Il genere Progressive
sta riemergendo.
Il vinile è
nuovamente oggetto di culto.
E' stato davvero
emozionante avere tra le mani la copertina de "Il Viaggio di Colombo", album
de Il
Cerchio d'Oro,
gruppo storico di Savona.
Inutile soffermarsi
sul fascino dell'involucro, elemento noto a tanti della mia generazione; semmai
risulta una sorpresa il CD , veramente curato e solo un figlio minore, per
dimensione, del Long Playing.
Ma la sostanza?
E chi è il Cerchio
d'Oro?
Partiamo dal secondo
punto, dal chi sono questi "ragazzi" che propongono musica di nicchia.
Su "contrAPPUNTI" di qualche
mese fa scrivevo, tra le altre cose :
"Il Cerchio d’Oro, nasce attorno al 1974, su
iniziativa di Franco
Piccolini (tastiere), Gino (batteria/voce) e Giuseppe Terribile (basso/voce). Ai tre si aggiungono Giorgio Pagnacco (tastiere) e Roberto Giordana (chitarre)".
Poi la vita
conduce questi musicisti verso strade diverse sino a che, dopo 25 anni, il
gruppo si ricompone , e al nucleo originario si uniscono Giordana e Piuccio Pradal.
"Spinti dall’amore, mai venuto meno per il
genere Progressive, e dalla voglia di creare ancora .. si lanciano in un nuovo progetto, “Il Viaggio
di Colombo”, negli intenti un vero concept album , in puro stile seventies prog".
Ed eccomi quindi alla
sostanza, il disco, dal 18 ottobre ufficialmente sul mercato.
Ho avuto il
privilegio di ascoltarlo in anteprima, un anno fa, e a distanza di tempo ho
confermato il mio giudizio positivo.
Da molto tempo
conosco i gemelli Terribile, e ho stretto una salda amicizia con Piccolini.
E' anche questo il
motivo per cui ho chiesto aiuto per la recensione... per essere sicuro
dell'obiettività di giudizio.
E' venuto in
mio soccorso Ferdinando
Molteni, esperto di musica rock, e alla fine il suo pensiero
sarà molto vicino al mio.
Leggiamolo.
I primi anni Settanta
sono stati, per la musica italiana, un momento d'oro. Chi c'era, probabilmente,
non se ne rese completamente conto. Erano anni difficili, tuttavia. Di lì a
poco autoriduttori e teppisti avrebbe svuotato il Belpaese da rockstar
(ricordate le fughe di Zeppelin e Santana?) e cantautori (il “processo” a De
Gregori?). Eppure, in quegli anni, la musica italiana vendeva all'estero, si
meritava il rispetto degli appassionati di tutto il mondo, riempiva i sogni di
tanti adolescenti.
A quegli anni –
quelli belli del progressive e della nuova canzone d'autore – fanno riferimento
i cinque ex-ragazzi del Cerchio d'Oro. Ma il loro approccio è tutto meno che
nostalgico. Il quintetto fa, con questo album-concept “Il
viaggio di Colombo”, un'operazione squisitamente e appassionatamente artistica.
Decide, per esprimere creatività, talento compositivo, gusto esecutivo, di far
riferimento ad un'epoca ben determinata, cioè i primi cinque anni, grosso modo,
del decennio Settanta. Fa esattamente quello che un jazzista fa quando decide
di suonare hard-bop o swing, oppure un gruppo rock quando si immerge nel
brit-pop o nel rock-blues. Fa, in definitiva, una scelta artistica ed estetica
perché il linguaggio prog è quello che meglio si attaglia al suo mondo.
Detto questo, veniamo
al disco. Che dire? “Il viaggio di Colombo” è davvero il disco che non ti
aspetti di ascoltare. Quelle voci, quei suoni deliziosamente vintage, quei
testi un po' così (il prog ci ha abituato a musicalissime bizzarrie
linguistiche), quei cambi di tempo, e le aperture melodiche (che ricordano, per
funzione, più l'aria d'opera che il ritornello di una pop song), gli assolo,
gli impasti; tutto congiura a far sì che “Il viaggio di Colombo” sia uno di
quei dischi che difficilmente l'appassionato riuscirà a togliere dal piatto.
Le composizioni
(undici) sono tutte di livello equivalente. Ogni canzone (anche se il termine
in qualche caso è riduttivo) contiene un'idea, uno spunto melodico, o ritmico,
e legato all'arrangiamento. Ogni frammento di questo disco ha una sua ragion
d'essere. E ce l'ha perché dietro c'è un sacco di lavoro, di passione, di
tempo. Quel tempo che oggi, gli ex-ragazzi del Cerchio d'Oro, strappano alle
loro vite di tutti i giorni, ma che rappresenta la conquista più preziosa.
I cinque musicisti
hanno tutti decenni di musica sulle spalle. Musica sovente assai diversa da
quella che suonano in questo album e che, probabilmente, suoneranno dopo questo
album.
Molti di noi (chi
scrive, chi va ai concerti, chi strimpella nel segreto della propria stanza uno
strumento) hanno desiderato, una volta nella vita, di fare un disco così. Un
prodotto di cui essere fieri, da poter consegnare al pubblico con la serenità di
aver ben lavorato. Loro, il Cerchio d'Oro, l'hanno fatto. La speranza è che, in
realtà, questo non sia che un inizio. Quanto meno di una nuova bella storia di
musica, fatta soprattutto di concerti.
Di solito, quando si
ascolta un disco “di genere”, bisognerebbe citare tutto il citabile. Io proverò
a non farlo (conosco anche io Balletto di Bronzo, Rovescio della Medaglia, i
Trip del grande Joe Vescovi e conosco ovviamente Genesis, Nice, Yes e
compagnia). Non lo voglio fare perché sarebbe irriguardoso nei confronti di
musicisti che hanno scelto liberamente un linguaggio col quale esprimersi. Che
non è tutto loro, ma che è anche loro.
Viva il Cerchio d'Oro
e viva “Il viaggio di Colombo”, dunque. Ora smetto di scrivere. Voglio
riascoltare “Sognando la meta”. Lo confesso: è la mia preferita.
Ascoltiamoli e
vediamoli in abiti d'epoca