mercoledì 29 aprile 2015

Narrow Pass-"A New Day"




I Narrow Pass presentano il loro terzo lavoro discografico, A New Day.
Detto in questi termini sembrerebbe una tappa di un percorso iniziato da poco, un pugno di anni forse, ma per risalire alle origini della band occorre tornare indietro di ben trentacinque anni.
Le vicissitudini e l’iter evolutivo sono chiariti nel corso dell’intervista a seguire, scambio di battute che permette di penetrare nel profondo, dell’album e delle circostanze che hanno portato alla sua creazione.
Ogni volta che entro in contatto con una nuova -per me- band, dedita ad un vero impegno musicale, l’appellativo “Prog” emerge sempre, accomunato a mille altre etichette che sembrano usate per incrementare il valore del brand, però… se dovessi definire il mio personalissimo concetto di “musica progressiva”, esprimendolo con un esempio musicale, potrei tranquillamente usare questo A New Day, che credo sia esattamente quello che vado cercando in tutte le occasioni, un cerotto capace di chiudere ogni mia piccola ferita, sia essa legata a momenti di gioia o ad attimi di sofferenza. Questo è il mio utilizzo della musica… una cura per la quotidianità, un mondo a cui mi aggrappo nelle situazioni in cui posso permettermi di scegliere, senza opposizione alcuna.
Non sono in grado di posizionare questo album in una ipotetica classifica di merito, mi interessa poco, ma di sicuro è il contenitore musicale che più mi ha colpito negli ultimi mesi, e sarà mia cura andare alla ricerca della storia precedente dei N.P., che mi sono colpevolmente perso in questi anni.
Sono molte le influenze che ho trovato, ma il riferimento maggiore mi riporta ai Genesis, per quella capacità di creare atmosfere rarefatte che imparammo a conoscere quando Tony Banks, arrivato in Italia, ci mostrò che cos’era il mellotron.
A rimarcare il parallelo, la presenza di un ospite illustre, John Hackett, fratello di Steve, e portatore sano, per induzione, del seme originale di quella band… se poi aggiungiamo ospiti come Edmondo Romano, Fabio Gremo, Elisa Montaldo, Sandro Marinoni e Cathy O'Gara, viene facile intuire che la qualità del prodotto non poteva esser messa in dubbio.
Però… per fare un bel disco non bastano grandi musicisti, ma occorre trovare l’idea, che si trasformerà in anima e caratterizzerà la sua storia futura.
L’incontro tra Mauro Montobbio -leader e fondatore dei NP- con la musicista e scrittrice Beatrice Oldi, determina lo schioccare della scintilla, e a quel punto il racconto e le trame musicali si uniscono sino ad arrivare ad una perfetta sintesi.
L’abbinamento di due diverse arti espressive -letteratura e musica- permette di dipingere un quadro completo e familiare, perché la necessità di dover scegliere, la tentazione di abbandonarsi allo sconforto e la decisione di proseguire con coraggio affrontando ogni tipo di pericolo, sono situazioni che incidono pesantemente sul nostro percorso di vita, e l’unicità della musica è quella che, mentre da un lato è in grado di descrivere perfettamente situazioni inquietanti, dall’altro diventa essa stessa cura e rimedio, conducendo ad un “New Day”, di cui tutti quanti abbiamo bisogno.
Sono otto le tracce di questo concept album, strutturate con diverse sottosezioni, ma ciò che mi ha maggiormente colpito è il mood generale, un solido filo sonoro che non unisce soltanto gli episodi del racconto, ma riesce ad accorciare lo spazio tra epoche lontane, riproponendo, con un po’ di ammodernamento tecnologico, una musica che riesce ancora ad appagare il cuore e la testa.
In questo viaggio tra spazio e tempo “l’antico” Mauro Montobbio è accompagnato stabilmente da fior fior di musicisti, come il Maestro G.B. Bergamo (grand piano, organo hammond), il batterista di lungo corso Luca Grosso, la fantastica vocalist Anna Marra e Alessandro Serri (vocalist, chitarre, basso, oboe, percussioni).
Un vero disco prog non può prescindere da una grande copertina, e le circostanze che hanno fatto incontrare il pittore inglese Duncan Storr con la musica dei Narrow Pass, spiegate nelle prossime righe, sono il segno della bontà delle idee messe in campo, ma anche della cura dei dettagli e del lavoro capillare -cosa rara in questi tempi di fai da te e usa e getta- che ha condotto verso questo grande disco; nello specifico, la splendida parte visiva che accompagna al “New Day” passa attraverso le immagini de “L’albero della vita” e del “Saluto del Sole”.  

Possibile la sinossi del disco?
Un viaggio interiore ed esteriore... nel buio, fuori al freddo. La notte diviene un bozzolo all'interno del quale trovare il modo per un'alba di rinascita.

Un grande sforzo, un enorme impegno, un risultato sorprendente, una musica in grado di saziare chiunque abbia la sensibilità giusta per lasciarsi coinvolgere, e magari ringraziare per il regalo ricevuto.



L’INTERVISTA

D’obbligo una sintesi iniziale: come nascono i Narrow Pass e come si è evoluta nel tempo la loro musica?

Mauro Montobbio: I NP nascono intorno al 1980 da un'idea dei fratelli Guido e Mauro Montobbio, cantante e chitarrista rispettivamente. Il nome è la vaga traduzione in inglese di "Pietre Strette", località molto caratteristica ed evocativa del territorio in cui i Narrow Pass nascono, ossia il Promontorio di Portofino. Avendo condiviso per anni la passione per la musica "impegnata" di quel periodo d'oro (PFM - Pink Floyd - Santana - Genesis - Jethro Tull - Gentle Giant e molti altri) è stato naturale incanalare tutte queste influenze. Quasi subito si uniscono al progetto il batterista Marco Cavalera, il bassista Eugenio Cugnoli e il tastierista Dino Repetto. E' il 1980, ancora non ci sono i Marillion, ma nell'aria si respira già una musica da..."quelli che amavano i Genesis", quindi il sound, curiosamente, è molto simile a quello dei Marillion "Era Fish", un sound che da lì a poco esploderà come "Neo Progressive".
Purtroppo non ci sono testimonianze discografiche di quel primo periodo. Mauro Montobbio lascia il gruppo nel 1982, i NP proseguono con un nuovo chitarrista prendendo un'impronta più "Progressive/Fusion fino al definitivo scioglimento a fine anni ‘80, senza alcun documento discografico ufficiale. Il progetto NP viene ripreso diversi anni dopo da Mauro, e ha la sua maturazione con il primo lavoro "A Room of Fairy Queen's", nel 2006, edito da Musea. In alcuni brani sono avvertibili le influenze anni ‘80-’81, ereditate dal primissimo nucleo del gruppo, unite a quelle più acustiche legate all'amore viscerale di Mauro per la musica di Anthony Phillips e Steve Hackett. Il secondo lavoro, "In this world and beyond" (2009/Musea), si distacca dal precedente ed assume tinte più celtiche, in gran parte legate alla collaborazione con la cantante folk biellese Valeria Caucino, già conosciuta da Mauro ai tempi della sua militanza con gli Eris Pluvia (1992). Per il terzo lavoro, preparato con tutta calma, si cambia ancora e Mauro decide di cercare un gruppo stabile. Dapprima l'incontro con il batterista Luca Grosso, drummer poderoso dalle molte collaborazioni nell'ambito prog e metal, poi il sodalizio con il cantante e chitarrista fondatore degli Eris Pluvia, Alessandro Serri, cui sono seguiti il Maestro G.B. Bergamo al pianoforte e la versatilissima cantante Anna Marra. Con tutti questi elementi prog/classici/Jazz/bossanoviani e rock, il risultato è il nuovo disco "A New Day", summa di tutte queste influenze.

Sono passati cinque anni dall’uscita del precedente album, il secondo, “In This World And beyond”: come si spiega un lasso temporale così importante, quello che conduce a “A New Day”?

Mauro Montobbio: Immagino sia stato un normalissimo periodo sabbatico in cui ho incanalato tutta l'esperienza precedente unita alla voglia di raccontare una storia. Sicuramente sapevo di voler creare un concept, e così è stato. C'era bisogno di maturare alcune cose... ritengo che non sia possibile pubblicare un qualsiasi lavoro se questo non è stato maturato prima a livello profondo. Non credo nei dischi a "pubblicazione fissa", con tutto ciò che ne consegue a livello commerciale.

Qual è l’anima di questo nuovo disco? Trattasi di lavoro concettuale?

Mauro Montobbio: Sì, un lavoro concettuale, concretizzatosi nell'incontro con la cantante/chitarrista folk, nonchè scrittrice, Beatrice Oldi. La sua storia legata al concetto del "coraggio", della curiosità, della voglia di sfida e di andare oltre, motivi a me cari in quanto riecheggianti del mito di Odisseo, si è trovata a coincidere in maniera davvero impressionante con il particolare momento personale che stavo vivendo.
Beatrice Oldi: La storia ha dato una veste simbolica e narrativa a ciò che la musica raccontava già a livello emotivo, una storia che fa parte di tutti noi, perché tutti ci siamo trovati almeno una volta di fronte alla scelta fondamentale: abbandonarsi al dolore oppure trovare la forza di tenere la testa alta e gli occhi aperti, e guardare nel buio, per trovare la strada verso un nuovo giorno".

Quanta importanza date alle liriche, al messaggio, ai concetti che accompagnano la musica?

Mauro Montobbio: Personalmente prediligo la musica strumentale e preferisco delegare il messaggio musicale a strumenti che non siano la voce. L'ultimo lavoro, "A New Day", sembra contraddire in parte questa mia predilezione ma, ovviamente, la presenza di due cantanti nel nuovo gruppo porta ad esplorare nuovi territori.

Come è nato l’artwork di “A new Day”?

Mauro Montobbio: L'amicizia con il pittore inglese Duncan Storr (http://myweb.tiscali.co.uk/duncanstorr/), autore di numerose copertine per gruppi rock mondiali, e l'ascolto da parte di quest'ultimo del materiale dell'album e la lettura della storia, ha portato alla realizzazione di questo artwork di cui sono particolarmente orgoglioso. Non ringrazierò mai abbastanza Duncan, che mi contattò alcuni anni or sono dopo aver ascoltato ad una radio prog un brano dei NP tratto dal secondo album. Duncan è riuscito a rendere in maniera splendida il concetto del "Nuovo Giorno" con due splendide immagini: “L’albero della vita" e il "Saluto al sole". Un particolare ringraziamento va ai miei cari amici Simona e Carlo per aver saputo così sapientemente coordinare foto ed immagini.

A impreziosire la vostra creazione la presenza di John Hackett: amicizia? Scelta funzionale al progetto o il piacere di poter vantare un nome di spicco?

Mauro Montobbio: Troppo semplice e scontato rispondere... tutti e tre le cose! In effetti , grazie all'amico Vincenzo Ricca ho potuto "avvicinare" i miei eroi di sempre, i fratelli Steve e John Hackett, accanto ai quali avevo avuto l'onore di "soffiare" un paio di anni prima nel "The Rome Pro(G)ject" dello stesso Ricca. In particolare John Hackett ha dato quel suo contributo particolare che mi riporta ai bei tempi in cui sognavo sui solchi di "Spectral Mornings" piuttosto che di "The Geese and the Ghost" o "Voyage of the Acolyte".

Sono anche altri i vostri ospiti, conosciutissimi in ambito prog: me ne parlate?

Mauro Montobbio: certamente, parlo molto volentieri degli ospiti che hanno contribuito a questo lavoro, a partire dall'onnipresente Edmondo Romano, musicista tra i più completi e versatili del nostro panorama musicale, qui presente soprattutto con il suo sax soprano e con i suoi wistles e flauti bassi, nonchè tecnico sensibilissimo e responsabile del mix del disco. Altra gradita presenza, proveniente dal precedente lavoro, è quella del fiatista Sandro Marinoni, già musicista con gli "Arcansiel" e con i "Sado", autore di due notevoli camei flautistici. Particolarissima la partecipazione della cantante americana Cathy O'Gara, esattamente la voce di cui avevamo bisogno in "Metamorphosis", il brano più bluesy del lavoro. Soliti meritati complimenti per gli amici e colleghi musicisti genovesi Fabio Gremo e Elisa Montaldo, il primo per le eccellenti performances al basso, davvero un ottimo professionista, oltre che artista ispirato.

Come è avvenuta la suddivisione degli spazi vocali all’interno dell’album?

Mauro Montobbio: A parte il brano "Metamorphosis", cui la Storia di "A New Day" assegnava un ruolo graffiante ed aggressivo, il resto delle liriche andavano interpretate da una voce non troppo squillante ma profonda, una voce fuori dai soliti schemi prog, e qui Alessandro Serri dei grandi "Eris Pluvia" era decisamente a casa sua! Anna Marra si è unita al gruppo a lavori ormai quasi terminati ma è riuscita a "dare il bianco" in brani acustici importanti come "Fireflies", intrecciando la sua voce con il flauto di John Hackett ed in altri interventi nel disco in cui riesce a fare la differenza.
Anna Marra: Il mio intervento all’interno del disco è stato quasi casuale, e il mio contributo è aumentato di brano in brano, come una sorta di “work in progress”, con il collega Alessandro e i consigli di Mauro. Molti interventi vocali sono stati quasi improvvisati, provati una volta o forse due, seguendo quasi una sorta di “flusso” melodico intuitivo, forte anche delle mie esperienze vocali e di “interplay” con i miei amici musicisti di un tempo, ma sempre presenti: il mio gruppo Obrigado! di Bossanova mi ha aiutato a “sentire” la musica come in un continuo rotolare sul ritmo, senza forzature, senza uno schema rigido: la stessa lingua portoghese/brasiliana (che assomiglia al genovese) porta alla morbidezza del fiato e quindi dell’emissione stessa. L’incontro con il prog è stato come bere una caipirinha con una spruzzata di whisky. Si mescolano i sapori, ma rimane un cocktail ibrido, stuzzicante e sicuramente nuovo, per chi ha l’orecchio e la “bocca” da intenditore.

Ascoltare il vostro album fa ritornare indietro nel tempo… a momenti musicalmente felici: che spazio pensate possa avere la musica progressiva nel 2015, se pensiamo alla divulgazione verso le nuove generazioni?

Mauro Montobbio: Io mi auguro sempre che il termine "musica progressiva" venga sempre più spesso sostituito da quello di "musica impegnata", una musica che non può mai costituire un "sottofondo", che costringe a fermarsi, riflettere, pensare, sognare. Questa è una musica che permette a chiunque lo voglia e lo sappia fare di esprimere in maniera compiuta i propri sentimenti, di comunicare con gli altri, una musica con la quale i giovani possano ricominciare a sognare e a desiderare un mondo migliore.

Quali i prossimi passi dei Narrow Pass? Qualche data live?

Mauro Montobbio: Diversi progetti in corso: per presentare il nuovo lavoro ed anche quelli precedenti, sia a livello di concerto rock che unplugged; prevediamo di essere pronti dall'autunno. In parallelo procederà la stesura del nuovo materiale... ce n’è' già in abbondanza!



Songs / Tracks Listing
1. A New Day
Part One: One Day, One Night (Instrumental)
Part Two: Don'r Dare!
2. The Challenge (Instrumental)
Part One: Early Steps
Part Two: Omen
Part Three: Black Wings
3. Fireflies
4. Acquiring Wisdom
5. Metamorphosis
6. Flaming Snakes
7. Hard Work (Instrumental)
8. Xroads

Line-up / Musicians
G.B. Bergamo / grand piano, hammond organ
Mauro Montobbio / guitars, guitar synthesizers, keyboards, synths
Luca Grosso / drums, percussions
Alessandro Serri / vocals, guitars, bass, oboe, percussions
Anna Marra / vocals

With:
Edmondo Romano (Eris Pluvia, The Ancient Veil, Höstsonaten) / saxophones, flutes
 Fabio Gremo (Daedalus, Il Tempio delle Clessidre) / bass
Elisa Montaldo (Il Tempio delle Clessidre) / grand piano
Sandro Marinoni (Società Anonima Decotruzionismi Organici) / flute
 Cathy O'Gara / vocals
John Hackett / flutes

Releases information
Label: Musea
Format: CD, Digital
December 22, 2014



lunedì 27 aprile 2015

Cristiano Parato-"Still"


Cristiano Parato ritorna all’uscita discografica (VIDEORADIO) con un album, Still, a cui partecipano ospiti di caratura internazionale, alcuni già consolidati - Mike Stern e Dave Weckl- e nuove entrate significative -Dennis Chambers, Ricky Portera, Luca Scarpa e Lele Melotti.
Con una simile squadra, al “servizio” del compositore Parato, qualsiasi approccio al suono diventerebbe sinonimo di qualità, ma occorre guardare oltre e cercare di scalfire la superficie, di penetrare un po’ più a fondo per cercare di comprendere l’idea, il percorso e la fase realizzativa.
Il protagonista è il basso, le cui peculiarità vengono messe in evidenza dall’autore, facilitato dal dream team.
Detta così la chiosa potrebbe prestarsi ad interpretazioni sbagliate, del tipo… esercizio di bravura, dimostrazione di tecnica, applicazione della tecnologia e molto altro ancora.
Un disco strumentale potrebbe anche essere tutto questo.
Ma la genialità e lo sforzo di Cristiano Parato si sintetizzano in quello che per me è un evidente contrasto, quello che porta a nascondere il personaggio -il basso elettrico- per esaltare il paesaggio, per raccontare storie, mondi lontani che prendono luce dai diversi generi musicali che attraversano le undici tracce che compongono Still.
Occorre rompere gli schemi e guardare ogni elemento da diversi punti di vista, e in questo caso troveremo che anche il basso può diventare narratore, proponendo, quasi in arpeggio, momenti intimi, conducendo imponenti attimi funky, percorrendo le vie del jazz, esplorando le etnie multiple, con un ruolo solistico.
Ecco il rovesciamento, condurre e non solo accompagnare, protagonista e non solo gregario, seppur di lusso.
Mi perdonerà Cristiano Parato per le mie divagazioni, ma la musica deve essere qualcosa di più di quello che ci troviamo, anche casualmente, tra le mani, e la sinossi del successo del “prodotto” risiede nella sua capacità di far scattare l’interattività, il dialogo tra autore e ascoltatore, ed io, col passare delle tracce, ho trovato il simbolo del perfetto concetto di “squadra”, dove lo stereotipo -la funzione tradizionale dello strumento- viene abbattuto, e dopo tanta fatica viene riconosciuto un ruolo e viene segnalata una strada con nuove possibilità.
E se questi miei concetti sono troppo personali, magari non condivisibili, è sufficiente lasciarsi colpire alla pancia da un ritmo e da un “canto” che possono tramortire e far sognare allo stesso tempo.
Il video ufficiale, che propongo a seguire, esemplifica, spero, il mio pensiero e chiarisce il tocco internazionale a cui accenno anche nell’intervista a seguire.
Lo studio, l’applicazione e il gusto di Cristiano Parato potevano portare ad un ottimo album… è uscito qualcosa di più, e sarà per tutti una piacevole scoperta.



L’INTERVISTA

Era la fine del 2011 quando, terminando la nostra intervista, ti chiedevo: “Prova ad esprime un desiderio musicale da realizzarsi entro il 2015”. Puoi tirare le somme di questi tre anni e mezzo fatti di musica?

Intanto è un piacere ricontrarti. Dopo l’uscita di “Riding Giants” devo dire che la mia carriera ha subito una svolta. Intanto parecchio interessamento da parte dei media, ma soprattutto da parte del  mondo musicale in generale, aziende, scuole, produttori e musicisti, quindi sono stati anni in cui ho suonato parecchio, ho svolto seminari in giro per l’Italia e ho collaborato con alcune aziende per lo sviluppo di nuovi strumenti. Ovviamente ho trovato anche il tempo di studiare, di comporre nuovi brani e di collaborare con altre situazioni, come ad esempio con i miei amici Riccardo Cherubini, Maurizio Vercon e Massimiliano Difraia, con cui ho pubblicato da poco l’album CBE Bros.

Come nasce “Still”? E’ rappresentativo di questo tuo momento di vita o riassume molto di più?
 “Still” è nato quasi per caso. Inizialmente la mia intenzione era quella di riproporre brani vecchi in chiave nuova, ospitando tutti i grandi musicisti che in questi anni hanno collaborato con me. Infatti il titolo stesso “Still”, che tradotto vorrebbe dire ancora, sta a significare il ritorno della mia musica con i miei grandi amici. Poi grazie a Scott Henderson, ho conosciuto Dennis Chambers, e Beppe Aleo mi ha presentato Ricky Portera, e quindi ho deciso di allargare il parco ospiti e di scrivere nuovi brani. Posso affermare che “Still” rappresenta il mio attuale modo di fare musica ed evidenzia anche una grande maturazione che ha portato alla produzione, a mio avviso, di una ottimo album.

Sei solito circondarti di musicisti eccezionali, e questa volta, oltre a Mike Stern e Dave Weckl, già “ospiti” nell’album precedente, presenti altri artisti illustri - Dennis Chambers, Ricky Portera, Luca Scarpa e Lele Melotti. Come è nata la squadra?

Come già detto in precedenza, per Dennis Chambers devo ringraziare Scott Henderson che avrebbe dovuto suonare anche lui due brani, ma reciproci impegni lo hanno impedito. Ho conosciuto Dennis a Milano, poi, trovato l’accordo sono volato a Baltimora dove abbiamo registrato tre brani. Ricky Portera si è avvicinato al progetto grazie al mio discografico e amico Beppe Aleo, dell’etichetta Videoradio. Ricky è stata forse la sorpresa più piacevole dell’intero progetto. Questo nuovo lavoro è stato registrato e missato all’ Only Music Studio di Carlo Miori, e proprio qui ho conosciuto Luca Scarpa, grande musicista, sicuramente un valore aggiunto che ha portato qualcosa di nuovo al mio già consolidato sound. Ovviamente per questi immensi musicisti non è stato un problema integrarsi con il resto della squadra.

Il video di presentazione è stato realizzato a New York: luogo più affascinante di altri o ulteriore tocco di internazionalità?

Personalmente ho un grande legame con New York, perché in questa città meravigliosa ho conosciuto grandi musicisti, suonato e ovviamente registrato con Mike Stern. Quindi il video voleva essere oltre ad una testimonianza importante, anche un omaggio ad una città che per la musica rimane un punto di riferimento. Oltretutto i ragazzi della Liuteria 3G di Modena, con cui ho collaborato alla progettazione del basso protagonista del video, The Sniper Bass, conoscevano Luca Campanale, che ha filmato ed editato il video. Luca vive a Brooklyn, quindi è stato tutto più semplice.

Mi è capitato negli ultimi tempi di ascoltare album di bassisti che provano a fare evolvere lo strumento e a rompere gli schemi tradizionali: qual è secondo te la potenzialità, ancora inespressa, dello strumento?

Il basso elettrico è uno strumento meraviglioso che grazie alla genialità di musicisti immensi come Jaco Pastorius e Stanley Clarke, ma non solo, ha raggiunto livelli di espressività che prima erano sconosciuti. Credo che le potenzialità siano ancora elevate grazie anche al lavoro tecnico sviluppato dalle aziende del settore. Ad esempio io collaboro da alcuni anni con Alusonic, un’azienda di Riccione che sta diventando grande grazie a bassi di altissimo livello costruiti con l’utilizzo dell’alluminio. Ennesimo esempio della qualità del made in Italy.

Live e Studio: dove trovi maggiore soddisfazione?

Come per tutti i musicisti, per me il live ha un sapore particolare, quello che esprimi dal vivo è una magia unica, ma devo dire che trovo maggior soddisfazione in studio. Mi piace sperimentare e arrangiare, e lo studio è il luogo dove passo la maggior parte del tempo,  per portare avanti il mio processo di crescita.

A proposito di “live”, come pubblicizzerai “Still”? Hai pianificato qualche data?

Oggi i canali per pubblicizzare un prodotto sono molteplici, questo è una caso in cui il web ti aiuta tantissimo, motivo per cui ho investito nella produzione di un video, che nella musica strumentale è un fatto abbastanza inusuale. Ovviamente sto preparando un progetto live per proporre “Still”, ma per ora non ci sono ancora date ufficiali.

Ancora una curiosità: vedi qualche spiraglio, qualche miglioramento, se ti fermi ad osservare il grado di salute della musica?

Ho pubblicato il mio primo album nel 1997, e già si sentiva parlare di crisi del settore. Credo che l’avvento del CD nei primi anni novanta avesse iniziato  il processo di caduta del mercato discografico, perché purtroppo tutto quello che è digitale e facilmente duplicabile e quindi la pirateria e la masterizzazione “casalinga” trovarono da subito terreno fertile. L’avvento delle nuove tecnologie ha portato ad un modo diverso di fruire la musica, ma soprattutto ha disabituato le nuove generazioni ad apprezzare i progetti nella loro completezza. Oggi più nessuno va a guardare copertina, libretto e credits, la gente scarica e ascolta solo quello che gli interessa. Credo che l’unica arma possa essere la qualità. Oggi è molto sviluppata la moda degli home studio, perché il digitale ha stretto la forbice tra studio professionale e amatoriale,  invece a mio avviso la differenza è ancora grande, e noi musicisti, per primi, dobbiamo far notare questa differenza con il nostro lavoro. Ad esempio, io ho deciso di eseguire il mastering di “Still”, allo Sterling Sound di New York, e devo dire che la differenza si sente.


Un po’ di storia tratta dal comunicato ufficiale…

Cristiano Parato, bassista compositore, grazie alle varie collaborazioni con musicisti di fama internazionale, oggi è considerato un bassista di riferimento. Ha iniziato a suonare il basso elettrico a quattordici anni, affrontando da subito studi di tecnica e di armonia, seguito dal suo insegnante storico, Marco Gallesi, ex Arti e mestieri. Innamorato della tecnica e musicalità di Jaco Pastorius, del sound dei Police e di tanti altri artisti come Stanley Clarke e Billy Cobham, è riuscito negli anni a creare un proprio stile e un modo molto originale di comporre ed arrangiare. Dopo un'esperienza come cantautore, nel 2006, è tornato prepotentemente allo studio del suo strumento seguendo master e clinic in giro per l'europa. Sono sei i suoi lavori discografici, ma i principali sono quelli editi da Videoradio, che Cristiano ha prodotto tra il 2009 e il 2015. "Ostinato Bass" vede la partecipazione del batterista italiano Lele Melotti e il grande chitarrista Scott Henderson. Segue "Riding Giants", in cui Cristiano duetta con due mostri sacri, Dave Weckl e Mike Stern. Nel suo ultimo lavoro, "Still", il nostro bassista raggiunge livelli elevati con grandi composizione ed esecuzioni magistrali, ma anche grazie ai sei ospiti di caratura internazionale quali Dennis Chambers, Ricky Portera, Luca Scarpa e i grandi amici, Melotti, Stern e Weckl. Per promuovere "Still", Cristiano ha prodotto e diretto il video musicale del brano "The Sniper", registrato nel novembre 2014 a New York. In questi anni si nota una grande crescita artistica grazie a importanti esperienze in studio ma anche grazie alle altrettanto importanti esperienze live, tra cui i concerti con Scott Henderson e Dominic Miller, mitico chitarrista di Sting. Grazie alle indubbie capacità tecniche all' esperienza didattica e di studio recording, viene sovente invitato a partecipare come docente ad eventi e seminari. Cristiano è autore e arrangiatore di tutte le composizioni contenute nei sei lavori discografici, e dai collaboratori più stretti, è apprezzato per la sua originalità.

venerdì 24 aprile 2015

BIG ONE al Teatro Politeama di Genova-23 Aprile 2015

Fotografia di Marco Pastorino

I BIG ONE, dopo il concerto dello scorso anno a Savona, ritornano in Liguria, e si fanno conoscere e amare anche dal pubblico genovese, quello che il 23 aprile ha gremito il Teatro Politeama.
La band è ormai super conosciuta, e tra i tanti mezzi tecnologici disponibili, utili normalmente per la condivisione, c’è da aggiungerne uno che tanto all’avanguardia non è… il passaparola. Erano infatti molti quelli che avevano assistito al concerto del luglio 2014, ma soprattutto i curiosi, convinti a presenziare dal giudizio e consiglio di amici degli amici.
E a giudicare dall’entusiasmo che ha caratterizzato la fine di ogni brano, si può affermare con buona certezza che nessuno è rimasto deluso.
Il gruppo porta in scena “The European Pink Floyd Show”, e nell’occasione realizza uno spettacolo lunghissimo, circa tre ore, con un piccolo intervallo a metà serata.
Questa la “scaletta”…


Un set vario, che presenta i brani più conosciuti e utilizzati dalle “tribute band”, con alcune varianti, come “The Final Cut”, canzone che si allontana dai repertori standard, tratta dall’album omonimo del 1983.
Lo show dei BIG ONE è fatto, ovviamente, di musica di qualità, ma l’effetto scenico contribuisce in modo determinante alla riuscita della performance, e così il gioco di luci e le proiezioni video sul cerchio alle spalle della band diventano parte integrante di una performance che, ancora una volta, stupisce ed esalta i presenti.
Ruolo importante in questo settore specifico è quello di Gian Paolo Ferrari, factotum insostituibile e decimo componente del gruppo. 


Chi sono gli altri, i nove presenti sul palco?
Leonardo De Muzio (chitarra solista e canto), Elio Verga (chitarre), Claudio Pigarelli e Stefano Righetti (piano, hammond, synth), Paolo Iemmi (basso e canto), Stefano Raimondi (batteria e percussioni), Debora Farina e Elisa Cipriani (cori) e Marco Scotti (sax e chitarra acustica).
Una macchina corposa, probabilmente difficile da oliare e affinare agli inizi, ma ora in grado di scatenare -letteralmente- un pubblico trasversale che in alcuni casi  diventa itinerante, e ne segue gli spostamenti.
Musicisti eccezionali e musica incredibile, capace ancora di calamitare l’attenzione di un pubblico di ogni età, perché l’opera di sharing dei “padri” trova facilmente terreno fertile.  
Ed è proprio l’elemento “giovani” che mi piace sottolineare, perché erano davvero tanti, tra bambini e adolescenti, e questo certifica l’universalità di un genere musicale che spesso si tende a minimizzare.
Registro un altro aspetto significativo: è sempre più richiesta una fruizione di concerti in luoghi in cui ci si può muovere e consumare, l’esatto contrario della mia idea di performance live. Il lunghissimo e accurato set è stato ripagato da un pubblico assolutamente concentrato, ma pronto ad esplodere nel momento giusto, che in alcuni casi si è aggiunto -o ha sostituito- i vocalist da palco, segno massimo della partecipazione e condivisione: e quindi stare seduti… è possibile!


E il gradimento dei BIG ONE, abituati a folle numericamente ben più importanti, era palese e sincero, e immagino che ormai la Liguria sia entrata un po’ nei loro cuori.

Un’altra serata da forti emozioni, come il video a seguire, forse, potrà testimoniare.

http://www.bigoneproject.it/




mercoledì 22 aprile 2015

E' in arrivo il nuovo numero di MAT 2020



Nuovo numero di MAT 2020 con tanta carne al fuoco.

Sono molte le interviste presenti questo mese, a partire da quella unica a Marva Jan Marrow -raggiunta con l’obiettivo di ricordare “Chocolate Kings” (che compie 40 anni), di cui scrisse le liriche; si prosegue con quella ad Alessandro Papotto -BANCO, ma non solo-, a Eddy Palermo -l’angolo jazz di Rodolfo Cervetto-, a Federico Bagnasco (Edmondo Romano) -con commento al suo album d’esordio-, ad Athos Enrile -che presenta il suo e-Book-, a Luca Olivieri e Romeo Vernazza (Max Pacini).
Giorgio Neri fa il punto sulla “musica che gira intorno”, in modo critico, e Giuseppe Scaravilli, dei Malibran, racconta tutto il suo recente dolore, le sue vicissitudini, e… la luce oltre il tunnel, ormai visibile.
Trai gli album presentati, vecchi e nuovi, oltre quello già citato di Bagnasco troviamo i Kansas, Edoardo Chiesa e Mistic Zippa (Alberto Sgarlato), Quintetto Esposto (angolo metal di Maurizio Mazzarella), Paolo Saporiti (Claudio Milano), La Nuova Creazione (Valter Monteleone), La Nuova Raccomandata con Ricevuto di Ritorno, Reagente-6.
Franco Vassia ci parla dei Syndone, mentre Glauco Cartocci ci permette di viaggiare da un continente all’altro, con la musica in testa, e Aldo Pancotti (Wazza) ci ricorda il tempo in cui non c’erano “talent”, ma “Festival degli sconosciuti”.
Per concludere le rubriche evidenzio lo spazio blues di Fabrizio Poggi, l’angolo dei ricordi di Riccardo Storti, Il progressive del terzo millennio di Mauro Selis, che nel suo solito spazio dedicato all’indagine psicologica, intervista un… collega, Giovanni Savastano, che affronta il periodo della Discomusic.
Ancora un numero impressionante di pagine, tutto per i nostri lettori!