Il 28 febbraio del 1985, a soli 38 anni, il corpo di David Byron veniva ritrovato senza vita al numero 10 di Raymond Road, in Maidenhead. Sono passati 32 anni...
Un po’ di biografia tratta dal sito italiano degli Uriah Heep, non più disponibile in rete.
David John Garricknasce il 29 gennaio 1947 ad Epping
vicino Chingford e ha un approccio molto precoce con la musica; gia da piccolo,
infatti, incantava tutti con una voce armonica e potente, capace di toccare
note molto basse per esplodere a tonalità altissime. Diventò cantante
semi-professionista con la sua entrata nei The Stalkers e, successivamente,
professionista quando - insieme a Mick Box - fondò gli Spice che sarebbero poi
diventati gliUriah Heep. Siamo
nel 1970 e, da questo periodo, la biografia di David - che gia durante la sua
militanza con gli Stalkers aveva cambiato il suo cognome in Byron - si fonde
con la storia degli Heep.
Nel
1975, dopo aver raggiunto il successo con gli Heep, David Byron fa uscire il
suo primo album da solista su etichetta Bronze. L'album si titolaTake no prisonerse vede la partecipazione di Mick Box e
Lee Kerslake. Malgrado il successo, quelli erano stati anni difficili per David
che cominciò a bere molto minando così la sua carriera futura. Ken Hensley
riferisce che David era la classica persona che odiava le cose sbagliate ma
invece di lottare per cercare di cambiare la situazione, preferiva annegare
tutto nell'alcol. Questa è la ragione per la quale David Byron fu congedato
dagli Uriah Heep alla fine del tour in Spagna svoltosi nel luglio del 1976.
L'immagine riprodotta nel 76 dal German Magazine fece il giro del mondo facendo
disperare i fans degli Uriah Heep. Bron spiegò che c'erano notevoli divergenze
di vedute tra Byron e il resto del gruppo e che quindi, nell'interesse primario
degli Heep, il cantante avrebbe dovuto abbandonare il gruppo, giacché queste
divisioni erano - purtroppo - inconciliabili. Sulla natura di queste divergenze
insanabili non si disse mai nulla, tutti restarono sul vago ... per questo a
noi non resta che fare delle ipotesi. Alcune fonti vicine al gruppo dicono che
le scintille scoppiarono o continuarono maggiormente allorché John Wetton si
unì agli Heep. La canzone compresa in Take no prisonersMan full of yesterdaysembrava fosse dedicata a Gary Thain
ma, ironicamente, avrebbe descritto gli anni successivi della vita di David. In
ogni caso una cosa è pacifica per tutti: senza David Byron gli Uriah Heep non
furono più gli stessi.
Determinato a proseguire la sua carriera da solo David reclutò Clem Clempson
alla chitarra e il batterista Geoff Britton che formarono insieme a lui iRough Diamond. Registrarono anche un
album omonimo che, purtroppo, non andò molto bene.
Con la collaborazione del compositore e polistrumentista Daniel Boone e di
alcuni turnisti - tra i quali il famoso batterista Stuart Elliot - David incise
il suo secondo LP da solista titolatoBaby
Faced Killerche non ottenne,
purtroppo, nessun successo commerciale. Successivamente David si unì al
chitarrista Robin George e formò laThe Byron Band. Accolto fra le file della
Creole Records, David fece uscire due singoliEvery
Inch Of The Waycon al lato B il pezzoRoutineeNever
Say Diecon al lato BTired Eyes, prima di far uscire nel
1981 il suo terzo album da solista dal titoloOn
The Rocks.Sfortunatamente, come
per iRough Diamond, il successo
non arrivò.
Queste delusioni professionali aiutarono l'accentuarsi del suo alcolismo che,
ormai, padroneggiava su David determinando scarsissime prestazioni anche sul
palco, come quando cadde sul palcoscenico del Marquee a causa di un attacco
epilettico. Epilessia che il suo alcolismo non contribuiva di certo a curare. A
nulla servì l'invito che gli rivolsero in quel periodo Mick Box e Trevor Bolder
per la ricostruzione degli Uriah Heep; David rifiutò decisamente. David Byron,
abbandonato da tutti e, per primo da se stesso, fu ritrovato morto nella sua
casa di Maidenhead il 28 febbraio 1985.
I mass-media specializzati si limitarono a dare freddamente la notizia in una
colonna che, nel migliore dei casi, comprendeva una ventina di righe. Di fatto,
però, gli "addetti ai lavori" a cominciare dal grande John Wetton,
hanno sempre riconosciuto aDavid"Garrick"Byronil talento e il posto che,
meritatamente, si è conquistato contro tutto e tutti nella storia dell'hard
rock.
Il17 febbraio 1965 apriva ilPiper di Roma,il primo locale alternativo in Italia, dove in molti si sono
esibiti, dai gruppi delbeat ai
grandi del rock…Genesis, Pink Floyd, Frank Zappa, Banco...
1965 – 1969Il Piper Club fu fondato daAlberigo
Crocetta e da Giancarlo Bornigia. Situato a Roma in Via Tagliamento,
inaugurato 17 febbraio 1965, è destinato a diventare l'icona di tutta una
generazione e un vero e proprio fenomeno di costume. L'ambiente originale era
decorato con opere d'arte, tra cuidue
dipinti di Andy Warhol, alcuni di Schifano e opere di Piero Manzoni e di
Mario Cintoli. All'esordio suonarono nel locale i migliori artisti della beat
generation italiana tra i quali iThe
Rokes, i Rokketti, l'Equipe 84e
Le Pecore Nere, presto affiancati da Fred Bongusto, Dik Dik,Renato Zero,Romina Power, Gabriella Ferri eRita Pavone. Su tutti, però,
vanno ricordatePatty Pravo- la ragazza del Piper - eCaterina Caselli.
Il Piper emerse subito come punto focale della bella vita
romana, raccogliendo frequentazioni dal mondo dello spettacolo e dell'arte,
oltre che da personaggi della scena mondana. La linea artistica si ispirava al
mondo del beat inglese, da cui copiò anche l'idea dell'opera beat, ovvero ad un
uso innovativo di luci stroboscopiche colorate accoppiate ai suoni e allo stile
dettato dalla moda della minigonna.
Dopo il successo del cast iniziale, entrarono nel
gruppo ancheMal,Mimi Bertè(successivamente Mia Martini),Loredana Bertè,Renato Zeroe Mita Medici. Vi si esibivano i più
conosciuti complessi di musica Beat e cantanti di musica leggera nazionali ed
internazionali in voga in quegli anni, esibendo nomi del calibro dei Procol
Harum,i Birds, Rocky Roberts e dei giovanissimiPink Floyd( il 18 e il 19 aprile 1968). Sulla
pedana del Piper, il 23 maggio 1968, suonò anche un chitarrista entrato poi
nella mitologia del Rock,Jimi
Hendrix. La musica italiana era invece rappresentata da New Trolls, Le
Orme, Mino Reitano e Pooh.
Nel 1968 dal Piper partì un'iniziativa
simile a quelle in voga negli anni sessanta, i cantagiri canori: nella
fattispecie, il CantaPiper.
1970 – 1979Sono gli anni
dell’austerity, della crisi economica, della lotta politica e del terrorismo.
Sono anni difficili per il nostro paese, ma il Piper Club continuò a sviluppare
il proprio progetto artistico. Nei primi anni settanta una modifica della linea
artistica portò all'esordio di Formula Tre, Lucio Battisti, Ricchi e Poveri,Mia Martini e all'esibizione diGenesis,David Bowie, Sly and the family
Stone, Lionel Hampton e Duke Ellington.
1980 – 1989Famoso l'episodio alla fine degli anni 80 in cui il cantante dei
Nirvana, Kurt Cobain, durante il concerto al Piper per la promozione del'album
“Bleach”, stanco per ilviaggio,
per il cibo non gradito e per il suono degli amplificatori, in pieno concerto
uscì letteralmente fuori di matto. Cominciò a spaccare la chitarra e salì su
una trave minacciando di buttarsi di sotto. Ci volle l'intervento di Jonathan
Poeman e Bruce Pavitt della Sub Pop per far calmare la situazione.
Gli anni '80 sono stati indimenticabili anche per l’ascesa dello
storico direttore del locale,Mr.
Franz, che con le sue mille idee trasformò ogni serata in un evento
speciale e unico. Rivoluzionò la vita del locale spingendolo verso quella che
oggi è definitadiscoteca. Le
frequentazioni di quei tempi erano quelle più importanti. Lacosiddetta "Roma
Bene"ricorda ancora
oggi i mitici venerdì sera del Piper. Le feste erano all’insegna del toro
meccanico, dei pattini, della neve e tante altre ancora. Il Mister, per
avvicinare i giovani ai problemi di quei tempi, portò nel locale personaggi
importantissimi, tra cui l'Onorevole Giulio Andreotti e il Prof. Ferdinando
Aiuti.
Gli anni '80 sono stati anche gli anni della
nascita della musica “house dance” e del "rap"; molti i
dj che hanno suonato nello storico locale, tra cuiPeter e Paul Micioni,Corrado Rizza, Stefano De Nicola,
Marco Trani, Jovanottie
tanti altri ancora.
1990 – 1999Sono gli anni della nascita della musica "tecno" e di
quella "elettronica". Il Piper oramai trasformato nella discoteca n.
1 d'Italia porta in consolle i principali dj della scena italiana e
internazionali. Per esempio: Coccoluto, Fargetta, Linus, Albertino ect...
Questi sono anche gli anni dei "pomeriggi" e delle
"mattinee". Il sabato e la domenica pomeriggio centinaia di ragazzi
provenienti da tutti i quartieri di Roma frequentano il locale per ascoltare
buona musica e magari trovare l'anima gemella.
2000 – 2009Dopo tanto tempo
tornano nel 2006 i concerti al Piper Club. Il primo è stato quello dei "Babyshambles"
diPete Doherty. E’ stato
un successo strepitoso di cui se ne è parlato in tutto il globo. Il ritorno
alla musica dal vivo è fortemente voluto da uno dei figli di Giancarlo
Bornigia. Nel 2007 si sono esibiti artisti del calibro diNiccolo Fabi, Gianluca Grignani,
Cat Power, Brazilian Girls, Paola & Chiara, Editors, Tiromancino,
Giuliano Palma & Blue Beaters. Inoltre il locale ha ospitato alcuni
degli eventi più importanti della capitale tra cui le "Hilfiger Session"
che hanno avuto come ospitiMario
Biondi, Corveleno, Lara Martellie
tanti altri. Concerti di successo si sono esguiti nel 2008 tra cui la canadeseFeist, gli inglesiThe Fratellis,MiettaeJames
Taylor Quartet. Nel 2009 è stata infine prodotta la rassegna musicale
"Piper in Rock", manifestazione con la quale si è dato spazio
a tanti giovani artisti della scena indie-rock romana.
Commentare l’album
omonimo degli Acqua Libera, appena
rilasciato, potrebbe apparire cosa ardua, avendo ben presente che lo scopo di
chi commenta è quello di fornire fatti oggettivi ed esprimere un giudizio
personale che possa essere invitante per possibili ascoltatori, appassionati di
musica a volte molto "specializzati" e capaci di afferrare ogni particolare, ma
quasi sempre conquistati da aspetti empatici che nulla hanno a che vedere con
la razionalità: un riff particolare, un tempo impossibile da decodificare, una
trama affascinante, delle skills oltre le normali possibilità umane, un
“profumo musicale” che a parole non si riesce a spiegare.
Entrambi gli aspetti
sono importanti, anche se i risvolti tecnici sono spesso più complessi da
catturare e ancor più da spiegare.
Analizzando la
scheda di presentazione ho trovato i fatti concreti e salienti che non avrei
potuto fare emergere, in primis la storia della band analizzata nei singoli
componenti:
Ho poi trovato una
disanima dettagliatissima delle singole tracce, e anche in questo caso solo chi
ha composto e modellato i brani poteva realizzare un quadro così esaustivo:
Non resta quindi che
aggiungere la mia nota personale, che ho cercato di separare da ogni lettura
preventiva, basandomi solo sul feeling da ascolto.
La band senese degli
Acqua Libera è di recente costituzione - 2013 - ma il background
musicale parte da molto lontano, e la tradizione progressiva appare come consistente e deciso amore che produce materia comune per tutto il loro sound.
Quarantaquattro
minuti di musica suddivisi su otto brani permettono di realizzare un viaggio
nei meandri del prog misto alla musica fusion, con l’assenza totale di liriche.
E’ tanta e tale la
perizia tecnica messa in campo che si rischia di scambiare le singole trame per
esercizi di bravura messi a disposizione di un album creato per una nicchia -
amante dell’estremo tecnicismo - racchiusa in altra macro nicchia, quella del popolo
del prog.
Dall’intervista a
seguire si capiscono i veri intenti, l’iter compositivo, e quella voglia di
libertà espressiva che diventa il collante del gruppo, che non si pone limiti
per il futuro… le vie da intraprendere sono ancora da stabilire, sarà il
piacere comune che detterà la strada.
I miei primi ascolti
(due di fila) sono stati… coinvolgenti, nel senso che mentre ritrovavo tracce
del mio passato cercavo di capire i tempi composti in gioco e le dinamiche di
squadra.
L’ascolto successivo
è stato invece… avvolgente, e la bellezza pura, l’eleganza e la melodia (anche
un basso è in grado di avere ruolo diverso da quello prettamente ritmico, come
nel caso di “Marcina”) mi hanno fatto
abbandonare ogni percorso razionale.
Credo sia questo un
perfetto esempio con cui si possa spiegare un concetto assolutamente personale
che porto con me da sempre, quello dell’importanza della musica rispetto ad un
qualsiasi testo. La possibile bellezza della lirica risulta alla fine un filtro
condizionante, capace di fare scattare meccanismi che influenzano l’ascolto portando alla ricerca di un contenuto, ma i disegni meramente strumentali
colpiscono il nostro sistema limbico, il cuore, e ogni organo capace di
interagire con le stimolazioni esterne.
Acqua Libera mi ha dato tutto questo, partendo dal primo brano,
“Tempi moderni” - video che presento
a fine articolo - che mi ha immediatamente portato a sonorità che avevo trovato
una decina di anni fa nella “nuova pelle” dei Focus di Thijs van Leer. E questo
è il concetto che spiega la frase “la musica è memoria”, che tanto amo di
questi tempi!
Sono pezzi inediti
quelli contenuti nel disco, e anche i tre nati in tempi antichi - “Alla Luce della Luna” e “Prog Mood” (anni ’70, “Livello 7”) e “Mr. Lou” (anni ’80, “Juice Quartet”), vedono solo ora la
registrazione su disco dopo opportuna elaborazione.
Ma non c’è tempo per
riflettere, è un continuo susseguirsi di ritmi complicati addolciti da
atmosfere più “terrestri”, una creazione di immagini a ripetizione, che spesso
spiazzano per la rapidità di cambio, e producono un film sonoro che penetra
nell’intimo.
Gli Acqua Libera
sono alla fine più trasversali di quanto si potrebbe pensare in caso di ascolto
casuale, perché il loro rock (mi piace la semplificazione verso il vero
riferimento che conosco), partendo da intrecci di elevata complicanza si
sintetizza un materia accessibile a tutti, tutti quelli che rifiutano la
rigidità di pensiero quando si trovano al cospetto di un prodotto musicale,
qualunque siano i presupposti di partenza.
Mi manca l’esperienza
live, che in questi casi non guasta, ma credo che la strada tracciata sia
assolutamente da perseguire, e mi pare che gli Acqua Libera possano aspirare ad
un ruolo costante nel panorama della musica di qualità.
Tracklist: 01.Tempi moderni (Acqua libera)
02. Nautilus (Acqua libera)
03. Alla luce della luna (Livello 7)
04. Mr. Lou (Luigi Campoccia)
05. Marcina (Franco Caroni)
06. Sans tambour ni musique (Acqua libera) 07. Quo vadis (Franco Caroni)
08. Prog mood (Livello 7)
”Acqua Libera” è un progetto recente, ma
rappresenta la fusione di due band che hanno molta storia in ambito locale, e
amori musicali ben specifici: riuscite a sintetizzare le vostre vicende, dagli albori
ad oggi?
Onestamente la sintesi non è stata cercata, è
avvenuta casualmente. Probabilmente con il senno di poi possiamo dire che
eseguire e poi rielaborare alcuni momenti dei due brani del “Livello 7” e del brano del “Juice quartet” ci è servito per creare
un linguaggio comune, un modo di interagire, di trovare quel determinato groove
che poi abbiamo continuato ad utilizzare nelle nostre nuove composizioni. Si è
formato un certo collante dovuto alla nascita inaspettata di quell’interplay di
gruppo che è riuscito a smussare i personalismi e ha fatto crescere le
dinamiche di gruppo in modo rispettoso delle differenze di stile e di
esperienze fra i vari componenti. Ci siamo divertiti a prendere il meglio da
ognuno di noi e valorizzarlo all’interno del gruppo. Il CD ci ha lasciati tutti
abbastanza soddisfatti e nel gruppo aleggia la sensazione che ognuno sia
riuscito a dare il meglio di se stesso, come musicista e come strumentista.
Certo si può fare meglio, ma per questo ci sarà tempo.
Qual è stato l’obiettivo principale che ha fatto
scattare la scintilla, nel 2013, escludendo la ovvia passione per un mondo
musicale preciso?
La scintilla non è nata improvvisamente, ci siamo
piacevolmente accorti che i brani venivano svolti in una maniera non
convenzionale, a volte difficile da interiorizzare, ma spesso si dimostravano
carichi di significati, di emotività condivise… Ci siamo sempre ammoniti di
stare con i piedi per terra, ma con la soddisfazione evidente di constatare
che, quando riuscivamo a prendere la strada giusta, limitare gli errori e
suonare con il giusto groove, il linguaggio si chiariva e prendeva le dovute
forme e il giusto significato musicale. Niente di trascendentale, ma
funzionava, suonava come sapevamo, era riconoscibilmente “nostro”, migliorabile
e quindi carico di futuro.
Parliamo di composizioni inedite o di materiale
già esistente e rivisitato?
I due pezzi del “Livello 7”, così come quello del “Juice quartet”, sono tutte composizioni inedite, rivisitate da noi
con grande amore e rispetto per impedire che se ne perdesse traccia; non sono
mai state registrate, ma solo eseguite in una decina di concerti. Gli altri
cinque brani sono tutti egualmente inediti, elaborati fra il 2015 e il 2016. Quo vadis e Marcina sono composizioni del bassista Franco Caroni, arrangiate e
supervisionate da tutti i componenti di Acqua Libera. Tempi moderni,Nautilus e
Sans tambour ni musique, sono
composizioni nate completamente da zero, in sala prove, da parte di tutto il
gruppo, con una forte impronta del tastierista Jonathan Caradonna.
E’ possibile ipotizzare una vostra musica futura
dove c’è spazio anche per le liriche?
Al momento dobbiamo decidere se e come intendiamo
elaborare altra musica, se restare in quartetto o aggiungere altre collaborazioni,
noi siamo tutti strumentisti e la nostra musica nasce naturalmente come musica
strumentale. Comunque non poniamo paletti, cercheremo di capire cosa ci piacerà
suonare e se saremo in grado di farlo in modo piacevole e soddisfacente.
Andando nell’ascolto dettagliato, mi è sembrato
di trovare all’impatto una certa complessità compositiva, che però fluisce in
modo naturale nei brani: come nascono e come vengono “fatti crescere” i vostri
brani?
Con una marea di giorni di prove. Tutti i brani,
ma a maggior ragione quelli di una certa complessità come alcuni dei nostri,
devono essere interiorizzati e fusi con le nostre differenti sensibilità
espressive per non risultare esercizi tecnici da sala d’incisione. Se pretendi
una certa musicalità la puoi raggiungere solo suonando molto insieme agli altri
del gruppo. Si può studiare da soli un passaggio particolarmente complesso, ma
se vuoi essere sicuro che quel passaggio possa poi fondersi e appartenere al
pezzo, al gruppo, devi provare a inserirlo nel colore e nel ritmo del brano,
altrimenti si fa della tecnica e non della musica. Solo suonando insieme poi
riusciamo a capire se quel momento musicale è coerente con il contesto che sta
crescendo, se è bello ma è fuori tema e va tolto, se non è eccezionale ma
risolve una tensione, una dinamica… se parla lo stesso linguaggio e riesce a
dare vita e continuità al pezzo, in poche parole se “funziona”.
A chi vi siete affidati per produzione e
distribuzione?
Il CD Acqua Libera è una produzione del
chitarrista Fabio Bizzarri e del bassista Franco Caroni. La distribuzione
all’inizio era praticamente inesistente, poi abbiamo accolto la proposta della
BTF – Home of the italian Progressive Rock. Chi vivrà vedrà…
In che formato sarà disponibile il vostro album
omonimo?
Al momento il supporto sonoro impiegato è il
consueto CD. Stiamo pensando anche ad altro, ma dobbiamo ancora convincerci….
le idee ci sono, ma il riserbo è d’obbligo.
Avete programmato date live per la
pubblicizzazione?
Abbiamo già suonato al “Music Tribe” di
Poggibonsi e alla “Corte dei Miracoli” di Siena. Per il futuro il 30 marzo
suoneremo a “UnTUBO” Music Club di Siena, stiamo aspettando una data su Roma,
una nel Perugino, una a Colle val d’Elsa e una a Pisa. Poi vedremo, ci
piacerebbe suonare a Milano, ma la vita musicale del live nel nostro genere è
dura. L’importante è non mollare e non abbiamo certamente voglia di farlo. Non
è poi vero che l’acqua è inarrestabile?
Quale potrebbe essere il prossimo passo di “Acqua
Libera”, ora che… avete rotto il ghiaccio?
Speriamo di fare un buon numero di concerti,
vogliamo far sentire la nostra musica a più persone possibile. Certo non è una
musica facile, che sia strumentale poi non agevola le cose, ma noi confidiamo
sull’esistenza di un pubblico un pò visionario, che non si fermi ad apprezzare
solo una musica “comoda”, predisposta appositamente per piacere all’istante,
speriamo di incontrare un pubblico di “curiosi”, a cui non dispiaccia sforzarsi
di ascoltare e di entrare almeno un po’ dentro la nostra musica. Se questo
pubblico esiste e noi siamo ritenuti sufficientemente interessanti, allora ce
l’avremo fatta, avremo trovato il nostro pubblico, non saremo più soli, dato
che suonare musica dovrebbe essere un equilibrio fra l’esigenza di esprimere sé
stessi e la speranza di interessare e piacere agli altri.
Poi vorremmo fare un secondo CD, anche solo per
capire se siamo in grado di evolvere non solo come singoli, ma soprattutto come
gruppo… ci consideriamo dei visionari e dei curiosi proprio come vorremmo che
lo fosse il nostro pubblico. Il secondo CD ci dirà se il gioco vale la candela…
I libri che rivelano i
segreti - o presunti tali - delle rock star sono presenti in libreria - ma ora
anche in formato digitale - in forma massiccia, e l’interesse è spesso spinto
dalla morbosità che accompagna l’appassionato medio, che anela ad entrare negli
anfratti dei suoi miti appropriandosi di un pezzo di storia per pochi, perché possedere
certi dettagli appare come elemento che realizza una certa appartenenza all’elite,
e lega per sempre, in modo sottile, artista a lettore.
Esiste però un formato
più oggettivo, fatto di documentazione che resterà per sempre, ammesso che a
qualcuno venga in mente di impegnarsi in un'opera di ricerca e trasferire successivamente il tutto su un formato indistruttibile, cioè un “qualcosa per sempre”.
I The Who forniscono elementi infiniti
nei vari supporti, e di loro conosciamo tantissimo, a partire dagli atti
iniziali sino ad arrivare ai giorni nostri.
Possibile scrivere
qualcosa di nuovo su quel mondo dopo il rilascio di un tomo da quasi 500 pagine
che descrive la vita di Pete Townshend?
Antonio Pellegrini ci ha provato - e ci è riuscito - focalizzandosi
su di un aspetto preciso, i live italiani della band, peraltro scarsi, se si
pensa che dal passaggio romano del ’72 (le date precedenti risalgono ad un tour
in erba del 1967) ci sono voluti ben 35 anni per ritrovarli in Italia (all’Arena
di Verona). Sono recenti le apparizioni di Bologna e Milano (nel 2016),
inframmezzate dal tour di Tommy del 2012, un progetto del solo Roger Daltrey, peraltro molto
apprezzato.
Sembrerà strano ma è
la prima volta che qualcuno pensa a questa semplice sintesi basata appunto su
fatti oggettivi, ma la raccolta delle idee e delle informazioni passa
obbligatoriamente attraverso il coinvolgimento di persone presenti ai live (non
è facile trovare reduci di anni antichi, forniti di memoria adeguata e
supportata da documenti), spettacoli di cui esistono poche testimonianze
tangibili: altri tempi e altri sistemi di comunicazione.
Ma ancora più strano è
che il protagonista di tutto ciò sia un giovane, nato 5 anni dopo l’uscita di Who’s Next, e quindi fulminato in chissà
quale momento della vita dalla musica di un gruppo che “prende” anche le nuove
generazioni, che permea le nostre culture, che esprime disagi generazionali attualissimi.
Antonio Pellegrini ha trovato un buon metodo per ringraziare gli Who del grande
regalo ricevuto - quella musica che è fonte di continue emozioni - e ha così
dedicato larga parte del suo tempo alla non facile ricerca del materiale costituente
la sua creatura, “The Who e Roger Daltrey in Italia”, e nel corso di un anno di
lavoro i frutti sono arrivati.
“Scalette”, interviste,
contributi esterni di fan e il pensiero pregiato di Simon Townshend,
fratello di Pete, da molto tempo membro della band in fase live.
Ampia anche la sezione
fotografica.
Ho avuto il privilegio di
realizzare l’introduzione al book e di partecipare ad una presentazione
successiva, ma non è per questo che ne consiglio vivamente la lettura: solo ciò
che rimane sulla carta resisterà per sempre, ne sa qualcosa Antonio che ha dovuto
faticare per risalire alle fonti e costruire il suo gioiello… ma ne valeva la
pena, il suo libro rimarrà, ne sono certo, l’unico che racconterà cosa accadde
in Italia quando gli Who passarono da queste parti.
Si spera sempre che altre occasioni
arriveranno, ma trattandosi di Pete Townshend e soci, non certo prolifici nella
nostra terra, qualche dubbio può arrivare, e nell’incertezza… ci ha pensato
Antonio a realizzare il suo “Io c’ero”,
mettendolo a disposizione delle generazioni future, che anche tra molti anni,
probabilmente, ascolteranno “Baba O’Riley”.
The Who - Live In Hyde Park 26th June 2015, as part of
their 50th anniversary tour
Antonio Pellegrini, genovese, lavora per l'ufficio Comunicazione di
Marketing del Comune di Genova. Musicista e autore, suona nella band genovese
Biosound, con la quale ha pubblicato due album: "Di Versi" e "Stagioni".
Appassionato di concerti, ne ha visti parecchi e li racconta sul suo blogwww.tonyinviaggio.come sulla webzine Mat2020(www.mat2020.com)
I momenti più gratificanti del quotidiano, nell’ambito delle
mie passioni, risiedono nella possibilità di condividere la mia esperienza, le
mie attività ed attimi intensi che, grazie alla musica, assumono spesso
la dimensione della perfezione, uno stretto legame tra il mondo dei suoni e gli
accadimenti personali che, proprio grazie a particolari melodie, ritmi e
liriche, diventano tracce indelebili del percorso personale: la musica è
memoria!
Mi pare contraddittorio esaltare l’elemento musicale come
fondamentale aspetto culturale e poi bandire dalla scuola superiore la materia,
salvo gli indirizzi specialistici.
Ho guardato perciò con grande interesse e soddisfazione la “Settimana delle Eccellenze” organizzata
al “Ferraris Pancaldo” di Savona, nata per arricchire il bagaglio
culturale degli studenti. Non solo musica quindi, ma cura di particolari tratti
sociali, che vanno dall’azzardopatia alla sismologia, sino ad arrivare agli
aspetti giuridici che regolano il nostro ordinamento:
Nell’occasione ho avuto il privilegio di passare alcune ore con
studenti di diversa età e genere, e ho provato ad interagire con loro, cercando
di accorciare le enormi distanze generazionali che separavano il docente dai
discenti.
Occorre considerare che la musica può essere un veicolo
per arrivare a toccare altri aspetti fondamentali e utili nel proseguimento
degli studi e più in generale nella vita.
Può capitare infatti che dall’ascolto di un brano nasca l’occasione
di esprimersi, di lasciarsi andare, di provare a raccontare al “pubblico”
presente i sentimenti provati, di mettersi in gioco sfidando la frustrazione che
nasce sempre in queste occasioni, di testare i benefici del lavoro di squadra,
di conoscere sonorità antiche/nuove spingendosi magari sulla via dell’approfondimento
di un mondo sconosciuto… di comprendere altri aspetti legati alla necessità di
relazionarsi e comunicare nella maniera più efficace possibile.
Ancora una volta ho avuto dimostrazione che i nostri giovani
hanno solo bisogno di sollecitazioni e poi sono pronti a stupirci. Certo, tra i
cinquanta presenti ci sarà stato qualcuno che ha sopportato a fatica le tre ore
passate assieme, ma l’immagine globale che ho avuto mi ha gratificato.
Coadiuvato da Fabio
Biale, musicista di grande qualità, nell’occasione in veste di docente
scolastico, ho proposto l’ascolto di un brano storico, “The Great
Gig In The Sky”, tratto da “The Dark Side Of The Moon”, album
epico dei Pink Floyd.
Lo start al brano è però stato preceduto da una storia
romanzata (di Max Pacini) che lega Clare
Torry - la voce - alle tortuose vicende legate al giorno della
registrazione, nel 1973, e a quelle conseguenti, di certo toccanti.
E’ il racconto dei sentimenti di una giovane in un momento
topico della sua esistenza e delle delusioni conseguenti all’apparente
insensibilità di un mondo che ti sfrutta e poi ti mette all’angolo, una
metafora della vita che, miscelata alla forza del brano e alla voce cristallina
di Torry - unitamente alla visione del prisma di copertina, con le varie
sfaccettature - produce generalmente scossoni negli animi più sensibili.
Questo è il brano:
Alcuni dei ragazzi presenti hanno accettato senza titubanza
di esporsi e raccontare, singolarmente, l’esperienza da ascolto.
Ognuno, a modo suo, ha esposto con moderata disinvoltura i
propri concetti e stati d’animo: anche la timidezza eventuale va affrontata,
combattuta e vinta.
E’ nata a questo punto la seconda fase, con gli stessi
elementi a disposizione, ma il lavoro singolo si è trasformato in obiettivo del
team, un gruppo formato dagli stessi quattro ragazzi (Riccardo, Katerina, Davide
e… mi perdonerà il quarto ragazzo di cui
non ricordo il nome!).
Il Goal? Provare a descrivere a parole il pezzo ascoltato,
cercando di farlo comprendere, incuriosendolo, un ipotetico ascoltatore
occasionale.
Il lavoro di gruppo ha dato, come sempre accade, un risultato
superiore al lavoro dei singoli, e a seguire riporto l’audio del commento che
ho registrato:
Davvero bravi, ma non avevo dubbi, così come non ho tentennamenti
sul fatto che un tipo di impostazione del genere possa diventare elemento
didattico trasversale.
Le ore passano in fretta e lo spazio richiama nuova materia,
ma c’è un’aula di Fisica a disposizione, e resta quindi un’ora per parlare di
Genesis, Yes, ELP, vinili, storie misteriose… il tempo vola, ma non è stato
buttato al vento… almeno non per me!
Roma, Chiesa di S.
Paolo Entro le Mura, scatto di Massimo Renzi
Pochi giorni fa, in questo spazio, proponevo un’immagine precisa
del progetto “Spirituality”, dettagliata grazie all’intervento di uno dei due protagonisti,
Juri Camisasca, che saziava la mia
curiosità rispondendo ad alcune domande:
Il secondo attore è Rosario Di Bella, a cui ho posto le
stesse esatte domande, e la ovvia concordanza di idee non impedisce di
ampliare il quadro, non solo sul progetto specifico, ma soprattutto sul
significato assoluto della musica, rapportato al momento contingente, decisamente negativo. E’ imminente un nuovo incontro live, previsto per il
14 febbraio a Giarre…
L’INTERVISTA
Vorrei partire dalla
sicura sintonia esistente tra Juri Camisasca e Rosario Di Bella: come e in
quale occasione nasce la vostra collaborazione?
Stavo lavorando ad
un disco concept sugli Arcangeli e pensavo di condividere il progetto con un
artista che avesse una particolare sensibilità riguardo a certi argomenti. Con
Juri ci conosciamo da tempo e mi sembrava la persona più giusta come compagno
di viaggio. Gli ho parlato dell’idea di mettere insieme le mie e le sue canzoni
in un concerto in cui i nostri percorsi potessero trovare una complementarità:
e così è nato Spirituality.
Il progetto “Spirituality” è quindi Il culmine del
vostro connubio, un album di fresca uscita: possibile raccontarne l’anima,
l’idea basica, il messaggio?
Spirituality è un progetto di musiche e canzoni in cui generi e mondi
musicali apparentemente lontani s’incontrano per abbracciare melodie senza
tempo, capaci di accogliere parole che affrontano tematiche spirituali e di
ricerca interiore. È una musica che mi auguro faccia bene a chi l’ascolta.
Che cosa contiene il
disco dal punto di vista meramente musicale? Possibile ricondurlo a caselle di
genere conosciute?
Dal punto di vista
strutturale le canzoni possono essere situate in qualche regione dello
"spiritual pop". Sonorità etniche, orientaleggianti, ma anche
classiche sono innestate in una strumentazione prevalentemente elettronica.
Parlare di
spiritualità, in questi giorni oscuri, sembra da un lato utopistico e
dall’altro l’unica via per trovare un po’ di pace, e per indicare una possibile
via verso il cambiamento: avresti mai pensato che, dopo il fervore sociale
degli anni ’70, saremmo caduti così in basso? È ancora possibile la centralità
della musica nel processo di miglioramento delle esistenze?
Viviamo in un mondo
infelice, senza pace, pieno di disuguaglianze. In ogni angolo della terra la
voce dell’arte, con il suo grande potere di trasformare gli uomini e la storia,
rischia di annegare nel rumore di fondo. Confido nella capacità
della musica di viaggiare su strade misteriose e nella sua grande forza di
unire tutto ciò che l’uomo, per paura e ignoranza, divide. Willigis Jäger dice:
“l’uomo del futuro o è mistico o non è.”
Musica e parole… si
riescono a passare messaggi importanti senza l’utilizzo delle liriche?
Ognuno, col proprio
livello di evoluzione, può decidere di ricevere come nutrimento per la sua
anima quello che gli serve secondo il canale più adatto alla sua sensibilità.
La musica è come un grande libro, ma va letto col cuore. “La funzione più
profonda della musica è la trasmissione di vissuti e esperienze. La
trasmissione spirituale è più potente attraverso il suono che attraverso le
parole dei mistici. Dunque la musica è una religione nascosta.” Lo dice
Claudio Naranjo.
Che cosa accade in
genere nei vostri live? Che tipo di interazione con il pubblico riuscite a
realizzare?
Accade che il
pubblico si sente avvolto dall’atmosfera che si crea quando quello che arriva
dal palco vibra nello spazio in cui avvengono i concerti. Lo spazio del live è
di fondamentale importanza per la riuscita dell'alchimia. In genere sono luoghi
di culto come chiese, luoghi dove si è naturalmente richiamati e predisposti al
silenzio e all’ascolto interiore.
E’ da poco iniziato
lo “Spirituality Tour” che
proseguirà nel corso del 2017: come è andata la prima tappa e su cosa si basa l’intero progetto live?
L’intenzione del
live è quella di trascorrere del tempo insieme a chi viene ad ascoltare Spiritualty in uno stato di
calma-attenzione. Le canzoni sono messaggi che arrivano dal profondo dell’anima
e non sono semplici manifestazioni dell’ego dell’esecutore: noi artisti siamo
piuttosto un tramite, un veicolo. Evochiamo un sentimento che già abita il cuore
delle persone ad ogni latitudine fin dalla notte dei tempi e cerchiamo di farlo
germogliare e crescere.
Domanda d’obbligo:
qual è il tuo giudizio sullo stato attuale della musica italiana?
La musica è dentro
tutte le cose, per questo vive e soffre insieme ai fatti e alle vite degli
uomini. In questo momento credo non esista una vera e propria musica italiana
contemporanea, o comunque non è quella che normalmente si sente attraverso i
media consacrati. La musica è in mano ai produttori commerciali che soprattutto
attraverso i Talent creano, con canzoni scritte su misura, i nuovi idoli.
Questi nuovi cantanti durano in genere una o due stagioni dopodiché, se sono
fortunati, vanno a fare uno spot o finiscono a rappresentare il proprio declino
in qualche Reality Show. Oggi in Italia, e non solo, la musica che si sente non
è composta da chi la canta, ma è stata confezionata per chi la canta perché chi
la canta ha una buona presenza e una bella voce e, cosa più importante, è
innocuo. Così è tutto più semplice, riproducibile su scala industriale come un
qualunque altro prodotto di consumo: tutto più gestibile e sotto
controllo.
Un nome - tanto per
suscitare una reazione -, Franco Battiato, che ho visto in una fotografia alle
vostre spalle, durante un soundcheck: cosa rappresenta per voi?
Franco è il Padrino
morale di questo lavoro: lo ha avallato sin dal primo momento, ma senza mai
essere invadente artisticamente. Per me rappresenta un punto di riferimento per
il coraggio che ha avuto e che continua ad avere nel percorrere strade
artistiche che la musica POPolare normalmente rifugge. Ha avvicinato una marea
di gente ad argomenti importanti per l’esistenza di ognuno. Poi certo la gente
riceve e assorbe quello che può, ma intanto attraverso di lui è passata tanta
vecchia ed eterna conoscenza a un pubblico più vasto.
Taormina, 31 /7/16, Battiato assiste al soundcheck: scatto di
Antonio La Monica
Uno sguardo al futuro: è troppo presto per buttare lo sguardo
oltre il disco e il tour di “Spirituality”?
Sto lavorando ad un nuovo progetto che si chiama “Spazio Sacro”, una istallazione artistica
del pittore Adriano Buldrini. È uno spazio spirituale, un luogo contemplativo e
meditativo atto all’individualizzazione del proprio sé.
ROSARIO DI BELLA
Nativo
di Zafferana Etnea (CT), Rosario Di Bella Studia medicina all’Università di
Catania, teatro all’Arsenale di Milano e composizione a Roma. Parallelamente,
intraprende un percorso di ricerca spirituale che lo avvicina all’esoterismo e
alle filosofie orientali, approdando al pensiero e alla pratica del maestro
armeno Gurdjieff. Ha pubblicato cinque album, Pittore di me stesso (1989, Emi),
Figlio perfetto (1991, Emi), Esperanto (1995, Polygram), I miei amici (2001,
Sony), Il negozio della solitudine (2007, MM/Sony).
Nonostante l’attenzione mediatica e il successo che arride alle
suggestive composizioni pianistiche e costruzioni armoniche di cui è autore, Di
Bella non offre ai riflettori la propria immagine e rifugge
dall’appellativo di “maestro”. Il lavoro creativo e la ricerca sul suono sono
il suo mondo, come riprova sin dal 2003 un’instancabile attività compositiva di
colonne sonore per la televisione, il cinema e il teatro. Sue sono le
musiche del programma TV di Rai2 "Voyager, ai confini della conoscenza",
da cui RAI COM ha recentemente tratto "Orchestral Vol.1 -
originalsoundtrack". Ma il processo elaborativo deve espandersi oltre
la dimensione estetica e giungere all’essenza del suono, sublimandosi nel
rapporto con la voce. Per questo nel 2015Di Bella decide di dar vita con Juri
Camisasca a “Spirituality”, il cd uscito nel 2016 per la CAM Sugar Music. Ne
scaturisce qualcosa di magico, mai ascoltato sino ad ora.
Ragusa: Camisasca e Di
Bella, scatto di F. Mirone
Per tutta la programmazione dello "Spirituality Tour
2017" il progetto gode del patrocinio del Comitato
Italiano Nazionale Fair Play, che si adopera per promuovere codici di
Etica Sociale.