Puntualmente mi ritrovo tra le mani
un nuovo lavoro di Francesco Paolo Paladino e … inizia il rito. Lo spacchettamento in genere rappresenta
per me una importante anticipazione, i segnali di una potenziale gioia in
arrivo, una contenuta eccitazione che nasce proprio con gli aspetti visivi e
con il contatto fisico con ciò che di lì a breve potrebbe trasformarsi in
piacere, conoscenza, abbandono, riflessione.
Il ragionamento va elevato all’ennesima
potenza quando il mittente è Paladino, che mi regala sempre grandi
soddisfazioni che superano l’elemento musicale e che allietò il mio primo
lockdown con il suo “DE MUSICA ET IN FUNGORUM EFFECTS”, un progetto che dovrebbe di diritto
entrare nella storia delle creazioni artistiche.
Le sue opere fuggono dall’ortodossia
e non si prestano al grande palco e al pubblico esteso. I collage che realizza
nascono in “laboratorio” perché, come lui sottolinea, “… è un compositore e
non un musicista. Il compositore di solito scrive la sua musica e un musicista
la esegue. Quindi tutto avviene in differita, di solito”.
Anche in questo caso il contenitore è originale, minimalista e al contempo elegante e ricercato: questione di stile!
E arriviamo al nuovo che avanza, “BARENE & OTHER WORKS”, otto episodi
musicali, otto immagini di Maria Assunta Karini… commenti sonori che
chiudono una storia visual o semplicemente la affiancano.
Conosco bene l’argomento che ho
affrontato in prima persona una decina di anni fa.
Ogni percorso ha una sua unicità e quando
il risultato ci appare comparabile commettiamo un errore, quantomeno tiriamo conclusioni
superficiali.
“Barene”, mi conduce ad un concetto apparentemente
scontato che sintetizzo con la seguente chiosa: “da creazioni nascono
creazioni, affermazione di per sé banale, ma non chiara a chi subisce i lavori
artistici piuttosto che cercare di comprenderli, magari diventando protagonista
attraverso l’interazione con l’autore.
Un'altra considerazione minima a cui
mi spinge “Barene” è l’idealizzazione della fase creativa, che mi piace porre
su di una linea retta ma che può avere verso opposto: esiste un sentiero che
produce temi sonori incentivati dalle immagini, ma la stessa strada può essere percorsa
al contrario, con la musica che stimola una qualsiasi arte visiva: il risultato potrebbe
apparire uguale ma il punto di accensione cambia totalmente.
Mi sono chiesto se fosse corretto
proporre al lettore soltanto il mio sentimento da ascolto/visione ma i lavori
di Paladino & friends richiedono la versione oggettiva dei fatti e credo
che l’intervista a seguire potrà essere utile per entrare nelle pieghe di un
progetto come sempre innovativo.
Ho nella testa una citazione, anche
se non ne ricordo la fonte, ma la voglio incollare al lavoro di Francesco Paolo
Paladino: “Progressione, non perfezione…”.
La progressione professionale dell’autore
porta quindi ad un abbinamento tra immagini e suoni che gira attorno al numero “otto”,
cifra che, se ruotata di novanta gradi, produce il simbolo dell’infinito,
concetto matematico e filosofico che riporta a ciò che non può avere una
conclusione, proprio perché non ha una fine.
Tutto torna in modo ciclico, tutto si
ripete mentre il nostro ruolo passa da quello di “protagonista” a quello di “spettatore”
e viceversa, e Paladino cattura questo stato con episodi sonori che possono
avere modalità di fruizione differenti: dal tradizionale ascolto della traccia
al provare ad afferrare la connessione esistente tra la stessa e la fotografia, che è
poi lo stesso soggetto ripreso da angolature differenti, ritagliato nei particolari
che sono pronti per la libera interpretazione.
Io ho provato i due approcci, che
sono entrambi soddisfacenti, ma che non possono prescindere dal luogo e dal
momento, perché occorre avere a disposizione un ambiente che favorisca
attenzione e concentrazione, uno status che permetta di aprire la mente e
cercare di captare gli intenti autoriali, le sfumature, la voglia di
sperimentare, di cercare strade espressive originali e alternative, il che non
mi pare una forzatura da esercizio intellettuale, ma una rappresentazione del
proprio concetto di arte.
Va da sé che non vedremo mai Paladino
su di un grande palco - di quelli che scatenano i fan del rock, tanto per dire
- ma sono da privilegiare i contesti protetti, un po’ di nicchia, adatti a chi non
si accontenta dell’ovvio e cerca il bello delle avventure artistiche.
I tempi cambiano, e bisogna tenerne
conto, sottolineando che il Battiato sperimentale che vidi nei primi seventies,
incompreso e bistrattato, riusciva ad affrontare le situazioni più avverse
senza considerare il contesto, complice probabilmente la giovane età.
L’accostamento col Battiato sperimentale
nasce spontaneo, favorito in primis dalla conoscenza comune con un musicista
molto spirituale che è Juri Camisasca, un tramite più o meno volontario tra
Franco e Francesco; la sintesi di questa mia idea prende corpo nel drammatico
loop dell’ultima traccia, “Covid Angels”, perfetta colonna sonora dell’angoscia
tutt’ora caratterizzante delle nostre vite.
Ma ogni periodo diventa viaggio
introspettivo, dalle due lunghe versioni di “Kids Fountain’s” (oltre
trenta minuti il totale), al tributo quasi aulico “To Nico”, sino alla
lettura delle diverse “Barene” (“Punta della salute”, “La subsidenza”,
“Eustatismo” e “Il ghesi”).
I mari e la terra quasi contrapposti,
uniti e antagonisti, amati e ripudiati.
Così l’elemento geografico avvolge la
musica e le immagini di Francesco e Maria Assunta, con l'ausilio dei soli noti
e fidati, nomi e situazioni che emergono nello scambio di battute nato con
Paladino.
L'ascolto e la visione di “Barene”
hanno rappresentato per me una catarsi, un rito magico, una purificazione che ha espulso le mie tante contaminazioni negative, almeno per un lungo momento, fortunatamente ripetibile, e invito il lettore/acquisitore a non perdere l'occasione di vivere al meglio, in toto, la bellezza estetica e materiale di un lavoro così raffinato.
Consigliabile vivamente, certamente,
ma non certo per tutti.
Ma tutto questo, Francesco Paolo Paladino, lo
sapeva già!
Mi sono ritrovato tra le mani il tuo
nuovo progetto senza avere informazioni oggettive, iniziamo quindi dalla
descrizione del tuo nuovo lavoro, partendo dagli aspetti visivi, ovvero le
immagini di Maria Assunta Karini.
Maria
Assunta Karini da anni si occupa d’illustrare attraverso la sua arte
fotografica, ma forse sarebbe meglio dire la sua idea di immagine, la mia
musica. Ed è meraviglioso vedere realizzarsi questa energetica simbiosi. Forse
è davvero una magia che ogni volta puntualmente si ricrea. Questa volta però il
procedimento è stato diverso dal solito. Maria Assunta aveva bisogno di musiche
per le sue esposizioni e così sono nate le composizioni di questo cd. Ho
lavorato libero, tuttavia, dai soliti vincoli tematici; non so come ma tutto è
nato nella più completa libertà di espressione. A ben riflettere ciò è stato
possibile perché ho lavorato su di un “concetto” di lavoro artistico e non su
di un lavoro artistico fatto e finito. Secondo me questo è stato un bene: in
questo modo sia le opere di Maria Assunta sia le mie musiche hanno assunto
un’identità più precisa, una possibile indipendenza che fa bene a tutti e due.
Scindiamo il titolo: a cosa fa
riferimento “Barene” e quali sono gli “Others Work”?
“Barene” sarà
la prossima esposizione di Maria Assunta; insieme abbiamo più volte
fantasticato sulle così dette “isole fluttuanti”. Io addirittura le ho viste
sul lago Titicaca al confine tra la Bolivia e il Perù. Si trattava di isole
costruite dalla popolazione Uros con una sorta di bambù locale che si chiama tòtora.
Isole che nascevano e poi assumevano una loro identità precisa, vivevano per un
certo tempo e poi si scioglievano. Le Barene si trovano invece nelle prossimità
di Venezia e a seconda della marea emergono o vengono inghiottite dai flutti. Sono entrambi non-luoghi dominati dalla natura.
Abbiamo voluto evocare questi non-luoghi dove potrebbe risiedere la fantasia,
la creatività che oggi, nella nostra civiltà, non ha più una sede dignitosa.
Gli “altri
lavori” sono musiche per fontane di montagna, dove scorre l’acqua più fredda e
più pura. Pensa che l’istallazione di Karini ricomprendeva anche un libro di
foto antiche del locale collegio abbandonato. A pochi giorni dall’inaugurazione
il libro scomparve per poi riapparire dopo mesi. Anche questi fatti sono utili
a comprendere quanto possiamo noi guidare gli eventi e quanto siamo invece
guidati da essi.
Come si snoda il commento musicale?
Il
“commento musicale” come tu lo chiami (e come piace anche a me definirlo) si
snoda con un andare ciclico, come se i fatti del mondo si ripetessero magari un
poco variati, ma fossero simili a quelli avvenuti precedentemente; come se ci
fosse concessa la possibilità di comprenderli ed eventualmente di mutarli. In
questa ciclicità esistono momenti irripetibili, unici che si avvinghiano a noi
e ai nostri ricordi. La musica di queste opere ha questa caratteristica. Non
vuole spiegare nulla ma stimolare una spiegazione. Una comprensibilità.
Otto immagini e otto frazioni sonore:
mi chiarisci il collegamento? Mi spiego meglio, la sollecitazione che arriva
dalla visione delle immagini coinvolge solo te - che poi trasferisci e
coinvolgi terzi - o il percorso creativo è in comune col tuo team?
Non ci
avevo mai pensato! Ma probabilmente è proprio come tu hai intuito. La
matematica regala armonia alle cose del mondo e probabilmente l’ha regalata inconsciamente
anche al mio progetto. Tra l’altro otto è il numero dell’infinito… sono le
spiegazioni subliminali che affiorano, come le barene, quando meno te
l’aspetti… Pertanto, le otto immagini hanno una loro ragione ma non avevo
pensato alla loro logica che tu hai invece fatto affiorare. In ogni caso non
corrisponde l’immagine ad un brano preciso; tutte insieme emanano un “mood” che
introduce o accompagna i suoni. E anche il contrario: musiche ed immagini
compiono un percorso paritario, che non avrei forse mai affrontato da solo
senza quelle incredibili visioni fotografiche.
Per quanto
riguarda il “coinvolgimento” degli artisti che suonano nel cd, è un po’ un
rito: ogni volta trascino i musicisti che credono in me in nuove avventure
sonore; di solito una volta ricevuti i loro contributi (spesso delle texture
pure e semplici) procedo al mio lavoro di costruzione di architetture sonore
senza coinvolgerli più. Conosceranno il risultato alla fine. E molte volte
restano stupiti di cosa è accaduto al loro supporto! È come se dalla musica
facessi nascere altra musica che prima non esisteva. È un tipo di lavoro che mi
piace tantissimo, anche se ultimamente nel periodo del lockdown ho lavorato
spesso da solo al piano virtuale e ho iniziato a lavorare a dei nuovi progetti
dove c’è anche la mia esecuzione musicale (e i testi di Luca Ferrari).
Chi partecipa al progetto e come hai
scelto i vari “friends”?
Ho un
nucleo di amici veri che mi apprezzano e mi stimano; magari mi viene in mente
un nuovo lavoro e mi domando: “Chi potrebbe aiutarmi e al contempo trovare
soddisfazione a partecipare a questo progetto?”. Come se stessi facendo il
casting di un film. Altre volte mi trovo con texture che non avevo utilizzato
prima e che magicamente si adattano al nuovo lavoro. La scelta, quindi, è tutto
fuorché casuale; non saprei dirti come nasce “l’attrazione fatale”, ma a un
certo punto mi rendo conto che serve proprio quella declinazione artistica e
faccio di tutto perché si possa realizzare. Il Trio Cavalazzi, Riccardo
Sinigaglia, Mauro Sambo, Paolo Tofani, Luca Ferrari ad esempio, ma è solo un
esempio, sono tra le dinamiche musicali che più amo per le mie avventure. Ma
certe volte per quel particolare momento musicale occorre l’aiuto di chi mai ha
partecipato alla mia tavolozza. E allora ci provo a intessere nuovi contatti,
molte volte ci riesco e la mia soddisfazione s’ingigantisce.
È questo un lavoro realizzato a
distanza, sfruttando la tecnologia, o ci sono parti create in “presenza”,
almeno di alcuni protagonisti?
Leggo tra
le righe della tua domanda una certa diffidenza, peraltro assolutamente
legittima, per le creazioni “in vitro”, che “sfruttano” la tecnologia etc.
etc. Ti chiedo però di porti in una
prospettiva un poco diversa da quella tradizionale. Per rispondere secco alla
tua domanda dovrei limitarmi a dire che la mia musica non è creata in presenza.
Ma vado un poco oltre, scusandomi in anticipo se quanto segue fosse “ultra
petita”, nel qual caso cancella pure quanto segue. Io
sono un compositore e non un musicista. Il compositore di solito scrive la sua
musica e un musicista la esegue. Quindi tutto avviene “in differita” di solito.
Il mio particolare modo di essere
compositore parte dal lavorare texture, suoni e ritmi che mi mandano i miei
amici musicisti. Quello che ricevo, io lo seleziono, lo taglio, ritaglio, ne
faccio dei loop, insomma lo “lavoro”, fino a che non si crea qualcosa di nuovo.
Ecco spiegato. Pertanto, posso aggiungere che lavorando così la composizione
diventa addirittura “già suonata” quando è finita la sua composizione. Non
saprei spiegarmi meglio. Ma ti rassicuro che nelle prossime avventure affronterò
musica composta De eseguita da me.
Come si lega tutto questo con i tuoi lavori
pregressi?
“Barene
& other works” rappresenta -se me lo passi- la mia maturità compositiva;
ciò non vuol dire che non mi diverto più, anzi mi diverto ancora più di prima
perché sono molto più rilassato a realizzare questo tipo di proposte. Poi, in
questa nuova avventura sono stato aiutato soprattutto da Giuliano Palmieri e
Tiziano Popoli, due colossi che hanno rappresentato per me la via per
esprimermi nel migliore dei modi. Pertanto, l’avventura nata con “Ariae” nel
2016 raggiunge oggi, sempre secondo il mio parere, la messa a fuoco definitiva.
Ecco perché ho già impostato nuove avventure in nuove dimensioni compositive
ben diverse da queste: tutta la mia vita artistica è stata impostata
sull’osare. E non posso fermarmi ora. Non è presunzione: è maledizione. Non mi
sono mai accontentato e probabilmente non mi accontenterò mai. C’è ancora un
universo da scoprire e io, nel relativamente poco tempo che ho ancora a
disposizione, provo a raggiungere qualche centimetro di qualche sconosciuto
ambito…
Può essere questa una base per lavori
futuri?
A scuola
mi insegnavano: “la storia non si ripete”. Oppure “mai tornare indietro”. Non
so se è veramente così. Di fatto io riparto sempre da dove sono arrivato per
scalare nuove montagne. Non rinnego nulla della mia vita artistica. Anzi ho dei
rimpianti per non aver realizzato tutte le idee che mi sono passate per la
testa. A volte proprio non ci riesci a realizzarle tutte. A volte ci sono idee
“maledette” che comunque ti attrezzi non si realizzeranno mai. La ripartenza
per me non è mai stata un problema. Non ho mai avuto periodi di “vuoto”
compositivo. Certe volte sono passato dalla telecamera, dai film alla musica o
viceversa ma la vena creativa non si è mai seccata. E spero non mi abbandoni
ora!
La tua musica è apparentemente
complessa e difficilmente potrebbe incontrare i palchi tradizionali ma, a mio
giudizio, dovrebbe trovare spazio in luoghi deputati alle performance di
nicchia basate sulla qualità: fa parte dei tuoi desideri proporre dal vivo
“Barene…”?
Sono
perfettamente d’accordo con te. Ho fatto poche ma gratificanti interventi
musicali dal vivo a livello di installazione in gallerie d’arte, con le
immagini di Maria Assunta Karini. Pertanto, non mi interessa l’ambito del
concerto live, non sarei capace! Mi interessa invece la dimensione più
tranquillizzante di una esposizione musicale, di una sonorizzazione. È già
avvenuto in passato e spero possa avvenire nuovamente nel futuro!