mercoledì 30 aprile 2025

Novità discografica in arrivo per Jakko M. Jakszyk (King Crimson): il suo nuovo lavoro solista vedrà la luce a giugno

 


Grande attesa per il prossimo disco da solista del poliedrico artista dei King Crimson, Jakko Jakszyk, chitarrista e voce inconfondibile della storica band. L'album, intitolato "Son Of Glen", si presenta come un'espansione musicale della sua celebrata autobiografia.

 

Il talentuoso musicista dei King Crimson, Jakko M. Jakszyk, rilascerà il suo nono progetto solistico, "Son Of Glen", tramite InsideOut Music il prossimo 27 giugno. L'annuncio è stato accompagnato dalla diffusione del suo ultimo singolo, la traccia omonima che supera i dieci minuti di durata.

 

Questo nuovo lavoro discografico, che segue "Secrets & Lies" del 2020, funge da ideale colonna sonora alla sua acclamata autobiografia, "Who's The Boy With The Lovely Hair?", edita lo scorso anno da Kingmaker Publishing. Il titolo del libro fa riferimento al vero padre di Jakszyk.

"È un racconto fantastico e romantico, ispirato alle rivelazioni sul mio vero padre dopo anni di ricerche vane", racconta l'artista. "Glen Tripp era un aviatore americano di stanza nel Regno Unito che si innamorò di una cantante irlandese dai capelli scuri. E io, molti anni dopo, ho ripercorso le sue orme, innamorandomi di un'altra persona. Chissà se mi ha osservato e guidato da lassù?"

In "Son Of Glen" troviamo la preziosa partecipazione di batteristi del calibro di Gavin Harrison (King Crimson / Porcupine Tree) e Ian Mosley (Marillion), della violoncellista Caroline Lavelle, della vocalist Louise Patricia Crane e del figlio di Jakko, Django, al basso.

Il nuovo album sarà disponibile in tiratura limitata in formato CD digipak, vinile gatefold e sulle piattaforme digitali.

 

Jakko M. Jakszyk: Son Of Glen

1 - Ode To Ballina

2 - Somewhere Between Then And Now

3 - How Did I Let You Get So Old?

4 - This Kiss Never Lies

5 - Ode To Ballina (Reprise)

6 - I Told You So

7 - (Get A) Proper Job

8 - Son Of Glen 10:18

 



martedì 29 aprile 2025

Bioscope: Steve Rothery (Marillion) e Thorsten Quaeschning (Tangerine Dream) annunciano i dettagli del loro album intitolato "Gentō"

 


Il chitarrista dei Marillion, Steve Rothery, ha finalmente svelato le informazioni sul suo nuovo progetto musicale, denominato Bioscope, nato dalla sua collaborazione artistica con Thorsten Quaeschning, figura di spicco dei Tangerine Dream.

Il frutto della loro sinergia creativa, un album intitolato "Gentō", vedrà la luce tra la fine di luglio e l'inizio di agosto, pubblicato tramite earMusic. Tuttavia, la versione su CD è già disponibile per l'acquisto anticipato sull'etichetta Racket dei Marillion, con spedizioni previste per l'inizio di maggio. I primi cinquecento acquirenti riceveranno una copia autografata dal celebre chitarrista.

"Sono appena rientrato dagli Abbey Road Studios, dove hanno completato il processo di incisione in half-speed del vinile per il mio progetto Bioscope con Thorsten Quaeschning dei Tangerine Dream," ha comunicato Rothery ai fan dei Marillion attraverso la newsletter periodica della band. "Questa iniziativa ha preso forma all'inizio del 2020 e, dopo diverse trasferte a Berlino nel corso degli anni e alcune sessioni nel mio studio personale, il materiale era finalmente pronto per il mixaggio e la masterizzazione! Il percorso è stato un po' più lungo del previsto, ma il risultato sonoro è davvero eccezionale!"

L'album vanta anche la partecipazione di Alex Reeves, il talentuoso batterista degli Elbow, la cui performance è stata definita da Rothery come "fantastica".

Rothery è stato recentemente impegnato con i Marillion nelle loro acclamate esibizioni dal vivo durante i "weekend speciali" in Olanda, Canada e Francia. Seguiranno ulteriori concerti in Italia, Regno Unito, Germania e Norvegia.

Parallelamente, i Marillion sono al lavoro su un nuovo album in studio, la cui pubblicazione, tuttavia, non è prevista prima del 2026.


Bioscope: Gentō

1. Vanishing Point

2. Gentō

3. Kinetoscope

4. Bioscope

5. Kaleidoscope




Dietro le quinte del glamour: il genio musicale di Mick Ronson, mancato il 29 aprile del 1993

 

Il 29 aprile segna un giorno di malinconico ricordo per gli amanti del rock'n'roll: l'anniversario della scomparsa di Michael "Mick" Ronson. Chitarrista dalla presenza scenica magnetica e dal tocco inconfondibile, Ronson non fu semplicemente un sideman, ma l'architetto sonoro che diede forma all'era glam di David Bowie e un musicista di talento cristallino, capace di illuminare ogni progetto in cui si immerse.

Nato nello Yorkshire nel 1946, la passione di Ronson per la musica sbocciò presto. Dopo aver militato in diverse band locali, il suo destino si incrociò con quello di David Bowie nei primi anni '70. Questo incontro fu una scintilla creativa che avrebbe infiammato la scena musicale per anni.

L'apporto di Mick Ronson al suono di Bowie fu semplicemente trasformativo. Dalle riff taglienti e iconici di "Ziggy Stardust" e "Suffragette City" alle tessiture orchestrali di "Life on Mars?" e "Lady Stardust", la sua chitarra non era solo uno strumento, ma una voce narrante che dialogava con quella camaleontica di Bowie. La sua presenza sul palco, con quella chioma bionda platino e l'atteggiamento da eroe glam-rock, incarnava perfettamente l'immaginario androgino e alieno che Bowie stava plasmando.

La formazione dei The Spiders from Mars, con Ronson alla chitarra, Trevor Bolder al basso e Woody Woodmansey alla batteria, divenne una delle band di supporto più iconiche della storia del rock. Insieme, crearono album seminali come The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, Hunky Dory e Aladdin Sane, dischi che non solo definirono un'epoca ma continuano a influenzare generazioni di musicisti.

Ma il talento di Ronson andava ben oltre il ruolo di chitarrista di Bowie. La sua abilità come arrangiatore fu cruciale nel dare profondità e ricchezza alle composizioni. Le sue orchestrazioni, spesso caratterizzate da archi lussureggianti e arrangiamenti sofisticati, elevarono brani rock a vere e proprie sinfonie pop.

Dopo la fine della sua collaborazione con Bowie nella metà degli anni '70, Ronson intraprese una carriera solista, pubblicando album come Slaughteron 10th Avenue e Play Don't Worry. Sebbene questi lavori non raggiunsero lo stesso successo commerciale dei suoi anni con Bowie, rivelarono un artista con una sua visione musicale distintiva, capace di fondere il rock grintoso con elementi melodici raffinati.

La sua versatilità lo portò a collaborare con una miriade di altri artisti di spicco, tra cui Lou Reed (nell'influente album Transformer), Mott the Hoople, Ian Hunter e Bob Dylan (nella leggendaria “Rolling Thunder Revue”). In ogni progetto, il tocco di Ronson era inconfondibile: un suono di chitarra potente ma melodico, un senso innato per l'arrangiamento e una dedizione totale alla musica.

Negli anni '90, nonostante la malattia lo stesse minando, Ronson continuò a suonare e produrre, dimostrando una tenacia e una passione incrollabili. La sua prematura scomparsa nel 1993 lasciò un vuoto incolmabile nel mondo della musica.

Oggi, nel giorno in cui lo ricordiamo, celebriamo Mick Ronson non solo per i suoi riff iconici e la sua presenza scenica indimenticabile, ma anche per la sua profonda musicalità, la sua capacità di elevare ogni canzone che toccava e la sua influenza duratura su generazioni di chitarristi. Un vero eroe della chitarra che ci manca profondamente.







lunedì 28 aprile 2025

Commento al libro "Jackson C. Frank - la luce chiara e dura del genio", di Jim Abbott"

 


Una tragedia in tanti atti. Le tragedie dell’incendio, della malattia mentale, della perdita dei figli (letteralmente e in senso figurato), la tragedia di essere senzatetto e quella di morire solo, circondato da molti. Così tante tragedie e una sola vita per contenerle tutte.

Jackson C. Frank. Possa la sua storia essere raccontata e le sue canzoni cantate.

 

Il modo in cui mi sono avvicinato a Jackson C. Frank e al suo curatore italiano è descritto, dettagliatamente, nell’articolo a cui si arriva cliccando sul seguente link:

https://athosenrile.blogspot.com/2025/01/la-tragica-storia-di-jackson-c-frank.html

 

Successivamente, mi sono dedicato alla lettura di "Jackson C. Frank - la luce chiara e dura del genio" di Jim Abbott, un prezioso omaggio di Gian Carlo Pandolfi, vero motore della sua rivisitazione italiana. Uscito nel maggio scorso, il libro ha avuto un successo tale da esaurirsi in breve tempo, anche se attualmente dovrebbe essere reperibile.

Immagino la difficoltà nel cogliere le sfumature dello scritto di Abbott e, pur riconoscendo alcune piccole imperfezioni nella trasposizione italiana, è doveroso sottolineare come queste rappresentino una minima parte rispetto all'imponente e prezioso lavoro di rielaborazione compiuto. La testimonianza è importante, ed è possibile sperare che la sua storia arrivi esaustivamente sul grande schermo (nel 2023 è uscito un documentario sulla vita di Jackson C. Frank intitolato "Blues Run the Game: The Strange Tale of Jackson C. Frank"), perché, come dice Abbott, “Una eredità non è molto se nessuno sa che sei esistito!”.

Il libro di Jim Abbott, "Jackson C. Frank - la luce chiara e dura del genio", si presenta come un'indagine meticolosa e appassionata sulla vita enigmatica e il talento fragile di Jackson C. Frank, figura di culto nel panorama folk degli anni '60. Abbott non si limita a una biografia convenzionale, ma illumina le intricate pieghe di un'esistenza segnata da un'immensa promessa artistica e da una profonda e persistente oscurità personale.

Fin dalle prime pagine, l’autore traccia un ritratto vivido dell'epoca in cui Frank emerge, la fervente scena folk britannica degli anni '60, un contesto fertile per talenti unici e spesso tormentati. La narrazione cattura l'essenza di un'epoca in cui la voce piena e ricca di Frank, il suo finger-picking esemplare e la sua abilità nello scrivere melodie memorabili lo distinguevano sulla scena londinese. Il libro esplora come, nonostante l'ammirazione di colleghi come John Renbourn, che lo considerava superiore a Paul Simon, Frank rimase ai margini del successo mainstream.

Un elemento centrale è l'esplorazione del tragico evento che segnò indelebilmente la vita di Frank: l'incendio scolastico che sfigurò, privandolo di molte persone care. Abbott, con sensibilità e rispetto, analizza come questo trauma abbia influenzato la sua psiche, la sua arte e il suo rapporto con il mondo. Il libro non cede al sensazionalismo, ma cerca di comprendere la profonda cicatrice emotiva che ha accompagnato Frank per tutta la sua esistenza, manifestandosi nella sua musica introspettiva e nel suo carattere schivo. L'incidente, paradossalmente, lo portò a imbracciare la chitarra, uno strumento che divenne sia rifugio che mezzo espressivo.

L'analisi dell'unico album omonimo di Jackson C. Frank, registrato a Londra con la produzione di Paul Simon, è un pilastro del libro. Abbott non si limita a descrivere le sonorità rarefatte e le melodie inquietanti, ma si addentra nei testi enigmatici, cercando di decifrare i temi ricorrenti di solitudine, perdita, amore e disillusione. Brani come "Blues Run the Game", poi diventato uno standard reinterpretato da numerosi artisti, rivelano la profondità emotiva e la capacità compositiva di Frank.

Il libro esplora la genesi delle canzoni, le influenze musicali di Frank e l'impatto che questo album, pur di scarso successo commerciale all'epoca, ha avuto su generazioni successive di musicisti, spesso presente in colonne sonore di film, come "Brown Bunny" e "Electroma".

Abbott affronta la progressiva discesa di Frank nell'oscurità, segnata da problemi di salute mentale, instabilità emotiva e un'esistenza sempre più marginale. Il libro cerca di fare luce sulle ragioni di questo declino, senza offrire facili risposte o giudizi, ma piuttosto dipingendo un quadro complesso delle sfide che Frank ha dovuto affrontare. La gestione avventata dell'assegno assicurativo, le difficoltà relazionali (il matrimonio con Elaine Sedgwick, la perdita del figlio), la convinzione che Paul Simon lo avesse danneggiato, la vita da senzatetto e l'episodio in cui perse un occhio sono tutti elementi che contribuiscono a un ritratto tragico.

L'omaggio di Gian Carlo Pandolfi, che ha tradotto il libro in italiano, aggiunge un ulteriore livello di profondità, offrendo una chiave di lettura culturale specifica.

Il volume si arricchisce ulteriormente di un toccante inserto fotografico in bianco e nero, che ripercorre visivamente momenti topici e significativi della vita di Jackson C. Frank, offrendo uno sguardo intimo sul suo percorso umano e artistico.

Lo stile di scrittura di Jim Abbott, come si può intuire dal titolo ("la luce chiara e dura del genio"), è caratterizzato da una prosa incisiva e poetica, capace di rendere giustizia alla complessità del suo soggetto. L'autore intreccia aneddoti (come l'incontro con Elvis a Graceland), testimonianze (le parole di John Renbourn), analisi musicali e riflessioni personali per offrire un ritratto a tutto tondo di Frank, evitando la semplice cronologia degli eventi. Il libro include dettagli commoventi, come la lettera scritta con una macchina da scrivere rotta a Renbourn e il registratore a cassette ritrovato tra i suoi averi.

In conclusione, "Jackson C. Frank - la luce chiara e dura del genio" di Jim Abbott si conferma come un'opera fondamentale per chiunque sia interessato alla storia del folk, alle vite tormentate dei geni musicali e alle oscure correnti che possono celarsi dietro una bellezza artistica fragile e intensa. Il libro non solo ripercorre la vita di Jackson C. Frank, ma cerca di comprendere la sua eredità artistica e umana, offrendo al lettore una prospettiva illuminante su una figura tanto talentuosa quanto sfuggente. La "luce chiara e dura" del titolo suggerisce un tentativo di squarciare il velo di mistero che avvolge Frank, offrendo uno sguardo penetrante sulla sua genialità e sulle sue sofferenze. Il libro celebra il suo unico album come un'opera di inestimabile valore, un testamento di un talento che, nonostante le avversità, continua a risuonare.


UN PO’ DI ASCOLTO

 




Eddy Jobson: l'architetto sonoro che ha scolpito il Prog compie gli anni

 


Il 28 aprile celebriamo il compleanno di un musicista visionario e polistrumentista d'eccezione: Edwin "Eddy" Jobson. La sua impronta nel panorama del progressive rock e della fusion è tanto profonda quanto sofisticata, unendo virtuosismo tecnico, audacia sperimentale e una rara sensibilità melodica. Jobson non è stato semplicemente un esecutore, ma un architetto del suono, capace di plasmare paesaggi sonori complessi e affascinanti con i suoi violini elettrici, le sue tastiere all'avanguardia e la sua mente musicale acuta.

Nato a Middlesbrough, in Inghilterra, nel 1955, il talento precoce di Jobson si manifestò fin dalla giovane età. La sua formazione classica al violino gli fornì una base tecnica impeccabile, ma fu la sua apertura mentale e la sua curiosità verso le nuove sonorità elettroniche a spingerlo verso territori musicali inesplorati.

La sua carriera decollò rapidamente negli anni '70, un decennio d'oro per il progressive rock. Il suo ingresso nei Curved Air nel 1972 portò una ventata di freschezza e sperimentazione al suono della band, come testimoniato dall'album Air Cut. Tuttavia, fu con i Roxy Music che Jobson raggiunse una maggiore visibilità. Sostituire Brian Eno nel 1973 non era un compito facile, ma Jobson non solo colmò il vuoto, ma aggiunse una dimensione strumentale inedita al sound elegante e art-rock della band, contribuendo a capolavori come Stranded, Country Life e Siren. Il suo uso distintivo del sintetizzatore e del violino elettrico divenne un marchio di fabbrica del periodo più acclamato dei Roxy Music.

Dopo quell’esperienza, Jobson continuò a esplorare nuove frontiere musicali. La sua collaborazione con Frank Zappa nel 1975 fu un banco di prova per la sua incredibile versatilità e la sua capacità di improvvisazione. Suonare al fianco di un genio musicale come Zappa richiese una padronanza tecnica e una prontezza intellettuale fuori dal comune, qualità che Jobson dimostrò ampiamente.

Gli anni successivi lo videro protagonista in progetti seminali come gli UK, una superband progressive che vedeva la partecipazione di John Wetton, Bill Bruford e Allan Holdsworth. Gli album UK e Danger Money sono considerati pietre miliari del prog rock degli anni '70, caratterizzati da composizioni intricate, virtuosismo strumentale e l'inconfondibile tocco di Jobson alle tastiere e al violino.

Un altro capitolo significativo nella sua illustre carriera fu la sua partecipazione ai Jethro Tull per l'album A del 1980. In quel periodo, Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, dichiarò: "Eddy portò con sé una brillantezza elettronica e una sofisticazione armonica che diedero al disco un sapore decisamente moderno per i Jethro Tull. La sua capacità di creare trame sonore complesse con i sintetizzatori fu fondamentale per definire il suono di quell'album."

Questa breve ma intensa collaborazione evidenziò ancora una volta la capacità di Jobson di integrarsi perfettamente in contesti musicali diversi, arricchendoli con il suo talento unico.

La sua carriera solista, seppur meno prolifica, ha regalato gemme come Zinc: The Green Album, un lavoro interamente strumentale che mette in luce la sua abilità compositiva e la sua maestria nell'integrare elementi classici ed elettronici.

Negli anni '80, Jobson continuò a sperimentare con le nuove tecnologie musicali, dimostrando una costante evoluzione e un rifiuto di rimanere confinato in un unico genere. La sua influenza si estende ben oltre i confini del progressive rock, toccando la fusion e la musica elettronica.

Nel 2019 viene inserito nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Roxy Music.

Oggi, nel giorno del suo compleanno, ricordiamo Eddy Jobson non solo come un virtuoso strumentista, ma come un vero innovatore, un artista che ha saputo fondere tecnica e creatività in un linguaggio musicale unico e inconfondibile. La sua capacità di spaziare dal lirismo del violino alle sonorità futuristiche dei sintetizzatori lo ha reso una figura leggendaria per chiunque apprezzi la musica che sfida i confini e celebra l'ingegno artistico. Lunga vita a questo straordinario architetto del suono!






domenica 27 aprile 2025

Gordon Haskell: un ricordo nel giorno della sua nascita, tra prog e intima ballata

 


Il 27 aprile si ricorda la nascita di Gordon Hionidies, meglio noto come Gordon Haskell, avvenuta nel 1946 a Verwood. La sua carriera musicale, pur toccando vertici di notorietà grazie alla sua militanza nei seminali King Crimson all'inizio degli anni Settanta, ha saputo evolvere verso sonorità più intime e folk, culminando in un successo popolare inaspettato.

La sua fama iniziale è indissolubilmente legata al suo periodo con la band di Robert Fripp. Haskell contribuì in maniera significativa al suono dei King Crimson, prestando la sua elegante voce come seconda voce solista nel delicato brano "Cadence and Cascade" presente nell'album In the Wake of Poseidon. Successivamente, in Lizard, assunse il doppio ruolo di bassista e cantante solista, lasciando un'impronta distintiva sulle complesse trame sonore dell'album. 

Già prima di questa cruciale esperienza, Haskell aveva collaborato con Fripp in una primordiale versione della League of Gentlemen, un progetto che tuttavia abbandonò a causa di divergenze sulla direzione musicale intrapresa.

Dopo la parentesi prog-rock con i King Crimson, Haskell intraprese una carriera solista che lo vide progressivamente avvicinarsi a sonorità più folk e cantautorali, distanziandosi dalle sperimentazioni complesse dei suoi esordi. Questa nuova fase artistica lo portò a pubblicare album apprezzati da una nicchia di ascoltatori, fino all'inatteso successo del singolo "How Wonderful You Are", tratto dall'album Look Out. Questa ballata folk toccante e sincera scalò le classifiche britanniche, diventando la canzone più richiesta nella storia di BBC Radio 2 e vendendo ben 400.000 copie, testimoniando la sua capacità di connettersi con un vasto pubblico attraverso la semplicità e l'autenticità della sua musica.

 

Nel giorno in cui ricordiamo la sua nascita, avvenuta 79 anni fa, celebriamo la poliedricità di Gordon Haskell: il bassista e cantante che contribuì a definire il suono del primo prog rock con i King Crimson, e il cantautore folk capace di raggiungere un successo popolare con una ballata intima e sincera. La sua voce calda e avvolgente, capace di trasmettere sia la malinconia sofisticata del prog che la semplicità emotiva del folk, rimane un elemento distintivo di un artista che ha saputo lasciare un segno peculiare nel panorama musicale britannico, scomparso il 18 ottobre 2020. Il suo percorso artistico, dalle complesse architetture sonore del prog alle melodie folk dirette al cuore, rappresenta un viaggio musicale affascinante e meritevole di essere ricordato.




THE WHO: The Marquee, Londra, 24 novembre 1964 – 27 aprile 1965


THE WHO
The Marquee, Londra, 24 novembre 1964 – 27 aprile 1965

I The Who subirono una radicale trasformazione durante i sei mesi di concerti al Marquee di Londra. Appena quindici giorni prima che i manager Kit Lambert e Chris Stamp ottenessero a fatica un ingaggio a partire dal 24 novembre 1964 per le tranquille serate del martedì, il gruppo suonava ancora al Railway Hotel di Harrow e Wealdstone con il nome di High Numbers


Alla data di scadenza del contratto con il locale (27 aprile 1965), i quattro avevano un 45 giri nei Top Ten britannici, erano volti noti della stampa e della televisione e avevano iniziato a registrare il loro primo album, My Generation.
Cosa ancora più importante, i Who erano diventati portabandiera del neonato fenomeno culturale detto mod. Dotati di grande impatto sonoro e visivo, rappresentavano tutto ciò che ogni giovane mod aspirava ad essere: impeccabilmente vestito, anfetaminico (anche nel senso letterale del termine) e, naturalmente, famoso. E così, mentre grazie a loro le presenze di pubblico nel locale di Wardour Street si moltiplicavano, i Who regalavano un'estetica al mondo del pop. La loro musica conteneva tutto il dramma, gli eccessi e le tensioni della vita urbana; la loro immagine era ben studiata e subito memorizzabile.
Poco dopo aver concluso l'impegno settimanale al Marquee, il singolo carico di distorsioni Anyway Anyhow Anywhere uscì accompagnato dalla frase: “Un gruppo pop art con un suono pop art”.
Nulla di ciò accadeva per caso: “Sapevamo che per affermarci in tutto il paese dovevamo prima conquistare il West End”, ricorderà Kit Lambert. Alla scarsa affluenza di pubblico nella prima serata venne posto rimedio con una massiccia campagna pubblicitaria, ben esemplificata dal leggendario e sofisticato poster in bianco e nero con la scritta “Maximun R&B”. 
Alcuni fan ricordano che nel locale venivano loro offerti gratuitamente bicchieri di whisky a patto che esprimessero ad alta voce il loro apprezzamento nei confronti del gruppo. Ma erano espedienti superflui, i Who erano davvero straordinari e meritavano la fama che si stavano guadagnando.
Il chitarrista Pete Townshend e il bassista John Entwistle alzavano immancabilmente gli amplificatori al massimo, Keith Moon reinventava di sana pianta il ruolo del batterista con la sua instancabile teatralità, mentre il cantante Roger Daltrey spesso necessitava di un bicchierino di buon distillato per farsi ascoltare al di sopra della tempesta elettrica. Ma anche un volume tanto terrificante sembrava non bastare. “Siamo arrivati al punto di finire la serata spaccando tutto ed è costoso”, spiegò Pete Townshend ai cronisti dell'epoca. Per fortuna i manager capivano il valore di un coinvolgimento emotivo così totalizzante. “E' un investimento” disse con un'alzata di spalle Lambert. L'investimento cominciò presto a dare frutti. Alla fine del 1965 My Generation di Townshend sintetizzò al meglio i bellicosi sentimenti della folla del Marquee, rendendoli universali.
(Mark Paytress-"Io c'ero")



sabato 26 aprile 2025

Silver Nightmares: "Roxy Passion" - Un assaggio di prog metal ricco di sfumature

Copertina curata da Ester Cardella


 Silver Nightmares – “Roxy Passion”

(EP, 2025)


A cinque anni dal loro debutto, i palermitani Silver Nightmares tornano a farsi sentire con Roxy Passion, un EP che si presenta come un biglietto da visita maturo e ispirato per il loro universo musicale. Già noti agli ascoltatori per la loro qualità, la band dimostra ancora una volta una notevole padronanza del metal progressive, arricchendolo con un'eleganza che non sfocia mai nell'eccesso.

Un aspetto distintivo del metal progressivo, e che traspare con chiarezza in Roxy Passion, risiede nella sua capacità di intrecciare una notevole perizia tecnica con una profonda espressività emotiva. L'EP dei Silver Nightmares dimostra come la complessità strutturale tipica del genere non sia un mero esercizio di virtuosismo, ma un mezzo per veicolare atmosfere e narrazioni sonore ricche di sfumature. Ascoltando l'alternarsi dei dialoghi strumentali, si percepisce come la band utilizzi un linguaggio musicale evoluto per costruire un'esperienza d'ascolto che va oltre la semplice successione di brani. Anche le due versioni di "The Blue Light of a Star" evidenziano questa tendenza del prog metal a esplorare diverse angolazioni di una stessa idea musicale, offrendo interpretazioni che spaziano dalla potenza emotiva della versione cantata alla rarefazione quasi psichedelica di quella strumentale. In questo senso, Roxy Passion si inserisce nel solco del prog metal non solo per la sua architettura sonora sofisticata, ma per la sua capacità di utilizzare questa complessità come veicolo per comunicare un ventaglio di emozioni e atmosfere ben definite, un equilibrio non sempre facile da raggiungere nel genere.

La formazione attuale, composta da Gabriele Taormina alle tastiere, Gabriele Esposito al basso, Alessio Maddaloni alla batteria e Diego La Mantia alle chitarre, presenta un'interazione strumentale coesa e articolata. Ogni strumento contribuisce in modo equilibrato a un suono d'insieme curato e incisivo.

L'opener e title track, "Roxy Passion", si erge subito come un manifesto della loro attuale direzione. L'innesto della voce del leggendario Göran Edman (ex Yngwie Malmsteen) si rivela una mossa vincente, conferendo al brano una potenza e un carisma notevoli. Il suo timbro si amalgama perfettamente con la solidità del sound, dove tastiere e chitarre si inseguono in un fitto scambio di riff e melodie che omaggiano il prog metal più classico senza cadere nella sterile imitazione.

"Cats on the run" offre un cambio di atmosfera con un interludio strumentale raffinato. Le tastiere prendono il timone della narrazione sonora, disegnando paesaggi limpidi e melodici. L'approccio compositivo si concentra sulla sostanza, evitando virtuosismi fini a sé stessi e rivelando un lato più introspettivo e quasi cinematografico della band.

Il singolo precedentemente pubblicato, "The Blue Light of a Star", viene riproposto in due vesti inedite che, come già sottolineato, ne esplorano appieno le diverse sfaccettature emotive. La versione vocale presenta un'intensità emotiva che può coinvolgere l'ascoltatore.

 La space version strumentale, al contrario, si fa più eterea e sognante, aprendo varchi sonori quasi psichedelici e mostrando un'altra anima del brano, capace di convivere e arricchire la sua controparte vocale.

A completare un quadro già di per sé convincente, troviamo una copertina curata da Ester Cardella e un lavoro di produzione meticoloso ad opera di Simone Campione presso i Mind Studios di Palermo.

"Roxy Passion" si presenta dunque come un EP che si muove con sicurezza nel panorama del metal progressive contemporaneo, distinguendosi per una coerenza stilistica, una passione palpabile e una maturità compositiva che fa ben sperare per un futuro lavoro di più ampio respiro. 


Silver Nightmares - "Roxy Passion" 

Genere: Metal Progressive

Uscita: 31 marzo 2025

Etichetta: Autoproduzione


Formazione:

Gabriele Taormina: Tastiere

Gabriele Esposito: Basso

Alessio Maddaloni: Batteria

Diego La Mantia: Chitarre

Ospite Speciale: Göran Edman (voce)


Tracklist:

Roxy Passion (feat. Göran Edman)

Cats on the Run

The Blue Light of a Star (Vocal Version feat. Göran Edman)

The Blue Light of a Star (Space Version)




La voce del gigante: Fish e gli anni d'oro dei Marillion

 

Il 25 aprile segna il compleanno di Derek William Dick, meglio conosciuto come Fish, una figura imponente non solo per la sua statura ma anche per il suo contributo fondamentale al panorama del progressive rock, in particolare durante la sua iconica militanza nei Marillion. La sua voce potente e teatrale, unita alla sua abilità lirica evocativa e spesso malinconica, ha forgiato per sempre l'identità della band negli anni Ottanta, vivendo nel cuore di migliaia di appassionati.

Nato a Dalkeith, in Scozia, nel 1958, Fish si unì ai Marillion nel 1981, portando con sé un carisma grezzo e un'intensità emotiva che si sposarono perfettamente con le ambiziose composizioni musicali della band. Il suo ingresso segnò una svolta per il gruppo, che fino ad allora aveva faticato a trovare una voce distintiva. Con Fish al microfono, i Marillion trovarono un frontman capace di interpretare le intricate trame sonore con passione e teatralità, trasformando i loro concerti in veri e propri eventi.

Gli album realizzati con Fish sono pietre miliari del progressive rock degli anni Ottanta. Script for a Jester's Tear (1983) fu l'esordio folgorante, con testi introspettivi e oscuri che risuonavano con un pubblico alla ricerca di profondità e significato nella musica. Brani come "He Knows You Know" e la title track rivelarono un talento lirico capace di dipingere affreschi complessi con parole evocative.

Il successo continuò con Fugazi (1984), un album più maturo e politicamente consapevole, e raggiunse l'apice con Misplaced Childhood (1985), un concept album intriso di nostalgia e riflessioni sull'infanzia perduta. Questo disco, trainato dalla hit "Kayleigh", consacrò i Marillion a livello internazionale, portando la loro musica a un pubblico vastissimo. La voce di Fish, ora potente e malinconica, ora rabbiosa e disperata, si fece interprete perfetto delle emozioni contrastanti che animavano i testi.

Clutching at Straws (1987), l'ultimo album in studio con Fish, segnò un periodo di crescente tensione interna alla band, ma rimane un lavoro di grande intensità emotiva, con testi che esplorano temi di alienazione e disillusione. Brani come "Incommunicado" e "Sugar Mice" testimoniano ancora una volta la capacità di Fish di trasformare esperienze personali in narrazioni universali.

La separazione da Marillion nel 1988 segnò la fine di un'era per la band e l'inizio di una nuova fase per Fish come artista solista. La sua carriera successiva ha visto alti e bassi, ma ha confermato la sua versatilità e la sua continua ricerca di espressione artistica. Album come Vigil in a Wilderness of Mirrors (1990) e Sunsets on Empire (1997) hanno mostrato un'evoluzione stilistica e una maturità lirica, pur mantenendo quel marchio inconfondibile che lo ha reso una voce unica nel panorama musicale.

Al di là della sua voce e dei suoi testi, Fish ha rappresentato per molti fan un'icona, un artista che non aveva paura di esprimere le proprie opinioni e di connettersi con il pubblico a un livello emotivo profondo. La sua presenza scenica, teatrale e coinvolgente, ha reso i concerti dei Marillion e i suoi show da solista esperienze indimenticabili.

Oggi, nel giorno del suo compleanno, celebriamo Fish non solo come l'indimenticabile voce dei Marillion, ma anche come un artista poliedrico e un'anima sensibile che ha saputo toccare le corde più profonde di chi ha ascoltato la sua musica. Il suo contributo al progressive rock rimane fondamentale, e la sua eredità continua a ispirare nuove generazioni di musicisti e appassionati. Lunga vita al gigante scozzese, all'uomo che ha dato voce ai sogni e alle malinconie di un'intera generazione.









venerdì 25 aprile 2025

Il frontman dei Pere Ubu David Thomas è morto a 71 anni

 


L'influente icona del rock sperimentale David Thomas è mancato il 23 aprile, nella sua casa in Inghilterra.

Il mondo della musica perde una figura singolare: David Thomas, l'inconfondibile voce del gruppo rock sperimentale Pere Ubu di Cleveland e precedentemente dei Rocket From The Tombs, si è spento all'età di 71 anni. La notizia della sua scomparsa è stata comunicata attraverso un messaggio sulla pagina social della band.

La dichiarazione ufficiale recita:

"David Thomas, nato il 14 giugno 1953 e scomparso il 23 aprile 2025.

David Lynn Thomas, l'interprete principale dei Pere Ubu, dei Rocket From The Tombs e di numerosi progetti da solista, ci ha lasciati dopo aver combattuto a lungo con la malattia.

Mercoledì 23 aprile 2025, è deceduto nella sua amata Brighton & Hove, circondato dall'affetto di sua moglie e della sua figlia più giovane. In quel momento, risuonavano le note degli MC5 alla radio. Il suo desiderio era di fare ritorno alla sua casa, la fattoria in Pennsylvania, dove insisteva per essere "gettato nel fienile.

David Thomas e la sua band avevano ultimato la registrazione di un nuovo album. Era consapevole che sarebbe stata la sua ultima opera. Ci impegniamo a proseguire con il missaggio e la finalizzazione di questo disco inedito, affinché la sua musica finale possa raggiungere tutti. Inoltre, aveva lasciato precise indicazioni affinché il lavoro di catalogazione di tutte le registrazioni dei concerti dal vivo continuasse attraverso la pagina ufficiale di Bandcamp. La sua autobiografia era quasi completa e ci faremo carico di terminarla per lui. Il Patreon dei Pere Ubu continuerà a esistere come comunità, gestita da communex.

Vi lasciamo con le sue stesse parole, che riassumono la sua essenza meglio di quanto potremmo mai fare noi: 'Mi chiamo David Fucking Thomas... e sono il cantante della migliore band rock and roll del pianeta.' (Dal documentario Frigo)

Lunga vita ai Pere Ubu."

Gli innovativi e sperimentali Pere Ubu si formarono a Cleveland, Ohio, nel 1975, in seguito alla dissoluzione del gruppo garage rock Rocket From The Tombs, i cui membri, il chitarrista Cheetah Chrome e il batterista Johnny Blitz, avrebbero poi dato vita ai Dead Boys.

Thomas fu l'unico membro costante dei Pere Ubu, che descrivevano il loro suono rauco e anticonvenzionale come "avant-garage". La rivista Rolling Stone definì il loro influente album di debutto del 1978, "The Modern Dance", come "aspro e intenzionalmente sgradevole". Scrivendo per Classic Rock nel 2004, il giornalista Malcolm Dome considerò quel disco una "pietra miliare del genio art-rock, un vero capolavoro", aggiungendo che "senza questo album, gran parte della musica rock più esoterica registrata nei decenni successivi sarebbe semplicemente rimasta inascoltata".

Tuttavia, Thomas stesso una volta dichiarò che i Pere Ubu erano in realtà un gruppo mainstream, affermando: "Si può tracciare una linea diretta dagli esordi, diciamo 'Heartbreak Hotel', passando per Brian Wilson e arrivando a Lou Reed. Negli anni '70 c'è stata una maggiore maturità narrativa, del linguaggio musicale e dello sviluppo della tecnica. Tutto si evolveva e andava avanti. I Pere Ubu si sono inseriti in quella linea retta".





Annuncio Speciale: ritorno in vinile e blu-ray per il Cinquantenario di "Hergest Ridge" di Mike Oldfield


Un evento imperdibile per gli appassionati di musica progressiva: il leggendario album del 1974 di Mike Oldfield, "Hergest Ridge", farà il suo ritorno in una prestigiosa riedizione per celebrare il suo cinquantesimo anniversario.

Questo secondo lavoro in studio dell'eclettico musicista britannico sarà disponibile in svariati formati a partire dal 27 giugno, grazie a UMC.

A seguire il rivoluzionario debutto del 1973 con "Tubular Bells", "Hergest Ridge" si presenterà in un esclusivo cofanetto in doppio vinile. Questa edizione conterrà il remix del 2010, curato dallo stesso Oldfield (e proposto per la prima volta su disco in vinile), affiancato da una inedita rimasterizzazione a mezza velocità realizzata da Miles Showell presso gli iconici Abbey Road Studios, partendo dal mix originale del 1974.

Per un'esperienza audio immersiva, sarà inoltre disponibile una speciale edizione Blu-ray. Questa includerà un inedito mix ATMOS e stereo firmato da David Kosten, il mix 5.1 e stereo del 2010 di Mike Oldfield, il mix Quad Boxed del 1976 e, naturalmente, il mix stereo originale del 1974.

Queste nuove pubblicazioni saranno arricchite da un rinnovato design grafico, approvato personalmente da Oldfield (con l'aggiunta di nuove fotografie catturate sull'Hergest Ridge nel corso del 2023), e da свежие citazioni dello stesso artista.

Dopo il fenomenale successo di "Tubular Bells", Oldfield lasciò la frenesia di Londra per trovare rifugio nella quiete di Kington, un pittoresco borgo mercantile nell'Herefordshire. Questo luogo è dominato dalla maestosa e allungata collina di Hergest Ridge, che offre panorami mozzafiato estendendosi dalla cittadina fino a Gladestry, nel Galles.

Oldfield trascorse quel periodo dedicandosi al volo con i suoi alianti sopra il Ridge e suonando nel locale pub Penrhos Court. Fu nella sua dimora dell'epoca, The Beacon, situata sul confine tra Galles e Inghilterra, che diede vita al suo nuovo album.




giovedì 24 aprile 2025

Proiezione del film "Quadrophenia": un tuffo nel passato tra musica, socializzazione e riflessioni generazionali

 


SAVONA, 22 APRILE 2025


Nella sala privata ho avvertito una buona dose di energia, un misto di attesa e curiosità. Non si trattava della prima di un blockbuster hollywoodiano, né di un evento mondano. L'occasione era la proiezione di Quadrophenia, il cult movie del 1979 tratto dall'omonimo concept album degli Who, una delle tante iniziative nate da un corso che ho avuto il piacere di tenere all'UniSavona. L'obiettivo primario? La socializzazione, il ritrovarsi e condividere, con la pellicola a fare da catalizzatore emotivo e spunto di riflessione.

L'imperativo era duplice: la musica, anima pulsante del film e del periodo storico che racconta, e il ricordo di un mondo lontano, un'eco di ribellione giovanile e di trasformazioni sociali radicali. Ad introdurre la serata, un intervento illuminante di Mauro Selis, un melomane e psicologo esperto di dipendenze. Con la sua profonda conoscenza del contesto storico e musicale, ha saputo dipingere un affresco vivido dell'Inghilterra dei primi anni '60, del fermento culturale, delle tensioni sociali e, non ultimo, dell'uso diffuso di anfetamine, all'epoca non ancora bandite, che permeava quella scena. Le sue parole hanno gettato una luce cruda e realistica su un'epoca di eccessi e di ricerca di identità, preparando il terreno per la visione del film.

Sala gremita… un segnale tangibile del fascino che Quadrophenia continua a esercitare, a distanza di decenni.

Al termine della proiezione, le reazioni sono state intense e variegate. Tra i tanti messaggi ricevuti, uno in particolare ha saputo cogliere l'essenza della serata: "Bella iniziativa quella di ieri sera. La scelta del film è stata stimolante per tanti aspetti. Non ultimo per me che l'ho visto la prima volta nel 1985 quando già rappresentava una società completamente cambiata rispetto all'ambientazione. Rivederlo ora è stato choccante: una nostalgia che ha il sapore della consapevolezza amara di una perdita e contemporaneamente la dolcezza, il ricordo di un passato un po' anche nostro."

Questo commento racchiude la potenza evocativa di Quadrophenia. Per chi l'ha vissuto "in diretta", il film è un tuffo malinconico in un'epoca formativa, un ricordo di battaglie generazionali e di un senso di appartenenza forte, seppur spesso conflittuale. Per chi, come il nostro partecipante, l'ha scoperto in un'epoca successiva, il film assume una valenza diversa, quasi archeologica. Diventa la testimonianza di un mondo scomparso, un'istantanea di un'energia giovanile che, pur nelle sue contraddizioni e nei suoi eccessi, appare oggi intrisa di un'autenticità forse perduta.

La "nostalgia che ha il sapore della consapevolezza amara di una perdita" è palpabile. La perdita di un'illusione, forse, di una ribellione più genuina, di un senso di comunità viscerale. Ma c'è anche la "dolcezza del ricordo di un passato un po' anche nostro", perché le inquietudini, la ricerca di un'identità, il desiderio di cambiamento sono temi universali che trascendono le epoche.

L'iniziativa, al di là della semplice proiezione cinematografica, ha rappresentato un momento di connessione, di scambio intergenerazionale, di riflessione sul passato e sul presente. La musica degli Who, potente e catartica, ha fatto da colonna sonora a questi pensieri, amplificando le emozioni e creando un legame invisibile tra i partecipanti.

In fondo, l'arte, in tutte le sue forme, ha questa straordinaria capacità: di farci viaggiare nel tempo, di farci sentire parte di storie lontane, di stimolare il dialogo e, soprattutto, di farci sentire meno soli. E se una sala piena e un commento così intenso sono il risultato di questo piccolo esperimento, non posso che ritenermi soddisfatto. La socializzazione attraverso la cultura, il ricordo e la riflessione: un trinomio che si è rivelato ancora una volta vincente.


Quadrophenia 22 aprile 2025 

L’intervento di Mauro Selis

Riuscite a immaginare nell’era social, digitale, liquida, scegliete voi, una rissa con duecento persone che si inseguono per fare a pugni per questioni prettamente estetico-musicali? Altamente improbabile, in effetti, molto più semplice pensare a qualche leone da tastiera mentre fomenta una discussione in qualche chat in uno dei tanti social presenti in rete!

Nei favolosi o formidabili, scegliete voi, anni Sessanta e Settanta, invece, succedeva eccome.

Come vedremo anche nel film verso la metà degli anni Sessanta in posti come Brighton o Clacton, il weekend sul lungomare di queste località era diventato sinonimo di battaglia tra le due opposte sottoculture giovanili dominanti, mods e rockers, ossessionate da una rivalità prima di tutto estetico-musicale, poi attitudinale e, infine, sociale: due opposti modi di rapportarsi col mondo.

La calata dei “barbari” dalla vicina Londra avveniva con i Rockers a cavallo di moto come le Triumph e le Norton, i Mods con le classiche vespe o le lambrette spesso arricchite da un numero spropositato di specchietti e fanali.

Se i rockers incarnavano il boom economico del dopoguerra e l’ideale dell’uomo virile e conservatore, i mods erano i moderni, pura espressione del proletariato britannico e accettavano l’apporto della gioventù di colore soprattutto nel campo musicale.

I rockers, innamorati di un immaginario d’oltreoceano, erano figli del rock’n’roll americano degli anni 50, tutto brillantina, giacche di pelle, scarpe da motociclista e jeans con risvolto. I diversamente giovani come me ricorderanno il telefilm “Happy Days” in cui uno dei protagonisti era il perfetto teddy boy Arthur Fonzarelli più celebre come “Fonzie”. Il loro era uno spirito reazionario e refrattario ai cambiamenti per cui era piuttosto normale che i loro nemici naturali fossero i mods, ovvero i modernisti, la generazione successiva che rifiutava lo stile di vita dei propri padri, preferendone uno al passo coi tempi – moderno, appunto – e anfetaminico, in costante equilibrio tra rabbia ed eleganza, il cui gusto musicale era rivolto al nuovo jazz, al soul, allo ska e soprattutto a band come gli Who, Kinks, Small Faces, Yarbirds.

Dicevo prima anfetaminico ebbene mente i Rockers di fatto non erano inclini all’uso di stupefacenti i Mods al contrario erano consumatori di droghe che all’epoca erano legali in particolare le anfetamine che sono sostanze di origine sintetica ad azione stimolante sul sistema nervoso centrale. La reazione fisica consiste nel rilascio di neurotrasmettitori come la dopamina, serotonina e noradrenalina che agiscono sulla regolazione del sonno, dell’umore e dell’appetito. Si presentano solitamente sotto forma di compresse o capsule di varie dimensioni e colore, polvere generalmente bianca, gel e cristalli che possono essere assunti sniffandoli, fumandoli o dopo una preparazione specifica iniettandoli (più raro).

L’anfetamina fu sintetizzata per la prima volta nel 1887 ed essendo uno psicostimolante fu largamente usata soprattutto nelle guerre mondiali per aumentare l’efficienza militare dei soldati in combattimento e la produttività dei lavoratori nell’industria bellica, successivamente fu usata clinicamente per contrastare depressione, obesità e astenia. In Italia fino all’inizio degli anni 70 era legale, qualcuno di voi ricorderà la simpamina che era il nome commerciale di un tipo di anfetamina.