Riverside Hotel) è stato il luogo della dedica del quarto indicatore storico sul Mississippi Blues Trail.
Vita
privata
Nel 1923,
Smith viveva a Filadelfia quando incontrò Jack Gee, una guardia di sicurezza,
che sposò il 7 giugno 1923, proprio mentre il suo primo disco veniva
pubblicato. Durante il matrimonio, Smith divenne l'intrattenitrice nera più
pagata dell'epoca, dirigendo i suoi spettacoli, che a volte presentavano fino a
40 troupers, e girando con il suo vagone ferroviario costruito su misura.
Il loro
matrimonio fu burrascoso con infedeltà da entrambe le parti, tra cui numerose
partner sessuali femminili per Bessie. Gee fu impressionato dal denaro, ma non
si adattò mai alla vita commerciale o alla bisessualità di Smith. Nel 1929,
quando seppe della sua relazione con un'altra cantante, Gertrude Saunders,
Smith pose fine alla relazione, anche se nessuno dei due chiese il divorzio.
Smith in
seguito si sposò con un vecchio amico, Richard Morgan, che era lo zio di Lionel
Hampton. Rimase con lui fino alla sua morte.
Temi
musicali
Canzoni come "Jail House Blues", "Work House Blues", "Sing Sing Prison Blues" e "Send Me to the 'Lectric Chair" trattavano criticamente questioni sociali del giorno come il problema delle gang, il trattamento dei detenuti e la pena capitale. "Poor Man's Blues" e "Washwoman's Blues" sono considerati dagli studiosi una delle prime forme di musica di protesta afroamericana.
Ciò che diventa evidente dopo aver ascoltato la sua musica e studiato i suoi testi è come Smith abbia saputo enfatizzare e incanalare una sottocultura all'interno della classe operaia afroamericana. Inoltre, attraverso i suoi testi, ha smosso le coscienze su questioni sociali come la povertà, il conflitto intra-razziale e la sessualità femminile. La sua sincerità lirica e il suo comportamento pubblico non erano ampiamente accettati come espressioni appropriate per le donne afroamericane, pertanto, il suo lavoro è stato spesso liquidato come sgradevole o sconveniente, piuttosto che come una rappresentazione accurata dell'esperienza afroamericana.
Il lavoro di Smith ha sfidato le norme elitarie incoraggiando le donne della classe operaia ad abbracciare il loro diritto di bere, festeggiare e soddisfare i loro bisogni sessuali come mezzo per far fronte allo stress e all'insoddisfazione nella loro vita quotidiana. Smith sosteneva una visione più ampia della femminilità afroamericana al di là della domesticità, della pietà e del conformismo. Cercò l'empowerment e la felicità attraverso l'indipendenza, la tranquillità e la libertà sessuale. Sebbene Smith fosse una voce per molti gruppi minoritari e una delle più dotate interpreti blues del suo tempo, i temi della sua musica erano precoci, il che portò molti a credere che il suo lavoro non meritasse un serio riconoscimento.
lunedì 29 gennaio 2024
L'ultimo progetto della Banda Venturi: scopriamolo nell'articolo
PMS Studio
EDIZIONI BMRG Srl
Banda Venturi propone l’album “L’amore al
tempo della Lira”, titolo icastico, che lascia intravedere molti
dei contenuti. Accade. Esistono incipit criptici, che spingono alla scoperta di
ciò che si nasconde dietro una copertina e sollecitano la curiosità; e poi ci
sono denominazioni che, associate ad un personaggio conosciuto, regalano
qualche certezza.
Il “personaggio” a cui faccio riferimento è Gianni Venturi,
musicista che ho conosciuto personalmente e che seguo dal 2012, quando la sua necessità
artistica del momento lo spingeva verso lidi ... progressivi.
Mano a mano che i suoi progetti si succedono - e sono tanti e
variegati - avverto forte il suo bisogno di un ritorno alle radici, un concetto
che conosco bene perché colpisce anche lo scrivente e molte delle persone che
lo circondano.
Tutto il bello che emerge da lavori come “L’amore al tempo
della Lira” mi pare correlato alla maturità, quello stato a
cui tutti - o quasi - prima o poi arrivano, e che propone come altra faccia
della medaglia il termine libertà.
Libertà di pensiero, di mostrare sentimenti un tempo accuratamente
celati, di calcare i sentieri più disparati senza pudore alcuno.
Un commento ad un album, a mio giudizio, dovrebbe evidenziare ciò che l’ascolto ha generato, un sunto molto soggettivo a cui unire
aspetti tecnici e informazioni obiettive, e in questa ottica mi piace mettere
in rilievo ciò che il disco mi ha lasciato.
Facile immedesimarsi. Facile per me estrapolare il concetto
di felicità, abusato e confuso con quello più realistico che prende il nome di
serenità.
La felicità porta a momenti che ti levano il respiro, attimi
che possono nascere da differenti situazioni, ma che sicuramente sono legati al
concetto di amore: l’arrivo di un figlio, la nascita di un rapporto di coppia, la
bellezza che deriva dalla mera contemplazione di un’opera d’arte, di un’atmosfera,
del viso di una donna o di un uomo.
Nei dieci brani proposti da Banda Venturi ho trovato tutto
questo, ho ritrovato la mia storia e ho pensato a quanto sia bello poter cristallizzare
memoria e vicende in arte permanente. Gli amori raccontati da Gianni Venturi
and friends sono quelli di tutti, ma soprattutto delle persone semplici e
virtuose, quelle che riescono a prendere atto che nella vita esistono priorità
che ci accompagnano ed uniscono, lungo il percorso che ci è concesso.
L’ambientazione riporta ad una grande balera, dove la fisarmonica
domina, il tango imperversa, le danze spingono a luoghi di periferia, mentre il
menestrello raggiunge il punto nobile del palco e racconta le sue storie: così
nascono amori impossibili, incontri da toccata e fuga, legami lunghi una vita,
gioie esplosive della durata di un’ora o… per sempre.
E ad ogni rottura il dolore, il polo contrapposto alla
felicità, un malessere che solo un altro amore può scacciare definitivamente.
Esiste un rifugio dove trovare conforto incondizionato? La
famiglia, quella che rappresenta il porto sicuro e il punto di riferimento per
un tempo infinito.
A proposito di famiglia, nel suo viaggio Gianni Venturi è
accompagnato in veste autorale da Raffaele Montanari, ma leggendo le
note del comunicato vedo la presenza di altri due “Venturi”, Maurizio e Valerio,
che non conosco, ma immagino rappresentino quegli affetti che non si possono
mettere in secondo piano.
Leggendo le note biografiche a seguire, il team al lavoro
prenderà la sua connotazione totale.
Segnalo il brano/video “Devi volerti bene”, dedicato
alle donne, un messaggio di amore e di rispetto fruibile al seguente link:
https://mat2020comunicatistampa.blogspot.com/2024/01/banda-venturi-devi-volerti-bene.html
Un grande album, un argomento che da sempre alimenta le
canzoni, un iter narrativo unico. Nel mio ascolto solitario registro un accenno
di lacrima… come scrivevo poc’anzi, nessuno pudore ormai può essere ostacolo
alla rappresentazione dei miei sentimenti!
Dice Gianni Venturi…
L’album contiene 10 Brani, alcuni trattano l’amore, un amore con cicatrici, segnato dal tempo, un amore però oltre il tempo, perché le emozioni non hanno età. Altri brani sono lo specchio dell’anima gitana, parlano della memoria, del senso di colpa, degli abbracci trattenuti e i baci sospesi.
Biografia
Una band di diversamente giovane, anche se appaiono evidenti
le cicatrici della vita, come è normale che sia, ma il cuore, il cuore è privo
di rughe, e la mente naviga in un universo senza tempo. L’anima della Madre
Gitana, attraversa la loro composizione e la loro vita, senza radici apparenti,
la vera radice è il viaggio, la ricerca. La fisarmonica del Padre ed il loro
tango hanno riempito di musica ogni attimo di dolore trasformandolo in note.
Hanno conosciuto la balera, hanno danzato la musica della balera, lustrini e
balli di un altro tempo, hanno conosciuto l’amore con le sue lacrime ed i suoi
sorrisi. Ognuno dei fratelli ha seguito il suo percorso, ma era destino che si
ritrovassero tra queste note, in questo disco che parla di loro e di chiunque
ci si riconosce! “L’Amore al tempo della Lira” è un disco profondo, epico, un
disco innamorato dell’amore. In questo viaggio sono stati accompagnati da un
fratello in musica: Gigi Cavalli Cocchi, batterista storico di Ligabue, e dei
CSI, come loro diversamente giovane, zingaro percussivo. E Manuela Turrini che
dalla balera, è arrivata al Tango navigando nel mare intenso della musica
dell’anima.
BRANI
1. Tutto l’amore che ho dentro
2. Carezze
3. Devi volerti bene
4. Castelli di nebbia
5. Le rose di maggio
6. Il suonatore e la ballerina
7. Lo spioncino della notte
8. L’amore al tempo della Lira
9. Salvami
10. La mia famiglia
Link digital
store:
https://fanlink.to/lamorealtempodellalira
Banda Venturi-“L’amore al tempo della Lira”
PMS Studio
EDIZIONI BMRG Srl
Banda Venturi propone l’album “L’amore al
tempo della Lira”, titolo icastico, che lascia intravedere molti
dei contenuti. Accade. Esistono incipit criptici, che spingono alla scoperta di
ciò che si nasconde dietro una copertina e sollecitano la curiosità; e poi ci
sono denominazioni che, associate ad un personaggio conosciuto, regalano
qualche certezza.
Il “personaggio” a cui faccio riferimento è Gianni Venturi,
musicista che ho conosciuto personalmente e che seguo dal 2012, quando la sua necessità
artistica del momento lo spingeva verso lidi ... progressivi.
Mano a mano che i suoi progetti si succedono - e sono tanti e
variegati - avverto forte il suo bisogno di un ritorno alle radici, un concetto
che conosco bene perché colpisce anche lo scrivente e molte delle persone che
lo circondano.
Tutto il bello che emerge da lavori come “L’amore al tempo
della Lira” mi pare correlato alla maturità, quello stato a
cui tutti - o quasi - prima o poi arrivano, e che propone come altra faccia
della medaglia il termine libertà.
Libertà di pensiero, di mostrare sentimenti un tempo accuratamente
celati, di calcare i sentieri più disparati senza pudore alcuno.
Un commento ad un album, a mio giudizio, dovrebbe evidenziare ciò che l’ascolto ha generato, un sunto molto soggettivo a cui unire
aspetti tecnici e informazioni obiettive, e in questa ottica mi piace mettere
in rilievo ciò che il disco mi ha lasciato.
Facile immedesimarsi. Facile per me estrapolare il concetto
di felicità, abusato e confuso con quello più realistico che prende il nome di
serenità.
La felicità porta a momenti che ti levano il respiro, attimi
che possono nascere da differenti situazioni, ma che sicuramente sono legati al
concetto di amore: l’arrivo di un figlio, la nascita di un rapporto di coppia, la
bellezza che deriva dalla mera contemplazione di un’opera d’arte, di un’atmosfera,
del viso di una donna o di un uomo.
Nei dieci brani proposti da Banda Venturi ho trovato tutto
questo, ho ritrovato la mia storia e ho pensato a quanto sia bello poter cristallizzare
memoria e vicende in arte permanente. Gli amori raccontati da Gianni Venturi
and friends sono quelli di tutti, ma soprattutto delle persone semplici e
virtuose, quelle che riescono a prendere atto che nella vita esistono priorità
che ci accompagnano ed uniscono, lungo il percorso che ci è concesso.
L’ambientazione riporta ad una grande balera, dove la fisarmonica
domina, il tango imperversa, le danze spingono a luoghi di periferia, mentre il
menestrello raggiunge il punto nobile del palco e racconta le sue storie: così
nascono amori impossibili, incontri da toccata e fuga, legami lunghi una vita,
gioie esplosive della durata di un’ora o… per sempre.
E ad ogni rottura il dolore, il polo contrapposto alla
felicità, un malessere che solo un altro amore può scacciare definitivamente.
Esiste un rifugio dove trovare conforto incondizionato? La
famiglia, quella che rappresenta il porto sicuro e il punto di riferimento per
un tempo infinito.
A proposito di famiglia, nel suo viaggio Gianni Venturi è
accompagnato in veste autorale da Raffaele Montanari, ma leggendo le
note del comunicato vedo la presenza di altri due “Venturi”, Maurizio e Valerio,
che non conosco, ma immagino rappresentino quegli affetti che non si possono
mettere in secondo piano.
Leggendo le note biografiche a seguire, il team al lavoro
prenderà la sua connotazione totale.
Segnalo il brano/video “Devi volerti bene”, dedicato
alle donne, un messaggio di amore e di rispetto fruibile al seguente link:
https://mat2020comunicatistampa.blogspot.com/2024/01/banda-venturi-devi-volerti-bene.html
Un grande album, un argomento che da sempre alimenta le
canzoni, un iter narrativo unico. Nel mio ascolto solitario registro un accenno
di lacrima… come scrivevo poc’anzi, nessuno pudore ormai può essere ostacolo
alla rappresentazione dei miei sentimenti!
Dice Gianni Venturi…
L’album contiene 10 Brani, alcuni trattano l’amore, un amore con cicatrici, segnato dal tempo, un amore però oltre il tempo, perché le emozioni non hanno età. Altri brani sono lo specchio dell’anima gitana, parlano della memoria, del senso di colpa, degli abbracci trattenuti e i baci sospesi.
Biografia
Una band di diversamente giovane, anche se appaiono evidenti
le cicatrici della vita, come è normale che sia, ma il cuore, il cuore è privo
di rughe, e la mente naviga in un universo senza tempo. L’anima della Madre
Gitana, attraversa la loro composizione e la loro vita, senza radici apparenti,
la vera radice è il viaggio, la ricerca. La fisarmonica del Padre ed il loro
tango hanno riempito di musica ogni attimo di dolore trasformandolo in note.
Hanno conosciuto la balera, hanno danzato la musica della balera, lustrini e
balli di un altro tempo, hanno conosciuto l’amore con le sue lacrime ed i suoi
sorrisi. Ognuno dei fratelli ha seguito il suo percorso, ma era destino che si
ritrovassero tra queste note, in questo disco che parla di loro e di chiunque
ci si riconosce! “L’Amore al tempo della Lira” è un disco profondo, epico, un
disco innamorato dell’amore. In questo viaggio sono stati accompagnati da un
fratello in musica: Gigi Cavalli Cocchi, batterista storico di Ligabue, e dei
CSI, come loro diversamente giovane, zingaro percussivo. E Manuela Turrini che
dalla balera, è arrivata al Tango navigando nel mare intenso della musica
dell’anima.
BRANI
1. Tutto l’amore che ho dentro
2. Carezze
3. Devi volerti bene
4. Castelli di nebbia
5. Le rose di maggio
6. Il suonatore e la ballerina
7. Lo spioncino della notte
8. L’amore al tempo della Lira
9. Salvami
10. La mia famiglia
Link digital
store:
https://fanlink.to/lamorealtempodellalira
Ricordando Lally Stott e i Motowns-Cliccare sul "blu" per vedere ed ascoltare... un paio di ore basteranno!
Sono “caduto” casualmente su The Motowns, gruppo musicale beat britannico della
seconda metà degli anni Sessanta, noto in Italia come parte della cosiddetta
Brit-it invasion. Giunse a Firenze proprio nei giorni dell'alluvione del 1966,
nella quale perse la strumentazione e l'impianto di amplificazione. Un buon
inizio!
Li ricordo molto bene!
Scoperto e lanciato al Piper Club di
Roma dal produttore Alberigo Crocetta, poi scritturato dalla RCA Italiana, il
gruppo partecipò al film “L'immensità (La ragazza del Paip's)”, con Don Backy e
Patty Pravo. Comparirono poi - direttamente o con brani inseriti nella colonna
sonora - in altri film, fra cui Soldati e capelloni (1967) e La più bellacoppia del mondo (di Camillo Mastrocinque, 1967).
La figura più rappresentativa, quella
destinata ad avere successo singolarmente, era quella di Lally Stott, cantante,
compositore e paroliere; molto attivo in Italia, vantava collaborazioni con
diversi produttori e autori, come Franco Micalizzi, per il quale scrisse il
testo della sigla del film Lo chiamavano Trinità..., e i fratelli
Capuano, insieme ai quali compose diversi brani del gruppo pop Middle of the
Road.
Nativo di Prescot, cittadina inglese
a circa 10 km da Liverpool all'epoca in Lancashire, fece parte della scena beat
del Merseyside e a metà degli anni Sessanta, come già accennato, fu tra i
protagonisti dell'invasione musicale britannica in Italia.
A fine decennio, dopo aver lasciato i
Motowns, entrò in contatto con Giacomo Tosti, produttore del gruppo scozzese
Middle of the Road, per il quale scrisse il testo dell'hit Chirpy Chirpy Cheep
Cheep composto dai fratelli Giosy e Mario Capuano, che ebbe grande successo
nelle classifiche di Regno Unito, Australia, Italia ed entrò al 92º posto nella
Billboard Hot 100.
In collaborazione con Franco
Micalizzi, inoltre, compose il testo della title track del film Lo
chiamavano Trinità... brano ripreso quarant'anni più tardi nella colonna
sonora di Django Unchained di Quentin Tarantino. Per i Middle of the
Road scrisse i testi di altri singoli di successo come, tra l'altro, Bottoms Up, Samson and Delilah, Sacramento, Tweedle Dee, Tweedle Dum, tutti nelle
Top Ten di una o più classifiche europee all'inizio degli anni Settanta.
Scrisse anche canzoni per sé stesso,
come per esempio Jakaranda, in concorso all'ottavo Festivalbar nel 1971 e
Sweet Meeny, presentata nella nona edizione della stessa rassegna l'anno
dopo, e fu anche presente nella televisione italiana come ospite di
trasmissioni musicali.
Per Engelbert Humperdinck scrisse My Summer Song, in seguito ripresa anche da Jerry Reed e i Jigsaw; un'altra
sua composizione da lui personalmente interpretata, Good Wishes, Good Kisses,
fu impiegata come sigla di testa dello sceneggiato del 1972 La donna di
picche, della quadrilogia del tenente Sheridan.
Ma forse il suo brano più conosciuto è stato...
Tornato in Inghilterra, a soli 32 anni rimase vittima di un incidente stradale tra Liverpool e Prescot: il 4 giugno 1977 la sua moto urtò un veicolo proveniente in senso opposto e, a causa delle lesioni a testa e gambe, fu ricoverato dapprima a Whiston e, successivamente, al Walton Hospital di Liverpool dove morì due giorni dopo il sinistro.
domenica 28 gennaio 2024
Mele (GE), 26 gennaio 2024, resoconto della presentazione del libro "Woodstock-Ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi"
L’ultima presentazione del libro "Woodstock-Ricordi, aneddoti, sentimenti diffusi"
(Pintelli/Enrile/De Negri) è andata in scena a Mele (Genova), il 26 gennaio.
A partire dal 25 ottobre in quel di Alba, tappa zero di un progetto
itinerante, i luoghi di incontro sono stati i più disparati: librerie, pub,
centri culturali.
In fondo, ogni occasione, ogni spazio, ogni luogo, sono
adatti per la socializzazione e la condivisione; certo è che trovarsi in un
agriturismo, immersi nella natura e in una dimensione rurale, sembrerebbe la location più
vicina e idonea all’argomento proposto.
“TUTTO IN FAMIGLIA”, potrebbe essere questa la sintesi di un
momento di vita vissuto in un’oasi felice denominata Verdure Naturali ( https://www.facebook.com/verdurenaturali?locale=it_IT),
e per comprendere meglio la situazione occorre sottolineare che Roberto Storace, il
coordinatore dell’ensemble musicale che accompagna le presentazioni, è stato sino
a poco tempo fa docente in quella zona
ligure, ed erano quindi presenti alcuni dei suoi allievi/colleghi.
Ma l’incontro si è potuto realizzare grazie all’accordo tra
Roberto e il gestore, Marco Loconte, anch’esso allievo di un tempo non
troppo lontano, un uomo che, dopo aver provato l’ebrezza del lavoro nell’industria
ha scelto … la libertà.
Non approfondisco perché nel video a seguire è lo stesso Marco a raccontarsi e a mettere in mostra una … parte di corpo che sottolinea il legame tra il mondo di Woodstock e la sua passione, soprattutto quella per Hendrix, lui che, quando Jimi moriva non era ancora nato!
La conduzione ha seguito uno schema ormai consolidato, con
immagini sullo schermo utili a unire le parole, e brani musicali proposti in
modalità acustica.
Si è registrata una new entry, quella del vocalist Fabrizio
Cruciani, cantante dal passato illustre e oggi pronto a divertirsi nel
nuovo gruppo, i BECS, composto da Briano Marco, Enrile
Athos, Cruciani Fabrizio e Storace Roberto.
Oltre all’esordio di Fabrizio, si segnala l’entrata di un nuovo strumento utile al set acustico, il cajon, una percussione di grande efficacia. Se ne terrà conto per il futuro!
Pubblico attento, partecipativo e grande soddisfazione quando
alla fine, parlando con persone appena conosciute, si è avvertito un gradimento
sincero, non obbligato dalla situazione.
Sono questi i momenti in cui si allacciano nuove amicizie e
si gettano le basi per nuovi progetti, e ci sono buone possibilità che la
giornata vissuta a Mele abbia un seguito, e avendo afferrato quale sia la
capacità di Marco Loconte di realizzare eventi che in partenza appaiono
impossibili, ho la quasi certezza che troveremo il modo per passare, tutti
assieme, momenti di grande serenità.
L’epilogo dell’incontro ha visto un cambiamento di scena e di lay out, tutto per fare spazio ad una cena a base di prodotti naturali che hanno pienamente soddisfatto i presenti.
Il Prof Storace, il giorno dopo, ha commentato così…
Ieri abbiamo passato un bellissimo pomeriggio e una
bellissima serata all’Agriturismo Verdure Naturali di Marco Loconte e Patrizia.
Per me è sempre una gioia rivederli e riabbracciarli e
riabbracciare anche gli altri miei ragazzi, Stefano, Massimo, Fabio, Marco, ora
uomini fatti e finiti. Per poco non sono diventato prof anche dei loro figli e
mi inorgogliscono quando mi dicono che ci avevano sperato!
So che anche altri miei ex allievi avrebbero voluto esserci,
ma il lavoro o problemi familiari l'hanno impedito.
C'era il grande Pierpaolo! E il mio vecchio amico Fabio, appena ritrovato dopo
una vita.
Abbiamo raccontato qualcosa dell'incredibile concerto di
Woodstock e di quell'anno magico, il 1969. Ci siamo scambiati ricordi, idee,
emozioni.
Abbiamo suonato, Athos, Marco, Fabrizio ed io, alcuni
capolavori dei C.S.N.&Y.
E abbiamo mangiato tutti insieme alcuni piatti buonissimi, a
km zero. Grazie a tutti.
Ma non finisce qui, abbiamo grandi progetti!!!
Ed ora qualche elemento visuale, in attesa di un nuovo episodio...
sabato 27 gennaio 2024
"Turn, Turn, Turn": "... esiste un tempo per la pace, non è troppo tardi..."
INDICAZIONE: CLICCANDO SUL BLU PARTE L'ASCOLTO
Negli anni ’50 il famoso cantante
folk Pete Seeger scrisse
il brano "Turn" Turn" Turn!" (sottotitolo: to Everything There Is a Season),
canzone che fu incisa per la prima volta nel 1962, inclusa nell’album “The Bitter and The Sweet”, pubblicato dalla Columbia Records.
Sono tante le esibizioni di spessore
che riguardano il brano, ma le più ricordate riguardano Judy Collins, Nina Simone e The Seekers. Ulteriori versioni sono state incise da numerosi altri
artisti fra cui, negli anni duemila ed in chiave new Age, dalla christian rock
band britannica Eden's Bridge.
Ma il successo arrivò in un altro
modo.
Il brano, il cui testo è interamente adattato - eccetto il verso finale - dal testo biblico del Qoelet (o Libro dell'Ecclesiaste), è stato portato al successo nel 1965 dai The Byrds, raggiungendo la prima posizione nella Billboard Hot 100 per tre settimane e l'ottava in Germania. La canzone diventò anche la title track per l'album omonimo “Turn! Turn! Turn!”.
Nel 1963 la canzone è stata cantata anche
da Marlene Dietrich in una versione riadattata ed intitolata “Für alles kommt
die Zeit (Glaub', glaub', glaub')”, un cui estratto è stato ripreso poi dal
gruppo dell'allora Germania Est Puhdys nel brano “Wenn ein Mensch kurze Zeitlebt”.
Inserita nella versione dei Byrds
all'interno della colonna sonora del film di Tom Hanks “Forrest Gump”, è
ricordata per il suo messaggio pacifista.
Una lirica importante dunque… cerchiamo di saperne di più…
Il testo e il sottotitolo del brano si rifanno in maniera aderente ai versetti contenuti in Ecclesiaste 3,1-8 (versione Bibbia di Re Giacomo), uno dei libri sapienziali maggiormente conosciuti. In particolare, i versi biblici - qui intercalati dal controcanto Turn, Turn, Turn espresso in incipit di canzone - sottolineano come vi siano un tempo ed un luogo per tutte le cose e per ogni sentimento: uno spazio ed un tempo per il ridere ed uno che lasci luogo al dolore, uno per curare ed uno per uccidere, un tempo per raccogliere ed uno per gettare via, un tempo per la guerra e un tempo per la pace, e così via.
La profondità dei versi si presta a una miriade di interpretazioni, ma l'accezione principale che viene attribuita a questa canzone è quella del messaggio pacifista, sottolineato in particolare dal verso finale - l'unico attribuibile al compositore Seeger - che recita: a time for peace, I swear it's not too late (un tempo per la pace, io giuro che non è troppo tardi).
"Turn! Turn! Turn!" è uno dei pochi brani che si basano in maniera pressoché integrale su ampie citazioni tratte da scritture sacre, ed è sotto questo aspetto accostabile a motivi - spesso ripresi da gruppi musicali di genere christian rock - come “Rivers of Babylon” del gruppo The Melodians, “The Lord's Prayer” di Sister Janet Mead e “40” degli U2.
Il titolo ha dato spunto anche alla
pubblicazione di un libro illustrato con il testo dell'Ecclesiaste edito da
Simon & Schuster nel settembre 2003 con un CD contenente le registrazioni
sia di Pete Seeger che dei Byrds. Wendy Anderson Halperin ha creato una serie
di illustrazioni dettagliate per ogni serie di contrapposizioni indicate nel
testo.
Il manoscritto della canzone figura fra i testi donati alla New York University dal Partito comunista degli Stati Uniti d'America nel marzo 2007.
TESTO E TRADUZIONE
To
every thing there is a season, and a time to every purpose under the heaven:
A
time to be born, and a time to die; a time to plant, and a time to pluck up
that which is planted.
A
time to kill, and a time to heal; a time to break down, and a time to build up.
A
time to weep, and a time to laugh; a time to mourn, and a time to dance.
A
time to cast away stones, and a time to gather stones together; a time to
embrace, and a time to refrain from embracing.
A
time to get, and a time to lose; a time to keep, and a time to cast away.
A
time to rend, and a time to sew; a time to keep silence, and a time to speak.
A
time to love, and a time to hate, a time of war, and a time of peace.
Per ogni cosa c'è il suo momento, il
suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C'è un tempo per nascere e un tempo
per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per
guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per
ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo
per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli
abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per
perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo
per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per
odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Il testo è quindi un’estrapolazione da
ciò che già esisteva, ma deve far riflettere il massiccio utilizzo di tal
messaggio oltreoceano, in tempi in cui in Italia, ad esempio, imperava la “leggerezza”
della musica.
Non solo “baby baby… I love you… you
are beautiful” nelle canzoni degli anni Sessanta, ma anche una necessità di “pensare
e far pensare”.
Proviamo a credere a Pete quando
diceva che esiste un tempo per la pace, non è troppo tardi.
La versione che preferisco, quella che ascolto da oltre cinquant’anni è quella dei The Byrds.