Fu uno dei grandi cantautori della
scena folk degli anni '60, da alcuni più stimato di Paul Simon, ma registrò
solo un album e morì nell'oscurità, senza un soldo e senza casa
PREMESSA
Mi basta sempre pochi secondi per afferrare la bellezza di un
brano, e quando non ne conosco la provenienza provo ad usare la tecnologia del
cellulare per catturarne il titolo. Non sempre funziona, ma se la canzone è
conosciuta…
Sto guardando una puntata della serie TV ACB e sento un arpeggio
che parte, basta un frammento e capisco che vorrei saperne di più. Shazam viene
in mio aiuto e scopro il titolo della canzone e il suo autore, - “My Name
Is Carnival” di Jackson C. Frank - utilizzata anche come parte della
colonna sonora del film “Joker”…
Non sapevo chi fosse Jackson Carey
Frank, nato a Buffalo il 2 marzo 1943 e morto giovane, il 3 marzo
1999, cantautore statunitense, considerato uno dei più importanti esponenti
della scena folk britannica degli anni '60. La sua vita, segnata da un tragico
incidente da bambino, è stata un continuo contrasto tra talento innato e
sfortuna.
Ho approfondito e ho scoperto una storia incredibile…
Si pensa a storie sfortunate e poi… c'è Jackson C Frank.
Di tutti i cantautori rovinati degli anni '60 e '70 - Nick
Drake, Tim Buckley, Tim Hardin - la storia di Frank è la più tragica e la meno
conosciuta.
Quando il suo nome salta fuori, di solito è con un pesante cenno di approvazione da parte degli esperti: Vincent Gallo ha usato il suo “Milk and Honey” nella colonna sonora di Brown Bunny, e “I Want To Be Alone” di Frank accompagna l'inquietante climax del film del 2006 dei Daft Punk, Electroma. La sua reputazione si basa quasi interamente sul suo unico album del 1965, “Jackson C. Frank” (Columbia)
Fu registrato a Londra, dove Frank si era trasferito negli anni Sessanta, e prodotto dal suo collega espatriato americano Paul Simon. La voce di Frank era piena e ricca, il suo finger-picking esemplare e sapeva scrivere melodie belle e memorabili. La combinazione di tutti e tre gli elementi era piuttosto rara sulla scena folk londinese. Il futuro chitarrista dei Pentangle John Renbourn lo incontrò quando la allora ragazza di Frank, Sandy Denny, lo portò con sé al folk club Les Cousins in Greek Street a Londra: "Mi disse che veniva da Buffalo e che era un bel posto. E poi iniziò a raccontarmi che era stato vittima di un incendio".
Frank era rimasto gravemente ferito da bambino, quando una caldaia nella sua scuola era esplosa, uccidendo la maggior parte dei suoi compagni di classe, e mentre era ricoverato in ospedale il suo insegnante aveva portato con sé una chitarra per tenergli alto il morale. Elvis era il suo eroe e nel 1957, quando aveva 13 anni, sua madre lo portò a Graceland dove, sorprendentemente, riuscì a incontrare Elvis e a farsi fotografare.
La vita di Frank sarebbe cambiata ancora più radicalmente al compimento dei 21 anni, quando incassò un assegno assicurativo di oltre $ 100.000. Ormai affermato cantante folk, salpò per l'Inghilterra.
A Londra, il misterioso e pulito nuovo arrivato si
distingueva tra i beatnik pelosi della scena folk. Renbourn lo ricorda come
"piuttosto silenzioso e modesto, non eccessivamente sensibile, ma
lavorava alla sua arte, consapevole di fare cose davvero grandiose".
A quel punto, Frank aveva accumulato una scorta di belle canzoni originali, malinconiche ma calde, mai autocommiserative o sdolcinate. Tra queste, “Blues Run the Game”, che sarebbe rapidamente diventata uno standard, registrata o eseguita da Renbourn, Simon & Garfunkel, Nick Drake, Bert Jansch, Counting Crows e John Mayer, tra gli altri. L'album omonimo di Frank, registrato con occasionali seconde chitarre di Paul Simon e Al Stewart, uscì per la Columbia ma vendette a malapena.
"Era l'opposto dell'americano chiassoso", disse Renbourn. "Non si promuoveva né si vantava affatto. Svenivo ogni volta che lo sentivo suonare. Possedeva una chitarra Martin, cosa che a quei tempi era inaudita. Jackson Frank era molto più stimato sulla scena di Paul Simon. Ma Paul Simon è diventato famoso e importante e Jackson Frank è semplicemente caduto nell'oblio".
L'assegno assicurativo fu speso nel giro di un paio d'anni,
in auto e camere d'albergo, e Frank tornò a Woodstock, fatta eccezione per un
breve viaggio in Gran Bretagna nel 1968, quando registrò una sessione per John
Peel e andò in tour con i Fairport Convention: fu quella l'ultima volta che la
maggior parte dei suoi vecchi amici londinesi lo vide.
Qualche anno dopo, Renbourn ricevette una sua lettera che riportava: <<Ciao Toff, ho sentito che stai ancora suonando e facendo i miei numeri, sarebbe fantastico vederti. “Era piuttosto toccante. Sembrava compilata con una macchina da scrivere tutta rotta perché i caratteri erano sparsi ovunque. L'indirizzo era Simmonds Court, Woodstock.">>
Un articolo scritto da Frank per Folk News spiegava che
"mentre scrivevo e registravo il mio secondo album, questioni personali
e private mi costrinsero a interrompere... sfortunatamente!".
Andò molto peggio! Al ritorno negli Stati Uniti, Frank aveva sposato Elaine Sedgwick, un'ex modella, e avevano avuto un figlio e una figlia. Dopo che il ragazzo morì di fibrosi cistica e il matrimonio fallì, Frank cadde in una profonda depressione e fu ricoverato in ospedale.
Poco dopo aver ricevuto la lettera, Renbourn - siamo negli
anni’70 - andò a Woodstock e cercò di rintracciare Frank descrivendolo agli
amici.
"Mi dissero che c'era un tizio strano, persino per gli standard di Woodstock, che andava in giro a guardare i semafori". Era Frank, ma a parte una breve conversazione telefonica i due amici non si incontrarono. Fu solo negli anni '90 che si trovarono di nuovo a Buffalo: "Era molto sovrappeso, sembrava davvero distrutto, con gli occhi gonfi. Aveva un aggeggio che faceva roteare intorno alla testa come un'antenna. Fu uno shock vederlo. Ma eravamo seduti e tutte le vecchie chiacchiere ci tornarono in mente”.
Ciò che era accaduto nel frattempo ha del crudele. Frank aveva lasciato Woodstock per New York alla ricerca di Paul Simon, che Frank credeva fosse il proprietario delle sue pubblicazioni e avesse soppresso le sue canzoni; finì per vivere per strada per anni. Ci fu un'ultima disgrazia: alcuni ragazzi con un fucile ad aria compressa spararono al senzatetto Frank e gli accecarono un occhio, prima di una sorta di lieto fine, quando fu rintracciato da un fan di nome Jim Abbott.
Abbott lo trovò in una casa protetta a Woodstock e lo
incoraggiò a scrivere di nuovo e a suonare nei locali, descrivendo la sua voce
come "più ruvida e roca, un po’ come quella di Townes Van Zandt... una
voce vissuta".
Quando Frank morì, nel 1999, Abbott vendette i pochi beni che
Frank aveva all'archivista e collezionista Geoffrey Weiss: "Incontrai
Jim Abbott tramite un annuncio su eBay. Stava vendendo la stampa di prova
dell'album di Jackson e quando abbiamo concluso un accordo per l'LP gli ho
chiesto cos'altro potesse avere. Sembrava che il capitolo Jackson si stesse
chiudendo, stava progettando di trasferirsi e voleva sbarazzarsi di ogni cosa.
Ho pensato che sarebbe stata una buona idea tenere tutto insieme".
Tra questi beni c'era un piccolo registratore a cassette che riportava "Jackson Frank", scritto con un pennarello nero, una reliquia del periodo trascorso in istituti.
Le registrazioni che Frank fece con Abbott, insieme a un
album del 1975 abbandonato, altri frammenti di registrazioni e un libro di 200
pagine, costituiranno un cofanetto uscito successivamente.
Il libro è stato tradotto in italiano da Gian Carlo Pandolfi e si intitola "Jackson C. Frank, La luce chiara e dura del genio",
Si ricorda anche un EP da 10 pollici intitolato “Forest of Eden”, che include il giovane Frank che canta “Heartbreak Hotel”.
Il punto da cui iniziare, però, è quell'impareggiabile album del 1965. "Piaceva a tutti", dice Renbourn. "Quando Bert Jansch si sposò, costruì una grande vetrina piena di foto di famiglia, e al centro c'era una foto di Jackson Frank. Era davvero, davvero un bravo ragazzo".