Grande attesa per il prossimo disco
da solista del poliedrico artista dei King Crimson, Jakko Jakszyk, chitarrista
e voce inconfondibile della storica band. L'album, intitolato "Son Of
Glen", si presenta come un'espansione musicale della sua celebrata
autobiografia.
Il talentuoso musicista dei King Crimson, Jakko M. Jakszyk, rilascerà il suo nono progetto
solistico, "Son Of Glen",
tramite InsideOut Music il prossimo 27 giugno. L'annuncio è stato
accompagnato dalla diffusione del suo ultimo singolo, la traccia omonima che
supera i dieci minuti di durata.
Questo nuovo lavoro discografico, che segue "Secrets
& Lies" del 2020, funge da ideale colonna sonora alla sua
acclamata autobiografia, "Who's The Boy With The Lovely Hair?",
edita lo scorso anno da Kingmaker Publishing. Il titolo del libro fa
riferimento al vero padre di Jakszyk.
"È un racconto fantastico e romantico, ispirato alle
rivelazioni sul mio vero padre dopo anni di ricerche vane", racconta
l'artista. "Glen Tripp era un aviatore americano di stanza nel Regno
Unito che si innamorò di una cantante irlandese dai capelli scuri. E io, molti
anni dopo, ho ripercorso le sue orme, innamorandomi di un'altra persona. Chissà
se mi ha osservato e guidato da lassù?"
In "Son Of Glen" troviamo la preziosa
partecipazione di batteristi del calibro di Gavin Harrison (King Crimson
/ Porcupine Tree) e Ian Mosley (Marillion), della violoncellista Caroline
Lavelle, della vocalist Louise Patricia Crane e del figlio di Jakko,
Django, al basso.
Il nuovo album sarà disponibile in tiratura limitata in
formato CD digipak, vinile gatefold e sulle piattaforme digitali.
Il chitarrista dei Marillion, Steve Rothery, ha finalmente svelato le
informazioni sul suo nuovo progetto musicale, denominato Bioscope,
nato dalla sua collaborazione artistica con Thorsten
Quaeschning, figura di spicco dei Tangerine Dream.
Il frutto della loro sinergia creativa, un album intitolato
"Gentō", vedrà la luce
tra la fine di luglio e l'inizio di agosto, pubblicato tramite earMusic.
Tuttavia, la versione su CD è già disponibile per l'acquisto anticipato
sull'etichetta Racket dei Marillion, con spedizioni previste per l'inizio di
maggio. I primi cinquecento acquirenti riceveranno una copia autografata dal
celebre chitarrista.
"Sono appena rientrato dagli Abbey Road Studios, dove
hanno completato il processo di incisione in half-speed del vinile per il mio
progetto Bioscope con Thorsten Quaeschning dei Tangerine Dream," ha
comunicato Rothery ai fan dei Marillion attraverso la newsletter periodica
della band. "Questa iniziativa ha preso forma all'inizio del 2020 e,
dopo diverse trasferte a Berlino nel corso degli anni e alcune sessioni nel mio
studio personale, il materiale era finalmente pronto per il mixaggio e la
masterizzazione! Il percorso è stato un po' più lungo del previsto, ma il
risultato sonoro è davvero eccezionale!"
L'album vanta anche la partecipazione di Alex Reeves,
il talentuoso batterista degli Elbow, la cui performance è stata definita da
Rothery come "fantastica".
Rothery è stato recentemente impegnato con i Marillion nelle
loro acclamate esibizioni dal vivo durante i "weekend speciali" in
Olanda, Canada e Francia. Seguiranno ulteriori concerti in Italia, Regno Unito,
Germania e Norvegia.
Parallelamente, i Marillion sono al lavoro su un nuovo album
in studio, la cui pubblicazione, tuttavia, non è prevista prima del 2026.
Il 29 aprile segna un giorno di malinconico ricordo
per gli amanti del rock'n'roll: l'anniversario della scomparsa di Michael "Mick" Ronson. Chitarrista dalla
presenza scenica magnetica e dal tocco inconfondibile, Ronson non fu
semplicemente un sideman, ma l'architetto sonoro che diede forma all'era glam
di David Bowie e un musicista di talento cristallino, capace di
illuminare ogni progetto in cui si immerse.
Nato nello Yorkshire nel 1946, la passione di Ronson per la
musica sbocciò presto. Dopo aver militato in diverse band locali, il suo
destino si incrociò con quello di David Bowie nei primi anni '70. Questo
incontro fu una scintilla creativa che avrebbe infiammato la scena musicale per
anni.
L'apporto di Mick Ronson al suono di Bowie fu semplicemente
trasformativo. Dalle riff taglienti e iconici di "Ziggy Stardust"
e "Suffragette City" alle tessiture orchestrali di "Life on Mars?" e "Lady Stardust", la sua chitarra non era
solo uno strumento, ma una voce narrante che dialogava con quella camaleontica
di Bowie. La sua presenza sul palco, con quella chioma bionda platino e
l'atteggiamento da eroe glam-rock, incarnava perfettamente l'immaginario
androgino e alieno che Bowie stava plasmando.
La formazione dei The Spiders from Mars, con Ronson
alla chitarra, Trevor Bolder al basso e Woody Woodmansey alla
batteria, divenne una delle band di supporto più iconiche della storia del
rock. Insieme, crearono album seminali come The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars,Hunky Dorye Aladdin Sane, dischi che non solo definirono un'epoca ma continuano a
influenzare generazioni di musicisti.
Ma il talento di Ronson andava ben oltre il ruolo di
chitarrista di Bowie. La sua abilità come arrangiatore fu cruciale nel dare
profondità e ricchezza alle composizioni. Le sue orchestrazioni, spesso
caratterizzate da archi lussureggianti e arrangiamenti sofisticati, elevarono
brani rock a vere e proprie sinfonie pop.
Dopo la fine della sua collaborazione con Bowie nella metà
degli anni '70, Ronson intraprese una carriera solista, pubblicando album come Slaughteron 10th Avenue e Play Don't Worry. Sebbene questi lavori
non raggiunsero lo stesso successo commerciale dei suoi anni con Bowie,
rivelarono un artista con una sua visione musicale distintiva, capace di
fondere il rock grintoso con elementi melodici raffinati.
La sua versatilità lo portò a collaborare con una miriade di
altri artisti di spicco, tra cui Lou Reed (nell'influente album Transformer),
Mott the Hoople, Ian Hunter e Bob Dylan (nella leggendaria
“Rolling Thunder Revue”). In ogni progetto, il tocco di Ronson era
inconfondibile: un suono di chitarra potente ma melodico, un senso innato per
l'arrangiamento e una dedizione totale alla musica.
Negli anni '90, nonostante la malattia lo stesse minando,
Ronson continuò a suonare e produrre, dimostrando una tenacia e una passione
incrollabili. La sua prematura scomparsa nel 1993 lasciò un vuoto incolmabile
nel mondo della musica.
Oggi, nel giorno in cui lo ricordiamo, celebriamo Mick Ronson
non solo per i suoi riff iconici e la sua presenza scenica indimenticabile, ma
anche per la sua profonda musicalità, la sua capacità di elevare ogni canzone
che toccava e la sua influenza duratura su generazioni di chitarristi. Un vero
eroe della chitarra che ci manca profondamente.
Una tragedia in tanti atti. Le
tragedie dell’incendio, della malattia mentale, della perdita dei figli (letteralmente
e in senso figurato), la tragedia di essere senzatetto e quella di morire solo,
circondato da molti. Così tante tragedie e una sola vita per contenerle tutte.
Jackson
C. Frank. Possa
la sua storia essere raccontata e le sue canzoni cantate.
Il modo in cui mi sono avvicinato a Jackson C. Franke
al suo curatore italiano è descritto, dettagliatamente, nell’articolo a cui si
arriva cliccando sul seguente link:
Successivamente, mi sono dedicato alla lettura di "Jackson C. Frank - la luce chiara e dura del genio"
di Jim Abbott, un prezioso omaggio di Gian Carlo Pandolfi, vero
motore della sua rivisitazione italiana. Uscito nel maggio scorso, il libro ha
avuto un successo tale da esaurirsi in breve tempo, anche se attualmente
dovrebbe essere reperibile.
Immagino la difficoltà nel cogliere le sfumature dello
scritto di Abbott e, pur riconoscendo alcune piccole imperfezioni nella
trasposizione italiana, è doveroso sottolineare come queste rappresentino una
minima parte rispetto all'imponente e prezioso lavoro di rielaborazione
compiuto. La testimonianza è importante, ed è possibile sperare che la sua
storia arrivi esaustivamente sul grande schermo (nel 2023 è uscito un
documentario sulla vita di Jackson C. Frank intitolato "Blues Run the
Game: The Strange Tale of Jackson C. Frank"), perché, come dice Abbott,
“Una eredità non è molto se nessuno sa che sei esistito!”.
Il libro di Jim Abbott, "Jackson C. Frank - la luce
chiara e dura del genio", si presenta come un'indagine meticolosa e
appassionata sulla vita enigmatica e il talento fragile di Jackson C. Frank,
figura di culto nel panorama folk degli anni '60. Abbott non si limita a una
biografia convenzionale, ma illumina le intricate pieghe di un'esistenza
segnata da un'immensa promessa artistica e da una profonda e persistente
oscurità personale.
Fin dalle prime pagine, l’autore traccia un ritratto vivido
dell'epoca in cui Frank emerge, la fervente scena folk britannica degli anni
'60, un contesto fertile per talenti unici e spesso tormentati. La narrazione
cattura l'essenza di un'epoca in cui la voce piena e ricca di Frank, il suo
finger-picking esemplare e la sua abilità nello scrivere melodie memorabili lo
distinguevano sulla scena londinese. Il libro esplora come, nonostante
l'ammirazione di colleghi come John Renbourn, che lo considerava superiore a
Paul Simon, Frank rimase ai margini del successo mainstream.
Un elemento centrale è l'esplorazione del tragico evento che segnò
indelebilmente la vita di Frank: l'incendio scolastico che sfigurò, privandolo
di molte persone care. Abbott, con sensibilità e rispetto, analizza come questo
trauma abbia influenzato la sua psiche, la sua arte e il suo rapporto con il
mondo. Il libro non cede al sensazionalismo, ma cerca di comprendere la
profonda cicatrice emotiva che ha accompagnato Frank per tutta la sua
esistenza, manifestandosi nella sua musica introspettiva e nel suo carattere
schivo. L'incidente, paradossalmente, lo portò a imbracciare la chitarra, uno
strumento che divenne sia rifugio che mezzo espressivo.
L'analisi dell'unico album omonimo di Jackson C. Frank,
registrato a Londra con la produzione di Paul Simon, è un pilastro del libro.
Abbott non si limita a descrivere le sonorità rarefatte e le melodie
inquietanti, ma si addentra nei testi enigmatici, cercando di decifrare i temi
ricorrenti di solitudine, perdita, amore e disillusione. Brani come "Blues Run the Game", poi diventato uno standard reinterpretato da numerosi
artisti, rivelano la profondità emotiva e la capacità compositiva di Frank.
Il libro esplora la genesi delle canzoni, le influenze
musicali di Frank e l'impatto che questo album, pur di scarso successo
commerciale all'epoca, ha avuto su generazioni successive di musicisti, spesso
presente in colonne sonore di film, come "Brown Bunny" e
"Electroma".
Abbott affronta la progressiva discesa di Frank
nell'oscurità, segnata da problemi di salute mentale, instabilità emotiva e
un'esistenza sempre più marginale. Il libro cerca di fare luce sulle ragioni di
questo declino, senza offrire facili risposte o giudizi, ma piuttosto
dipingendo un quadro complesso delle sfide che Frank ha dovuto affrontare. La
gestione avventata dell'assegno assicurativo, le difficoltà relazionali (il
matrimonio con Elaine Sedgwick, la perdita del figlio), la convinzione che Paul
Simon lo avesse danneggiato, la vita da senzatetto e l'episodio in cui perse un
occhio sono tutti elementi che contribuiscono a un ritratto tragico.
L'omaggio di Gian Carlo Pandolfi, che ha tradotto il libro in
italiano, aggiunge un ulteriore livello di profondità, offrendo una chiave di
lettura culturale specifica.
Il volume si arricchisce ulteriormente di un toccante inserto
fotografico in bianco e nero, che ripercorre visivamente momenti topici e
significativi della vita di Jackson C. Frank, offrendo uno sguardo intimo sul
suo percorso umano e artistico.
Lo stile di scrittura di Jim Abbott, come si può intuire dal
titolo ("la luce chiara e dura del genio"), è caratterizzato da una
prosa incisiva e poetica, capace di rendere giustizia alla complessità del suo
soggetto. L'autore intreccia aneddoti (come l'incontro con Elvis a Graceland),
testimonianze (le parole di John Renbourn), analisi musicali e riflessioni
personali per offrire un ritratto a tutto tondo di Frank, evitando la semplice
cronologia degli eventi. Il libro include dettagli commoventi, come la lettera
scritta con una macchina da scrivere rotta a Renbourn e il registratore a
cassette ritrovato tra i suoi averi.
In conclusione, "Jackson C. Frank - la luce chiara e
dura del genio" di Jim Abbott si conferma come un'opera fondamentale per
chiunque sia interessato alla storia del folk, alle vite tormentate dei geni
musicali e alle oscure correnti che possono celarsi dietro una bellezza
artistica fragile e intensa. Il libro non solo ripercorre la vita di Jackson C.
Frank, ma cerca di comprendere la sua eredità artistica e umana, offrendo al
lettore una prospettiva illuminante su una figura tanto talentuosa quanto
sfuggente. La "luce chiara e dura" del titolo suggerisce un tentativo
di squarciare il velo di mistero che avvolge Frank, offrendo uno sguardo
penetrante sulla sua genialità e sulle sue sofferenze. Il libro celebra il suo
unico album come un'opera di inestimabile valore, un testamento di un talento
che, nonostante le avversità, continua a risuonare.
Il 28 aprile celebriamo il compleanno di un musicista
visionario e polistrumentista d'eccezione: Edwin
"Eddy" Jobson. La sua impronta nel panorama del
progressive rock e della fusion è tanto profonda quanto sofisticata, unendo
virtuosismo tecnico, audacia sperimentale e una rara sensibilità melodica.
Jobson non è stato semplicemente un esecutore, ma un architetto del suono,
capace di plasmare paesaggi sonori complessi e affascinanti con i suoi violini
elettrici, le sue tastiere all'avanguardia e la sua mente musicale acuta.
Nato a Middlesbrough, in Inghilterra, nel 1955, il talento
precoce di Jobson si manifestò fin dalla giovane età. La sua formazione
classica al violino gli fornì una base tecnica impeccabile, ma fu la sua
apertura mentale e la sua curiosità verso le nuove sonorità elettroniche a
spingerlo verso territori musicali inesplorati.
La sua carriera decollò rapidamente negli anni '70, un
decennio d'oro per il progressive rock. Il suo ingresso nei Curved Air
nel 1972 portò una ventata di freschezza e sperimentazione al suono della band,
come testimoniato dall'album Air Cut. Tuttavia, fu con i Roxy
Music che Jobson raggiunse una maggiore visibilità. Sostituire Brian Eno
nel 1973 non era un compito facile, ma Jobson non solo colmò il vuoto, ma
aggiunse una dimensione strumentale inedita al sound elegante e art-rock della
band, contribuendo a capolavori come Stranded, Country Life e Siren.
Il suo uso distintivo del sintetizzatore e del violino elettrico divenne un
marchio di fabbrica del periodo più acclamato dei Roxy Music.
Dopo quell’esperienza, Jobson continuò a esplorare nuove
frontiere musicali. La sua collaborazione con Frank Zappa nel 1975 fu un
banco di prova per la sua incredibile versatilità e la sua capacità di
improvvisazione. Suonare al fianco di un genio musicale come Zappa richiese una
padronanza tecnica e una prontezza intellettuale fuori dal comune, qualità che
Jobson dimostrò ampiamente.
Gli anni successivi lo videro protagonista in progetti
seminali come gli UK, una superband progressive che vedeva la
partecipazione di John Wetton, Bill Bruford e Allan Holdsworth. Gli album UK
e Danger Money sono considerati pietre miliari del prog rock
degli anni '70, caratterizzati da composizioni intricate, virtuosismo
strumentale e l'inconfondibile tocco di Jobson alle tastiere e al violino.
Un altro capitolo significativo nella sua illustre carriera
fu la sua partecipazione ai Jethro Tull per l'album A del
1980. In quel periodo, Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, dichiarò: "Eddy
portò con sé una brillantezza elettronica e una sofisticazione armonica che
diedero al disco un sapore decisamente moderno per i Jethro Tull. La sua
capacità di creare trame sonore complesse con i sintetizzatori fu fondamentale
per definire il suono di quell'album."
Questa breve ma intensa collaborazione evidenziò ancora una
volta la capacità di Jobson di integrarsi perfettamente in contesti musicali
diversi, arricchendoli con il suo talento unico.
La sua carriera solista, seppur meno prolifica, ha regalato
gemme come Zinc: The Green Album, un lavoro interamente
strumentale che mette in luce la sua abilità compositiva e la sua maestria
nell'integrare elementi classici ed elettronici.
Negli anni '80, Jobson continuò a sperimentare con le nuove
tecnologie musicali, dimostrando una costante evoluzione e un rifiuto di
rimanere confinato in un unico genere. La sua influenza si estende ben oltre i
confini del progressive rock, toccando la fusion e la musica elettronica.
Nel 2019 viene inserito nella Rock and Roll Hall of Fame come
membro dei Roxy Music.
Oggi, nel giorno del suo compleanno, ricordiamo Eddy Jobson
non solo come un virtuoso strumentista, ma come un vero innovatore, un artista
che ha saputo fondere tecnica e creatività in un linguaggio musicale unico e
inconfondibile. La sua capacità di spaziare dal lirismo del violino alle
sonorità futuristiche dei sintetizzatori lo ha reso una figura leggendaria per
chiunque apprezzi la musica che sfida i confini e celebra l'ingegno artistico.
Lunga vita a questo straordinario architetto del suono!
Il 27 aprile si ricorda la nascita di Gordon
Hionidies, meglio noto come Gordon Haskell,
avvenuta nel 1946 a Verwood. La sua carriera musicale, pur toccando
vertici di notorietà grazie alla sua militanza nei seminali King Crimson
all'inizio degli anni Settanta, ha saputo evolvere verso sonorità più intime e
folk, culminando in un successo popolare inaspettato.
La sua fama iniziale è indissolubilmente legata al suo
periodo con la band di Robert Fripp. Haskell contribuì in maniera significativa
al suono dei King Crimson, prestando la sua elegante voce come seconda voce
solista nel delicato brano "Cadence and Cascade" presente
nell'album In the Wake of Poseidon. Successivamente, in Lizard,
assunse il doppio ruolo di bassista e cantante solista, lasciando un'impronta
distintiva sulle complesse trame sonore dell'album.
Già prima di questa
cruciale esperienza, Haskell aveva collaborato con Fripp in una primordiale
versione della League of Gentlemen, un progetto che tuttavia abbandonò a
causa di divergenze sulla direzione musicale intrapresa.
Dopo la parentesi prog-rock con i King Crimson, Haskell
intraprese una carriera solista che lo vide progressivamente avvicinarsi a
sonorità più folk e cantautorali, distanziandosi dalle sperimentazioni
complesse dei suoi esordi. Questa nuova fase artistica lo portò a pubblicare
album apprezzati da una nicchia di ascoltatori, fino all'inatteso successo del
singolo "How Wonderful You Are", tratto dall'album Look
Out. Questa ballata folk toccante e sincera scalò le classifiche
britanniche, diventando la canzone più richiesta nella storia di BBC Radio 2 e
vendendo ben 400.000 copie, testimoniando la sua capacità di connettersi con un
vasto pubblico attraverso la semplicità e l'autenticità della sua musica.
Nel giorno in cui ricordiamo la sua nascita, avvenuta 79 anni
fa, celebriamo la poliedricità di Gordon Haskell: il bassista e cantante che
contribuì a definire il suono del primo prog rock con i King Crimson, e il
cantautore folk capace di raggiungere un successo popolare con una ballata
intima e sincera. La sua voce calda e avvolgente, capace di trasmettere sia la
malinconia sofisticata del prog che la semplicità emotiva del folk, rimane un
elemento distintivo di un artista che ha saputo lasciare un segno peculiare nel
panorama musicale britannico, scomparso il 18 ottobre 2020. Il suo
percorso artistico, dalle complesse architetture sonore del prog alle melodie
folk dirette al cuore, rappresenta un viaggio musicale affascinante e
meritevole di essere ricordato.
The Marquee, Londra, 24 novembre 1964 – 27
aprile 1965
I TheWho subirono
una radicale trasformazione durante i sei mesi di concerti al Marquee di
Londra. Appena quindici giorni prima che i manager Kit Lambert e Chris
Stamp ottenessero a fatica un ingaggio a partire dal 24 novembre 1964
per le tranquille serate del martedì, il gruppo suonava ancora al Railway Hotel
di Harrow e Wealdstone con il nome di High Numbers.
Alla data di
scadenza del contratto con il locale (27 aprile 1965), i quattro avevano
un 45 giri nei Top Ten britannici, erano volti noti della stampa e della
televisione e avevano iniziato a registrare il loro primo album, My Generation.
Cosa ancora più importante, i Who erano diventati
portabandiera del neonato fenomeno culturale detto mod. Dotati di grande
impatto sonoro e visivo, rappresentavano tutto ciò che ogni giovane mod
aspirava ad essere: impeccabilmente vestito, anfetaminico (anche nel senso
letterale del termine) e, naturalmente, famoso. E così, mentre grazie a loro le
presenze di pubblico nel locale di Wardour Street si moltiplicavano, i Who
regalavano un'estetica al mondo del pop. La loro musica conteneva tutto il
dramma, gli eccessi e le tensioni della vita urbana; la loro immagine era ben
studiata e subito memorizzabile.
Poco dopo aver concluso l'impegno settimanale al
Marquee, il singolo carico di distorsioni Anyway Anyhow Anywhere uscì accompagnato dalla frase: “Un gruppo pop art con un suono pop art”.
Nulla di ciò accadeva per caso: “Sapevamo che per affermarci in tutto il
paese dovevamo prima conquistare il West End”, ricorderà Kit Lambert. Alla
scarsa affluenza di pubblico nella prima serata venne posto rimedio con una
massiccia campagna pubblicitaria, ben esemplificata dal leggendario e
sofisticato poster in bianco e nero con la scritta “Maximun R&B”. Alcuni fan ricordano che nel locale venivano loro offerti gratuitamente
bicchieri di whisky a patto che esprimessero ad alta voce il loro apprezzamento
nei confronti del gruppo. Ma erano espedienti superflui, i Who erano davvero
straordinari e meritavano la fama che si stavano guadagnando.
Il chitarrista Pete Townshend e il bassista John
Entwistle alzavano immancabilmente gli amplificatori al massimo, Keith
Moon reinventava di sana pianta il ruolo del batterista con la sua
instancabile teatralità, mentre il cantante Roger Daltrey spesso necessitava
di un bicchierino di buon distillato per farsi ascoltare al di sopra della
tempesta elettrica. Ma anche un volume tanto terrificante sembrava non bastare.
“Siamo arrivati al punto di finire la
serata spaccando tutto ed è costoso”, spiegò Pete Townshend ai cronisti
dell'epoca. Per fortuna i manager capivano il valore di un coinvolgimento
emotivo così totalizzante. “E' un
investimento” disse con un'alzata di spalle Lambert. L'investimento
cominciò presto a dare frutti. Alla fine del 1965 My Generation di Townshend sintetizzò al meglio i bellicosi
sentimenti della folla del Marquee, rendendoli universali. (Mark Paytress-"Io c'ero")
A cinque anni dal loro debutto, i palermitani Silver Nightmarestornano
a farsi sentire con Roxy Passion,
un EP che si presenta come un biglietto da visita maturo e ispirato per il loro
universo musicale. Già noti agli ascoltatori per la loro qualità, la band
dimostra ancora una volta una notevole padronanza del metal progressive,
arricchendolo con un'eleganza che non sfocia mai nell'eccesso.
Un aspetto distintivo del metal progressivo, e che traspare
con chiarezza in Roxy Passion, risiede nella sua capacità di intrecciare
una notevole perizia tecnica con una profonda espressività emotiva. L'EP dei
Silver Nightmares dimostra come la complessità strutturale tipica del genere
non sia un mero esercizio di virtuosismo, ma un mezzo per veicolare atmosfere e
narrazioni sonore ricche di sfumature. Ascoltando l'alternarsi dei dialoghi strumentali,
si percepisce come la band utilizzi un linguaggio musicale evoluto per
costruire un'esperienza d'ascolto che va oltre la semplice successione di
brani. Anche le due versioni di "The Blue Light of a Star"
evidenziano questa tendenza del prog metal a esplorare diverse angolazioni di
una stessa idea musicale, offrendo interpretazioni che spaziano dalla potenza
emotiva della versione cantata alla rarefazione quasi psichedelica di quella
strumentale. In questo senso, Roxy Passion si inserisce nel solco del
prog metal non solo per la sua architettura sonora sofisticata, ma per la sua
capacità di utilizzare questa complessità come veicolo per comunicare un
ventaglio di emozioni e atmosfere ben definite, un equilibrio non sempre facile
da raggiungere nel genere.
La formazione attuale, composta da Gabriele Taormina
alle tastiere, Gabriele Esposito al basso, Alessio Maddaloni alla
batteria e Diego La Mantia alle chitarre, presenta un'interazione
strumentale coesa e articolata. Ogni strumento contribuisce in modo equilibrato
a un suono d'insieme curato e incisivo.
L'opener e title track, "Roxy Passion", si
erge subito come un manifesto della loro attuale direzione. L'innesto della
voce del leggendario Göran Edman (ex Yngwie Malmsteen) si rivela una
mossa vincente, conferendo al brano una potenza e un carisma notevoli. Il suo
timbro si amalgama perfettamente con la solidità del sound, dove tastiere e
chitarre si inseguono in un fitto scambio di riff e melodie che omaggiano il
prog metal più classico senza cadere nella sterile imitazione.
"Cats on the run" offre un cambio di
atmosfera con un interludio strumentale raffinato. Le tastiere prendono il
timone della narrazione sonora, disegnando paesaggi limpidi e melodici.
L'approccio compositivo si concentra sulla sostanza, evitando virtuosismi fini
a sé stessi e rivelando un lato più introspettivo e quasi cinematografico della
band.
Il singolo precedentemente pubblicato, "The Blue
Light of a Star", viene riproposto in due vesti inedite che,
come già sottolineato, ne esplorano appieno le diverse sfaccettature emotive. La
versione vocale presenta un'intensità emotiva che può coinvolgere
l'ascoltatore.
La space versionstrumentale, al contrario, si fa più eterea e sognante, aprendo varchi sonori
quasi psichedelici e mostrando un'altra anima del brano, capace di convivere e
arricchire la sua controparte vocale.
A completare un quadro già di per sé convincente, troviamo
una copertina curata da Ester Cardella e un lavoro di produzione
meticoloso ad opera di Simone Campione presso i Mind Studios di Palermo.
"Roxy Passion" si presenta dunque come un EP che si
muove con sicurezza nel panorama del metal progressive contemporaneo,
distinguendosi per una coerenza stilistica, una passione palpabile e una
maturità compositiva che fa ben sperare per un futuro lavoro di più ampio
respiro.
Silver Nightmares - "Roxy
Passion"
Genere: Metal Progressive
Uscita: 31 marzo 2025
Etichetta: Autoproduzione
Formazione:
Gabriele Taormina: Tastiere
Gabriele Esposito: Basso
Alessio Maddaloni: Batteria
Diego La Mantia: Chitarre
Ospite Speciale: Göran Edman (voce)
Tracklist:
Roxy Passion
(feat. Göran Edman)
Cats on the
Run
The Blue
Light of a Star (Vocal Version feat. Göran Edman)
Il 25 aprile segna il compleanno di Derek William
Dick, meglio conosciuto come Fish,
una figura imponente non solo per la sua statura ma anche per il suo contributo
fondamentale al panorama del progressive rock, in particolare durante la sua
iconica militanza nei Marillion. La sua voce potente e teatrale, unita
alla sua abilità lirica evocativa e spesso malinconica, ha forgiato per sempre
l'identità della band negli anni Ottanta, vivendo nel cuore di migliaia di
appassionati.
Nato a Dalkeith, in Scozia, nel 1958, Fish si unì ai
Marillion nel 1981, portando con sé un carisma grezzo e un'intensità emotiva
che si sposarono perfettamente con le ambiziose composizioni musicali della
band. Il suo ingresso segnò una svolta per il gruppo, che fino ad allora aveva
faticato a trovare una voce distintiva. Con Fish al microfono, i Marillion
trovarono un frontman capace di interpretare le intricate trame sonore con
passione e teatralità, trasformando i loro concerti in veri e propri eventi.
Gli album realizzati con Fish sono pietre miliari del
progressive rock degli anni Ottanta. Script for a Jester's Tear (1983)
fu l'esordio folgorante, con testi introspettivi e oscuri che risuonavano con
un pubblico alla ricerca di profondità e significato nella musica. Brani come
"He Knows You Know" e la title track rivelarono un talento lirico
capace di dipingere affreschi complessi con parole evocative.
Il successo continuò con Fugazi(1984), un album più
maturo e politicamente consapevole, e raggiunse l'apice con Misplaced
Childhood(1985), un concept album intriso di nostalgia e riflessioni
sull'infanzia perduta. Questo disco, trainato dalla hit "Kayleigh",
consacrò i Marillion a livello internazionale, portando la loro musica a un
pubblico vastissimo. La voce di Fish, ora potente e malinconica, ora rabbiosa e
disperata, si fece interprete perfetto delle emozioni contrastanti che
animavano i testi.
Clutching at Straws(1987), l'ultimo album in studio con Fish, segnò un periodo
di crescente tensione interna alla band, ma rimane un lavoro di grande
intensità emotiva, con testi che esplorano temi di alienazione e disillusione.
Brani come "Incommunicado" e "Sugar Mice" testimoniano
ancora una volta la capacità di Fish di trasformare esperienze personali in
narrazioni universali.
La separazione da Marillion nel 1988 segnò la fine di un'era
per la band e l'inizio di una nuova fase per Fish come artista solista. La sua
carriera successiva ha visto alti e bassi, ma ha confermato la sua versatilità
e la sua continua ricerca di espressione artistica. Album come Vigil in a
Wilderness of Mirrors(1990) e Sunsets on Empire (1997) hanno
mostrato un'evoluzione stilistica e una maturità lirica, pur mantenendo quel
marchio inconfondibile che lo ha reso una voce unica nel panorama musicale.
Al di là della sua voce e dei suoi testi, Fish ha
rappresentato per molti fan un'icona, un artista che non aveva paura di
esprimere le proprie opinioni e di connettersi con il pubblico a un livello
emotivo profondo. La sua presenza scenica, teatrale e coinvolgente, ha reso i
concerti dei Marillion e i suoi show da solista esperienze indimenticabili.
Oggi, nel giorno del suo compleanno, celebriamo Fish non solo
come l'indimenticabile voce dei Marillion, ma anche come un artista poliedrico
e un'anima sensibile che ha saputo toccare le corde più profonde di chi ha
ascoltato la sua musica. Il suo contributo al progressive rock rimane
fondamentale, e la sua eredità continua a ispirare nuove generazioni di
musicisti e appassionati. Lunga vita al gigante scozzese, all'uomo che ha dato
voce ai sogni e alle malinconie di un'intera generazione.
L'influente icona del rock sperimentale David Thomas è
mancato il 23 aprile, nella sua casa in Inghilterra.
Il mondo della musica perde una figura singolare: David Thomas, l'inconfondibile voce del gruppo
rock sperimentale Pere Ubu di Cleveland e precedentemente dei Rocket
From The Tombs, si è spento all'età di 71 anni. La notizia della sua scomparsa
è stata comunicata attraverso un messaggio sulla pagina social della band.
La dichiarazione ufficiale recita:
"David Thomas, nato il 14 giugno 1953 e scomparso il
23 aprile 2025.
David Lynn Thomas, l'interprete principale dei Pere Ubu, dei
Rocket From The Tombs e di numerosi progetti da solista, ci ha lasciati dopo
aver combattuto a lungo con la malattia.
Mercoledì 23 aprile 2025, è deceduto nella sua amata Brighton
& Hove, circondato dall'affetto di sua moglie e della sua figlia più
giovane. In quel momento, risuonavano le note degli MC5 alla radio. Il suo
desiderio era di fare ritorno alla sua casa, la fattoria in Pennsylvania, dove
insisteva per essere "gettato nel fienile.
David Thomas e la sua band avevano ultimato la registrazione
di un nuovo album. Era consapevole che sarebbe stata la sua ultima opera. Ci
impegniamo a proseguire con il missaggio e la finalizzazione di questo disco
inedito, affinché la sua musica finale possa raggiungere tutti. Inoltre, aveva
lasciato precise indicazioni affinché il lavoro di catalogazione di tutte le
registrazioni dei concerti dal vivo continuasse attraverso la pagina ufficiale
di Bandcamp. La sua autobiografia era quasi completa e ci faremo carico di
terminarla per lui. Il Patreon dei Pere Ubu continuerà a esistere come
comunità, gestita da communex.
Vi lasciamo con le sue stesse parole, che riassumono la sua
essenza meglio di quanto potremmo mai fare noi: 'Mi chiamo David Fucking
Thomas... e sono il cantante della migliore band rock and roll del pianeta.'
(Dal documentario Frigo)
Lunga vita ai Pere Ubu."
Gli innovativi e sperimentali Pere Ubu si formarono a
Cleveland, Ohio, nel 1975, in seguito alla dissoluzione del gruppo garage rock
Rocket From The Tombs, i cui membri, il chitarrista Cheetah Chrome e il
batterista Johnny Blitz, avrebbero poi dato vita ai Dead Boys.
Thomas fu l'unico membro costante dei Pere Ubu, che
descrivevano il loro suono rauco e anticonvenzionale come
"avant-garage". La rivista Rolling Stone definì il loro influente
album di debutto del 1978, "The Modern Dance", come
"aspro e intenzionalmente sgradevole". Scrivendo per Classic Rock nel
2004, il giornalista Malcolm Dome considerò quel disco una "pietra miliare
del genio art-rock, un vero capolavoro", aggiungendo che "senza
questo album, gran parte della musica rock più esoterica registrata nei decenni
successivi sarebbe semplicemente rimasta inascoltata".
Tuttavia, Thomas stesso una volta dichiarò che i Pere Ubu
erano in realtà un gruppo mainstream, affermando: "Si può tracciare una
linea diretta dagli esordi, diciamo 'Heartbreak Hotel', passando per Brian
Wilson e arrivando a Lou Reed. Negli anni '70 c'è stata una maggiore maturità
narrativa, del linguaggio musicale e dello sviluppo della tecnica. Tutto si
evolveva e andava avanti. I Pere Ubu si sono inseriti in quella linea retta".
Un evento imperdibile per gli appassionati di musica
progressiva: il leggendario album del 1974 di Mike Oldfield, "Hergest
Ridge", farà il suo ritorno in una prestigiosa riedizione
per celebrare il suo cinquantesimo anniversario.
Questo secondo lavoro in studio dell'eclettico musicista
britannico sarà disponibile in svariati formati a partire dal 27 giugno,
grazie a UMC.
A seguire il rivoluzionario debutto del 1973 con "Tubular
Bells", "Hergest Ridge" si presenterà in un
esclusivo cofanetto in doppio vinile. Questa edizione conterrà il remix del
2010, curato dallo stesso Oldfield (e proposto per la prima volta su disco in
vinile), affiancato da una inedita rimasterizzazione a mezza velocità realizzata
da Miles Showell presso gli iconici Abbey Road Studios, partendo dal mix
originale del 1974.
Per un'esperienza audio immersiva, sarà inoltre disponibile
una speciale edizione Blu-ray. Questa includerà un inedito mix ATMOS e stereo
firmato da David Kosten, il mix 5.1 e stereo del 2010 di Mike Oldfield, il mix
Quad Boxed del 1976 e, naturalmente, il mix stereo originale del 1974.
Queste nuove pubblicazioni saranno arricchite da un rinnovato
design grafico, approvato personalmente da Oldfield (con l'aggiunta di nuove
fotografie catturate sull'Hergest Ridge nel corso del 2023), e da свежие
citazioni dello stesso artista.
Dopo il fenomenale successo di "Tubular Bells",
Oldfield lasciò la frenesia di Londra per trovare rifugio nella quiete di
Kington, un pittoresco borgo mercantile nell'Herefordshire. Questo luogo è
dominato dalla maestosa e allungata collina di Hergest Ridge, che offre
panorami mozzafiato estendendosi dalla cittadina fino a Gladestry, nel Galles.
Oldfield trascorse quel periodo dedicandosi al volo con i
suoi alianti sopra il Ridge e suonando nel locale pub Penrhos Court. Fu nella
sua dimora dell'epoca, The Beacon, situata sul confine tra Galles e
Inghilterra, che diede vita al suo nuovo album.
Nella sala privata ho avvertito una buona dose di energia, un
misto di attesa e curiosità. Non si trattava della prima di un blockbuster
hollywoodiano, né di un evento mondano. L'occasione era la proiezione di
Quadrophenia, il cult movie del 1979 tratto dall'omonimo concept album degli
Who, una delle tante iniziative nate da un corso che ho avuto il piacere di
tenere all'UniSavona. L'obiettivo primario? La socializzazione, il ritrovarsi e
condividere, con la pellicola a fare da catalizzatore emotivo e spunto di
riflessione.
L'imperativo era duplice: la musica, anima pulsante del film
e del periodo storico che racconta, e il ricordo di un mondo lontano, un'eco di
ribellione giovanile e di trasformazioni sociali radicali. Ad introdurre la
serata, un intervento illuminante di Mauro Selis, un melomane e psicologo
esperto di dipendenze. Con la sua profonda conoscenza del contesto storico e
musicale, ha saputo dipingere un affresco vivido dell'Inghilterra dei primi
anni '60, del fermento culturale, delle tensioni sociali e, non ultimo, dell'uso
diffuso di anfetamine, all'epoca non ancora bandite, che permeava quella scena.
Le sue parole hanno gettato una luce cruda e realistica su un'epoca di eccessi
e di ricerca di identità, preparando il terreno per la visione del film.
Sala gremita… un segnale tangibile del fascino che
Quadrophenia continua a esercitare, a distanza di decenni.
Al termine della proiezione, le reazioni sono state intense e
variegate. Tra i tanti messaggi ricevuti, uno in particolare ha saputo cogliere
l'essenza della serata: "Bella iniziativa quella di ieri
sera. La scelta del film è stata stimolante per tanti aspetti. Non ultimo per
me che l'ho visto la prima volta nel 1985 quando già rappresentava una società
completamente cambiata rispetto all'ambientazione. Rivederlo ora è stato
choccante: una nostalgia che ha il sapore della consapevolezza amara di una
perdita e contemporaneamente la dolcezza, il ricordo di un passato un po' anche
nostro."
Questo commento racchiude la potenza evocativa di
Quadrophenia. Per chi l'ha vissuto "in diretta", il film è un tuffo
malinconico in un'epoca formativa, un ricordo di battaglie generazionali e di
un senso di appartenenza forte, seppur spesso conflittuale. Per chi, come il
nostro partecipante, l'ha scoperto in un'epoca successiva, il film assume una
valenza diversa, quasi archeologica. Diventa la testimonianza di un mondo
scomparso, un'istantanea di un'energia giovanile che, pur nelle sue contraddizioni
e nei suoi eccessi, appare oggi intrisa di un'autenticità forse perduta.
La "nostalgia che ha il sapore della consapevolezza
amara di una perdita" è palpabile. La perdita di un'illusione, forse, di
una ribellione più genuina, di un senso di comunità viscerale. Ma c'è anche la
"dolcezza del ricordo di un passato un po' anche nostro", perché le
inquietudini, la ricerca di un'identità, il desiderio di cambiamento sono temi
universali che trascendono le epoche.
L'iniziativa, al di là della semplice proiezione
cinematografica, ha rappresentato un momento di connessione, di scambio
intergenerazionale, di riflessione sul passato e sul presente. La musica degli
Who, potente e catartica, ha fatto da colonna sonora a questi pensieri,
amplificando le emozioni e creando un legame invisibile tra i partecipanti.
In fondo, l'arte, in tutte le sue forme, ha questa
straordinaria capacità: di farci viaggiare nel tempo, di farci sentire parte di
storie lontane, di stimolare il dialogo e, soprattutto, di farci sentire meno
soli. E se una sala piena e un commento così intenso sono il risultato di
questo piccolo esperimento, non posso che ritenermi soddisfatto. La
socializzazione attraverso la cultura, il ricordo e la riflessione: un trinomio
che si è rivelato ancora una volta vincente.
Quadrophenia 22 aprile 2025
L’intervento di Mauro Selis
Riuscite a immaginare nell’era social, digitale, liquida,
scegliete voi, una rissa con duecento persone che si inseguono per fare a pugni
per questioni prettamente estetico-musicali? Altamente improbabile, in effetti,
molto più semplice pensare a qualche leone da tastiera mentre fomenta una
discussione in qualche chat in uno dei tanti social presenti in rete!
Nei favolosi o formidabili, scegliete voi, anni Sessanta e
Settanta, invece, succedeva eccome.
Come vedremo anche nel film verso la metà degli anni Sessanta
in posti come Brighton o Clacton, il weekend sul lungomare di queste località
era diventato sinonimo di battaglia tra le due opposte sottoculture giovanili
dominanti, mods e rockers, ossessionate da una rivalità prima di tutto
estetico-musicale, poi attitudinale e, infine, sociale: due opposti modi di
rapportarsi col mondo.
La calata dei “barbari” dalla vicina Londra avveniva con i
Rockers a cavallo di moto come le Triumph e le Norton, i Mods con le classiche
vespe o le lambrette spesso arricchite da un numero spropositato di specchietti
e fanali.
Se i rockers incarnavano il boom economico del dopoguerra e
l’ideale dell’uomo virile e conservatore, i mods erano i moderni, pura
espressione del proletariato britannico e accettavano l’apporto della gioventù
di colore soprattutto nel campo musicale.
I rockers, innamorati di un immaginario d’oltreoceano, erano
figli del rock’n’roll americano degli anni 50, tutto brillantina, giacche di
pelle, scarpe da motociclista e jeans con risvolto. I diversamente giovani come
me ricorderanno il telefilm “Happy Days” in cui uno dei protagonisti era il
perfetto teddy boy Arthur Fonzarelli più celebre come “Fonzie”. Il loro era uno
spirito reazionario e refrattario ai cambiamenti per cui era piuttosto normale
che i loro nemici naturali fossero i mods, ovvero i modernisti, la generazione
successiva che rifiutava lo stile di vita dei propri padri, preferendone uno al
passo coi tempi – moderno, appunto – e anfetaminico, in costante equilibrio tra
rabbia ed eleganza, il cui gusto musicale era rivolto al nuovo jazz, al soul,
allo ska e soprattutto a band come gli Who, Kinks, Small Faces, Yarbirds.
Dicevo prima anfetaminico ebbene mente i Rockers di fatto non
erano inclini all’uso di stupefacenti i Mods al contrario erano consumatori di
droghe che all’epoca erano legali in particolare le anfetamine che sono
sostanze di origine sintetica ad azione stimolante sul sistema nervoso
centrale. La reazione fisica consiste nel rilascio di neurotrasmettitori come
la dopamina, serotonina e noradrenalina che agiscono sulla regolazione del
sonno, dell’umore e dell’appetito. Si presentano solitamente sotto forma di
compresse o capsule di varie dimensioni e colore, polvere generalmente bianca,
gel e cristalli che possono essere assunti sniffandoli, fumandoli o dopo una
preparazione specifica iniettandoli (più raro).
L’anfetamina fu sintetizzata per la prima volta nel 1887 ed
essendo uno psicostimolante fu largamente usata soprattutto nelle guerre
mondiali per aumentare l’efficienza militare dei soldati in combattimento e la
produttività dei lavoratori nell’industria bellica, successivamente fu usata
clinicamente per contrastare depressione, obesità e astenia. In Italia fino
all’inizio degli anni 70 era legale, qualcuno di voi ricorderà la simpamina che
era il nome commerciale di un tipo di anfetamina.