lunedì 28 febbraio 2022

La guerra, i Van der Graaf Generator e Jerry Cutillo

Van der Graaf Generator, Genova, Teatro Alcione, 30 maggio 1972 (foto Oliviero Lacagnina)


Raccolgo un commento del mio amico musicista Jerry Cutillo che su facebook si esprime in questo modo, a proposito della follia di questi ultimi giorni: 


COME SPIEGARE LA FOLLIA UMANA AI NOSTRI FIGLI:


1) Facendogli leggere il testo di “Man Erg”.

2) Liquidando la questione con un: "Sono cose che capitano."

3) Rimanendo in silenzio, cercando di nascondere la lacrima di impotenza che scorre inarrestabile.

4) Spiegandogli i primi rudimenti di economia e sfruttamento delle risorse naturali, aggiungendo quanto affermato da Tesla più di un secolo fa: "Sul nostro pianeta c'è energia libera e pulita a sufficienza per soddisfare tutti i bisogni del genere umano ma dovrà essere sgombra da scempi, sprechi e crimini." 


Per restare in tema musicale mi soffermo sul primo punto, anche perché, a mio giudizio, “Man Erg” è una delle canzoni più belle che siano mai state create e l’album “Pawn Hearts”è tra i miei preferiti.

Sto parlando dei Van der Graaf Generator e del loro quarto disco, pubblicato nel 1971, considerato uno dei capolavori del rock progressivo da molti fan del genere.

L'album ottenne scarso successo nel Regno Unito, ma riuscì a scalare le classifiche italiane, dove il gruppo intraprese una serie di concerti particolarmente acclamati.

Nel giugno del 2015 la rivista Rolling Stone ha collocato l'album alla ventiseiesima posizione dei 50 migliori album progressive di tutti i tempi.

Ma andiamo oltre le note e leggiamo il testo tradotto e quello originale, anticipando che trattasi dell’esternazione di Peter Hammill relativa al suo conflitto interiore, un mondo in cui si agitano angeli e demoni, a testimoniare la difficoltà dell’uomo nel trovare la propria identità mentre emerge il senso di “non appartenenza”.

Anche dal punto di vista musicale è presente un dualismo di atmosfera: la pace celestiale delle note iniziali di pianoforte contrapposta al successivo caos che mette in evidenza lo sconvolgimento intimo a cui contribuisce la chitarra dell’ospite Bob Fripp. E poi il ritorno alla calma, con le trame di sax di David Jackson che padroneggiano e indirizzano il mood.

Stessa immagine dicotomica è quella che deriva dall’incredibile voce di Peter Hammill, che viene modulata in funzione dell’agitazione spirituale.

I sentimenti che mi provoca ancor oggi il brano si alternano, e passano dall’incanto istintivo per la proposizione estetica arrivando sino al turbamento spinto.

Ascolto “Man Erg” con continuità sin dal 1972, una canzone che quindi mi ha accompagnato sin dall’adolescenza, ma l’effetto non è mai scemato nel tempo.

Ma oltre le mie parole leggiamo il testo e la sua traduzione, concludendo, of course, con la musica. A ciascuno le proprie valutazioni.

 

The killer lives inside me: I can feel him move

L'assassino vive in me: lo posso sentir muovere

Sometimes he's lightly sleeping in the quiet of his room

A volte è assopito nella quiete della sua stanza

but then his eyes will rise and stare through mine

ma poi i suoi occhi si aprono per guardare attraverso i miei

he'll speak my words and slice my mind inside

sarà lui a parlare e affetterà la mia mente dall'interno

The killer lives

Il killer è vivo 

The angels live inside me: I can feel them smile...

Angeli sono dentro me: li sento sorridere ...

Their presence strokes and soothes the tempest in my mind

La loro presenza è forte e calma la tempesta nella mia mente

and their love can heal the wounds that I have wrought

e il loro amore può guarire tutte le mie ferite

They watch me as I go to fallwell, I know I shall be caught

Loro mi osservano quando cado in piedi, so che posso essere catturato 

For the angels live

Per gli angeli sono vivo

How can I be free?

Come posso essere libero?

How can I get help?

Come posso ottenere aiuto?

Am I really me?

Sono davvero io?

Am I someone else?

Sono qualcun altro?

But stalking in my cloisters hang the acolytes of gloom

Ma in agguato nei miei chiostri pendono gli accoliti della malinconia

And Death's Head throws his cloak onto the corner of my room and I am doomed…

E una testa di morto getta il suo mantello in un angolo della mia stanza e io sono condannato …

But laughing in my courtyard play the pranksters of my youth

Ma ridendo nel mio cortile giocano le burle della mia giovinezza

And solemn, waiting Old Man in the gables of the roof: he tells me truth...

E solenne, un vecchio attende nei timpani del tetto: mi dice la verità ... 

And I, too, live inside me and very often don't know who I am:

E anch'io, vivo dentro di me e molto spesso non so chi sono:

I know, I'm not a hero... I hope that I'm not damned

Lo so, non sono un eroe ... spero solo di non essere dannato

I'm just a man, and killers, angels, all are these:

Sono solo un uomo, ed assassini, e angeli, saranno tutti questi:

Dictators, saviours, refugees

Dittatori, salvatori, rifugiati

in war and peace

in guerra e in pace

As long as Man lives...

Finché l'uomo vivrà ...





domenica 27 febbraio 2022

Pete Townshend e CSI


Rolling Stone US ha pubblicato una lunga intervista realizzata da Andy Greene con Pete Townshend, tradotta da RollingStone Italia e fruibile al seguente link:

https://www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/pete-townshend-non-voglio-morire-in-tour/618606/

Ogni volta che ho occasione di parlare di musica rock con giovani e giovanissimi cerco di promuovere il verbo della qualità partendo da esempi del lontano passato. Capita quasi sempre di “cadere” sugli Who, nome che spesso non significa niente per i miei interlocutori in erba, ma poi arriva il passepartout, la chiave che apre la porta della conoscenza inconsapevole: CSI!

<<Forse non conoscete il nome The Who, ma sicuramente avrete sentito la loro musica attraverso la serie “CSI”… >>, e come d’incanto tutti comprendono di cosa io stia parlando.

Ho estrapolato una minuscola sezione dell'intervista che riporta a quell’argomento specifico:

Ovviamente, non voglio che gli succedano le cose che sono successe a me, cioè gli Who fermi per un decennio. Nel 1982 la band era finita, non guadagnavamo nulla. Così ho iniziato a dare le mie canzoni per pubblicità, film… non sempre è andata bene. Non ci sono dubbi. A volte è stato imbarazzante. Ma ci ho guadagnato. Ma a volte… come in CSI, cazzo! Quello show ha enormemente contribuito alla diffusione… in quei film ci sono alcune delle canzoni migliori degli Who ed erano tutto il tempo in TV. La serie ha ricordato al pubblico che c’eravamo ancora. Ci ha aiutati a tornare…”.





venerdì 25 febbraio 2022

Esce oggi "Uomini di Sabbia", terzo album dei Nathan: ce ne parla uno degli autori, Piergiorgio Abba


Esce oggi “Uomini di Sabbia”, terzo album dei Nathan

In attesa del mio commento, che arriverà a breve, pubblico l’intervista realizzata con Piergiorgio Abba, tastierista storico della band e autore dei brani assieme a Bruno Lugaro

 

Il progetto Nathan ruota da sempre attorno a due nomi, a maggior ragione da quando la band savonese si è messa in proprio votandosi all’amato prog, non più preso in prestito dai fari illuminanti di una vita ma quello creato di sana pianta.

Bruno Lugaro e Piergiorgio Abba danno ora vita al terzo album di cui scriverò a breve in altro spazio, cercando di mettere in relazione elementi oggettivi e mio commento.

Il titolo è “Uomini di Sabbia”.

Ho chiacchierato in modo approfondito con entrambi, ma quella che riporto è la lunga, esaustiva e interessante intervista realizzata con Abba, tastierista di lungo corso.

Dalla lettura è facile comprendere come nessun critico/musicofilo sarebbe in grado di entrare così in profondità senza l’ausilio dei protagonisti creativi, e tale livello di approfondimento, oltre a soddisfare i “tecnici”, può avere funzione didattica verso chi, speriamo giovane, volesse avvicinarsi ad una musica così complessa.

Le parole a seguire possono quindi rappresentare la didascalia che accompagna l’ascolto delle tracce in successione.

Partiamo dalla genesi del vostro terzo album, e visto che sarà sicuramente figlio del momento atipico che stiamo vivendo, ti chiedo di sottolineare le differenze realizzative rispetto ai due lavori precedenti.

Fondamentalmente il processo realizzativo di “Uomini di sabbia” è stato analogo quello dei due lavori precedenti: tra gli appunti ho trovato una tracklist relativa al terzo CD risalente al 19 settembre 2019, per cui i brani erano già pronti a quell'epoca, con tanto di pre-mix provvisori; la tracklist non comprendeva “L'acrobata”, che abbiamo deciso di inserire qualche mese dopo; comunque a dicembre 2019 avevamo già in mente la strutturazione del disco, con eventuali tagli (“Uomini si sabbia” ha una durata vicina ai sessanta minuti) e spostamenti già “studiati” per una eventuale stampa su vinile. Con ciò intendo dire che la scrittura dei brani era praticamente terminata, e rimaneva da far suonare ed incidere le varie parti degli strumenti (anche qui ho trovato una chicca tra gli appunti storici: una prima versione della parte di batteria di “Madre dei sortilegi” mi era già stata inviata da Luca Grosso il 17 agosto 2018!).

Già che ho accennato ai dischi pregressi vorrei sapere se esistono legami concettuali e musicali tra i tre album.

Dal punto di vista musicale c'è da osservare il cambio del chitarrista: qui tutti i brani sono suonati da Giulio Smeragliuolo, dopo avere timidamente cominciato con il chitarrista dei due lavori precedenti, Daniele Ferro, che però non riusciva a seguire lo sviluppo del nostro progetto; inoltre le batterie sono suonate da Luca Grosso (a parte un brano che ha suonato il “nostro” Fabio Sanfilippo); le linee di basso, che in “Nebulosa” ed “Era” sono state suonate tutte da Mauro Brunzu (che ritroviamo ancora in un brano di “Uomini di sabbia”), sono state affidate ad altri due amici di vecchia data, Dino Cerruti e Fabio Zunino. Inoltre, da tempo ci tenevo a realizzare una suite “vera”, cioè con le varie parti collegate musicalmente e così è nata “EGOS”, sviluppata non come tante entità separate, ma proprio come “flusso” sonoro unico, inserendo opportunamente anche idee provenienti da “appunti” solitari.

Avete cambiato qualcosa dal punto di vista pratico? Mi riferisco solo alla parte creativa, quella che da sempre ti compete assieme a Bruno…

Anche dal punto di vista creativo l'atteggiamento non è cambiato; ci scambiavamo i “provini” con Bruno, cercando di capire la realizzabilità delle varie idee, che comunque sono tutte state sviluppate con gli opportuni software musicali (io uso ancora il Sonar 6.0), che consentono una “comoda” base per ragionare sulla struttura dei brani, dei suoni, degli arrangiamenti delle parti e delle tonalità più adatte.

Da quanto ho capito la sezione musicale è stata largamente una tua gestione mentre Lugaro si è concentrato maggiormente sui testi: mi racconti di più?

Sì, è così; avendo la possibilità di creare ed “aggiustare” tutte le varie parti (intendo proprio chitarre, basso e batteria) con il software, si può avere l'idea di come potrebbe suonare il brano: se “suona bene” con suoni e strumenti midi, sicuramente risulterà ancora più d'impatto una volta affidato a musicisti “veri”.

Chi ha partecipato al disco e come sono nate le scelte dei collaboratori?

Veniamo ai musici: il primo contattato (in ordine di tempo) è stato Luca Grosso, batterista conosciuto ed apprezzato durante la militanza nei Projecto, band metal-prog con la quale abbiamo inciso due lavori con la Underground Symphony tra il 1997 e il 2001; le chitarre sono state tutte suonate da Giulio Smeragliuolo, chitarrista dei Mind Light, anche loro band di prog-metal; per capire le sue qualità basta ascoltare il primo brano (“Fatti non foste”), dove tira fuori un assolo notevole; per le linee di basso ci siamo affidati a Fabio Zunino, che era il bassista dei Projecto - quindi stessa militanza di Luca - e a Dino Cerruti, con il quale avevo condiviso i palchi alla fine degli anni '80, suonando cover rock-pop; da allora é diventato un musicista di professione e mi ha fatto molto piacere che abbia accettato di suonare in diversi brani del CD, cimentandosi con le sue “vecchie” passioni progressive e filtrando le parti con la sua sensibilità oramai praticamente jazzistica; i vari brani sono stati “assegnati” in relazione alla sensibilità personale in funzione dell'atmosfera e della resa del brano; in “Delirio onirico” invece troviamo la “nostra” sezione ritmica, Mauro Brunzu al basso e Fabio Sanfilippo alla batteria.

Mi parli dei significati e dei messaggi di un disco che mi sembra all’impatto molto elaborato?

Una delle cose con cui mi piace cimentarmi è lo scrivere parti con metriche, diciamo anomale, che comunque risultino “orecchiabili”, ovvero non faticose neanche all'orecchio non abituato al prog; per questo aspetto è davvero ottima la collaborazione melodica di Bruno (Lugaro), che individua le linee vocali migliori anche in contesti diciamo genericamente “dispari” (da ascoltare “Fatti non foste”, dove su una scrittura in 25/8 (ebbene sì!) la melodia risulta fluida, per non parlare della linea vocale del ritornello, che trovo grandiosa, e anche “Il pianto del cielo” - la quarta traccia -, dove la parte cantata, su arpeggio di chitarre e pianoforte in 5/4, suona splendidamente: sembra davvero fatta apposta! Mentre lo strumentale successivo è in 7/8, dove trovo interessanti le linee congiunte di chitarre e synth.

Già che ci sono ti indico qualche altra caratteristica degli altri brani (cliccare sul titolo per ascoltare):

traccia 1 - “Fatti non foste: ti ho già accennato alla particolare scrittura (ma nel brano sono anche presenti sezioni in un più “tradizionale” 6/8, tipo sull'assolo di chitarra), ma mi sono ricordato di una tua domanda che mi avevi posto in un'intervista live fatta al pub Van der Graaf, nella quale mi chiedesti i versi che mi avevano colpito di più (allora parlavamo di “Era”): quel giorno non avevo “sotto mano” i testi per rispondere in maniera adeguata; ecco, per questo nuovo album scelgo… “Tu che ricami parole, donaci l'immortalità”, coda del ritornello di “Fatti non foste”, che è davvero evocativo e perfetto per il contesto.

traccia 2 - “Monoliti”, è nata su un'idea di Bruno (accordi di organo con pedale costante in La e ritornello molto cantabile), che mi aveva inviato con il titolo già proposto: qui davvero mi sono immaginato ad osservare queste “opere”, scrivendo di getto tutto lo strumentale centrale (spero che renda l'idea anche all'ascoltatore) e la coda, dove ho mantenuto la traccia di suoni “dal futuro” per finire il brano in maniera più... inquietante.

traccia 3 - “Delirio onirico”: praticamente tutto il brano in 6/4, nato da un arpeggio di organo (si riconosce nell'intro e poi dagli stacchi; anche qui melodia accattivante su un 6/4; gli appassionati di prog “storici” ritroveranno una parte centrale strumentale (introdotta da un inciso di pianoforte) che è in 9/8 (ti ricorda niente?), ripresa poi nel finale del brano; da segnalare un altro assolo di Giulio decisamente interessante.

traccia 4 - “Il pianto del cielo”: ti ho già accennato qualcosa; aggiungo una mia sensazione sul testo, che trovo molto efficace e ben inserito nel brano.

traccia 5 - “Madre dei sortilegi”: nata da un riff di accordi di organo (preceduto da un intro di atmosfera, basato su una bella frase di basso) che si sviluppa poi nella strofa la cui stesura armonica e arrangiamento di pianoforte ha subito ispirato Bruno. Ritornello molto corale e cantabile; la sezione strumentale, almeno nella prima parte, ha un andamento terzinato vagamente hard-rock, dove si intrecciano chitarre ritmiche e linea di organo.

traccia 6 - “Nel giardino di Maria”: nata da una idea di Bruno al pianoforte, quella che si ripete dall'inizio del brano; è il pezzo più atipico del nostro stile, ma interessante anche proprio per questo; dopo l'esplosione nel ritornello (“ruvida, ruvida…”), interviene una parte “soave” di pianoforte e voce che sfocia in uno strumentale “distorto”, al cui termine viene ripreso il tema dell'inizio.

traccia 7 - “L'acrobata”: “ma guarda che è un bel brano”: è questo il commento di Giulio che, dopo aver visto la prima track-list dell'album si accorse che mancava “L'acrobata”; è un brano decisamente melodico, condotto dal pianoforte, con una interessante parte vocale centrale in un’atmosfera più cupa e tesa; lo strumentale procede con varie intuizioni (mi piace molto il solo di organo) fino alla ripresa del tema dell'inizio.

traccia 8 - “EGOS”: Quando sono andato a vedere il “log file” di EGOS, non credevo ai miei occhi: “versione pseudo-definitiva” datata 29 aprile 2009!

Poi effettivamente mi sono ricordato della questione: avevamo pensato di inserire nella track-list un brano strumentale nato nel periodo “Nebulosa”, con “Crescendo in Si7+” come titolo provvisorio (ed è ancora “provvisoriamente” intitolato così), che terminava con una modulazione nella tonalità di re minore, decisamente adatta a confluire nella nuova idea che si stava formando. A questo brano, unito a quella che sarebbe diventata “EGOS”, avevamo in effetti già dato un titolo (Paralleli), e siamo arrivati al novembre 2018, quando, essendo uscito ad aprile il nostro secondo CD “Era”, stavamo appunto raccogliendo le idee per il terzo lavoro, che diventerà poi “Uomini di sabbia”. Alla fine, abbiamo deciso di concentrarci sulle nuove idee create (ma su “Crescendo in Si7+” abbiamo un nuovo arrangiamento, tanto che vorremmo utilizzarla nel successivo lavoro); all'inizio di aprile del 2019 abbiamo staccato questa prima parte, e nasce ufficialmente “EGOS” nella struttura che si può ascoltare sull'album. A seguire il dettaglio:

I) Uomini di sabbia: apertura della suite molto “intima”, con arpeggi cadenzati di chitarre acustiche e 12 corde, viene arricchita dalla linea vocale e da frasi di pianoforte e flauto, con quest'ultimo che esegue un tema nell'ultima parte, contrappuntato successivamente da un synth morbido.

II) Avanti signori: la frase di pianoforte fa da sfondo ad un riff di chitarra, sul quale si innestano gli accordi di organo, con ingresso della voce); nella seconda parte della sezione ho inserito una frase di pianoforte su un giro di basso (solo toniche), che viene arricchito da intrecci chitarra e tastiere; interessanti i suoni di chitarra scelti da Giulio, azzeccati per l'atmosfera di tutto il brano.

III) L'indovino: sezione costruita su due frasi (la prima in re minore, la seconda in do minore) ricorrenti eseguite con il suono di un Wurlitzer: la costruzione della frase e delle “risposte” con la mano sinistra hanno ispirato sia il titolo provvisorio (GG, che una... sigla), sia la stesura della parte vocale, inserita bene sugli accenti anomali del piano elettrico; molto “cantabile” anche il solo di Moog dell'ultimo giro, che si conclude con una parte principale di chitarra ad “incastro”.

IV) Tempi bui: sezione strumentale, condotta su un riff di organo un po' distorto, giocato sulle tonalità in mi minore e do# minore, che si sviluppa con ingresso di piano elettrico (adoro l'accentazione di questa frase) sul secondo giro, ed infine la chitarra sul terzo giro. Un bridge con un arpeggio intrecciato chitarra-pianoforte in 7/8 introduce la 5^ sezione

V) La danza dei tiranni: brano in 5/4, strutturato in maniera più “classica”, la cui parte vocale sottolinea l'atmosfera degli accordi; conclude la sezione un assolo di Moog, con le chitarre ritmiche che si fanno un po' più distorte; il solo di Moog porta il brano ad un'apertura su accordi ariosi di pad di voci e strings, su stacchi sui quali Luca dimostra tutta la sua tecnica e fantasia.

VI) La culla del sapere: seconda sezione di EGOS solo strumentale; il primo blocco è basato su un riff di organo (anche qui un po' distorto), che viene sottolineato da una chitarra distorta, che nell'ultimo giro lascia il posto ad un solo di synth; il secondo blocco (in 7/4) ha il tipico andamento di cadenza, introdotta dal basso, che si arricchisce ad ogni giro con idee ed arrangiamenti (da segnalare la linea di “canto” del Mellotron); un successivo arpeggio di pianoforte, sempre innestato sulla cadenza, porta ad una “esplosione” (ascoltandolo, mi sembra di essere arrivato sulla cime di una montagna ad osservare più da vicino la luce ed il cielo) con corposi pad ed una splendida frase di chitarra solista, molto cantabile; un terzo blocco (sempre in 7) rende di nuovo l'atmosfera più “intima”: chitarra solista su arpeggio di tastiere e un breve solo di Moog che sfocia molto naturalmente all'ultima sezione.

VII) Siamo l'aria ferma e il vento: ecco il “gran finale”, riff ossessivo in 7/8, suonato all'unisono da basso e chitarra e all'inizio anche dal synth, sul quale si innesta la linea vocale fino ad arrivare a “Siamo l'aria ferma e il vento”, con un crescendo anche nell'arrangiamento di tastiere; finale in fade out (anche se la versione originale aveva un finale “live”)

Credo che, ancora più che nel passato, la tecnologia abbia avuto un ruolo determinante: mi racconti qualcosa sulle difficoltà che si trovano nel costruire a distanza musica così complessa?

La questione tecnologica è davvero importante: le parti vanno registrate tutte a click su file midi (che è un formato che “capiscono” sia PC, sia Mac); ciascun musicista usa poi il software al quale è abituato: Luca, Giulio e Dino hanno usato Cubase, Fabio il Cakewalk by Bandlab (un'evoluzione della mia versione) e anche Mauro ha registrato su Cakewalk, mentre ad esempio le registrazioni delle parti vocali realizzate in studio da Edo Nocco (luglio/agosto 2020), la registrazione di “Delirio onirico” e qualche voce da Mazzitelli (maggio 2021) sono state effettuate con sistemi Mac (Logic).

Continua la collaborazione con AMS: che risposta avete avuto in questo caso?

La AMS si è dimostrata subito disponibile; avevamo inviato qualche premix dai quali si poteva intuire la potenzialità del lavoro; la gestione dei rapporti è stata davvero professionale (e fortunatamente anche “amichevole”) ... che dire, fa piacere avere a che fare con persone che, pur facendolo di professione, rimangono fondamentalmente appassionati di musica prog.

So che l’artwork vi è stato fornito dall’etichetta discografica: vi soddisfa a pieno? Puoi descriverne il significato?

È' esatto; l'artwork è stato realizzato basandosi sul titolo che abbiamo scelto per il CD, che si riferisce alla prima delle sette sezioni della suite “EGOS”, che si intitola appunto “Uomini di sabbia”; il grafico ha interpretato in maniera originale l'indicazione del titolo: ci è piaciuta l'idea dei profili umani che si ritagliano sulle sabbie in chiaro ed in ombra. Io ritengo più interessanti ed immediati gli artwork più… “essenziali”, e questo lo è (anche se sono comunque appassionato delle sleeve di LP storici, ad esempio dei Genesis - parlo di “Nursery Cryme” e “Foxtrot”, tanto per capirci - dove sono raffigurati tanti elementi legati ai contenuti dei brani).

Cosa si può dire della fase di “registrazione finale”, con l’intervento di Mazzitelli?

Mi piace di nuovo evidenziare la professionalità dei tecnici di studio con cui abbiamo avuto a che fare, che comunque è accoppiata alla passione per la musica; mi riferisco ad Alessandro Mazzitelli, musicista e fonico molto noto alle nostre “latitudini” (tra l'altro ha in studio una collezione di tastiere “vere” decisamente invidiabile), con il quale non ci sono mai stati problemi, ne tecnici (in particolare software) ne “concettuali”; i missaggi finali delle tracce sono avvenuti in pochi passaggi (nonostante la complessità dei brani). Professionalità e passione riscontrata anche nello studio di Edoardo Nocco - anche egli musicista e compositore - dove abbiamo registrato praticamente tutte le parti vocali; un grosso ringraziamento ad entrambi.

Temo di conoscere già la risposta ma ci provo. Immaginando che la situazione pandemica lo permetta, è ipotizzabile nel futuro prossimo immaginare una proposizione live, se non intera almeno con qualche sample del nuovo album?

La riproposizione in Live è sempre nel cassetto (in particolare abbiamo già suonato in sala prove “Delirio onirico” per dare una forma definitiva alle parti di batteria), ma dipende, oltre che dalla “situazione pandemica” anche da fattori di disponibilità di tempo: il nostro attuale chitarrista, il giovane e talentuoso Giacomo Repetto, studia al Conservatorio a Milano (quello della “Compagnia del Cigno”, per intenderci...), e quindi ha possibilità temporali limitate; sarebbero comunque brani da studiare per tutti noi.

So che l’album uscirà il 25 di febbraio: è prevista la preparazione di un teaser di pubblicizzazione?

C'è l'idea di fare un teaser (sulla falsa riga di quello di “Era”): ci dovremmo incontrare io e Bruno per decidere e definire i frammenti da inserire; ci sarebbe poi comunque la questione del lato “visivo” da proporre.

Ci sarà una presentazione ufficiale del disco?

L'idea è quella di fare una presentazione appena le condizioni “esterne” lo consentiranno; la speranza è quella di coinvolgere tutti i musicisti che hanno partecipato: i più “distanti” sono Mauro da Genova e Luca, che vive ad Ovada: sarebbe davvero emozionante.


In arrivo il mio commento...


 

mercoledì 23 febbraio 2022

Si è parlato dei Genesis su JAM TV



Si é parlato di Genesis il 21 febbraio...


Ospiti importanti, come Armando Gallo, il fotografo/giornalista italiano - ma americano di adozione -, che visse gli inizi del gruppo dall'interno, quando ancora era sconosciuto... oppure Lino Vairetti, che con  i suoi Osanna accompagnò i Genesis nel corso del loro primo tour italiano, nel 1972...  e ancora Bernardo Lanzetti, che ha calcato il palco con Steve Hackett... e poi Donato Zoppo, giornalista e scrittore...

C'ero anche io, che ho riportato a galla qualche ricordo adolescenziale...

Grazie a JAM TV e alla conduzione di Leonardo Follieri.
Quello che è emerso è riascoltabile nella clip a seguire...



martedì 22 febbraio 2022

Ci ha lasciato Gary Brooker, l'ultimo Procol Harum


Uno dopo l’altro se ne vanno… i nostri miti musicali!

Gary Brooker ci ha lasciato a 77 anni, colpito da un mare incurabile.

Era nato a Londra il 29 maggio del 1945 ed è stato un cantante, pianista e compositore, noto soprattutto per aver fondato i Procol Harum.

Ancora oggi li rappresentava, essendo l’unico presente nella formazione originale.

La notizia è arrivata in primis dal sito https://procolharum.com/, usualmente utilizzato come organo ufficiale dal management dell’artista e quindi non gestito non direttamente dal gruppo. Ma la sostanza resta!

Era noto che le condizioni di salute dell’artista non fossero ottimali e a conferma di ciò, alla fine dello scorso novembre, era arrivata la cancellazione delle date dei Procol Harum in programma a Brescia e Padova nel mese di maggio 2022.

Circa un anno fa il gruppo era stato colpito da un altro grave lutto, quello di Alan Cartwright, ex bassista ed elemento storico della band, morto a 75 anni, anche lui a causa di un tumore.


Sinteticamente…

Gary Brooker inizialmente fonda e suona nei Paramounts, seppur con poco successo; nel 1967 fonda i Procol Harum, band attiva dal 1967 al 1977 e dal 1991 ad oggi.

Dopo lo scioglimento del complesso Brooker si dedica alla carriera solista, sia incidendo dischi in proprio, sia come componente aggiunto dal vivo della band di Eric Clapton; inoltre ha all'attivo partecipazioni sporadiche in numerosi progetti.

Nel 1991 torna a suonare con i Procol Harum, ricostituitisi quell'anno e tuttora attivi.

Nel 2003 è stato insignito dell'Ordine dell'Impero Britannico a riconoscimento delle sue attività benefiche.

Nel 2017, con i Procol Harum aveva partecipato alla rassegna musicale 2Days Prog +1, festival dedicato alla musica rock progressive.

Ecco un estratto di quel giorno, con la proposizione di uno dei loro brani simbolo, “Homburg” …




domenica 20 febbraio 2022

Ekseption: un po' di storia

 

Ho recuperato in rete un po’ di informazioni su gli Ekseption, gruppo musicale olandese principalmente strumentale originario di Haarlem e attivo con questo nome dalla fine degli anni '60 alla fine degli anni '80.

Il gruppo nacque col nome The Jokers, che fu cambiato prima in Incrowd e poi, nel 1967 in Ekseption.

Dopo aver siglato un contratto con la Philips Records, la band pubblica il suo album discografico eponimo di debutto nel 1969. Nel 1970 esce un concept album (Beggar Julia's Time Trip) incentrato sulla figura di una donna medievale che viaggia musicalmente nel tempo. Nello stesso anno esce un altro concept album, 3, che è basato su Il piccolo principe. Nel frattempo, il gruppo modifica spesso la propria line-up.

Nel 1971 è la volta di 00.04, realizzato con un'orchestra ed un coro. L'anno seguente esce invece 5, in cui ci sono costanti riferimenti a Bach, come negli album precedenti. Fa seguito un tour europeo, mentre nel '73 il gruppo subisce un cambio di formazione per dissidi interni. Viene poi registrato Trinity, il sesto album del gruppo.

Nel 1974 van der Linden, anima del gruppo, lascia la band, che comunque continua il proprio percorso con Bingo, che ha tendenze jazz. Seguono, nel 1975 e nel '76, altri due album.

Il poco successo porta il gruppo a sciogliersi definitivamente con alcuni membri che creano gli Spin.

Nel 1978 il gruppo viene ricostituito da van der Linden e van den Broek e viene registrato Ekseption '78. Nel 1981, dopo un album a nome Cum Laude, esce una raccolta Dance Macabre, con l'operazione che viene ripetuta nel 1989. Segue un nuovo scioglimento del gruppo.

Nel 1994 la band si riunisce occasionalmente per una serie di concerti e per pubblicare un album live.

Nel 2003 gli Ekseption si riformano per idea di van der Linden e di sua moglie. Nello stesso anno muore van Kampen. Nel 2006 muore anche van der Linden e il capitolo Ekseption si chiude definitivamente.


Formazione 

Rein van den Broek - tromba, flicorno (1967-1976; 1978-1989)

Rick van der Linden - piano, organo, spinetta, effetti, synth, mellotron (1967-1974; 1978-1989)

A loro si sono aggiunti numerosi artisti come Cor Dekker (basso), Peter De Leeuwe (batteria, voce), Dick Remelink (sax, flauto), che hanno collaborato in periodi diversi col gruppo.

Discografia parziale

Ekseption (1969)

Beggar Julia's Time Trip (1970)

Ekseption 3 (o 3, 1970)

Ekseption 00.04 (o 00.04, 1971)

Ekseption 5 (o 5, 1972)

Trinity (1973)

Bingo (1974)

Mindmirror (1975)

Back to the Classics (1976)

Spin (come Spin, 1976)

Whirlwind (come Spin, 1977)

Ekseption '78 (1978)

Dance Macabre (1981)

Ekseption '89 (1989)

PALERMO POP 70 - video completo, raro ed inedito, degli Ekseption.

 

Immagini a colori del 1970 dello Stadio Comunale La Favorita (oggi Renzo Barbera), dove si svolse il primo vero grande festival pop internazionale d'Italia l'anno dopo Woodstock: il Palermo Pop 70





sabato 19 febbraio 2022

Max Casali-“St3rzo”


Poco più di un mese fa è stato rilasciato St3rzo”, di Max Casali.

Non conoscevo il cantautore per cui, come sempre accade in questi casi, mi sono avvicinato con cautela e curiosità.

Trattasi del terzo album, anche se è profondo il gap temporale rispetto alle prime due uscite, “Secondo a…nessuno!” (2016) e “Per certi versi” (2011).

La lunga gestazione appare quindi naturale e necessaria all’autore per mettere a punto una linea di pensiero che andrà poi musicata.

Certo è che il nuovo titolo non lascia dubbi rispetto ad un percorso in evoluzione, come è normale che sia: “St3rzo”, oltre a numerare la discografia, propone l’idea di cambiamento, di virata verso nuovi percorsi che il quotidiano via via ci suggerisce. Ma quasi tutti i titoli sono caratterizzati da giochetti linguistici e a questo proposito anticipo che nella lista a fine articolo, cliccando sulla singola canzone, sarà possibile iniziare l’ascolto.

Un po’ di oggettività fornita dal comunicato ufficiale.

Sono 13 brani proposti, di cui 11 inediti e 2 “ripescaggi” dal precedente album, ossia: “Arsenio Lupin”, inserita come ghost-track e la bonus-track “Popolo di maghi” in versione lunga che, stavolta, chiude anziché aprire l’opera, come era successo in “Secondo a… nessuno!”. 

L’album è stato scritto interamente da Max Casali, sotto la supervisione di Andrea “Zanna” Zannoni, Valerio Carboni (“ContenuDi) e Fabio “Bronski” Ferraboschi (“Arsenio Lupin”).

Il disco annovera due presenze prestigiose: Valerio Carboni (apprezzato music-maker e polistrumentista già al lavoro con Masini, Amoroso, Finardi, Nek, Stadio e tanti altri) che duetta in “ContenuDi” e Andrea “Zanna” Zannoni (qui in veste di produttore artistico e co-arrangiatore) che recita in “Bulli e rupe”. Completa il team lavorativo Daniele Andinetti al banco-mixer.  

Non sono in grado di comparare al momento “St3rzo” con la produzione pregressa ma, basandomi su ciò che ho ascoltato in questa occasione, rilevo grande ricerca e cura degli aspetti lirici, senza tralasciare la necessità di fornire una veste sonora adeguata, ed è questa una rappresentazione dell’evoluzione del modello cantautorale, dove tutti gli elementi fondanti della forma canzone devono trovare assoluto equilibrio. Sembrerebbe scontato ma non sempre lo è!

Chi è in grado di giocare con le parole - e unirle alle note - ha anche il privilegio di poter raccontare e raccontarsi, spingendo l’ascoltatore verso la riflessione, e alla fine si palesano similarità di comportamento di cui forse non si aveva coscienza, e magari è sufficiente che siano altri a ricordarci situazioni ovvie a cui ci si fa il callo, perché quando un cambiamento avviene in maniera sufficientemente lenta e graduale sfugge alla coscienza e non suscita nessuna reazione, nessuna opposizione. E qui la storiella della “rana bollita” potrebbe darci indicazioni supplementari.

Casali, acuto osservatore, tratta quindi - con ironia - i “suoi” temi, che sono poi quelli che riguardano tutti noi, partendo da un corretto utilizzo del pericoloso - spesso - web, dalla precarietà giovanile, dall’inettitudine dei gestori dello stato, dall’impossibilità di far corrispondere alle parole “Arte e Cultura” - di per sé altisonanti e cariche di valori - un mondo reale fatto di concretezza.

Ma oltre alla fotografia obiettiva della realtà Max Casali fornisce la sua chiusa positiva, quella luce che arriva quando meno te lo aspetti e cancella, almeno per un attimo, il buio della notte, quello che accomuna ogni essere vivente.

Ascoltando e aiutandomi con la lettura dei testi (ma il modus espressivo di Casali è molto chiaro) mi è venuta alla menta un’immagine che ho fatto mia da tempo e che potrebbe essere una sintesi di questo progetto, o almeno lo è per me, ricordando che una volta condivisa, la musica, affettivamente, diventa di tutti e può quindi essere reinterpretata in una sorta di interazione positiva.

L’immagine, dicevo, è quella che utilizza la metafora della nebbia come negatività della vita, quella che l’autore, seppur alternando momenti ludici, ci regala: non sempre esiste una soluzione alle avversità che arrivano copiose e inaspettate, e spesso non esistono contromisure, occorre solo fermarsi e aspettare, perché prima o poi la nebbia si dirada e tutto apparirà sotto una nuova luce.

Ma più che le mie parole penso sarà utile ascoltare, cliccando, come già segnalato, sui titoli azzurri di ogni canzone.

Una divagazione da antico rocker: l’approccio di “CONTENUDI” mi ha riportato agli amati WHO, ma i più giovani avranno certamente pensato a “CSI”!

Non sempre è facile metabolizzare una nuova musica, soprattutto quando l’autore è un’assoluta novità, e anche in questo caso è servito un triplice giro di giostra per entrare in sintonia con “St3rzo”: piacevolezza di ascolto e grande apprezzamento per i contenuti, è questo il mio succinto giudizio!

 

Artista: Max Casali

Titolo: “St3rzo”

Autore: Massimo Casali

Editore: Music Force

Etichetta: Music Force

Catalogo: MF 108

 

Tracklist (cliccare sul brano per ascoltare)

1. SEGNALI DI NOI(A)

2. CONTENUDI

3. ARSENIO LUPIN

4. BULLI E RUPE

5. FAR-WEB

6. DI-STRAFORO

7. IL DE(RE)LITTO PERFETTO

8. NON SO PERCHE’

9. TANTO PUBBLICO

10. MANIPO(PO)LAZIONE

11. IL RESTO MANC(I)A

12. ALLA RESA DEI PONTI

13. POPOLO DI MAGHI



 

mercoledì 16 febbraio 2022

I Genesis a Torino il “03.02.1974”: il mio sbiadito ricordo da adolescente

 


Era il mese di febbraio dell’anno di grazia 1974, più precisamente il giorno 3.

Per gli italiani antichi, amanti dei Genesis e della musica di quei giorni, è meglio segnalare la data con la cifra numerata: “03.02.1974”, più facile da abbinare al concerto torinese in cui la band inglese propose “Selling England by the Pound”.

Ho ricordi lontani legati alla mia adolescenza, ma sono rimaste tracce che mai si cancelleranno e che cercherò di delineare.

Il concerto era previsto per le ore 18, al Palasport di Torino. I miei 17 anni suonati mi davano la possibilità di una concessione genitoriale, nonostante dopo poche ore mi aspettasse la scuola. Non ricordavo esattamente che giorno fosse, ma avevo ben nitido il monito dei miei genitori che mi esortavano a tornare velocemente a casa, perché il giorno dopo avrei avuto lezione. Una rapida ricerca su internet mi ha chiarito le idee sulla data: era domenica.

Conoscevo già molto bene “Selling England by the Pound”, “oggetto” promozionale del tour, album uscito da pochi mesi.

Credo sia interessante mettere in rilievo come la musica “nobile” di quel tempo, anche se il fenomeno si sarebbe poi rivelato di breve durata, fosse una fantastica malattia contagiosa. I tempi sono cambiati e certe rappresentazioni si vivono con maggior distacco, perché rientrano nella sfera della normalità, ma in quei giorni era possibile una mobilitazione generale per un evento musicale che, nel mio caso, avveniva a 150 km di distanza da percorrere in treno, di sera, con ritorno notturno. Il quartiere in cui sono nato e in cui abitavo, si chiama Santa Rita, e avrà contato una trentina di persone con età simile alla mia. Non eravamo tutti amici, e non ci eravamo messi d’accordo, eppure ci ritrovammo tutti al Palasport di Torino. La stazione di Savona era poi il punto di riferimento in cui si raccoglievano i ragazzi che arrivavano dai paesi periferici e tra le immagini confuse rimaste in testa, una riguarda un gruppo molto nutrito di giovani anime, tutti visi conosciuti, magari amici degli amici, tutti con lo stesso obiettivo.

Non ricordo nulla dei discorsi dell’andata, ma posso immaginare l’argomento.

La picture che segue è relativa al palco e a un fiume umano, che probabilmente mi parve tale perché messo in relazione al pubblico pomeridiano del genovese Teatro Alcione che normalmente frequentavo.

Sicuramente lo spazio non era adeguato all’evento, perché ricordo molti ragazzi lamentarsi all’esterno per l’impossibilità di trovare un biglietto.

Forse nacque anche qualche tafferuglio, ma non ne sono certo.

L’immagine successiva è quella di Peter Gabriel che compare con uno dei suoi abiti spettacolari e presenta l’enorme vuoto di capelli nella parte centrale della testa, una sorta di “riga ampliata”, come era solito fare in quel periodo.

Non sono in grado di ricordare la set list (che ho recuperato dalla rete e propongo a seguire), ma ricordo con estrema chiarezza un forte brivido che mi percorse la schiena, lo stesso che ho sentito le volte successive in cui ho ascoltato Steve Hackett proporre i Genesis - quindi anni 2000 - performance che per un attimo mi ha fatto tornare indietro a quel lontano ’74, quando partì il piano di “Firth or Fifth”.

E poi mi appare il vuoto sugli elementi oggettivi, ma rimane l’eccitazione, la partecipazione, la sensazione, già allora, di aver preso parte a qualcosa di storico. Negli anni a seguire, quel tour sarà ricordato come l’ultimo, vero, dei Genesis targati Gabriel.

Faccio estrema fatica ad andare oltre con la memoria, ma ho bene in mente come, nei giorni a seguire, l’argomento principe di quei ragazzi di Santa Rita, che vivevano a pane e CIAO 2001, fosse la rivisitazione dell’esperienza vissuta.

Esperienza che costò molto cara ad elementi del nostro gruppo, qualche “bravo ragazzo” che si fermò in stazione sino a notte inoltrata e compì qualche sciocchezza (prelievo di giornali impacchettati, in attesa di essere smistati). Cose tutto sommato innocenti, ma che ebbero importanti implicazioni giudiziarie.

E anche questo aspetto negativo ha contribuito a rendere indelebile un vecchio ricordo.

Mai avrei pensato che, a distanza di una quarantina di anni, avrei conosciuto e intervistato su di un palco Steve Hackett!

 


SET LIST 

Watcher of the Skies

Dancing with the Moonlit Knight

The Cinema Show

I Know what I Like

Firth of Fifth

The Musical Box

More Fool me

The Battle of Epping Forest

Supper's Ready

Bis: The Knife


Un mio caro amico e compagno di concerti, nonché batterista del nostro primo gruppo, Paolo Macchia, ha conservato il biglietto che io ho perso chissà dove.

Mi sembra un bel modo per tornare sull’evento.