Sono dieci i brani del disco, ma ciò che avevo potuto
ascoltare era solo una parte - sei tracce - mente mancavano all’appello: Why Don’t You Want To Stay With Me, Where Are Those People Going, Light That Shines On Me e One Day You Will Ask To Me (A Song For My Son).
Il mood generale è quello che ho descritto nell’articolo
precedente, e per chi come me segue da sempre l’evoluzione musicale di Vercesi pare
evidente un forte cambiamento personale in atto che, inevitabilmente, si
travasa nella sua musica, nel suo modo di comporre, nel suo diverso approccio
alla composizione.
E questo suo stato di One Man Band, spesso nascosto dalle
tante collaborazioni, ma probabilmente la vera essenza del cantautore pavese, produce
temi musicali di largo respiro che riportano a menestrelli stranieri di un
mondo lontano, e fuori dai nostri confini.
Nei brani che non avevo ancora ascoltato ho ritrovato una
buona vena beatlesiana (Why Don’t You…)
e un modello interpretativo più ricercato, riconducibile all’espressività di
Tom Waits (One Day You Will Ask…), e
il tutto conferma che l’attuale percorso intrapreso da Andrea Vercesi è l’unico
possibile, o meglio, l’unico soddisfacente in questo particolare momento della
sua vita, dove appare chiara la necessità di rendere concreti e marchiati per
sempre i sentimenti del momento vissuto.
E se tutto questo vuol dire realizzare un album acustico
godibile, dal vestito molto british, beh… forse lo si può afferrare senza tanta
razionalità e ragionamento, accogliendo la musica con semplicità e lasciandosi
andare ad un piacevole ascolto.
C’era una volta il Balletto di Bronzo, band storica del pop, rock,
beat, prog italiano.
Questo insieme di generi musicali emerge nel corso dell’intervista
realizzata con Lino
Ajello, uno dei fondatori, ed è la normale spiegazione di un’evoluzione
che ha toccato molti gruppi di quel periodo d’oro, a cavallo tra gli anni ’60 e
’70, mutazione legata all’evoluzione dei tempi e delle line up.
Siamo abituati ad affiancare il nome del Balletto a Gianni Leone, il magico tastierista napoletano
che ha continuato a fare musica utilizzando - e mantenendo in vita - l’immagine
tipica di quel progetto, da lui rivitalizzato nel 1995.
Ma le anime del Balletto sono due, e sufficientemente distinte: quella di
Leone, della seconda formazione - quella di “YS” - e poi esiste un
nucleo composto da Lino Ajello e Marco Cecioni,
ovvero il team di avvio, quello di “SIRIO 2222”.
La dicotomia nasce essenzialmente dal credo dei protagonisti, una sorta
di estrema distinzione tra gli intenti progressivi di Gianni e la musica che
Lino definisce “da ascolto”, intesa come arrivo immediato al fruitore.
Ma la novità è quella che per una volta non esistono battaglie da
combattere, ne legali ne ideali, perchè le divergenze di intenti si appianano
e confluiscono nell’unità di obiettivi, alchimia favorita da quella parola
magica di cui spesso si abusa, per un utilizzo sproporzionato rispetto alla
realtà: amicizia.
E così accade che il buon Leone partecipa come ospite ad un progetto
nuovo, quello che Cecioni e Ajello hanno ribattezzato CUMA 2016
DC, sotto il nome de IL
BALLETTO DI BRONZO DI LINO AJELLO E MARCO CECIONI- SPECIAL GUEST GIANNI LEONE.
Ajello e Cecioni si incontrano dopo anni di giri di giostra, e ritrovano la
voglia di proporre, da subito, musica nuova. Nessuna operazione revival, ma
brani inediti che siano in grado di coniugare l’easy listening e la qualità.
Per completare il quadro arriva un manipolo di giovani, tanto per dare il
colore di una visione del mondo più moderna.
L’album consta di dieci tracce, suddivise su circa trentasette minuti di
musica.
Disco piacevole, di quelli che ti rimangano dentro al primo colpo, con i riff
chitarristici - Ajello - di estremo gusto
e narrazione di storie quotidiane, con un intento dichiarato che, sottolineo
ancora, è il facile e immediato ascolto, un tentativo di trasmettere il divertimento
di chi crea e interpreta a chi fruisce della musica.
Tutto appare progettato nei dettagli, dall’artwork alla preparazione dell’official video -
a fine post - e da quanto trapela anche gli aspetti live saranno
particolarmente curati, affinchè il tutto diventi un vero show.
Gianni Leone è il guest che si dedica a tastiere e voce, e appare davvero
significativo il suo intervento nel “vecchio” Neve Calda (SIRIO 2222) al fianco di Marco Cecioni,
ovvero l’accoppiata dei due cantanti storici del Balletto di Bronzo.
E’ davvero bello vedere lo spirito e l’approccio verso il mondo musicale
di questi artisti che dimostrano, in primis, entusiasmo e aggiungerei una
notevole capacità di stare a passo con i tempi, nel nome della coerenza e della
condivisione delle proprie idee.
Voto altissimo per CUMA 2016 DC.
L’INTERVISTA A LINO AJELLO
Dopo le recenti precisazioni di
Gianni Leone relative al rapporto di amicizia esistente tra gli ex componenti
del Balletto, che permette la realizzazioni in contemporanea di due progetti
paralleli, vorrei sapere la tua su questa situazione anomala, ma lodevole, al
di là degli aspetti musicali.
Noi della
prima formazione (fondazione) del Balletto, e Gianni Leone con Vito Manzari, della
seconda formazione, ci conosciamo da... secoli. Nel settembre del ´73 il gruppo
si sciolse. Noi di “Sirio 2222” ci trasferimmo in Svezia e Gianni, dopo diversi
tentativi di carriera da solista in America, venne a trovarci a Stoccolma varie
volte. A quel tempo avevamo io, Marco e Toni di Mauro (chitarrista dei “Moby
Dick”), uno studio di registrazione ed incidemmo anche, se ricordo bene, 4 o 5
pezzi di Gianni. Poi siamo sempre stati in contatto con lui quando eravamo in
vacanza in Italia.
La decisione
mia e di Marco di realizzare il “progetto Cuma” comportava chiaramente l'uso
del nome “Balletto”, in quanto noi eravamo i fondatori del gruppo e io in
particolare sono stato in tutte e tre le formazioni. Gianni, da parte sua, è
stato quello che ha rifondato la band e portato il nome all'estero. Nel '95 noi
concedemmo (lasciammo in eredità) a lui il nome del Balletto e ora lui lo ha
concesso a noi. La formula che abbiamo trovato è stata possibile anche per il
fatto che in verità le due entità suonano due generi di musica completamente
differenti (come anche in “Sirio 2222” e “YS”); ma abbiamo pensato a diverse
soluzioni: questa è stata la migliore per tutti.
Da chi è formata la squadra
capitanata da Lino Ajello e Marco Cecioni? Con che criterio è nato l’ensemble musicale
che prevede una miscela tra giovani e membri originali?
Nei
“Balletti”, sia di “Sirio” che di “Ys”, non è mai esistito un leader ma in
quello attuale di Gianni credo sia Gianni a decidere tutto. In questa squadra
“Cuma” siamo io e Marco. I nuovi membri sono molto più giovani di noi e
naturalmente accettano le nostre direttive.
Ci sono
chiaramente delle discordanze poiché la visione nostra della musica, ma anche
del mondo, è completamente differente da quella dei giovani di oggi. Noi
apparteniamo alla “Beat Generation”: i ragazzi di oggi non potranno mai capire
cosa significa e per questo i loro idoli sono oggi solo prodotti di mercato
destinati ad vita breve... usa e getta.
E’ da poco uscito “CUMA 2016 DC”: mi
racconti come è nato il progetto?
Dopo 33
anni in Svezia ed 8 a Tenerife (... e 4 mogli con relativo divorzio), io, di
ritorno in Italia, ho incontrato tanti amici dei vecchi tempi… Lino Vairetti,
Toni Esposito, ect... Tutti suonavano ancora; allora il virus del rock si è
risvegliato in me e ho contattato Marco che nel frattempo era a Vietri sul Mare
per dei lavori di ceramica che stava facendo, e gli ho proposto di rifare il
gruppo... ma non il revival del gruppo, ma qualcosa di nuovo. Dopo esserci
incontrati a casa mia abbiamo capito che avevamo ancora molto da dire sul fatto
musicale e quindi abbiamo lavorato per comporre pezzi nuovi, attuali, con
sonorità di oggi. Niente prog che crediamo sia una cosa superata (e abbastanza
triste), ma solo e semplice musica da ascoltare, per divertirsi. Pensiamo di
essere riusciti nell'intendo.
Dalle note di copertina si evince che
è lontana l’idea dell’operazione revival, ma è la passione per il rock che vi
ha spinto sul nuovo sentiero: quali sono le maggiori differenze rispetto alla
musica che avete creato negli anni ’70?
Niente
revival! Abbiamo idee nuove. Negli anni settanta eravamo ragazzini, inesperti,
ribelli e sognatori; oggi siamo ancora ragazzini, forse un poco più esperti, ma
comunque sempre sognatori e ribelli. Nel mezzo c'è stata la rabbia di “YS”.
Come si può descrivere il contenuto
dell’album? Esiste una visione concettuale?
Beh,
diciamo che un concetto base c'è stato: avevamo voglia di scrivere nuovi pezzi,
semplici, allegri, senza profondi messaggi, senza sperimentazioni, con suoni
attuali e soprattutto non cadere nel banale o nelle armonie e trame tipicamente
italiane... o nel volgare. In Italia la musica pop-rock è basata su grandi
schitarrate distorte con sotto tappeti di sviolinazzate di synt, sovrastata da
cantanti piagnucolosi, vestiti, oggi, all'ultima moda. I musicisti di oggi sono
tecnicamente dei mostri di bravura, ma sono dominati dalla banalità delle
idee... gli arrangiamenti dei pezzi (basi) sono tutti uguali… ripeto:
schitarrate, tappeti di synt e piagnistei tristi di sciampiste e parrucchieri.
Come sono nate le composizioni, come
è stato suddiviso l’impegno dei singoli rispetto alla parte musicale e alle
liriche?
Qui il
concetto che chi fa il motivo/melodia della voce è automaticamente l'autore del
pezzo non lo condivido: è un concetto antico, quando non esistevano i complessi
musicali ma i cantautori. Nei gruppi, uno parte con un riff o con quattro
accordi e poi si costruisce il pezzo insieme; di solito poi, il cantante si
assume il diritto di autore perché ha fatto il motivo del ritornello. In “Sirio
2222” Marco e Mike hanno scritto i pezzi, musica e parole, tranne “Girotondo”
che è il riff di chitarra mio su cui abbiamo poi costruito il pezzo.
Quando
facemmo “YS” ci chiudemmo in una casa per un mese a provare. “YS” è
composto da 4 pezzi. Bene, 3 di questi pezzi sono partiti da 3 riff e idee che
io ho lanciato. Gianni le ha poi sviluppate e insieme a Gianchi, che decideva i
tempi, tutti contribuivano alla cosa. I pezzi furono allora firmati da una zia
di Marco che era iscritta alla SIAE, ma oggi Gianni risulta autore di tutti i
pezzi.
Anche il
riff di “Donna Vittoria”, retro della “Tua casa comoda”, è un mio riff, una mia
idea ed è solo suonato, senza la voce, ma risulta tutto di Gianni.
In “Cuma
2016” Marco è partito con i suoi accordi e motivi, ma i pezzi sono stati
costruiti insieme, ci sono le mie idee e le sue, poi in studio, con l'aiuto del
brillantissimo Alessandro Stellano, i pezzi sono stati da lui e da noi modificati ecc... sempre in accordanza con le
idee di tutti.
Ma alla fine,
in tutti e tre i vinili che ho registrato, io, Gianchi e Vito, non esistiamo
come autori da nessuna parte, poiché il cantante si assume arbitrariamente il
diritto alla composizione perché fa il motivo di voce. Io trovo questo molto
ingiusto e penso che questo sia un motivo di grandi litigi in moltissime bande.
Se tu
vieni da me con l'idea del pezzo, gli accordi, il motivo, le parole e
l'arrangiamento, allora il pezzo è tutto tuo. In qualsiasi altro caso il pezzo è
della banda: così la vedo io.
Per “YS”
e “Cuma 2016” io avrei firmato tutti i pezzi così: “Balletto di Bronzo”.
Non ho
detto come la penso a riguardo alla faccenda “autori” e “compositori” per
motivi di rivalsa o pretesa pecunaria, poiché non appartengo al “piccolo mondo
del pidocchietto egoista”, per citare una grande frase di Gianchi Stinga.
Gianni Leone è un ospite con diversi
ruoli, anche come lead vocal, un aspetto che non era una sua caratteristica
all’esordio, ma che si è dimostrata una carta vincente nel proseguimento di
carriera: che tipo di valore aggiunto vi ha dato la sua presenza, dal punto di
vista meramente musicale?
Oltre a
Gianni si era d’accordo anche con Lino Vairetti (Osanna) e Toni Esposito per un
loro intervento nel disco, ma poi per questioni di tempo non hanno potuto
partecipare alle registrazioni.
Per quanto
riguarda Gianni, lui veniva spesso a casa mia dove con Marco provavamo a
costruire i pezzi e già dall'inizio volevamo che lui partecipasse in qualche
registrazione, ma anche con lui non abbiamo avuto tempo. Gianni avrebbe voluto
suonare anche in altri pezzi, “Bivio Acido”... comunque non ha aggiunto
nessuna idea sua in “Cuma 2016 D.C.”. Io e Marco abbiamo generato le idee e poi
il talentuosissimo Alessandro Stellano
ha corretto il tutto in studio.
L'idea di
avere i due cantanti “storici” del Balletto in “Neve Calda” ci è
piaciuta molto e quindi l'abbiamo fatto.
Non mi è chiaro se avete testato in
modo significativo il vostro sound sui palchi: è prevista una serie di concerti
per pubblicizzare il disco?
Siamo
proprio ora in fase di allestimento del gruppo per i concerti. Abbiamo ottime
idee per il live e vorremmo realizzare un vero spettacolo. Non basta fare una
“scaletta”, salire sul palco ed eseguirla. Oggi c'è bisogno di un vero show ma
è difficile realizzarlo: ci stiamo provando. Io e Marco abbiamo Alfonso
Mocerino alla batteria e Alessandro Stellano al basso; purtroppo quest'ultimo è
impegnato in Australia per motivi di lavoro e non sappiamo se sarà reperibile
per il gruppo. Poi vorremmo chiaramente Gianni Leone alle tastiere, poiché fa
parte dei membri storici del gruppo, un grande talento e un grande personaggio
ma, come dice lui stesso, “oggi non potrei mai far parte di un gruppo dove
non sono io a decidere tutto” (ancora non ho capito perché dice così).
Quindi le nostre strade si separano per motivi di “visioni sul mondo”
differenti, come si sono separate le nostre idee musicali per motivi di “genere
musicale”. Lui insiste con il prog, io e Marco vogliamo... divertirci. Comunque
credo che lui sia d’accordo a fare l’ospite nei concerti.
Vorremmo
inoltre due coriste/cantanti e siamo già
in contatto con due talentuose e “good-looking-girls”.
A quale label vi siete affidati e chi
curerà la distribuzione che, suppongo, sarà rivolta anche verso il mercato
straniero?
Il nostro
produttore è Peppe Ponti di “Suonidelsud” e la distribuzione è curata dalla
SELF di Milano. Il disco è già sul mercato in diversi paesi esteri.
Qual è lo stato della musica che
avete ritrovato in Italia dopo la costituzione del vostro progetto?
A parte qualche cantante solista -
Vasco, Tiziano Ferro -, per i gruppi è una
grande tristezza: pianti e lamenti. Inoltre i soliti meccanismi televisivi,
radiofonici, politici, ecc... insomma niente è cambiato, siamo in Italia, e
vige il sistema... usa e getta! Inoltre c’è una grande confusione su cosa è
rock e cosa è prog: ho letto da qualche parte che Gianni Morandi è prog!
Allucinante! E ho letto anche che Jethro Tull è prog! Grande confusione!
Quale potrebbe essere il futuro
prossimo de Il Balletto di Bronzo di Lino Ajello e Marco Cecioni?
Beh, a parte una bella cassa di
mogano abbastanza capiente per mettere le mie quattro ossa e la mia chitarra,
forse un grande spettacolo e un nuovo disco: abbiamo già una decina di pezzi
nuovi quasi pronti, ma il prossimo disco avrà sicuramente un sound più “hard”.
Mese pieno di impegni per i Nathan… dopo il debutto live a Il
Cancello del Cinabro arriva un fine settimana carico di appuntamenti, con la
doppia presentazione del 22 aprile -
alla Ubik e a Radio Savona Sound - e il nuovo concerto alla Raindogs House, il 24 aprile,di cui presento stralci video a fine post.
Nasce quindi l’occasione per proporre in toto, al pubblico di
“casa”, l’album “Nebulosa”, rilasciato da pochi
giorni.
Buonissima affluenza di pubblico e alto gradimento diffuso per
un disco che molti dei presenti hanno dimostrato di conoscere, ma il gusto del
palco è tutta un’altra storia.
Com’era prevedibile, il secondo atto denota maggior sicurezza
e affiatamento - elementi indispensabili per un repertorio davvero complicato -
rispetto all’esordio genovese.
La formazione è quella tipica prevista per le manifestazioni
dal vivo, con Bruno Lugaro alla
voce, Pier Abba alle tastiere, Fabio Sanfilippo alla batteria, Daniele Ferro alle chitarre, Mauro Brunzu al basso e Monica Giovannini alla voce e cori.
Presente in sala anche Marco
Milano, pianista, uno dei partecipanti attivi nel progetto.
Tutto l’album di un fiato quindi, inframmezzato da qualche
commento didascalico, con l’aggiunta di un paio di chicche finali, che riconducono
agli amori passati della band, per il prog in generale e in modo specifico per
i Genesis e i Pink Floyd: mi riferisco a “Back
in N.Y.C.” (“The lamb…”) e “Comfortably Numb” (“The Wall”).
Una bella serata di musica, che ha segnato un nuovo passo
avanti nella preparazione dei contenuti live che, si spera, saranno il sale
dell’attività di promulgazione di “Nebulosa”.
Presentazione ufficiale di “Nebulosa”,
l’album dei Nathan
uscito ad inizio aprile.
Il primo atto non poteva che andare in scena a Savona, città
di appartenenza della band e il luogo scelto, la libreria Ubik, ha ospitato un buon pubblico di appassionati del genere e
qualche “straniero”.
E’ stata l’occasione per sviscerare i contenuti, i messaggi e
i dettagli creativi, inframezzati da spezzoni musicali, commentati dai
protagonisti del disco.
A pochi giorni dal debutto discografico con inediti, avvenuto
con AMS RECORDS, arrivano le prime
soddisfazioni per il gruppo formato da Bruno
Lugaro, Piergiorgio Abba, Fabio Sanfilippo, Daniele Ferro, Marco Milano,
Monica Giovannini,Mauro Brunzu e
Davide Rivera. E’ infatti di pochi
giorni fa l’esordio live a Il Cancello
del Cinabro di Genova, a cui farà seguito, il 24 aprile, un concerto
cittadino al Raindogs Club.
Ma sono i primi commenti all’album, geograficamente
trasversali, che regalano grandi soddisfazioni.
Ecco uno stralcio di quanto avvenuto nell’incontro alla Ubik
del 22 aprile:
Per terminare la serata in bellezza, Nathan ospiti a Radio Savona
Sound, dove hanno nuovamente avuto la possibilità di raccontarsi
ampiamente.
Come anticipato il lavoro è costituito da un doppio CD
fatto di reperti storici rivitalizzati e completamente rinnovati, un restyiling
che, in fase di sintesi, suona come appena nato.
La seconda parte dell’opera è una lunga suite, The Demise, che molti lustri fa realizzò il
tastierista e compositore americano Ken DeLoria, dei Quill.
Da quell’idea di opera rock nasce ora una “Novella”,
non ancora pubblicata, ed è lo stesso Ken che propone la storia e l’evoluzione
di un tratto musicale nato 38 anni fa e ora riproposto dai TSOP.
Ho contattato Ken, e il racconto che segue è di quelli che mi piacciono,
storico e documentale, anche se non mancano elementi tragici e di dolore
diffuso, con la dipartita prematura di chi ha guidato gli arrangiamenti di Lost And Found, Stefan Renström, e con l’ammissione da parte di Ken che il suo stato di
salute è precario, e diventa palpabile la voglia di arrivare velocemente alla
pubblicazione della novella, il cui contenuto è svelato a seguire.
The Demise of the
Third King’s Empire
Ken DeLoria
The
Demise
fu scritto originariamente come un'opera rock musicale, un termine che era
popolare durante il periodo che ha seguito il successo di Tommy (il doppio album degli Who), alla fine degli anni sessanta. L’obiettivo
originale era la realizzazione di un'opera musicale supportata da un contenuto
lirico, molto simile a un opera, ma differente da un libro.
Subito dopo
"Tommy" molte band seguirono quell’esempio, inclusi Emerson, Lake e Pallmer
-Brain Salad Surgery - Jethro Tull - A Passion Play -, e Genesis - The LambLies Down On Broadway- , e altre ancora. La maggior parte non delineò
una storia chiara e completa, ma piuttosto un suggerimento, un’idea di trama.
Altri termini usati per
definire il genere furono "Concept Album"e "Musical Suite".
The Demise era un booklet destinato ad
essere una storia sostenuta dalla musica.
E 'stato scritto ed eseguito
38 anni prima che io mi decidessi a scrivere questo libro.
Attraverso la magia di
musica e liriche, The Demise racconta
del conflitto secolare tra purezza e bontà, il male e l'oppressione, ma con
molte diramazioni.
La mia band si chiamava Quill, e come ELP è stato un raro esempio di trio
con tastiere, basso e batteria e nessuna chitarra, e in questo ambito il
tastierista era idealizzato come principale compositore.
A causa della lunghezza e della
complessità del pezzo la band non è stata in grado, all’epoca, di registrare l’album
in un vero e proprio studio, dove ci sarebbe stato tempo e modo per ottimizzare
le parti, almeno secondo le nostre conoscenze e capacità. Dovemmo quindi
scinderlo in più sezioni per poterlo condividere con il pubblico. Era un pezzo
impegnativo, e senza la “forza” (e il denaro) di una casa discografica alle
spalle ci trovammo di fronte a un muro di mattoni. Eravamo al verde e ci adattavamo
a fare lavori umili per coprire il costo degli spettacoli, che non era mai meno
di 1.000 dollari e alla fine si
avvicinava ai 5000, quando abbiamo deciso di portare on stage luci e proiezioni
visive. Inoltre era il momento in cui stava avanzando la Disco e spingeva con
forza il progressive fuori dalla programmazione comune.
Stayin’ Alive
Dopo molti anni sono stato
contattato da un gruppo di musicisti, i The Samurai of Prog: scrivono,
producono e suonano la loro musica, e amano arrangiare e ri-registrare quella
degli altri, come è successo con i miei Quill.
I membri dei TSOP sono
stati fan dei Quill sin dagli inizi,
quando fu rilasciato il primo album dal titolo Sursum Corda.
A quei tempi abbiamo cercato
di far passare Sursum Corda come un
concept album, e in certa misura è stato
così. Ma eravamo giovani ed è stato il nostro primo tentativo di scrivere e
registrare materiale che potesse riempire un album.
Ora, non importa come si definisce
il disco “Sursum Corda”, ma era
decisamente materiale non cantautorale e non presentava neppure una storia
chiara, con linee guida precise. A differenza di “Sursum Corda”, "The
Demise" racconta una vera e propria storia che non è assolutamente
difficile da intravedere.
Passano decenni e capita che
i The Samurai di Prog mi contattano per
chiedermi se ho qualche brano disponibile da pubblicare, qualcosa che non aveva
trovato spazio ed occasione nei gloriosi seventies.
Cerco e ricerco ma non
riesco a trovare le tre canzoni che erano presenti nel lungo "Demise".
Quelle canzoni erano state registrate in uno studio professionale, finite su
qualche nastro e giacenti a migliaia di miglia dal luogo in cui erano state
create, e l’intento di TSOP era quello di includere i 2 o 3 brani in una compilation
che avrebbe dato spazio ad altri artisti, più o meno dello stesso periodo
fertile dal punto di vista del rock progressivo, vale a dire fine dalla fine
degli anni ‘60 sino ai primi ’80.
Il tempo passa, e dopo aver
rinunciato a recuperare le tracce perse sono riuscito a trovare l'intero "Demise". Ma era stato registrato
praticamente in "stile garage": nessuna sovraincisione, del tutto in
presa diretta, nessuna levigatura, taglio, o equalizzazione delle varie tracce.
Sperando di non creare imbarazzo nella band inviai, con una certa
preoccupazione, il pezzo intero - 58:06 minuti - a Marco Bernard, a capo
del progetto TSOP.
Invece di storcere il naso, Marco
si è innamorato del lunghezza e della complessità del pezzo, e ha chiesto se
poteva ri-organizzarlo, utilizzando strumenti moderni, e poi ri-registrarlo ed
eventualmente ri-rilasciarlo.
Tutto ciò mi ha fatto ovviamente
piacere! Ho subito telefonato al mio caro amico Keith Christian, che suonava il
basso e cantava nell'album originale. Keith ha anche scritto molti dei testi più
accattivanti, e si è trovato subito d’accordo per procedere con il progetto.
Abbiamo anche fatto un
tentativo per portare il nostro ex batterista nel circuito, ma lui non è
apparso interessato, per motivi personali.
Così abbiamo deciso di pianificare
i vari passi. Volevo monitorare i progressi da lontano, assumendo il ruolo di supervisore
esperto, e Keith sarebbe andato in Svezia, per ri-registrare alcune voci e
alcune parti di chitarra basso assieme a Stefan, l'arrangiatore principale di questa
nuovo lavoro. Ma vorrei specificare che ormai il progetto era dei Samurai e noi
volevamo solo dare il nostro contributo. Volevo andare in Svezia con Keith, ma
sono nati alcuni ostacoli. Il mio stato di salute è peggiorato dopo aver
combattuto il cancro per oltre un anno, e non sono riuscito ad affrontare un
viaggio di quel genere, considerando la necessità di un supporto
infermieristico adeguato, e con costi altissimi.
All’interno del progetto il
mio compito era quello di scrivere tutti i testi - qualcosa che non era mai
stato fatto prima - seguendo la corretta tempistica, in modo che i nostri nuovi
amici avessero un planning temporale su cui operare. I membri dei TSOP sono
sparsi in luoghi diversi, in tutto il mondo, e per poter lavorare insieme vengono utilizzati e condivisi file elettronici,
anche se le migliaia di migliaia di miglia che separano i vari attori, e i
tanti fusi orari, necessitano grande attenzione per tenere fisicamente distinto
il materiale realizzato, senza commettere errori e conseguenti perdite di
tempo.
Gli outtakes del segmento di
apertura di 15 minuti, il primo prodotto tangibile che abbiamo ricevuto dai
Samurai, ci ha impressionato enormemente! Anche se non era così grintoso come
la registrazione originale dei Quill, le sfumature erano bellissime. Il
prodotto che l’arrangiatore principale Stefan Renström aveva creato richiamava
alla mente un tipo di visione musicale che avevo avuto, e che probabilmente aveva
coinvolto tutti noi attorno al 1977, quando purtroppo si è cercato di voltare
pagina troppo rapidamente. La musica era diventata più breve per richiesta
della radio e anche i nomi delle band erano più brevi.
Che fare con un nome di
cinque lettere, Quill? Sederci fuori al freddo ad aspettare nuovi cambiamenti?
Beh, nel nostro ultimo anno insieme abbiamo realizzato piccoli concerti nel New
England… perlopiù in pieno inverno!
In quei tempi precoci,
seppur molto appassionati ai dettagli, non siamo riusciti a creare certe tonalità
complesse, tessiture e "voci" musicali, utilizzando gli strumenti
relativamente semplicistici che erano allora disponibili: un organo Hammond, un
paio di Mini-Moog modificati, un ARP String Ensemble, un Baldwin elettrico
Clavicembalo, un pianoforte, ma non molto altro.
Naturalmente Keith è stato
obbligato ad usare un basso Rickenbacker, e il batterista aveva un bel kit di
Ludwig e una deliziosa serie di campanelli d'orchestra, vecchi almeno 75 anni.
Quindi sono state inserite un paio di 'voci' musicali nella registrazione, ma
niente a che vedere con la versione attuale.
Già nel 1976-1977 avevamo
provato il nostro piccolo capolavoro in un rifugio antiaereo nel sud di Santa
Barbara, in California. Ci sono voluti mesi. Il padre di Keith era un fisico
nucleare e sentì il bisogno di possedere un vero e proprio rifugio antiaereo. Eravamo
musicisti e quindi bisognosi di uno spazio per le prove, e quel luogo era
perfetto!
Anche mio padre, se fosse
rimasto in vita, avrebbe probabilmente voluto un rifugio simile. Ha lavorato
per un importante appaltatore della difesa e aveva una posizione di rilievo. I
nostri giorni erano pieni di paura, condizionati dal timore che "la
bomba" potesse essere lanciata da un momento all'altro. Per fortuna così
non è stato, e per fortuna abbiamo avuto con noi la musica che è riuscita a
dissipare le nostre preoccupazioni, con l’aiuto di abbondanti quantità di vino!
Tragedy Strikes
E veniamo alla parte molto
dolorosa di questa storia. Poco dopo la visita di Keith in Svezia, a metà 2015,
periodo in cui rimase per una settimana con Stefan, l'arrangiatore principale,
fummo colpiti dalla tragedia. Infatti, quando Keith tornò a casa, probabilmente
un mese o due dopo, Stefan é venuto a mancare, del tutto inaspettatamente e
senza che ce lo aspettassimo.
A giudicare da ciò che
abbiamo letto su facebook Stefan ha passato momenti meravigliosi con la moglie
e i figli durante i mesi estivi che hanno preceduto la sua morte.
Collettivamente, la nostra piccola famiglia si sta ancora riprendendo. Noi lo
amiamo e gli auguriamo il meglio che si possa desiderare per l'anima di
qualcun’altro.
Anche la mia storia non è
troppo felice. Mi è stato diagnosticato un cancro molti mesi fa. Ho superato le
previsioni di oltre un anno, in gran parte attraverso l'adozione del mio
protocollo di trattamento. Ho intenzione di continuare a fare proprio questo,
ma non si sa mai. Può essere che l'olio dell’Hammond fosse meno digeribile di
quello che pensavo, quando lo usavo sulla pasta o per le fritture!
Ma veniamo al libro. Anche
se ho abbozzato molti storyboard, ancor più delle note, non esiste nessuna
versione ufficiale del book, e data la mia propensione a creare spontaneamente
nuove parole, nuovi mondi, nuovi scenari, nuovi conflitti e nuove risoluzioni,
non ho mai pensato molto di scrivere un libro. Tutto ciò che doveva essere
fatto, esisteva già. Inoltre, la storia di “The
Demise” contiene la somma di ogni conoscenza, e credo che questo fosse già abbastanza.
Ma ora sono più vecchio, e
mi piace molto l'arte del rovesciare le parole sulla carta, e così mi venne in
mente di ricreare la storia in forma di book. Si tratta di un lavoro pieno di amore
e mi aiuta ad andare avanti e a convivere con i momenti piuttosto difficili
legati al mio stato fisico.
Spero sinceramente che i
lettori potranno godere della storia, e sono sicuro di parlare anche a nome
della band e di tutti i suoi sostenitori, amici e collaboratori, convinto che
la nuova versione dell'album sarà ben accolta quando verrà rilasciata,
approssimativamente nel primo o il secondo trimestre del 2016.
Se qualcuno fosse
interessato ad ascoltare la 'versione garage band' della registrazione
originale dei Quill, non esiti a contattarmi. Esistono un centinaio di copie
che posso rendere disponibili al costo del materiale e del trasporto.
Inoltre, ho masterizzato
circa 100 dischi, i primi realizzati con apparecchiature analogiche. Questi
saranno disponibili anche dopo il rilascio iniziale del pacchetto principale.
C’è solo una sottile differenza tra questa versione rispetto alla precedente.
Questo non è "Re-Mix" o qualcosa di simile, ma per quelli che hanno
sistemi a larga banda (raccomandato 22 Hz - 18 kHz), o un buon paio di cuffie,
e se ci si innamora di questa nuova versione potrebbe valere la pena un piccolo
investimento, probabilmente di $ 100. Ogni disco sarà firmato, datato,
marchiato, con un controllo della velocità e dei possibili difetti. Queste sono
le possibilità che ci fornisce l’attuale tecnologia!
Per ricordare la musica dei Quill propongo l’intero album Sursum Corda,
un concept album che unisce la magia delle fiabe alla tecnica e alle idee della
band, registrato con un finanziamento privato tra la fine del '76 e l'inizio
del '77.
A seguito dell’uscita del disco la band guadagnò
seguito e fama, diventando gruppo cult, ma non trovò molto sostegno da parte
del settore discografico.
Mentre lottavano per far sì che la loro musica
uscisse dalla nicchia, riuscirono a scrivere e registrare un altro concept
album epico, dal titolo The Demise of
the Third King's Empire.
Per un paio di anni proposero la loro musica - che
evidenziava una precisa natura artistica - con un buon successo di pubblico, ma
alla fine i Quill si arresero e si sciolsero.
I The Samurai Of Prog, come promesso,
ritornano con un lavoro incredibile, un album a mio giudizio storico,
piacevole da ascoltare già dal primo giro di “nastro” - termine in questo caso
appropriato - che sulla scia dei grandi lavori prog di Marco Bernard targati Colossus,
contiene "materiale" che vale la pena di sviscerare.
Il titolo è Lost and Found.
Persi e ritrovati, gioielli rimasti nel cassetto a prender polvere, vittime di
un businnes incompetente e cieco, o della casualità: sembra retorica ma
trovarsi al posto giusto nel momento giusto, oggi come nel passato, è fattore determinante.
I TSOP sono essenzialmente musicisti da studio, non perché il palco sia
per loro problematico, ma il vivere la
propria esistenza in spazi molto lontani, tra America e Finlandia, mal si
coniuga con la necessità di preparare trame di grande complessità e ricche di
dettagli tecnici.
Ma personalmente mi… “accontento”
di ciò che riescono a realizzare in studio.
Lost And Found non dovrebbe mancare in nessun
archivio musicale degli amanti della buona musica, prog o non prog.
Tutto nasce e gira
attorno alle esperienze che Bernard ha sommato
negli anni (sottolineo che Marco è italiano, anche se da molti anni domiciliato
all’estero), nel senso che il conoscere molteplici artisti di ogni nazionalità
e periodo storico lo ha portato a maturare la voglia di recupero, quella a cui molte
label di nicchia si aggrappano ogni tanto ma, ovviamente - e ragionevolmente -
con un occhio marcatamente rivolto alla commercializzazione del prodotto. In
questo caso parliamo sostanzialmente di amore verso la musica che ha
caratterizzato tutta una vita.
Le dichiarazione di
intenti sono ben delineate dalla band (Steve Unruh: voce, chitarra acustica, violino,
flauto; Kimmo
Pörsti: batteria, percussioni; Marco Bernard: basso rickenbacker e coordinatore
del progetto): un tuffo negli anni ’70 e dintorni per riscoprire brani
meravigliosi che per svariati motivi non hanno mai visto la luce e donare loro
un nuovo abito, evitando la coverizzazione, cercando invece una
reinterpreatazione atta a trasformare ogni traccia originale in un nuovo
brano costruito sul modello TSOP, il
tutto con la piena collaborazione e coinvolgimento dei musicisti originali,
creando un fantastico bridge temporale che sorprende, perché la musica che
fuoriesce profuma di nuovo, di creazione appena nata, di novità prog: che
paradosso magnifico!
L’intervista a Steve Unruh che propongo è davvero
utile per entrare nel cuore del disco.
Ma chi furono i “primitivi”
da cui oggi si attinge?
Pavlov's Dog, Lift, Odyssey, Cathedral, e Quill… vale
la pena fare qualche ricerca e scoprire cose antiche e nuove allo stesso tempo.
Cast di ospiti
stratosferico, che propongo per intero…
Il doppio album si
traduce in quasi due ore di musica che cattura e inchioda l’ascolto.
Se il primo CD è
suddiviso in cinque brani, il secondo propone la lunga suite “The Demise”, realizzata circa 38 anni fa
dal tastierista e compositore Ken
DeLoria con suoi i Quill, band
americana con conformazione alla ELP - trio tastiere, basso e batteria.
Dalla rock opera nasce
oggi, per opera di Ken, una “Novella” che va a completamento di un lungo arco
temporale, ma dedicherò prossimamente spazio specifico a DeLoria e ai Quill, un racconto
che tocca aspetti della vita dolorosi, e che disegna compiutamente l’artista
americano.
Un’altra storia triste
è quella del musicista/arrangiatore Stefan
Renström, mancato prematuramente da pochi mesi, uno dei protagonisti di Lost
And Found, un album di cui non è riuscito a vedere il rilascio.
Straordinario il
contributo di Ed Unitsky, creatore
dell’artwork, abituale collaboratore, che possiede il raro dono di poter caratterizzare
completamente un album, che diventa riconoscibile a prima vista, perché quel
particolare tocco diventa simbolo della band, e si trasforma in musica: “La musica suona meglio quando ascoltandola
guardi la sua arte”, chiosa Unruh.
Ho avuto la fortuna di
ascoltare l’album in anteprima - che privilegio! - e ho tracciato un giudizio
sintetico che si è consolidato dopo il quinto ascolto. Ho scritto a Marco in
quell’occasione:
“Sono rimasto ipnotizzato dalla vostra musica. Ero già al corrente del
progetto, me lo dicesti tu nel corso dell’intervista dello scorso anno, ma ho
trovato il “recupero” geniale. Come ben sai esistono etichette - pochissime -
che vanno alla ricerca del materiale antico, mai usato, tenuto in soffitta,
prodotto valido per musicofili e amanti delle rarità, ma la vostra raccolta
evidenzia e da valore a musica che forse non sarebbe mai venuta a galla, almeno
in questa forma. Una delle carenze dell’assemblaggio di vecchie bobine è la
scarsa qualità, ma “Lost and Found” è un vero gioiello, che somma sostanza a
quantità e ha diversi pregi.
La freschezza ad esempio: a me è sembrato un album appena
sfornato, che coniuga gli stilemi del passato con una buona dose di novità.
Si ascolta con facilità, cosa non scontata quando si parla di
un genere a volte complesso nelle sue strutture.
E poi il team è davvero indovinato, con la chicca Davison,
che per induzione mi riconduce ai miei amori iniziali.
L’artwork è ormai una caratteristica della band e all’impatto
si abbina la musica dei TSOP alla mano di Ed Unitsky.
Un disco che spinge a ripristinare il rito del vinile… da
ascoltare in piena comunione, da condividere con chi ha voglia di provare
ancora la pelle d’oca! Bravissimi, voto massimo, anche se temo che difficilmente si
potrà portare sul palco”.
Circa un anno fa concludemmo la nostra chiacchierata via mail
con la tua anticipazione di un lavoro in corso, quel “Lost and Found” che ora è
diventato realtà: puoi riassumere l’iter realizzativo spiegando come è avvenuta
la rivitalizzazione di vecchio materiale?
Abbiamo
usato le vecchie registrazioni disponibili come materiale base. Le abbiamo
studiate a fondo, ma quando è arrivato il momento di fare i nostri
arrangiamenti e registrare siamo ripartiti da zero. Stefan e Tom hanno gettato
le basi su cui è stato costruito tutto il resto. Nuove tracce, tutto nuovo. Ho
pensato inizialmente di fare un medley delle parti originali, per mostrarne il
contenuto e per dare il sapore delle prestazioni antiche. Tutto ciò sarebbe
stato certamente rivelatore di un mondo passato e affascinante, ma dopo aver
sentito come le nuove registrazioni fluivano, ho capito che un medley delle
tracce esistenti non avrebbe dato il senso del fluire dell’album.
La vostra operazione di recupero è qualcosa che ogni tanto
viene perseguita da qualche label che fiuta il prodotto di nicchia, nel vostro
caso non si tratta di businnes ma di vero amore per certa musica che non è
riuscita ad avere giusta dignità nel momento della sua creazione: che cosa vi
ha spinto su questa strada così complessa?
E' stata un'idea di Marco. Per essere onesti, inizialmente ho
avuto delle riserve. Preferivo concentrarmi su musica "nuova", ma poi
ho sentito queste composizioni e ho capito quanto grandi potevano diventare, e
quanto potevamo renderle “nostre”. Lungo il percorso abbiamo avuto modo di
conoscere i membri delle band primitive e divertirci con loro, con continui
scambi di telefonate e mail, e questo ci ha permesso di entrare concretamente
nella vita dei gruppi originali, conoscendo da vicino gli interessanti sentieri
percorsi dai musicisti nel corso degli ultimi 40 anni. Questo progetto ha assunto così una vita propria, perché,
come gli eventi hanno evidenziato nel corso degli ultimi due anni, questo
progetto è diventato uno dei miei preferiti, sia per quanto riguarda la musica
che abbiamo creato e sia per le esperienze che ci siamo scambiati durante la
sua realizzazione.
Rispetto all’album precedente il parco ospiti si è
arricchito: me ne parli?
Certamente,
anche perché l’elenco degli ospiti è abbastanza impressionante, non è vero? Il
roster è composto da amici che abbiamo conosciuto nel corso degli anni, oltre a
quelli nuovi, legati alle band da cui abbiamo tratto i brani: Pavlov's
Dog, Lift, Odyssey, Cathedral, e Quill. Credo che ogni nuovo rilascio
discografico di TSOP in qualche modo incrementi il curriculum, e stiamo
guadagnando in slancio e reputazione. E 'un grande onore ottenere per così
tanto tempo l’attenzione di ospiti così importanti. Alcuni di questi ragazzi
sono molto impegnati, come si può immaginare, quindi è gratificante che si
siano uniti a noi, trasformando duro lavoro in performance stellari. Nessuno ha
avuto tempo di giocare col telefono... questo è sicuro!
Sono rimasto molto colpito da The Demise: puoi approfondire
il significato della lunga suite?
Questo dovrebbe essere oggetto di un'intera intervista con Ken Deloria e
Keith Christian! Lo lascerò a loro! E’ un argomento troppo profondo per
tuffarcisi dentro!
Il CD è doppio, il materiale è tanto, ma immagino che abbiate
dovuto fare opera di selezione… avete scartato musiche che erano tecnicamente
irrecuperabili?
Abbiamo selezionato i nostri pezzi preferiti, quelli che abbiamo pensato potessero
essere le composizioni più importanti con una forte tendenza verso la
"Samuraizzazione". Non siamo più interessati ad essere una cover band.
Vorrei dire a questo riguardo che personalmente mi sono servite le lezioni derivanti
dal lavoro sui nostro primi due album. Abbiamo quindi scelto pezzi che ci hanno
permesso di esprimere la nostra personalità collettiva al massimo delle nostre
possibilità, e abbiamo scartato alcune canzoni teoricamente perfette, semplicemente
perché non siamo riusciti a farle diventare nostre.
Ancora una volta troviamo la mano di Ed Unitsky,
riconoscibile tra mille altre: che tipo di connubio artistico è il vostro?
Ed è un vero artista, ha una forte visione artistica e una dura etica di lavoro.
Amiamo lavorare con lui e sentiamo come la sua mano su The Imperial Hotel e Lost and
Found sia in grado di colpire l’occhio e di elevare l’esperienza
dell’ascoltatore. In realtà sembra che la musica suoni anche meglio quando stai
guardando una sua opera d'arte.
Ed funziona come un membro di supporto della band (come noi siamo gli
specialisti del reparto audio lui è lo specialista nel reparto visual!). Se lui
elabora un'idea forte nella sua mente lotta strenuamente per realizzarla, e di
solito ci rendiamo conto più tardi che aveva ragione! Il suo artwork attinge
direttamente da temi musicali e lirici. Spieghiamo a Ed quello che cerchiamo di
trasmettere musicalmente e gli mandiamo i testi delle canzoni. Ed,
si avvale della collaborazione di Olga, suo consulente di studio di lunga data,
e assieme realizzano opere d’arte che tengono conto delle liriche in loro
possesso.
Avete fatto qualche passo avanti relativo alla possibilità di
esibirvi dal vivo?
Sarebbe divertente ma non ci sono progetti in
ballo in questo momento: troppi i musicisti coinvolti che vivono in parti del
mondo molto distanti tra loro. Inoltre la nostra musica è incredibilmente complessa,
e per fare un buon lavoro ci vorrebbero un sacco di prove, tutti nella stessa
stanza. Siamo tutti perfezionisti e non ci butteremmo mai in questa avventura
senza avere la certezza di farlo al meglio. Ma sicuramente non possiamo dire
che non accadrà mai! Forse un giorno…
Cosa può arrivare dopo
un “Lost and Found”… un nuovo album
di inediti di TSOP o un “Lost and Found
2”?
Un
album di inediti è in arrivo. I compositori ospiti (alcuni già presenti in The Imperial Hotel ) si sono già messi
al lavoro, e in un paio di brani sono già molto avanti: Marco e Kimmo hanno già
iniziato a registrare le loro parti.
Un ultima doverosa domanda… un tuo pensiero per Stefan
Renström…
Come molti sanno, Stefan è tragicamente deceduto poco dopo aver completato
il lavoro su Lost and Found, che è
stato duro e difficile. Stefan amava vivere, era amato dalla sua famiglia e lo
ammiravamo molto. Speravamo di continuare a lavorare con lui, perché "lo svedese testardo", come amava
definirsi, era un super-talento. Il suo lavoro brilla in Lost and Found. Anche se è triste e frustrante perdere così presto un
nostro fratello musicale, possiamo trovare una piccola consolazione nel fatto
che almeno ha avuto modo di dire addio con una serie massiccia di arrangiamenti
e prestazioni di enorme valore.