venerdì 26 febbraio 2010

Il Festival di Altare


Alcuni mesi fa ho ricordato il mitico Festival di Altare.
L'opera di ricostruzione è stata complicata, e il risultato non del tutto soddisfacente.
Ciò che ne è derivato è stato pubblicato su "contrAPPUNTI", periodico dedicato alla musica prog.
Lo ripropongo integralmente.

Sulle tracce di un festival pop – Altare (Savona) estate 1972

A quattordici anni ero immerso nella musica rock.
Ricordo di essere rimasto affascinato, impressionato, incantato dal film dedicato al Festival di Woodstock.
Woodstock è ancora adesso, per me, un elemento di distinzione, di separazione, di eccellenza, e quando negli ultimi tempi mi sono trovato davanti a The Who o a Johnny Winter, ho pensato, prima, durante e dopo l’evento che… “cavolo sono riuscito a vedere chi ha suonato a quel Festival!”
Quando penso ai grandi Festival dell’epoca inserisco anche Monterey e Wight, tutti in un piccolo spazio temporale, ma Woodstock…
Oltre alla musica ero contaminato da tutto ciò ruotasse attorno a quel mondo.
Troppo piccolo per poter vedere messaggi e contenuti pseudo politici, ma nell’età giusta per subire l’influenza di chi, magari un po’ più grande, si muoveva con maggiore libertà. I capelli lunghi, le camice a fiori, le tuniche di garza, le borse, i profumi, la trasgressione. Woodstock era l’emblema di tutto questo, e arrivò direttamente, perché il film, che guardo ancora oggi una volta all’anno, fu determinante per apprendere cosa succedeva davvero in quel momento, in quel tipo di manifestazioni, e quali fossero i frequentatori.
In Italia ci furono eventi simili, non nelle dimensioni, ma nell’obiettivo. Gli echi degli accadimenti d’oltreoceano o d’oltremanica, arrivavano attraverso “Ciao 2001”.
Ovviamente c’erano gli introdotti, i musicisti, i giornalisti quelli in grado di viaggiare, tutte persone informate e quindi all’avanguardia, ma per noi ragazzetti di periferia le notizie arrivavano con grande ritardo.
Questo enorme spirito di emulazione portò non so chi ad organizzare un minifestival all’aperto, in campagna, nell’entroterra di Savona, la mia città.
Credo di aver avuto sedici anni ed era estate. Il festival a cui ho partecipato è quello di Altare, e vedrò di ricordare qualcosa di quella due giorni. Altare era a quindici minuti da casa e sarebbe stato facile tornare a casa all’ovile la sera, ma avrebbe perso molto significato, per cui convincemmo i genitori che era giusto dormire in loco. Eravamo abbastanza liberi a quei tempi, vivevamo per strada e non c’era la percezione del pericolo.
Purtroppo i pericoli c’erano e grossi, amplificati dallo spirito di emulazione e dalla necessità di far parte del gruppo, tipico dell’adolescenza. Ma i “grandi” non potevano saperlo. Sono stato fortunato.
Il punto esatto era “La pozza” di Altare, luogo in cui una specie di fossa piena di acqua inquinata (ma non lo sapevamo) permetteva un modesto bagno. Non ricordo esattamente come si diffuse la notizia, ma il gruppo dei musicisti, e degli spettatori, risultò nutrito.
La band del paese era Il Selvaggio Pasticcio di Miele, ma non credo abbiano proseguito l’attività. Per il resto, ricordo bene solo tre “entità”: Alan SorrentiFranco Battiato e il Circus 2000 (ma c’era anche il Balletto di Bronzo).
Noi eravamo in cinque, mi pare, e arrivammo sul posto con una Fiat 850 sport, color giallo canarino. Uno di noi aveva diciotto anni ed era fresco di patente. Del mio abbigliamento rammento solo una tunica bianca, tipo indiano, che mi faceva impazzire. La indossavo e mi sentivo un hippy.
E poi una bella borsa in cuoio, fatta a mano. E ancora tanto patchoulj, non so perché d’obbligo prima dei concerti. Non avevamo sacco a pelo, ma coperte e la mia era impareggiabile. Era un regalo di mia zia (anche la tunica era sua) e aveva la particolarità di abbinare tanti quadrati di differenti colori, i più variegati. Nessuno aveva una coperta simile! Arrivammo al campo e inquadrammo subito il palco. Là sotto avremmo passato la nostra notte di attesa. Lo spiazzo era pieno di tende e le più belle erano quelle delle band.
Addirittura quella del Circus 2000, rossa, sembrava una villetta, al confronto delle altre.
La pozza era già piena di “bagnanti”. Sicuramente era gente come me, che aveva visto le performance di Woodstock, e ora sguazzava seminuda in quella poca acqua, ridendo e divertendosi, riproponendo in chiave minore scene memorabili di film già visti. Noi non osammo tanto, eravamo solo apparenza e alla fine l’interesse primario era la musica.
Potrei sbagliare, ma il clou del concerto si concentrò in quella prima serata. Sorrenti non era quello di Figli delle Stelle, ma quello di Aria, cioè un innovatore, spesso accompagnato dal Dave Jackson dei Van Der Graaf Generator.
Ma non mi è rimasto niente che si possa descrivere, almeno dal punto di vista musicale. Dei torinesi del Circus 2000 idem. Ho solo un immagine di Silvana Aliotta, che suona le percussioni e canta. Battiato era completamente diverso da quello attuale ed era di difficile ascolto.
Conoscevo tutti i per mezzo delle pagine di “Ciao 2001”, dei poster, delle copertine.
Il pomeriggio lo dedicammo al girovagare per quel prato allestito, e ci sentimmo decisamente nella storia, quella storia che in quel momento era l’unica che contasse per noi.
Scegliemmo anche il posto dove dormire e ci sistemammo sotto il palco… un tetto in caso di pioggia era cosa saggia anche allora.
Di quella sera ricordo solo Sorrenti, con la sua voce eterea, ed un mantello nero sulle spalle.
La notte fu pressoché insonne, e i nostri pensieri di ex bambini innocenti, furono scalfiti dai ragionamenti di altri ragazzi, anch’essi sotto il palco, ma già alle prese con insane dipendenze. Tutto sommato ci trovammo a disagio.
Al mattino tanti occhi fuori dalle orbite e tante voci in circolo. Si parlò di perlustrazioni notturne di chi aveva il compito di sorvegliare il normale andamento delle cose, e di conseguente azione in flagranza di reato. Ma forse era solo per rendere “adulto” l’evento.
Del pomeriggio ricordo solo il Circus 2000. Un po’ di musica, qualche bagno nel fiumiciattolo, un ‘atmosfera da mondi lontani, e molto disagio da parte nostra, trasgressori immaturi e pentiti.
I genitori ci vennero a recuperare, quasi fossimo entrati in sintonia, quasi avessero ascoltato il nostro grido d’aiuto. Mentre lasciavamo il campo Battiato stava lanciando all’atmosfera i “rumori” figli della sua sperimentazione. Niente avrebbe lasciato presagire un futuro così roseo per lui.
Niente avrebbe fatto pensare a Sorrenti figlio delle stelle. Forse era immaginabile la fine del Circus 2000.
Cosa è rimasto di quei due giorni? Tanto, tantissimo.
Nel momento in cui la musica, quella musica, ed il suo contorno erano per noi come l’aria, eravamo riusciti a essere piccoli protagonisti, a vivere da vicino, un evento come quello dei nostri sogni.
Al posto di Cocker, Sorrenti; in luogo di Havens, Battiato; in sostituzione dei Ten Years After, il Circus 2000.
Ma quell’evento di trentasei anni fa mi è ritornato più volte alla mente, anche se un po’ sfumato, e con grande e fanciullesco orgoglio posso dire .. a me stesso: io c’ero.

LE FONTI

Ecco le informazioni che sono riuscito a reperire: chi scrive qui sotto è mio cugino che in quegli anni faceva parte della Pro Loco di Altare che aveva organizzato il raduno.
“Per quanto mi riguarda dovevo partecipare anch'io con il Selvaggio Pasticcio di Miele (il nome del gruppo era una pessima traduzione del brano Wild Honey Pie dei Beatles) anche se con il genere musicale del raduno non avevamo nulla a che spartire, eravamo una delle, come verrebbero definite adesso, garage band, e si facevano cover di gruppi famosi, Beatles, Rolling, Crosby Stills Nash & Young, Blind Faith, ecc.
Se non ricordo male il giorno precedente al concerto vero e proprio ci siamo esibiti ma non ho potuto partecipare alla serata clou in quanto avevo un febbrone da cavallo causato da un ascesso dentale (cazzo!!). Per cui non ho sentito né Alan Sorrenti né Battiato. Ricordo anche io con simpatia la definizione che ci veniva attribuita dagli altaresi, noi eravamo i beat, e per dirla in dialetto (spero che tu capisca) “votte a savaj cose fan si fioj a liciagni” (“va a sapere che cosa fanno sti ragazzi a Lipiani”). Beh c'era un piacevole odore che aleggiava e nei giorni seguenti si trovarono anche preservativi. Spero di essere stato sufficientemente esaustivo, ho comunque "diramato" richieste di informazioni ad altri amici e se mi risponderanno ti invierò le notizie” (Federico Perrone).

“… parliamo di quasi 40 anni fa (mi fa paura persino scrivere il numero), comunque per quello che ricordo, il festival fu organizzato dalla locale Pro Loco presieduta dal Sig. Dott. Ing. Oreste Saroldi. La vera forza motrice dell'organizzazione era Fulvio Michelotti e mi sembra di ricordare Paola Ferraro, ricordo coinvolto Bruno Berta. In parte minore anche io, ma ero più coinvolto nella "partecipazione" che nell'organizzazione. Mi sembra che l'anno fosse il 1972, ma non ne sono sicuro al 100%. L'organizzazione tecnica/musicale, inviti dei cantanti, marketing, promozione ecc... era del Gruppo Virus di Torino, un'organizzazione molto attiva in quegli anni ma di cui non trovo più traccia. Il festival ebbe luogo nella parte di Isola Grande vicino ai Pini (ora area Picnic), la zona fu interamente recintata nel vano tentativo di fare pagare i biglietti. Fu montato un palco ed organizzato un catering con panini e bevande. Il concerto durò un giorno, ma il pubblico rimase diversi giorni prima e dopo. Le conseguenze ambientali furono gravi, la zona dovette essere ripulita di sporcizia, ed i contadini rimborsati delle razzie dei "Beat" come li chiamavano gli altaresi.
Fu un grande successo di pubblico accorso da tutta Italia, ma un disastro economico che mise in ginocchio la locale Pro Loco... ed il gruppo Virus. Pochissimi pagavano né per gli ingressi né per il catering, lo spirito di Woodstock aleggiava... e la gente non voleva pagare quello che riteneva un proprio diritto e si sentivano protagonisti e non spettatori. I performers erano di grandissima caratura, basta nominare Franco Battiato, Alan Sorrenti ed il Balletto di Bronzo. C'era poi una cantante che a me era piaciuta moltissimo, ma di cui non ricordo assolutamente il nome. Tutto sommato un grande evento, ricordato da tantissime persone, per tanti anni. Anche Battiato (o Sorrenti ??) lo menzionò in una intervista ricordando lo spirito di quei giorni, che era poi quello di quegli irripetibili anni.” (Gabriele )



mercoledì 24 febbraio 2010

Nine Below Zero al Raindogs



Questa sera grande evento al Raindogs di Savona dove saranno di scena i Nine Belowe Zero.


La cult-band del British Blues!!!
Il tempo non passa invano per i grandi musicisti.
I NBZ sono un’incredibile band, punto d’incontro tra la grinta del r’n’b e la passione del blues, shakerate dall’irruenza del punk: ovvero quella miscela celebrata nel leggendario Live at Marquee di vent’anni fa.
Un concerto affascinante, perchè con i NBZ la magia si rinnova ogni volta.

La band, tra le più apprezzate della British Rhythm and Blues scene, dopo la parentesi unplugged dell’album Chilled (2002) torna al rock-blues militante: Hat’s Off è il nuovo album-tributo in cui rendono omaggio ai loro eroi musicali di sempre, catturando le sonorità tipiche dei tempi d’oro del blues elettrico.
C’è quindi grande voglia di portare “on the road” questa nuova creatura, che non mancherà di prendere nuove forme dettate dalla forza dei live-show dei NBZ.
Ma le novità non finiscono qui... La band ha da poco registrato dal vivo anche il primo DVD della sua storia: On the Road Again, che immortala i NBZ in una splendida performance a Wilbaston in UK, per oltre 90 minuti di pura energia !!!
Dennis Greaves, front-leader della band, canta e suona la chitarra meglio ora che in qualunque altro momento della sua carriera. Dietro di lui la possente sezione ritmica costituita da Gerry McAvoy (basso) e Brendan O’Neill (batteria) è irruente come una tempesta: la loro intesa è frutto di grande esperienza comune, Gerry e Brendan prima dei NBZ sono al fianco di un certo Rory Gallagher rispettivemente per 15 e 10 anni. Sopra tutto questo arriva l’inconfondibile armonica di Mark Feltham. Mark è membro fondatore della band con Dennis ed il suo è un grande ritorno: allontanatosi per motivi di salute, dal 2001 è di nuovo sul palco con i Nine Below Zero.
Dal vivo questa combinazione di artisti è letale, fa grandinare sul pavimento autentico R’n’B sound firmato NBZ con un tale trasporto che spesso gli spettatori fanno ritorno a casa sfiniti come i musicisti.
I NBZ hanno un suono autentico ed originale, niente trucchi, ed una profonda coscienza delle proprie origini musicali.

L' inizio del concerto è previsto per le ore 22:00.
Per ogni info cell 348 4040892

Maggio 2009-Varazze
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martedì 23 febbraio 2010

L'udito di Pete Townshend...



Questa mattina ho trovato sul Corriere Sera online una notizia che ripropongo integralmente.

L'artista è uno dei mie preferiti, Pete Townshwend, mente degli Who, gruppo che ho avuto il privilegio di vedere tre anni fa all'Arena di Verona.

Il titolo dell'articolo mi ha riportato subito a un DVD di un concerto di Chicago, dove Pete ammoniva energicamente il pubblico provvisto di tappini auricolari protettivi, gridando loro:

"It's too late... it's too late!!"


Pete Townshend: «I fischi all'orecchio mi tormentano: forse lascio gli Who»

Il fastidio è tornato a perseguitarlo durante la preparazione del musical «Floss»

MILANO - Pete Townshend lascerà gli Who se il disturbo di cui soffre continuerà a peggiorare. Il leggendario chitarrista combatte, infatti, da anni contro il tinnitus e il fastidio, che sembrava essersi attenuato, è, invece, tornato a tormentarlo durante la preparazione del musical «Floss», diventando talmente insopportabile da costringerlo a prendere in considerazione l’idea di lasciare definitivamente la band e la musica dopo 46 anni di onorata carriera. E pensare che due settimane fa la performance degli Who al Super Bowl (un medley di 12 minuti) era stata salutata come un vero e proprio evento musicale, lasciando presagire un 2010 ricco di impegni per Roger Daltrey e Townshend, che avevano in programma un tour in primavera e una serie di apparizioni ad alcuni festival jazz. Ma l’orecchio malato del chitarrista ha scombinato tutti i loro piani. «Se il mio udito continuerà ad essere un problema – ha spiegato Townshend a«rollingstone.com» – non ritarderemo semplicemente gli show, ma li cancelleremo proprio, perché non vedo davvero come si potrebbe aggirare l’ostacolo».
CHE COS'É IL TINNITUS -Il tinnitus, che è il nome latino dell’acufene, è una patologia che colpisce l’orecchio umano, portandolo a percepire rumori costanti, in forma diversa (che siano fischi, ronzii, pulsazioni o fruscii) ed è causata da molteplici fattori, uno dei quali è l’esposizione continua a suoni di forte intensità (come nel caso del chitarrista) che provocano una progressiva perdita dell’udito. E quando il danno diventa definitivo, non solo non si sente più, ma nell’orecchio si forma un ronzio permanente, che si accompagna al fenomeno del recruitment(«rafforzamento») che abbassa la soglia di fastidio alla presenza di un rumore molto forte. In pratica, si sente dolore molto prima degli altri.


IL TEST PER L'UDITO SARÀ «QUADROPHENIA» - Tornando a Townshend, qualche speranza potrebbe essere legata all’utilizzo dell’in-ear monitor (una sorta di cuffiette anti-rumore), come gli ha suggerito lo specialista consigliatogli da Neil Young: il chitarrista sperimenterà il dispositivo nell’unico concerto fissato per il 2010 e non cancellato, ovvero lo show di beneficenza del 30 marzo a Londra, durante il quale gli Who eseguiranno per intero il doppio album, «Quadrophenia». «Sarà un buon test per l’udito di Pete – ha detto Daltrey a "Rolling Stone" – ma non sapremo se funzionerà fino a quando non lo proverà».

LA CAUSA È LA MUSICA AD ALTO VOLUME NELLE CUFFIE - Ma che Townshend non debba farsi troppe illusioni ne è convinto il professor Claudio Albizzati, responsabile del Servizio Otorinolaringoiatria Multimedica di Milano. «Cure vere e proprie per l’acufene non ve ne sono. Le medicine fanno poco, per non dire nulla, e gli stessi “mascheratori”, che sono simili agli apparecchi acustici e producono una serie di rumori bianchi o rosa, funzionano poco e male e sono più teorici che pratici. L’unico rimedio possibile è la prevenzione, ovvero non ascoltare la musica ad un volume altissimo, come invece purtroppo fanno oggi molti ragazzini con le cuffiette dell’ipod, né esporsi volontariamente a suoni di elevata intensità per lungo tempo. Solo il rispetto per le nostre orecchie può, quindi, aiutarci a tenere lontano l’acufene per il quale, lo ripeto, non c’è soluzione ma su cui, al contrario, c’è molta superficialità e disinformazione»,




lunedì 22 febbraio 2010

Herman's Hermits



Gli Herman's Hermits nascono nel 1963 e si propongono di approcciare un pubblico adolescente.
Questa è forse la ragione per la quale non riceveranno mai il rispetto e il favore della critica, nonostante il successo commerciale avuto durante la loro carriera.
Il singolo di debutto, "I'm Into Something Good", uscito nel 1964 e scritto da Carole King/Gerry Goffin, diventa numero uno nelle chart inglesi e numero 13 in America.
Producono più di 20 singoli per le charts inglesi e americane tra il 1964 e il 1970.
Creano un sound accessibile anche a un pubblico americano, come nel brano a seguire, "No Milk Today".

martedì 16 febbraio 2010

Pino Palladino



Oggi è il turno di Pino Palladino.

Di antenati molisani iniziò a suonare il basso elettrico nel 1973, dopo aver fatto pratica per qualche tempo con la chitarra elettrica.

Nel 1978 suonò in una emittente televisiva locale. Nel 1980 entrò nel gruppo di Jools Holland e comparve nell'album Jools Holland and the Millionaires.

Negli anni ottanta, Palladino divenne famoso suonando il basso fretless con molti artisti, come Gary Numan, Paul Young, David Gilmour, Tears for Fears, David Knopfler e Don Henley.
Negli anni novanta con Melissa Etheridge, Rick Wright, Elton John, Eric Clapton e Mike Lindup.

Recentemente è diventato membro dei The Who dopo la prematura morte di John Entwstle.

Insieme a Phil Collins, fece parte della house band per la festa dei cinquanta anni di regno della regina Elisabetta II, in cui suonò, tra gli altri, con Paul McCartney, Clapton, CLiff Richard e Tony Bennett.

Nell'estate del 2005 Palladino era in tour con Jeff Beck in Giappone.
Nel 2003 ha suonato con Simon and Garfunkel nel loro tour Old Friends. Ha suonato anche con Pino Daniele, tifoso dell'Everton ed anche del Napoli, citando la battuta di Totò per via delle sue origini: "parte gallese e parte... nopeo!".


Il 7 febbraio 2010 ha suonato insieme ai The Who durante l'half time show, in occasione del Super Bowl XLIV al Sun Life Stadium di Miami di fronte a 76.500 spettatori.

lunedì 15 febbraio 2010

Rob Tognoni




Rob Tognoni è un artista originario della Tasmania, terra che, per la sua vicinanza con l'Australia non può non aver trasmesso l'influenza della musica rock, marchio di fabbrica della patria dei canguri, la terra degli AC/DC.
Chitarra esuberante, aggressiva e vocalità potente e calda, sempre in bilico tra blues-rock e rock-classico, Tognoni ha la personalità e l'ego dei guitar hero a cui si ispira: Jimi Hendrix e Angus Young ma anche il blues rock sporco e aggressivo di George Thorogood & The Destroyers; suona con precisione e passione e fa la felicità di tutti gli amanti del rock energetico suonato fuori dalle righe.




Caldo e viscerale, Tognoni, oltre ad essere un chitarrista che trasmette feeling come pochi, ha un songwriting di altissimo livello e il nuovo disco "2010db" (ne ha già incisi parecchi), che spazia tra rock, boogie, hard rock, torridi blues e rock & roll, è un album da ascoltare per il piacere di farlo, con una costante dominante: fortemente intriso di un'anima blues e suonato come Dio comanda.


venerdì 12 febbraio 2010

Zak Starkey


Zak Starkey è un batterista britannico,famoso per aver lavorato con gruppi quali Oasis, Icicle Works, Waterboys, Johnny Marr and the Hearles, ASAP e Lightning Seeds; è inoltre conosciuto per essere il figlio del batterista dei Beatles Ringo Starr (Richard Starkey) e della sua prima moglie Maureen Cox. Attualmente è il batterista degli Who.

Figlio di Richard Starkey e Maureen Cox, Zak Starkey nacque il 13 settembre 1965 al Queen Charlotte's Maternity Hospital di Londra. "Zak è un bel nome e soprattutto non può essere abbreviato", disse il padre riguardo la scelta del nome del figlio.
Verso l'età di otto anni il piccolo Starkey ricevette la sua prima batteria dal padre e, da questo momento, iniziò a sviluppare grande interesse per la musica. Intanto i suoi genitori avevano divorziato, e Zak passò gran parte dell'infanzia con Keith Moon, ai tempi batterista degli Who e grande amico di Ringo Starr. «Moon è stato molto vicino a me in quegli anni, mentre mio padre era sempre in giro per Montecarlo o da qualche altra parte», ha raccontato recentemente Zak in un'intervista. Lo stesso batterista degli Who ebbe il merito di avviarlo alla carriera di batterista. Pare infatti che Zak, sotto consiglio di Moonie, abbia imparato a suonare la batteria indossando un paio di cuffie e suonando sopra una canzone.
A dodici anni formò con un gruppetto di amici la sua prima band, i "Next", con cui si esibiva qualche volta nei pub locali. Per esercitarsi, il gruppo usufruiva degli studi musicali del padre, gli Startling Studios. Successivamente la band cambiò nome in "Face" senza tuttavia riuscire ad ottenere un contratto discografico.
Nel 1985 Zak sposò Sara Menikides e il 7 settembre dello stesso anno, una settimana esatta prima del suo compleanno, diventò padre di Tatia Jayne Starkey, rendondo così suo padre Ringo Starr il primo nonno dei Beatles. Alla gioia della paternità si affiancò però, qualche anno dopo, un grave lutto familiare. Il 30 dicembre 1994, infatti, la madre di Zak morì di leucemia, nonostante un trapianto di midollo offerto dal figlio stesso.

Zak Starkey in concerto con gli Who
Nel 1995 Starkey lasciò i Face per seguire il sogno di diventare un membro degli Who. Il sogno diventa realtà nel 1996, quando fu arruolato per il Quadrophenia Tour degli Who, che lo apostrofano come il miglior batterista dai tempi di Keith Moon. Ha suonato per una canzone nel nuovo album Endless Wire e per quattro tracce pubblicate nel 2004 in The Who: Then and Now. Non ha potuto partecipare alla registrazione dell'EP Wire & Glass in quanto impegnato in tour con gli Oasis.
Zak è stato invitato a diventare un membro ufficiale degli Who, ma ha rifiutato.



Zak Starkey durante un concerto degli Oasis inCalifornia
Zak è entrato negli Oasis nel 2004, prendendo il posto di Alan White. Ha partecipato alla registrazione di Don't Believe the Truth e a tutte le date del tour degli anni 2005/2006. Non essendo un membro ufficiale, però, non ha mai preso parte ad attività promozionali come interviste o set fotografici.
Noel Gallagher, alla fine del tour del 2006, ha affermato di aver invitato Zak ad essere un componente ufficiale della band, ma questi ha rifiutato a causa degli impegni presi con gli Who fino al 2007. Noel ha aggiunto di comprendere il legame emotivo di Zak con gli Who e di essere comunque felice di avere nella band Zak, anche se non completamente.
Il 14 giugno 2007 Zak ritorna a suonare con gli Oasis. A dirlo è proprio Pete Townshend, chitarrista e compositore della storica band londinese degli Who, in una intervista per Launch Radio. L'intervistatore gli chiede se Zak diventerà a tutti gli effetti il batterista degli Who e Pete risponde: "Siamo grandi amici, gli vogliamo bene, a lui piace molto suonare con noi, però è un giovane che sente di poter lavorare molto più di me e di Roger. È uno spirito libero e tornerà anche a lavorare con gli Oasis già adesso nel 2007 e durante l'anno prossimo andrà in tour".
Il 12 maggio 2008 Starkey, a causa di svariate incongruenze tra i progetti degli Who e quelli degli Oasis, lascia il gruppo dei fratelli Gallagher per dedicarsi a tempo pieno all'attività con gli Who.


mercoledì 10 febbraio 2010

Il Rovescio della Medaglia



Il Rovescio della Medaglia si formò a Roma verso la fine del 1970 dallo scioglimento del gruppo beat I Lombrichi.
Enzo Vita, Stefano Urso e Gino Campoli crearono il gruppo che ebbe nel ruolo di cantante prima Gianni Mereu (omonimo del chitarrista dei Logan Dwight), poi Sandro Falbo (da Le Rivelazioni) e infine Pino Ballarini, venuto a Roma da Pescara, dove aveva suonato con i Poema.
Il loro primo successo fu al Festival Pop di Viareggio nel 1971, e il gruppo divenne presto uno dei più famosi dal vivo in Italia nei primi anni ‘70.
Il primo album La Bibbia, uscito nel 1971, è fondamentalmente un ottimo album di hard-rock album con leggere influenze progressive, registrato dal vivo in studio ed accompagnato da un caratteristico libretto tondo a forma di medaglione
Il secondo, Io come io, un anno più tardi, prosegue nello stesso stile, con ambiziosi testi filosofici ispirati ai lavori di Hegel. Un album piuttosto breve (meno di 30 minuti) ma di nuovo un ottimo disco!
Nel 1973 venne aggiunto un quinto componente, il tastierista Franco Di Sabbatino, anche lui di Pescara, come Pino Ballarini, che aveva suonato brevemente con il Paese dei Balocchi.
Con un suono arricchito dalle tastiere, Il Rovescio realizzò il terzo album, Contaminazione, con l’aiuto del compositore argentino Luis Enriquez Bacalov, che aveva già lavorato con i New Trolls per il loro Concerto Grosso e con gli Osanna.
L’album è ovviamente in stile molto più vicino al prog sinfonico, e venne anche registrato in una versione cantata in inglese, pubblicata in diversi paesi stranieri, nel tentativo di lanciare il gruppo all’estero. L’album in inglese vene pubblicato anche in Italia solo nel 1975, quando il gruppo si era già sciolto.
Ormai il Rovescio era conosciutissimo per le esibizioni potentissime, sempre suonate al massimo volume possibile anche grazie ad un impianto di amplificazione unico. Questo è quello che si legge nelle note di copertina dell’LP Contamination (scritto originariamente in inglese): “La loro strumentazione è tra le più interessanti in Europa. L’impianto voci Mack da 6000 watt è quadrifonico ed equivale ad amplificatori a 36 tracce. La console è in realtà uno studio di registrazione portatile con filtri, compressori, ecc. La chitarra, la batteria e le tastiere hanno amplificatori da 900 watt. Le tastiere consistono in un organo verticale Hammond B, un harmonium, un Eminent per riprodurre i violini, due sintetizzatori VCS, un Harp 200 [probabilmente un ARP], e due sintetizzatori mini moog. È anche importante l’impianto luci. Ci sono 50 lampade che producono colori ed effetti speciali. Su uno schermo speciale dietro il gruppo, vengono proiettati diapositive e filmati, per produrre effetti musicali astratti.”.
Non male per un gruppo italiano, e nessun altro in Italia aveva un equipaggiamento live così potente!
Ma… nel dicembre 1973 il furto di quel grande e costoso impianto portò il gruppo vicino alla fine, Pino Ballarini partì per la Svizzera (sostituito per un breve periodo da Michele Zarrillo dei Semiramis) e gli altri continuarono come gruppo solo strumentale.
L’album dal vivo Giudizio avrai, pubblicato privatamente dal gruppo negli anni ‘80, contiene una registrazione relativa a questo periodo, con il suono del gruppo dominato dalle tastiere.
L’ultima uscita è un singolo nel 1975 (sulla sua copertina viene citato un nuovo album, che non uscì mai), poi il gruppo ebbe diversi cambi di formazione fino al 1977.
Il bassista Stefano Urso ha fondato gli Europe, autori nei primi anni ‘80 di un album (Bubble BLU-19609) e di alcuni singoli in stile pop/rock.
All’inizio degli anni ‘90 il chitarrista Enzo Vita ha riformato il gruppo con una formazione totalmente nuova pubblicando un nuovo CD intitolato Il ritorno, molto diverso dalla passata produzione e più commerciale, come il successivo Vitae (registrato prima).

Formazione
1970-73
Pino Ballarini (voce, flauto)
Enzo Vita (chitarra)
Stefano Urso (basso)
Gino Campoli (batteria)

1973
entra:
Franco Di Sabbatino (tastiere)

1974-75
come sopra senza Pino Ballarini
(Lastfm)



martedì 9 febbraio 2010

Opus Avantra


Gruppo unico nel suo genere, Opus Avantra hanno unito insieme musica classica contemporanea con avanguardia e leggere influenze di rock progressivo, con un risultato originale che qualche volta può risultare difficile per chi ama il prog più tradizionale. Il loro nome è tratto dai loro interessi principali, opera, avanguardia e musica tradizionale.

Formati in Veneto nel 1973 da un nucleo composto dalla soprano Donella Del Monaco (nipote del celebre tenore Mario Del Monaco), dal pianista-compositore Alfredo Tisocco, dal filosofo Giorgio Bisotto e dal produttore Renato Marengo, e con la collaborazione negli anni di tanti musicisti esterni, pubblicarono il primo album nel 1974, Opus Avantra - Donella Del Monaco (spesso chiamato Introspezione, dal titolo del primo brano) per la famosa etichetta Trident.
Considerato generalmente il loro lavoro più accessibile, l’album si basa su temi di ispirazione classica con arrangiamenti elaborati ed è dominato dalla bella voce da soprano della Del Monaco e con un buon uso del flauto, con un solo brano strumentale, Rituale. Il gruppo fece anche diversi concerti per promuovere l’album, nel Veneto e a Roma.

Donella Del Monaco è assente sul secondo album, Lord Cromwell (plays suite for seven vices), che prosegue nello stesso genere del primo, ed è sostituita da un coro di cantanti americani. L’ex batterista della Nuova Idea Paolo Siani suona in questo album, che come il primo contiene alcuni passaggi interessanti per chi ama una musica fuori dagli schemi convenzionali del rock.

Sia Alfredo Tisocco (insieme al Gruppo Italiano di Danza Libera in Katharsis del 1975) che Donella Del Monaco (con 12 canzoni da battello nel 1977 e Schoenberg Kabarett nel 1978) hanno pubblicato anche album individuali nello stesso stile, e il duo si è riunito con il nome Opus Avantra per un terzo album nel 1989, Strata, e un quarto nel 1995 uscito solo in CD, Lyrics.

Il 2008 ha visto la riunificazione degli Opus Avantra, con Donella Del Monaco, Alfredo Tisocco e Giorgio Bisotto, per dei concerti in Romania ed in Giappone, con una riproposizione di materiale da tutti i loro album.
La formazione comprende anche Valerio Galla (batteria e percussioni), Mauro Martello (flauto traverso), Anca Elena Botezatu (violino), Ioana Ionescu (violino), Alexandra Butnaru (viola), Violeta Loredana Dumitru (violoncello), e lo spettacolo è direttamente prodotto dalla rinata Cramps, che ha curato con Alan Walter Bedin le luci e la scenografia. Il concerto di Tokyo è stato utilizzato per il DVD Viaggio immaginario/Live in Tokyo 2008.
(Last fm)



lunedì 8 febbraio 2010

I miei ricordi musicali

Qualche anno fa ho messo sulla carta i seguenti ricordi.



Entrare in un negozio di strumenti musicali e’ una cosa affascinante per chi ama la musica.
E questo e’ abbastanza scontato.
Quei piccoli laboratori in cui mi sono imbattuto nella mia vita avevano i connotati della normalità.
Come un negozio di abiti o televisioni degli anni settanta , i “miei” negozi di strumenti avevano dimensione ridotta e alcuni pezzi per ogni categoria, e chi offriva la merce aveva qualcosa di misterioso che chi vende pane non potrebbe mai avere, nemmeno “costruendo “ una pagnotta a forma di violino.
Naturalmente io non faccio testo, essendo il mio un livello … amatoriale, e avendo smesso di suonare per molti anni, una ” vacatio ” che non mi permette di fornire visioni oggettive.
Ma quando entravo alla” Casa della Musica”, al primo piano di un vecchio stabile di via Pia, nel centro storico di Savona, gli occhi mi brillavano e le chitarre appese, in fantastica visione, erano Dei da venerare.
Noi ragazzi senza una lira in tasca entravamo, e con la scusa del plettro o del "mi cantino" passavamo delle mezze ore a girare in un silenzio tipico della biblioteca, nella speranza che nessuno ci cacciasse via. E’ li che vidi la mia prima chitarra elettrica, quella che e’ sbattuta in faccia a chiunque attualmente entri in casa mia .
Suonavo da due mesi e i miei genitori, vedendomi sul palco dell’oratorio col mio gruppo senza nome,  si convinsero che avevo una carriera davanti e che era giusto fare qualche sforzo per un acquisto appropriato. Girando per quel negozio vidi appesa una chitarra di legno marrone, con la forma di una Gibson Les Paul, ma piatta come una Fender, e ovviamente mi occupai solo dell’estetica e della somma a disposizione. Era una Framus che mamma e papà pagarono 50 mila lire, usata.
Non sono mai riuscito a far uscire granché da quella chitarra e il suono non mi e’ mai piaciuto.
Forse era colpa di quell’amplificatore valvolare, con una testata con su scritto Pioneer Steelphon, con solo effetto distorsione e riverbero, ripitturato di nero da mio padre, ma suoni decenti non ne ho mai sentiti.
E mi sono convinto che la colpa fosse della chitarra, dei pick up, delle corde … santa ignoranza!!!
Da poco tempo ho scoperto che la Framus non e’ l’ultima delle chitarre, e i modelli “vintage” fanno parte di una specie di museo, in Germania.
Il mio attrezzo, con tanto di matricola incisa sul manico, non e’ rintracciabile e non risulta nella lista delle chitarre del tempo.
Io ho ripreso a suonare con una certa frequenza, in casa, e nonostante un bel multieffetto , il suono continua a non soddisfarmi.
Ma quella chitarra, comprata in quel piccolo negozio non e’ paragonabile a nessun’altra, per i ricordi che mi evoca , per quei valzer odiati che ho dovuto suonare, per “Samba pa ti”, per “Sereno e’, per “Love Like a Man”. Poi il buio.
La Casa della Musica chissà che fine ha fatto!?
Le alternative, di simile hanno solo la ridotta superficie e la materia trattata.
Un paio di anni fa, un mio collega ex Gibsoniano mi ha raccontato di come si servisse in un certo magazzino del Piemonte.
Non più per lui, ma per il figlio.
Un magazzino…
Dalla Casa della Musica al magazzino … dal negozio di TV all’Iper Mercato.
Non e’ l’unico a parlarmi in termini entusiastici del negozio.
Nessuno mi esalta i prezzi contenuti, ma tutti descrivono la quantità, la possibilità di scegliere, l’ambiente, l’atmosfera da elite, la musica che scatta non appena si vede la scritta :
 Magazzini M.…” , all’uscita dell’autostrada.
E così, alla prima occasione, trovandomi sulla strada di ritorno verso casa dopo un viaggio di lavoro, metto la freccia ed esco a Bra.
Sono solo ed e’ questa la condizione di massima libertà per visitare ambienti del genere.
L’impatto e’ forte.
Abituato ai negozietti di un tempo, forse solo caratteristici della mia vita provinciale, le dimensioni dell’edificio mi turbano.
Ma da che parte si entra?!”
Seguo le indicazioni e trovo la porta giusta. A pianterreno c’e’ il “Tuttotastiere”, nuovo ed usato.
Ma prima salgo su all’attico. Entro e … rimango a bocca aperta. E’ un giorno feriale, un pomeriggio, attorno alle sedici.
Teoricamente e’ un buon momento per queste visite. I suoni arrivano da ogni parte .
E come se io fossi l’elemento centrale, colpito da tutte le direzioni, ma con tipologia di suoni ed entità differenti.
Ci sono cabine di prova, ma la maggior parte delle esecuzioni improvvisate avviene in maniera udibile da tutti i visitatori.
Ovunque chitarre di ogni genere … piccole, medie, dodici corde, acustiche, classiche … ogni ben di Dio.
Batterie sparse in lungo e in largo ... tradizionali, elettroniche, percussioni, accessori.
Mandolini, fiati, nuovo, usato, ampli.
Personale tecnico indaffarato e dall’apparenza professionale.
E poi le “isole” a tema.
E i temi per me sono due e mi smuovono le viscere.
Il primo, quello che in me lascia il segno, e’ il mondo” Gibson”.
Non conosco l’evoluzione degli ultimi anni, ma una Gibson era il sogno proibito della mia adolescenza.
Ho due immagini sopra le altre.
Nei miei pomeriggi inizio seventies , almeno per un certo periodo, ho presenziato assiduamente alle prove di un gruppo che si chiamava “Il Sigillo di Horus”.
Per noi alle prime armi quei musicisti apparivano come mostri di bravura e noi 4 o 5 venivamo tollerati come spettatori non paganti.
Un giorno rimanemmo folgorati da una presenza importante per quei tempi, un musicista che aveva già fatto dischi e persino un film.
Si chiamava, e si chiama ancora, Joe Vescovi.
Era di Savona, e suonava nei Trip, gruppo di un certo rilievo nel panorama nazionale del Progressive italiano.
A volte lo si scorgeva in giro per il centro città , con i suoi capelli biondi lunghissimi e la sua barba bionda , muoversi con lentezza mentre gli sguardi dei ragazzi più aggiornati, musicalmente parlando, erano tutti per lui che, conscio del ruolo, alimentava l’alone di mistero.
Non esagero … avrebbe potuto fare la parte di Gesù in un qualsiasi musical a sfondo artisticocristiano.
Quel pomeriggio il Sigillo di Horus , al cospetto di quel mito di Joe, e davanti a noi ragazzi intimoriti, presentò il suo progetto rock.
Ho vagamente il ricordo di una stroncatura del tipo:”Questa e’ roba che non tira più … la fanno già in molti … meglio provare con quel tal pezzo … più commerciale, piu’ orecchiabile”.
Questo e’ quello che ricordo … spero che nessun protagonista del tempo si offenda al cospetto delle mie inesattezze.
Quei ragazzi avevano anche strumentazione adeguata.
Impianti voce importanti, amplificatori megagalattici, strumenti di qualità.
Ma a me interessava la chitarra.
Quel chitarrista, che ogni giorno vedevo passare dalle mie parti, e che assumeva autorevolezza ai miei occhi per il solo fatto di suonare in un gruppo, aveva una Gibson.
Era una Les Paul …. mi pare … deluxe, color oro.
Col tempo ci venne concesso un minimo di confidenza e quel bravo chitarrista, che oggi di mestiere dovrebbe fare il magistrato, mi raccontò un aneddoto , che ancora oggi propongo quando parlo dei prezzi attuali delle chitarre, in rapporto al passato.
Non so se la questione fosse in questi termini, o se fosse una favola rivolta verso un sprovveduto come io ero, ma mi raccontò che in quel periodo, probabilmente coincidente con i 18 anni, il padre gli avesse domandato cosa preferisse come regalo, forse per l’ottenimento della maturità’.
La scelta proposta era tra una Fiat 600 e la Gibson.
E lui scelse.
Ora con i soldi di una Gibson non compri certo una Panda!
La seconda immagine mi riporta ad un settembre del 73 , ed io ero in villeggiatura a Bossolasco, paese delle Langhe.
I fermenti delle nuove musiche erano nell’aria ed i tipi trasgressivi prolificavano.
Una ragazzina che anni prima mi aveva fatto piangere, improvvisamente si era accorta che esistevo ancora e passò tutto il pomeriggio con me.
Sino a che arrivarono due musicisti, amici degli amici, freschi dall’Inghilterra.
Era le 8 di sera quando comparvero e sembravano due rock star.
Mi colpirono due cose.
La prima.
Da quel momento Paola non mi guardò più.
Che doloreeeeeeee.
La seconda.
Avevano due custodie rigide che aprirono per mostrarci due Gibson nuove fiammanti, con le corde allentate. Era quello lo scopo del viaggio Oltremanica, ed ora i totem erano ben in vista.
Impossibile spiegare cosa significa avere una chitarra da guardare, da toccare, da accarezzare.
Parlo ovviamente per i “malati” come me.
Il rapporto diventa simbiotico e, senza voler scomodare lo studio della simbologia ed il suo rapporto con la nostra psiche, la chitarra, per un chitarrista, diventa il proprio prolungamento, materiale e spirituale.
In questo negozio posso prendere la Gibson che voglio, attaccarla ad un ampli, magari valvolare, e provare, svisare, giocare.
Lo fanno tutti , in contemporanea.
Nessuno si guarda in faccia, ma l’orecchio e’ teso e i commenti muti si sprecano.
Cavolo se e’ bravo quello”. “Quello e’ un bassista con le palle!!!”
Uscirebbero delle belle jam session!
Non ci sono graduatorie di merito e ci si sente tutti suonatori, ma la testa e il cuore sono divisi tra ciò che accade attorno e lo scopo vero e proprio, cioè il test alla chitarra.
La seconda isola a tema riguarda “Fender”.
Meno fascinoso per me, ma legato a tanti suoni antichi.
Jimi Hendrix su tutti.
Era il 6 settembre quando nel solito paese delle Langhe si sparse la notizia della sua morte.
Avevo Jimi ben impresso perchè da poco avevo visto Woodstook.
E io ricordo Hendrix dotato di Fender e basta.
In questi giorni sto leggendo la sua biografia ed ho acquistato un film in lingua originale di molti anni fa.
Jagger, Clapton e Towsend , nelle interviste post morte, sembrano bambini.
La cosa che al momento mi ha colpito di più ( sono ad ¼ del libro) e’ la passione che un uomo e’ capace di mettere nelle cose che ama.
La passione che tutto trasforma e tutto modifica, e fa si che anche rifiuti della società (così mi e’ apparso nella biografia Jimi) possano dimostrare valori assoluti …. con un minimo di fortuna che li mette al posto giusto nel momento giusto.
Questa dovrebbe essere per me un’ importante linea guida per i nostri figli.
Segui una passione, se hai la fortuna di averne una…”
Difficile capire qualcosa in mezzo a tanto ben di Dio.
Ringrazio per la prova strumento e, frastornato, mi dirigo verso l’uscita, bypassando anche il locale tastiere.
A questa visita ne seguiranno altre.
L’acquisto di un flauto traverso seguirà quello di una travel guitar e altro ancora.
Ad ogni visita una compera.
Quest’estate ero in quel di Frabosa Soprana, nel cuneese, luogo in cui passo molte vacanze estive ed invernali.
Partiamo con due macchine, bambini e genitori, con direzione Bra, a non più di trenta minuti di strada.
E’ pieno agosto e, arrivati davanti all’entrata scopriamo che e’ giustamente chiuso per ferie.
Riapertura il 24.
Ritorno dopo qualche giorno, con tre bambini e un altro genitore.
Tutti loro amano la musica, ma nessuno ha dimestichezza con la creazione dei suoni.
Incominciamo a girare per i locali semivuoti di visitatori, ma stracolmi di strumenti .
Osservo i miei accompagnatori e li vedo interessati …. anzi affascinati, dal contesto.
Mi convinco sempre di più della magia della musica e di ciò che di pulito ruota attorno (non tutto credo).
Provo una chitarra acustica in un box isolato.
Loro quattro mi guardano muti, in religioso silenzio, come se fossi Segovia.
La chitarra provata mi soddisfa ed il prezzo mi sembra giusto.
La prendo.
“Aspetta papà, lo sai che la mamma si lamenta sempre di tutte le cose che porti a casa!!”
”Hai ragione , la chiamo e le spiego che e’ questione di vita o di morte.”. “Maura … sono qui ….ho provato una cosa fantastica …. ti dispiace se la prendo ? “

Dopo tanti anni e’ abituata alle mie manie.
Messo da parte il nuovo attrezzo, posso provarmi una Gibson … ancora quella.
So che tra un po’ me ne comprerò una … ora ho un garage dove mettere tutti i miei cimeli!!
Scelgo nel mazzo la chitarra da provare, senza fingermi un intenditore.
Metto un po’ di distorsione, un po’ di delay e percorro la tastiera, con i miei enormi limiti tecnici.
I suoni sporchi mascherano gli errori e i miei accompagnatori mi guardano come ipnotizzati. Sembro quasi bravo e l’esaltazione fa aumentare la mia velocità.
Sono davanti al mio piccolo pubblico, ho in mano il mio sogno e sto duettando a distanza con altri “colleghi”… o antagonisti.
Nel film”Missisipi Adventure , l’attore Ralph Macchio sfidava a duello il chitarrista/diavolo Steve Vai , allora semi sconosciuto, e lo batteva sul suo stesso campo.
Anche io mi immagino duellante, ed essere in quel posto, con tale strumento tra le mani, mi fa sentire parte integrante dell’elite, di quel gruppo ristretto di persone che e’ in grado di prendere in mano una chitarra, una batteria , una tastiera, un flauto e farne uscire almeno uno …. dico uno... suono decente.
Qualche giorno fa, trovandomi in una casa dove era presente un basso (Fender anche questo) l’ho imbracciato (sto parlando di quello di mia nipote 18 enne, impossibilitata a negare un favore allo zio) e ho iniziato a muovermi sulla tastiera.
Mia figlia mi ha guardato stupita ed ha aperto i suoi occhioni enormi:
“Papa’, ma tu suoneresti anche una cornamusa?!!!”
Si, se l’avessi proverei a suonarla e qualche cosa ne uscirebbe … almeno una nota decente.
A Savona continuano ad esistere negozi non molto forniti.
Mia moglie continua a capirmi e a venirmi incontro, ma e’ contenta che il magazzino di Bra sia relativamente lontano … in inverno.
A ciascuno la propria croce.