“The flight of
the Phoenix” è un album della band genovese
Sad Minstrel.
Non
è una nuova uscita, ma credo meriterebbe la visibilità che forse non ha trovato
una decina di anni fa, epoca in cui è
stato registrato.
Non
sarei forse mai arrivato a Fabio Casanova-è lui il depositario del progetto
S.M.- se non avessi assistito alla reunion della Nuova Idea al Tearo Verdi di
Sestri Ponente, poco tempo fa, evento il cui ricavato è stato destinato
all’Ospedale Gaslini di Genova.
Ad
aprire la serata la band di Casanova, facente parte della scuderia Black Widow
Records, organizzatrice della manifestazione.
Ecco
un resoconto della serata:
Mi
sono bastati frammenti di ascolto per spingermi
ad un approfondimento, attraverso il CD disponibile al banchetto del
merchandising. Ma nel corso della performance sono stati proposti due soli
brani dell’album e quindi ho avuto modo di ascoltare molti inediti, che
probabilmente saranno ben presto ufficializzati attraverso il nuovo album.
Non
capita spesso di impattare una nuova band unendo ascolto e “ resa da palco”, e
nel caso specifico, il folk elettrico
associato alla figura di Fabio, molto simile ad un giovane Ian Anderson, mi ha
indirizzato verso un filone musicale che ha scandito tappe importanti della mia
vita. A completare il quadretto, il commento di un amico comune- mio e di
Fabio-, il musicista Giorgio Neri, che mi racconta di un talentuoso musicista un
po’ anticonformista… picture intrigante!
I
Sad Minstrel propongono una musica che ha a che fare con la tradizione e con il
folk. Profuma di “wood scozzese”, di
storie tramandate e condite con gli stilemi del rock. Le liriche, tra il
poetico ed il sociale, sono in lingua inglese,
con una sosta decisamente marcata, all’insegna della proposizione delle proprie
radici culturali espresse attraverso il dialetto genovese, utilizzato nel
brano “Canzone della bambina di Triora”, che presento a fine post. Ed è stupefacente vedere come il
matrimonio tra idioma locale ed una musica tipicamente d’oltremanica (almeno
nelle origini) possa dare tale risultato.
Ciò
che i Sad Minstrel realizzano è un sound che diventa caratterizzante, che
riporta a loro “non appena il brano parte”… e alla fine” l’age” dell’album
diventa mero fatto statistico, deducibile dalla sola lettura dello splendido
booklet (con i testi tradotti).
“The
flight of the Phoenix” rappresenta un tuffo nel passato, un’immagine di un periodo talmente ricco, musicalmente
parlando, che risulta un dovere rinfrescarlo con nuova linfa. A mio giudizio lo
si può catalogare nella sfera degli album atemporali, che è sempre bene avere a
portata di … ascolto.
Leggiamo
il pensiero di Fabio Casanova, stimolato dalle mie domande.
L’INTERVISTA
Mi occupo di musica (per passione)
quotidianamente e ho contatti col “mondo genovese” (BWR compresa) molto
frequenti. Non sapevo però nulla dei Sad
Minstrel sino a che non li ho visti “aprire” per la Nuova Idea. Eppure
uno dei lati positivi delle nuove tecnologie è proprio quello di dare la
possibilità di avere larga e capillare
pubblicità. E’ una precisa scelta la tua, legata magari alla tua filosofia di
vita, o manca la fiducia in quei mezzi che sanno dare estrema visibilità?
No, ne una ne l’altra, è solo una disgraziata mancanza
di competenze e di collaboratori competenti in merito, e che abbiano voglia di
interessarsi. Francamente, all’atto della pubblicazione dell’album contavo
sulla collaborazione di Black Widow per promozione e diffusione, ma questo è
avvenuto solo negli ultimi tempi a forza di insistere, mentre in precedenza ho
registrato una quasi totale assenza, salvo proprio all’inizio (2003), all’epoca
dell’uscita e della prima vendita. In effetti deve essere per questo, e mi dispiace che non ti abbiano mai parlato del
mio progetto prima che tu ci abbia visti. Di mio comunque devo dare atto che
solo ora sto cercando di organizzare il progetto via siti, facebook, blog e
propaganda varia, perché solo da poco ho capito come ci devo lavorare. Fino a
un anno fa per la verità non ne ero capace, e anche adesso mi ci vorrà del
tempo per far le cose come si deve. Come vedi, questione di capacità, mi ci
vorrà il tempo di imparare.
Vedendoti sul palco, la prima cosa
che mi ha colpito, ancor prima che iniziassi a suonare, è la somiglianza con un
certo Ian Anderson di 40 anni fa. Ho letto nella biografia che proponete anche
materiale dei Jethro Tull e sul palco ho sentito certi passaggi acustici che mi
hanno riportato al “gruppo della mia vita”. Al di là dell’utilizzo del flauto
traverso, quanto c’è di quel mondo nella tua musica?
Abbiamo in scaletta
giusto un pezzo dei Jethro, “Locomotive Breath”, la volta che tu ci hai sentito
non l’abbiamo suonato, ma lo proponiamo spesso. Per la verità il tuo è un
paragone che mi viene proposto sovente, e in effetti è vero, somiglio ad
Anderson, ma davvero non lo faccio apposta, non è il mio obiettivo
somigliargli. Anzi sia musicalmente che come scenografia ciò che mi piacerebbe
ottenere sarebbe il Peter Gabriel di “Foxtrot” o di “Selling England”, quello
delle maschere del fiore o della volpe. Poi magari funziono meglio da
Menestrello, a volte Triste, giusto perché mi è più naturale, e in verità a me
piace andare in scena proponendo ciò che sono senza recite, non sono così
istrione e teatrante come richiederebbe un’Unifauno o nemmeno un Folletto. E
allora finisce che sembro Ian Anderson senza volerlo perché (ma ti assicuro che
è solo questione di attitudine e non di calcolo) probabilmente il menestrello
mi viene bene. Prova a venirmi a sentire nelle mie serate da solo e dimmi se posso
dare l’idea. Molti mi dicono di sì.
E’ passato molto tempo dall’uscita
del vostro album. Cosa ti ha impedito di essere più prolifico e produttivo,
tenuto conto che buona parte dei brani presentati il 15 ottobre erano inediti?
Esclusivamente il fatto che mi tocca affrontare il
progetto Sad Minstrel come hobby, visto che economicamente non mi permetterebbe
di mettere assieme il pranzo e la cena, e perciò ci posso dedicare solo i
ritagli di tempo al di fuori del lavoro. Ma può darsi che in futuro le cose cambino,
si tratta di organizzarsi in un altro modo. Sapessi quanta roba ancora ho da
sfornare!
Ricevo una buona quantità di musica
di giovani gruppi e trovo che ci siano in giro molte buone idee e tanta voglia
di non “buttarsi via” alla ricerca del successo a tutti i costi. Cosa manca in
questo mondo musicale per dare, a chi si
impegna e ha talento, il corretto
spazio?
Discorso molto bello da affrontare ma altrettanto lungo,
vedrò se riesco a sintetizzare. Il fatto è che secondo me esiste un “Potere”,
in senso musicale ed in senso assoluto, che ha interesse a fare in modo che le
teste dei ragazzi crescano vuote, per poterle riempire con ciò che vogliono, e
impone a tutti i media, e di conseguenza al gusto medio della gente, di fare
ascoltare ed imparare solo stupidaggini, che impongano di non pensare, di non
farsi delle opinioni proprie, in modo di dare poi il proprio apprezzamento,
politico, economico o quant’altro, solo a ciò che al Potere può andar bene. In
fondo, se ci pensi, Berlusconi ha cominciato la scalata con Cecchetto e il suo
gioca-jouer. Non so cosa si può fare per invertire la tendenza. Agli
ascoltatori posso proporre di ascoltare quanto più sia possibile ascoltare via
internet indipendente, ai gruppi musicali di farsi il più possibile ascoltare
via internet indipendente, rinunciando alle remunerazioni, tanto ormai quello è
il destino per tutti, anche per noi. In ogni caso, l’ideale sarebbe buttarlo
tutto per aria, questo attuale mondo musicale, e ricominciare da zero con altri
mezzi di comunicazione.
Hai presentato (ed è nell’album) un
brano in dialetto genovese, che ricorda un momento serio e doloroso del
passato. La lingua inglese, che piaccia o no, è ideale per l’applicazione
metrica e si adatta perfettamente alla “nostra” musica rock. Che tipo di
difficoltà si incontra quando si vuole abbinare un dialetto locale ad una
musica universale?
Premessa:
secondo me, e lo metto come postulato, la melodia e l’armonia di una canzone
sono più importanti del resto, sono quelle che comandano, e la struttura della
composizione dipende da queste, compreso il linguaggio da usare. Se una melodia
o un’armonia richiedono il genovese piuttosto che il piemontese, il gaelico, lo
slavo o l’yddish, penso che il pezzo vada scritto in quell’idioma e basta. Poi
uno se ne accorge subito, se quello che ha scritto ha più senso in inglese o in
genovese. Se poi vogliamo affrontare il rapporto di tutto questo con il rock,
boh, credo sia questione di metrica e basta. Per i pezzi rock, diciamo quelli
adatti all’inglese, in genere il dialetto va benissimo perché la maggior parte
dei dialetti italiani, o comunque tutti quelli che conosco io, finiscono la più
parte delle frasi con parole tronche, che chiudono la frase con qualcosa di
accentato sull’ultima sillaba. L’italiano in questo senso è molto più fetente e
ci si lavora peggio che col dialetto. Le parole che finiscono con l’accento,
cioè quelle che ci vorrebbero, adatte alle linee melodiche più comuni nel rock,
sono poche e di solito rendono il discorso irreale o scontato, per esempio la
classica rima “cuor/amor” oppure certe
tragiche assonanze “fa / qua / là / trallallà ” (chi ha voglia di farsi del
male controlli certe rime di Mino Reitano)…. In effetti per fare un testo
memorabile in italiano ci vuole un vero poeta, mentre per farlo in inglese,
francese o un qualsiasi dialetto basta molto meno. Però è anche vero che
cantare in dialetto richiede di solito un certo tipo di atmosfera musicale che
non va molto d’accordo con i canoni del rock. Il massimo sarebbe riuscire ad
arrivare al compromesso, a qualcosa che per musica ed atmosfera abbia senso
come rock cantato in dialetto. Una parola…
Cosa rappresenta per te la perfomance
live? Che tipo di interazione riesci ad ottenere?
La
performance live è il compimento del tutto. Solo in quel contesto si vede se
ciò che hai messo su ha un senso oppure se era solo un tuo sogno. Se il live
non funziona, hai sbagliato tutto ed è meglio che lasci perdere e ti dai
all’agricoltura. Credo che un giorno ci scriverò su un concept, sulla questione.
Riguardo all’interazione con la gente, oggi come oggi noi siamo davvero troppo
burbe per poterti rispondere qualcosa in merito. Per adesso, Sad Minstrel ha
bisogno di crescere. Tra un po’ di concerti, quando ci saranno, rifammi la
stessa domanda e ti dirò. Però posso raccontarti cos’è l’interazione con la
gente riguardo alle mie serate lavorative, quando chiedo a chi mi ascolta cosa
vorrebbe che gli suonassi e se la so gliela suono. E lì davvero mi piace
interagire, fare in modo che la scaletta la facciano gli spettatori, per poter
ridere piangere e far casino assieme a loro. Spero un giorno di arrivare a fare
qualcosa di simile anche con Sad Minstrel.
Da quanto ho visto e letto sei tu il
depositario del progetto “Sad Minstrel”, ma a suonare siete in molti. Che tipo
di legame esiste tra voi? Siete un gruppo di lavoro alla pari o sei lo … Ian Anderson della situazione?
Direi
mezzo e mezzo. All’inizio ho radunato una band per metter su i miei pezzi così
com’erano, e tra l’altro ho dovuto buttare tutto per aria un paio di volte, il
che in parte giustifica i miei ritardi di uscita e pubblicazione. Ma poi, una
volta trovati quelli giusti, (almeno spero per la maggior parte), la band si è
consolidata ed è diventata qualcosa che va al di là della prova e del concerto,
è diventata un’entità a sé stante, che comprende anche me senza però più essere
il capo, e sforna musica anche indipendentemente da me. Così a questo punto c’è
lo spazio per il mio ruolo diciamo di Anderson, che compone tutte le parti e
poi le fa suonare ai ragazzi, e per quello della band in propria autonomia, con
me membro tra i sei componenti... Sono due cose diverse e coesistenti, pian
piano ve le chiariremo. Ah, a proposito della band è doveroso citarne i
componenti : in ordine di entrata, c’è il “Tuffa”, Luca Tuffanelli, che suona
chitarra e mandolino, Lele Traverso alle tastiere e voce, Stefano Toaldo alla
batteria, la “Chicca” Giulia Carlini al flauto traverso e voce e Fabrizio
Nuovibri al basso. Bravi cristi, potresti fare due domande anche a loro.
Se dovessi indicarmi un
artista/gruppo che ti ha spinto sulla via della musica, chi nomineresti?
Beh, due categorie: i cantautori italiani anni ’70 e il
rock progressivo inglese della stessa epoca. Per fare nomi e cognomi, Fabrizio
De Andrè e Francesco Guccini (ma anche molti altri) in Italia, e Genesis e Pink
Floyd (ma anche altri) all’estero. Non posso risponderti esaurientemente
sull’argomento senza raccontarti qualcosa dei miei progetti futuri. Il che non
avrebbe senso finché non li avrò realizzati, giusto? Porta pazienza e se ci
riesco vedrai e ascolterai e ti farai un’idea.
Giorgio Neri, seduto accanto a me mentre suonavi, mi
parlava, positivamente, del tuo essere alternativo nella vita di tutti i
giorni. Ma qual è la filosofia musicale e di vita di Fabio Casanova?
Giorgio
è un amico e un testone (in senso buono), presto cercheremo di fare qualcosa
assieme e quella volta sarai il primo che informeremo. Quando mi definisce
“alternativo” credo che Giorgio si riferisca al mio stare al mondo un po’ fuori
dai canoni e non certo agli “alterna” modaioli da movida. Probabilmente
incuriosisce il fatto che io possa abitare in mezzo al bosco, in un vecchio
rudere, e vivere, e anche discretamente bene, delle storie che racconto alla
gente, che devo dire se le lascia raccontare di buon grado. Io faccio il
musicista di lavoro e quando faccio una serata, da solo o in compagnia, Sad
Minstrel o altre formazioni, voglio che la gente se ne vada contenta. E la
prossima volta che mi vede, magari perché mi incontra in fila al supermercato,
sia contenta di incontrarmi, mi chieda come va, quali balle gli racconteremo la
prossima volta e poi andarsene tutti quanti a bersi un bianchino al bar. Credo che in fondo la mia filosofia musicale e
di vita sia questa. Poi ogni tanto posso raccontare storie un po’ più profonde,
difficili e non sempre troppo comprensibili, per musica o per testo. Ma ci
tengo a non dare mai l’idea del predicatore dal pulpito, perché non vorrei mai
esserlo. Mi fa un gran piacere lo sconosciuto che mi ha sentito magari per la
prima volta e viene a fare due chiacchiere alla fine del concerto. Mi spiace
solo che in genere non riesco a dar retta a tutti per questioni di tempo.
Prova ad
esprimere un desiderio musicale da far avverare entro tre anni.
Se
te ne dico uno personale faccio la figura dell’egocentrico. Allora a livello
assoluto vorrei che, entro i prossimi tre anni, venisse lavata l’anima, a tutti
gli italiani al di sotto dei quarant’anni, da tutto ciò che gli è stato
propinato via media in questi recenti anni di merda. Che potessero riscoprire
lo stupore, l’ingenuità, il piacere di scoprire e di imparare, e magari la
gioia di far casino una sera, senza altri additivi che non siano ciliegie o
castagne, secondo la stagione. Per me, magari, un aiuto ad organizzare, sempre
entro i prossimi tre anni, una serata prog con noi, il Tempio delle Clessidre e
la Locanda delle Fate, e magari anche Giorgio Neri se ci sta. Dovunque. Sarei
già contento così.
Biografia
SAD MINSTREL – progressive rock
Sad
Minstrel è
il nome del progetto solista che Fabio Casanova, polistrumentista, autore e compositore, ha ideato dopo lo
scioglimento di Malombra, il gruppo di cui ha fatto parte
fino al 1999.
Fabio suona e compone musica fin dall'adolescenza,
interessandosi ai generi musicali più svariati, dalla canzone d'autore e la
new-wave negli anni '80 al progressive rock negli anni '90 alle incursioni
nella musica etnica, con particolare risalto al folk celtico e a quello
popolare della Liguria, nel nuovo secolo. Oggi è un affermato musicista che
propone serate acustiche nei locali e nelle feste di paese, a base di
cantautori anni '70, musica dialettale ed altro. Nell'ambito del rock, però, il
ruolo in cui è maggiormente conosciuto è quello di tastierista della formazione
Malombra, di cui è stato co-fondatore e con
cui ha pubblicato due album, "Malombra" nel 1993 e "Our Lady of the Bones" nel 1996.
Dopo lo
scioglimento della formazione, Fabio ha ripreso parte del materiale che aveva
composto per il gruppo, lo ha rielaborato e ci ha aggiunto alcune composizioni
più recenti, ma soprattutto ha cercato di dare al lavoro un'atmosfera più
possibile vicina alle sue principali influenze musicali, mescolando il rock con
il folk, le ballate acustiche con un po' di psichedelia e un po' di dark, e
così è nato il progetto Sad
Minstrel con l'album "The Flight of the Phoenix". Fabio lo
ha proposto all'etichetta discografica Black Widow, che lo ha
pubblicato nel 2003 come CD e LP.
In
"The
Flight of the Phoenix", Fabio ha cantato, suonato la chitarra elettrica ed
acustica, le tastiere, il tin whistle e effettuato la programmazione MIDI
per basso, batteria e percussioni,
realizzando completamente da solo tutti i pezzi.
Dopo lunghe vicissitudini, Fabio è recentemente riuscito a
dare una dimensione live al progetto Sad Minstrel, che ha fatto il suo esordio
dal vivo nel 2009, a Genova e dintorni. Alle atmosfere rarefatte e fatate del
progressive si è aggiunta una solida base ritmica tipicamente rock.
La formazione comprende : Fabio alla voce, chitarra elettrica
ed acustica e flauto irlandese - Luca Tuffanelli
alla
chitarra elettrica e mandolino - Lele Traverso
alle
tastiere e voce - Stefano Toaldo alla batteria - Giulia Carlini
al
flauto traverso e voce - Fabrizio Nuovibri
al
basso.
Il repertorio live è costituito, oltre che dai brani di
"The Flight of the Phoenix", da alcune composizioni nuove, un omaggio
a Malombra e la cover di un pezzo dei Jethro Tull, una delle band che maggiormente ispirano il sound di Sad
Minstrel. La durata del concerto è di circa 2 ore e mezza.