Il 16 settembre del 2023, all'età di 82 anni, ci lasciava John Stanley Marshall.
Batterista inglese, membro fondatore
del gruppo jazz rock Nucleus, era nato il 28 agosto 1941. Dal 1972 al 1978 fu
il batterista dei Soft Machine, sostituendo Phil Howard.
Marshall era nato a Isleworth, nel
Middlesex, e nel corso della sua vita ha suonato con varie band e musicisti
jazz e rock.
Dal 1999, ha lavorato con ex co-musicisti dei Soft Machine in diversi progetti legati alla Soft Machine, come SoftWare, SoftWorks e Soft Machine Legacy. Era stato in tour come membro della band, che opera di nuovo sotto il nome di Soft Machine, dal 2015 al 2023.
Mi è capitato di vedere una sua
performance da pochi metri, direttamente sul palco, molti anni fa, e di quell’articolo
(lettura intera cliccando a questo link: https://athosenrile.blogspot.com/2011/03/ge-prog-festival-2011-1-serata.html)
estrapolo la parte relativa alla loro performance.
E poi una chicca video, seppur di
pessima qualità, ripresa da pochi passi.
Genova: estratto dal commento del 3
aprile 2011 intitolato
“Soft Machine Legacy/Tempio delle
Clessidre al Ge-Prog Festival 2011”
E viene la volta dei Soft Machine
Legacy, una vera eredità del gruppo originario.
Il progetto, nato nel 2004 dopo il
re-incontro di Hoog Hopper, Elton Dean, John Marshall e John Etheridge, cambia
attori durante il percorso, per la prematura scomparsa di Dean e Hopper, ma con
l’entrata di Roy Babbington si ricompongono i 3/5 del gruppo originale, tra il
1975 e il 1978. La ciliegina sulla torta è il fiatista Theo Travis.
Un tuffo tra vecchi ricordi mi
porterà a commentare, con un “nuovo amico”, alla fine della performance, che
l’unica volta in cui vidi i Soft Machine eravamo nei primi anni ’70, stessa
città, Genova, ma era il Teatro Alcione il luogo dell’esibizione.
Li ritrovo dunque dopo una vita e mi
viene spontaneo condividere qualche pensiero ad alta voce con una giovane
donna, sempre dalla mia postazione privilegiata a lato del palco; osservo tutti
quei ragazzi indaffarati, avanti e indietro, tra i cavi elettrici e i piatti
della batteria, quasi “insensibili” alla storia della musica che li sta
sfiorando (ma ovviamente per loro è un lavoro). Di certo non potrebbero mai
capire cosa può provare un uomo “antico” come me, un tempo incantato dalle
icone di Marshall e soci, sulle copertine dei vinili, e ora a due passi da
loro, con la possibilità di sentirli chiacchierare prima dell’esibizione, o in
attesa della chiamata per il bis, con le mani glissanti sulle tastiere non
amplificate!
È questo il lato più romantico di
tutta la faccenda, probabilmente comune a molti dei presenti.
Non suonano tantissimo i SML, forse
un’ora e un quarto, ma … questa è la musica.
Difficile collocarli appieno
nell’area prog, ieri come oggi, perché il jazz che ci regalano non lascia
spazio ad interpretazione alcuna. E suonare jazz, anche se miscelato e
arricchito, può significare dedicarsi solo ad una élite di persone. Leggere
l'autobiografia del mitico Bill Bruford per saperne di più.
Resto incantato da tutti. I fraseggi
di Etheridge sembrano improvvisazioni, ma non lo sono. Il basso di Babbington è
qualcosa che necessita di spartito, ed anche il suono è estremamente preciso.
Marshall sembrerebbe il più dimesso, ma da un incredibile saggio di bravura nel
corso di un assolo, e poi… che tempi riesce a tenere! Theo Travis sembra
capitato per caso sul palco, per il suo modo educato e delicato di muoversi, ma
credo sia unico, con complicati passaggi al sax alternati a momenti di estrema
dolcezza, all’insegna del flauto traverso.
Tutto bene, al di là delle mie
personali aspettative.
In tutta onestà credo che un evento
simile avrebbe meritato un tutto esaurito, ma… rileggiamoci il libro di
Bruford.