giovedì 31 ottobre 2013

Eric Bibb-Jericho Road


Ogni volta che mi cimento nella descrizione di un album di matrice blues mi attanaglia una specie di soggezione legata alla paura di non riuscire ad estrarre ed evidenziare l’anima della proposta. Il blues è semplice, non richiede anni di conservatorio per un’espressione base, e spesso una vita è racchiusa in un solo accordo. Ed è proprio questo il problema, la sindrome di un mondo intero condensato in uno spazio limitato… e come si fa a raccontare? Come sottolineare i passaggi significativi? Ascoltare - e leggere - Jericho Road, di Eric Bibb non sfugge a questa regola, anzi, la amplifica. Tredici tracce, a cui aggiungere due bonus track, compongono l’ultimo album di un musicista “mito”, la cui discografia appare impressionante. L’unico modo che conosco per superare gli ostacoli è … ascoltare e trasferire su carta il mio feeling, in questo caso seguendo le liriche nel fantastico booklet allegato. Ed è proprio da questo che sono partito, come sempre, per cercare il fascino e le informazioni un tempo racchiuse nel vinile. Nasce così una possibile chiave di lettura che consente di poter apprezzare appieno il pensiero di Bibb: un ascolto strettamente legato al significato delle parole. Sembrerebbe una banalità, ma la fruizione della  musica non è poi così schematica come qualcuno vorrebbe fare credere. Che cosa è il blues? Come si è modificato nel tempo? Chi ha la patente per rappresentarlo? Basta avere la pelle scura e una chitarra per fare parte degli eletti? Oppure è necessario superare un limite di sofferenza? Discorsi per intellettuali imprestati al mondo musicale, ma se dovessi d’impatto fornire un giudizio su Jericho Road parlerei di una sorta di evoluzione verso la modernità, di un un modo di espressione più europeo, che non tradisce le motivazioni originali, ma prova a fornire un vestito differente, non necessariamente migliore, ma diverso. L'abito a cui mi riferisco è fatto di ritmi, di armonie, di vocalizzazioni, di soluzioni articolate, il tutto nel rispetto della tradizione. L’idea, forse balzana, di europeismo fornitami da questo nuovo disco è legata a sensazioni antiche provate nell’ascolto, ad un modo di suonare che ha a che fare con la mia adolescenza, quando musicisti come Clapton, Jagger e Richards rompevano gli argini e assumevano un ruolo al fianco dei maestri di sempre, assumendo una dignità sino ad allora impensabile. Ritorno alla lettura parallela al binario musicale. Eric descrive i suoi attimi di vita, i suoi ricordi e le sue esperienze; le sue citazioni, passando dalle parole alla musica, colpiscono come macigni, ricordando a tutti come la semplicità dei saggi possa essere espressa in poche “enormi” parole, e la chiara lettura della storia non abbia bisogno di vasta cultura scolastica per arrivare ad una comprensione corretta.
Il titolo, Jericho Road, ha un preciso significato, e riporta alla novella del Buon Samaritano, e alla figura di chi fornisce aiuto a chi ne ha bisogno, senza chiedere niente in cambio, perché … “ You cannot save yourself without saving others”. E’ questa l’anima di un album in cui Bibb ci spinge ad “avere cuore”, utilizzando il pensiero di Mandela, del Dalai Lama o di Maria Teresa di Calcutta per ricordarci i fondamenti… il rispetto della libertà altrui, l’amore insostituibile per la famiglia, l’inutile ricerca del successo a tutti i costi, la paura che rende stranieri uomini che dovrebbero essere fratelli. Eric Bibb si erge a involontario professore, e lo fa in modo autorevole, nell’unico modo possibile, raccontandosi e raccontandoci la sua visione del mondo attraverso suoni e musiche che probabilmente incanterebbero anche prive di liriche, ma a quel punto perderemmo una grande chance, una opportunità superiore al piacere di godere del talento di Bibb, quella di utilizzare il lungo lavoro di un musicista e di tanti suoi “amici” per soffermarci a riflettere e, forse, cambiare qualcosa nella nostra vita, perché la musica, certa musica, può fare miracoli. E forse sarà bene non dimenticare mai che “The time is always right to do what is right”!


martedì 29 ottobre 2013

Alberto Radius-Banca d'Italia, di Alessandro Leone


Alessandro Leone, di Progressive World, ha incontrato Alberto Radius in occasione dell’uscita del nuovo album “Banca d’Italia”. Nell’occasione Radius si racconta e descrive la genesi del nuovo disco, offrendo spunti che riconducono alla sua strepitosa carriera.

Ecco il risultato della lunga chiacchierata.




Stralci dal comunicato stampa ufficiale…

A distanza di otto anni dall’ultima sua pubblicazione discografica ecco nuovamente riaffacciarsi sulla scena musicale il mitico Alberto Radius, un artista senza tempo.Testi attualissimi (grazie al geniale intuito del compianto Oscar Avogadro), proposti anche da nuovi autori. Le composizioni, gli arrangiamenti e la realizzazione sono di forte impatto emotivo e curate con meticolosa attenzione da Radius, mentre la particolare voce che lo contraddistingue è poi la ciliegina sulla torta che impreziosisce questo lavoro. Uno scrigno da custodire nel tempo questo cd, pubblicato anche in vinile, che sigilla se ce ne fosse bisogno il grande talento di Alberto…. un’icona del nostro panorama musicale nazionale e internazionale. La produzione discografica è a cura di Beppe Aleo label manager di Videoradio, mentre la presentazione inserita sul cd e nell’Lp è stata redatta da Red Ronnie.


Biografia


Inizia la carriera verso la fine degli anni cinquanta in un gruppo chiamato White Booster e si trasferisce quindi a Milano dove suona con gli inglesi Simon & Pennies per passare poco dopo al gruppo Quelli dove è chiamato a sostituire Franco Mussida impegnato a svolgere il servizio di leva. Con questo gruppo, che poco dopo avrebbe cambiato il nome in Premiata Forneria Marconi, Radius incide le prime canzoni e sviluppa un suo personale modo di suonare la chitarra. Rientrato Mussida, Radius abbandona il gruppo e, su suggerimento dell'impresario Franco Mamone, forma con Tony Cicco e Gabriele Lorenzi la Formula 3. Dopo l'incontro con Lucio Battisti, il gruppo debutta con l'etichetta appena fondata dal cantautore, la Numero Uno, incidendo un brano dello stesso Battisti, Questo folle sentimento, che arriva al quinto posto della classifica dei singoli più venduti. Il primo album Dies irae è del 1970 ed è proprio il suono della chitarra di Radius a costituire la trama dell'album. Pur continuando a lavorare e a riscuotere successi con il gruppo, due anni dopo Radius incide il primo album da solista, Radius, cui contribuiscono alcuni celebri strumentisti della musica rock italiana degli anni settanta come Demetrio Stratos Giulio Capiozzo Patrick Djivas (che poco dopo daranno vita agli Area), Franz Di Cioccio e Giorgio Piazza della Premiata Forneria Marconi, Gianni Dall'Aglio e Vince Tempera. Nel 1974, dopo lo scioglimento della Formula 3, Radius - insieme a Mario Lavezzi, Vince Tempera, Gianni Dall'Aglio (ex Ribelli), Bob Callero e all'altro ex Formula 3 Gabriele Lorenzi- fonda un nuovo gruppo, Il Volo, prodotto dal duo Mogol-Battisti, che incide due album e che si caratterizza per le sonorità mediterranee. Dopo lo scioglimento de Il Volo, nel 1976, Radius incide il suo secondo album solista, Che cosa sei, che segna una svolta musicale nella sua carriera. L'anno dopo esce il suo album di maggior successo, Carta straccia, grazie soprattutto a Nel ghetto intenso brano rock. In contemporanea inizia un'intensa carriera di session man che lo vede al fianco dei maggiori cantanti italiani, spesso anche in veste di autore e produttore; nel 1978 apre anche un suo studio, lo Studio Radius, in cui inciderà i suoi album successivi. Nel 1986 costituisce il gruppo Cantautores con cui partecipa a varie trasmissioni televisive di revival musicale e con cui incide due album (Cantautores e La terra siamo noi) in cui convivono vecchi successi e nuovi brani. A cavallo tra gli anni ottanta e novanta partecipa al programma televisivo di Italia 1 Una rotonda sul mare, condotto da Red Ronnie, nella prima edizione come leader e lead guitarist per accompagnare i cantanti in gara e nella seconda edizione nella duplice veste di accompagnatore e di partecipante alla gara come membro del suo vecchio complesso Formula 3. Per ultimo doveroso ricordare che Radius ha contribuito nel suo studio alla realizzazione dei grandi successi di Franco Battiato(L'era del cinghiale bianco, Patriots, La Voce del Padrone, L'arca di Noè, Orizzonti perduti, Mondi Lontanissimi ecc.) e ultimamente ha collaborato anche con Gianluca Grignani.
www.videoradio.org

giovedì 17 ottobre 2013

Giorgio "Fico" Piazza presenta: "Vi suono una storia", ospiti Teocoli, Favalora e Lavezzi


VI SUONO UNA STORIA

CONCERTO-SPETTACOLO DI GIORGIO "FICO" PIAZZA

Milano, anni ’60, un pomeriggio di marzo in una strada della periferia, case popolari e piccole fabbriche.
Un ragazzo – poco più che un bambino – cammina reggendo una chitarra che ha appena ricevuto in regalo per il suo compleanno.  Un uomo lo ferma e gli chiede “Ma tu sai suonarla?”.
Inizia da lì il viaggio di Giorgio “Fico” Piazza - bassista ma non solo - attraverso la musica: I Quelli, Demetrio Stratos, la PFM, i dischi incisi con Lucio Battisti e con molti altri.
Questo spettacolo racconta - più con i suoni che con le parole - le storie e le canzoni di quegli anni, i ’60 e i ’70, i personaggi e gli incontri legati a quel mondo.  E di come dei ragazzi si sono inventati il rock progressivo italiano.
Insieme a lui sul palco, per raccontare, suonare e cantare quella storia, gli amici di allora e altri conosciuti lungo il cammino: Teo Teocoli e Pino Favaloro dei Quelli, Mario Lavezzi di Flora Fauna e Cemento e Il Volo, Saro de Cola e gli ARENA Rock Band. Anche il DuoIdea contribuirà - a suo modo - a ricordare le canzoni di quegli anni.

Vi suono una storia” il concerto
Martedì, 29 ott 2013
Alcatraz Milano, Via Valtellina 25, 20159 Milano, Italia
Apertura cancelli ore 19,30
Inizio concerto ore 21,00
* Vendita in cassa: € 18,00

PREVENDITE MyWayTicket http://www.mywayticket.it/event/3383/vi-suono-una-storia

I fondi raccolti verranno devoluti in beneficienza attraverso l'iniziativa "ROCK STOPS SLOT - CONTRO IL GIOCO D'AZZARDO" dell'associazione UN PONTE PER SESTO.


mercoledì 16 ottobre 2013

Aldo Tagliapietra-L'angelo rinchiuso



Capita raramente di dover parlare di un album fresco di nascita, ascoltato prima dal vivo e successivamente su formato fisico. Può accadere che nel corso di un tour  siano presentate delle anticipazioni in pillole, ma un album intero è cosa rara. A me non era mai successo, e descrivere “L'angelo rinchiuso di Aldo Tagliapietra, ascoltato in anteprima pochi giorni fa al Factory di Milano, diventa un'assoluta novità anche nella dinamica di valutazione.
Ecco cosa accadde al Factory:


Ritengo importante una considerazione di carattere generale.
Gli artisti del passato che hanno dato lustro al nostro rock sono più o meno in attività, ma vivono molto intensamente la fase live basata sulle costruzioni pregresse, mentre le nuove composizioni non sembrano oggetto di desiderio: ma i fan e gli ascoltatori la pensano in modo differente, ovviamente. Anche all'estero mi pare che le cose funzionino così. Non scendo nei particolari e nelle motivazioni di carattere economico commerciale, ma è un dato di fatto che di album  costituiti da brani inediti se ne vedono ormai pochini.
Aldo Tagliapietra si muove in controtendenza, sfidando ogni legge di mercato possibile: due album in due anni (e un libro biografico) sono la testimonianza di un'attività intensa che è rivolta al futuro, a dispetto dell'età che inesorabilmente avanza per tutti e che per lui pare un dettaglio. “Nella pietra e nel vento” ha rappresentato il primo passo, una risposta all'esigenza di fare emergere la spiritualità con cui Aldo ha sempre convissuto, una testimonianza dell'uscita totale e definitiva dallo schema “ORME” e una sorta di spartiacque tra la storia e ciò che ancora deve accadere.
Ma il DNA non si può modificare/cancellare, ed ecco che nell'anno della celebrazione quarantennale del capolavoro “Felona e Sorona” nasce un album di fervente stampo prog, con brani  che, privi di separazione, ritornano alla forma “suite”.
E' bene provare ad individuare le motivazioni di questa svolta, perchè credo esistano componenti psicologiche che, essendo indirizzate verso quello che io chiamo lo stato invidiabile della serenità, vanno rimarcate e utilizzate per generalizzare e... fornire positivi esempi concreti.
La voglia musicale che percepisco ascoltando L'angelo rinchiuso deriva essenzialmente da due situazioni. La prima ha a che fare con l'influenza che tre baldi giovani riescono ad esercitare su un mito che intelligentemente non si erge al di sopra delle parti, forte dello status di leggenda, ma comprende che la forza della gioventù (nel senso delle idee e della potenza fisica) va utilizzata e miscelata alla saggezza, all'esperienza, e semmai incanalata verso l'obiettivo prefissato. Andrea De Nardi, Matteo Ballarin e Manuel Smaniotto sono tre componenti dei Former Life e come tali vengono, anche, presentati on stage, ed è questo il classico esempio in cui il gioco di squadra fa emergere il lavoro di ogni singolo, anziché soffocarlo come molti pensano erroneamente. Sono bravissimi, non solo tecnicamente, e credo abbiano dato ad Aldo Tagliapietra, più o meno consciamente, il coraggio di osare, di spingersi oltre ogni più ambizioso obiettivo, mettendolo nella condizione ideale di creare un disco che è a mio giudizio tra i migliori realizzati in ambito prog e non solo.
Il secondo aspetto su cui mi soffermo è molto più intimo e non mi permetto quindi particolari “intrusioni”, ma l'essere stato negli ultimi tempi uno spettatore “ravvicinato”, mi porta ad evidenziare gli effetti benefici derivanti dal calore di una famiglia unita, che conosce un collante inscindibile, quello dell'amore che sovraintende ogni azione del quotidiano.

Parole e musica di Aldo Tagliapietra, per quaranta minuti di musica che colpiscono al primo colpo. La poesia ed il pensiero dell’autore si mischiano alle trame musicali tipiche del periodo del grande successo, concetto che tradotto per i più “giovani” sta a significare che gli arrangiamenti e l’utilizzo di strumenti vintage (hammond, mini moog…) sono il simbolo di un amore musicale antico che si fonde con la melodia - che diventa così elemento caratterizzante -, con il messaggio e con la timbrica vocale che nessuno può e potrà mai imitare.
In tutto questo vedo un forte link con la sempre attuale Felona e Sorona e con la band degli inizi, in uno spazio temporale lontano, in cui un giovane angelo rinchiuso poteva trovare conforto - e al contempo frustrazione - in una band di successo.
La “lettura” del lavoro altrui, soprattutto quando si commenta un prodotto musicale, si presta a differenti interpretazioni, e questo stimolo che spesso conduce all’errore resta comunque una reazione di cui tener conto, se espressa in modo onesto. Nella mia visione globale Aldo Tagliapietra si libera da ogni catena e vola senza paura, mettendo in mostra sentimenti e atteggiamenti che nella giovinezza sono spesso sinonimo di debolezza. Ma la maturità musicale e umana, unite al talento e alla capacità di esprimerlo, permettono ad Aldo di vivere una nuova stagione piena di luce, quel chiarore che spesso scema davanti alle delusioni che si susseguono, giorno dopo giorno.
Ne esce fuori il ritratto di un uomo che “viaggia nel tempo, prigioniero del vento”, la cui “ storia è scritta sul suo viso, negli occhi e nel sorriso”, un uomo capace di ascoltare i suggerimenti  di un angelo arrivato da mondi lontani, viaggiando in una notte carica di sogni.
Una citazione dovuta per Sergio De Nardi, presente alla tastiere in “Magnificat”, un amico che contribuisce a mantenere il bridge tra passato e presente.
Copertina affidata ancora all’amico Paul Withehead, un chiaro marco di fabbrica.
Da ascoltare… senza indugio alcuno!

Un frammento dell’album…




Tracklist: 1- Volatus; 2- L’angelo rinchiuso; 3- Dentro il sogno; 4- La fiamma; 5- Io viaggio nel tempo; 6- Riflessi argentati; 7- Storie; 8- Volatus reprise; 9- Passato e futuro; 10- Riflessi argentati reprise; 11- Una voce; 12- Magnificat




martedì 15 ottobre 2013

Gian Piero Chiavini e la collezione di statuine


Gian Piero Chiavini è un autorevole membro di ITULLIANS, il Fan Club che riunisce amanti della musica dei Jethro Tull, ma lo si può considerare un partecipante ”attivo”, perché il suo amore musicale ha trovato un felice matrimonio con una passione inusuale, quella di collezionista di statuine contenenti lo strumento “flauto”, cioè il link più ovvio con il MAESTRO Ian Anderson. La raccolta ha portato enormi frutti che hanno trovato importante evoluzione nel corso degli anni, ed ora G.P., ne sono certo, possiede un primato inattaccabile. Analogamente a quanto accaduto con Alessandro Gaglione, altro importante “collezionista tullico”, ho cercato di scoprire qualcosa di più sul passatempo di Chiavini, scavando in profondità per fare emergere elementi di tipo psicologico. Non so se ci sono riuscito, ma in ogni caso resterà la testimonianza di un uomo che possiede un amore sconfinato per la musica, capace di rischiare la galera e la donna del cuore per aggiudicarsi all’asta una statuina in scadenza in orario notturno… tutto da leggere!



L'intervista

Come nasce la tua passione per il collezionismo? La musica è stato lo spunto o un pretesto?
Credo di essere stato un collezionista “in pectore” fin da piccolo… mi ha sempre affascinato l’idea di una serie di cose anche molto diverse tra loro ma accomunate in un insieme da un unico denominatore. Concettualmente è il trovare una radice comune a tante diversità e, all’opposto, la meraviglia nel vedere come  una radice comune possa dare origine a tante diversità. Ho quindi sempre pensato di fare una collezione di un qualcosa, ma nulla mi stimolava particolarmente. Dovevo “sentire” che quella sarebbe stata la “mia” collezione, ma sono cose che non si pianificano razionalmente,  infatti la mia è nata in modo casuale e inaspettato ma tanto folgorante da farmi immediatamente dire “cavolo, come ho fatto a non pensarci prima? Eppure era così ovvio”. Iniziò tutto nella primavera del 2007 ad una fiera dell’artigianato ad Orbetello (Grosseto). Ho una vera passione per i mercatini, posso stare ore a guardare curiosamente tutte le più piccole cose esposte cercandone una che mi colpisca. In particolare sono appassionato di arte e religioni orientali per cui mi soffermai su una bancarella con le solite statuine banali che trovi dovunque. Ma tra queste mi colpì una scolpita in pietra rossa, molto ben lavorata con un soggetto assai familiare: era il Krishna flautista nella tipica raffigurazione con una gamba alzata.Cavolo”, mi dissi, “ma questo è Ian …”  sì, perché fin dall’età di 12 anni sono un fan(atico) dei Jethro Tull, di Ian Anderson e del suo flauto, che esercita su di me un fascino come il flautista di Hamelin sui bambini del paese. Ovviamente la comprai e tornato a casa la misi su uno scaffale vicino ad gruppo di statuette thailandesi musicanti … tra esse c’era un flautista! Ebbi un’illuminazione e corsi in camera delle mie figlie: per la Comunione di una di esse le bomboniere erano angioletti musicisti … c’era anche quello col flauto! Era iniziata la collezione! Direi quindi che la musica è stato lo spunto, il fattore scatenante, ma non la definirei un pretesto perché tale termine implica una decisione razionale a monte mentre, come ho detto, la mia è stata una folgorazione scatenata da una casuale interazione, in quel preciso momento, di due mie grandi passioni: quella musicale ben definita e quella non ancora focalizzata per le collezioni. Se la musica non è stata il pretesto cosciente per la mia collezione, è la collezione stessa ad esser diventata poi un pretesto per approfondire certi aspetti della cultura che sta dietro a molte statuine: il mondo delle porcellane, dell’arte orientale, di tradizioni popolari e religiose e così via.



Come ti muovi per consolidare la tua già fornita bacheca? Dove acquisti i tuoi pezzi?
In tanti modi, sia girellando per negozi e mercatini e sia tramite internet che è comunque come aggirarsi in un grande mercatino virtuale nel quale il muoversi non è così semplice e meccanico come sembra  ma,  oltre che enormemente più vasto, è ancora più difficile e stimolante dei mercati tradizionali dove trovi tutto esposto e basta solo guardare e scegliere: certo manca il fascino del tatto ma occorre saper trovare ciò che si sta cercando, attraverso la scelta di parole chiave anche in lingue diverse, in siti diversi e con diverse opzioni di ricerca.



Qual è stata la tua più grande soddisfazione in veste di collezionista?
La soddisfazione è già nel vedere tutte queste statuine di forme, dimensioni e colori diversi che mi circondano e “mi guardano”. Ma le soddisfazioni vere sono altre: le mie figlie che mi prendono scherzosamente in giro per questa “fissazione” e poi invece quando andiamo insieme in negozietti o mercatini fanno a gara tra loro, senza dirmi nulla, per trovarmi una statuina.  Oppure quando qualche mio paziente, che conosce questa mia “insana” passione, torna da un viaggio e mi porta una statuetta in regalo. Addirittura uno di essi, a Bali, non trovando nulla se ne fece fare una appositamente per me da un artigiano del luogo.



Esiste un pezzo a cui sei più legato?
No, non credo di essere legato particolarmente ad un pezzo piuttosto che ad un altro. Certo, le statuine regalatemi dalle figlie e dal mio “aspirante genero” oppure dagli amici hanno un valore sentimentale particolare, mentre un’altra è stata l’inaspettata causa del sorgere di una bella amicizia seppur solo virtuale: un angioletto di Capodimonte che acquistai da Patrizia, una ragazza simpaticissima e gentilissima che vive negli USA ma originaria di Genova,. Da allora,visto che certe cose sono disponibili solo per il mercato statunitense, e’ iniziata una simpatica collaborazione con lei che mi fa, come le dico scherzando, da “pusher” per cose altrimenti per me inarrivabili. Grazie Patry ! Per il resto, molte sono indubbiamente delle vere e proprie opere d’arte in miniatura ed è un piacere guardarle ed apprezzarne la pregevole fattura. Per contro altre, specie i primi acquisti quando ancora non pensavo che esistessero così tante e diverse statuette col flauto traverso per cui compravo quasi di tutto, sono abbastanza banali e direi addirittura anonime ma questo lo dico adesso, perché per allora erano comunque emozioni ed in ogni caso il ricordo di quei primi tempi pionieristici e naif è ancora molto bello.  Direi insomma che sono legato a tutte le mie statuine seppur per motivi diversi, sia nel loro multiforme insieme sia ricordando una per una come e dove le ho trovate e le emozioni nell’averle poi in mano e nel sistemare ognuna di esse vicino alle altre. E’ un po’, se mi si passa l’irriverente paragone, come avere intorno tanti figli e godere sia dell’idea di famiglia che apprezzare i singoli pregi ed i particolari ricordi legati ad ognuno di loro.



E’ una passione costosa la tua?
In genere una collezione è abbastanza costosa, quantomeno se si calcola la somma totale di quanto si è speso per ogni singolo pezzo. Uno psichiatra potrebbe individuare nel collezionista un aspetto patologico, una sorta di mania, di dipendenza dal desiderio di possesso ed un atteggiamento ossessivo-compulsivo nell’irresistibile pulsione nel ricercare e comprare un oggetto per la propria collezione. In realtà il vero collezionista è assai equilibrato nello scegliere ogni pezzo, diventa pian piano un esperto negli aspetti afferenti all’argomento della collezione,  sa valutare esattamente se il determinato oggetto merita o meno di essere acquistato e non fa mai acquisti avventati tantomeno dal punto di vista economico. Nella mia collezione comunque, essendo estremamente eterogenea cioè non facendo distinzioni di origine, tipo e materiale di fabbricazione dei pezzi, vi sono cose certamente abbastanza costose (netsuke giapponesi, porcellane tedesche o di Capodimonte e della Lladro, pezzi in giada e avorio, cristalli di Swarowsky) ma anche con valore assolutamente irrilevante come gnomi e fatine in resina, soldatini e gadgets in plastica e cose simili. In ogni caso, se volessimo valutare razionalmente questo aspetto, potremmo anche sostenere che si tratta di un investimento perché alcune cose, ad esempio pezzi d’antiquariato in porcellana pregiata, hanno un valore commerciale che con il passare del tempo aumenta. In altri casi capita che il valore aumenti considerevolmente se si riesce a completare una serie: per esempio sono riuscito a trovare, dopo documentazioni e ricerche, uno per uno tutti e cinque gli M&M’s flautisti di diverso colore di una serie di pocket prodotti solo nel 2009 e solo per il mercato francese. Acquistandoli separatamente è stata una spesa irrisoria mentre adesso l’intera serie ha un discreto valore nel mondo del collezionismo. Ovviamente si tratta in ogni caso di un valore intrinseco e teorico perché di sicuro non rivenderò mai nulla!


Puoi raccontare qualche aneddoto significativo legato alla tua raccolta?
Beh, si … mi vergogno un po’ a raccontarlo ma comunque è assai divertente. Era una notte d’inverno del 2007, alle 4.00 scadeva l’asta in eBay per una statuina alla quale tenevo tantissimo, ma ero a dormire dalla mia compagna e poiché non aveva la connessione Internet avevo portato il pc usando il cellulare come router. Mi svegliai mezz’ora prima della scadenza ed accesi il computer ma la connessione andava e veniva finché dopo vari tentativi fu impossibile connettersi. In un attimo presi la decisione: corsi in camera, svegliai la mia compagna dicendole che dovevo urgentemente correre a casa mia: ovviamente si preoccupò  pensando che stessi male: quando le spiegai frettolosamente il motivo mi tirò dietro un giustificatissimo vaffa. Uscii di corsa dopo essermi messo solo i calzoni del pigiama, in ciabatte, barba lunga e capelli  spettinati ed infilai in macchina per precipitarmi a casa.  Devi sapere che abito proprio nel centro del paese sopra al mio ambulatorio, ma confidavo che a quell’ora la piazza fosse deserta e infatti c’era solo un’auto parcheggiata a fari spenti. Corsi in casa e riuscii finalmente a connettermi, mancava solo un minuto alla fine dell’asta ma ce la feci e mi aggiudicai l’agognata statuina. A quel punto però c’era ancora il problema di uscire di nuovo per tornare dalla mia compagna: socchiusi il portone sbirciando nella piazza: nulla, tutto tranquillo, ancora solo quella macchina a fari spenti. Entrai in auto, accesi il motore e i fari … e l’altra macchina accese i fari anch’essa, partii piano piano e l’altra macchina si mise anch’essa in moto e mi seguì. Ad un certo punto mi superò e dal finestrino uscì un braccio con una paletta facendo cenno di fermarmi. Si avvicinò al finestrino uno con la divisa dei carabinieri, mi guardò esterrefatto e sospettoso…  posso immaginare quello che pensò vedendo, alle 4.30 di una fredda notte d’inverno, uno scemo a torso nudo, spettinato e barba lunga… almeno fosse stato uno della caserma del paese, mi conoscono tutti e sarebbe finita in una risata, macchè era del comando provinciale! Mentre il carabiniere ancora mi guardava senza il coraggio di fiatare, sicuramente incerto se spararmi subito o prima chiamare il 118, cercai di tirar fuori tutto il meglio della mia faccia tosta: “ Salve” gli dissi “la prego di non farsi ingannare dalle apparenze, sono un medico del paese e sono dovuto correre d’urgenza in ambulatorio per prendere una medicina per mia figlia che ha una colica addominale”. Quello continuò a guardarmi poi, con un filo di voce mi disse “E’ sicuro di non aver bisogno di aiuto?”, “No grazie” gli risposi  ”stia tranquillo, è tutto a posto, dovrei solo tornare di corsa a casa, buonanotte e buon lavoro”. Si allontanò senza dirmi altro ed io ripartii con un sospirone di sollievo ed il cuore che batteva a tremila. Altro vaffa dalla mia compagna quando rientrai in casa sua e mi infilai a letto … irripetibili i suoi commenti della mattina quando poi le raccontai tutto.



Che cosa vuol dire raggruppare ed esporre piccole rappresentazioni di Ian Anderson in forme differenti? E’ il contributo alla causa della musica? L’immaginare IL RE in modi differenti? Il sentirsi ancor più parte di un mondo che si ama profondamente?
Come ti ho detto, non so per quale inconscio motivo (forse freudiano?)  il flauto esercita su di me un fascino irresistibile, pensa che il mio primo folgorante impatto audio-visivo con questo strumento usato nel rock fu all’età di 12 anni vedendo a Sanremo (!) i Delirium di “Jesahel”, solo dopo e di conseguenza ho conosciuto i Jethro Tull. Il vedermi adesso circondato da una miriade di piccoli esseri flauteggianti è come essere immerso in un mondo fantastico, una sorta di “Paese delle Meraviglie”, le loro forme e i loro colori così variegati d’altronde ben si accordano con la musica dei Jethro Tull e di Ian Anderson, così multiforme e ricca di elementi derivati da tanti stili diversi. Inoltre, da quando ho conosciuto il fan club Itullians e sono entrato a far parte di questa specie di grande famiglia ho sempre avuto il desiderio di fare qualcosa per la “causa tulliana” invece che esserne soltanto uno spettatore passivo. Non so suonare nessuno strumento, non scrivo se non per me stesso ed in ambiti ristretti, ho organizzato qualche evento musicale ma sempre a livello paesano ….. questa collezione mi da l’illusione di aver fatto qualcosa di veramente mio in questo mondo nel quale ho trovato splendidi amici e persone stupende. Le volte in cui ho avuto modo di esporre la mia collezione (in veste di mostra fotografica perché sarebbe impossibile trasportare gli originali per la loro fragilità) è stata per me una gioia non narcisistica ma, se vogliamo, altruistica e cioè dimostrare agli altri, che in modo enormemente più impegnativo e complesso si dedicano al mondo tulliano, che  non sono soli e che anch’io seppur nel mio piccolo ed in modo naif  “dò una mano” alla causa della nostra musica. Per questo il mio inconfessabile sogno (che sto in realtà confessando) è quello di mostrare la mia collezione a Ian Anderson in persona: non certo per fargli vedere quanto sono bravo o quanto sono belle le mie statuine, ma per fargli omaggio, per dimostrargli che se al mondo oltre a milioni di persone che ascoltano la sua musica o che la ripropongono nelle cover band, c’è anche uno scemo che un giorno ha deciso di dedicargli la propria collezione … beh, significa che è davvero un musicista speciale. Confesso che una “prova” l’ho fatta quando alla Prog Exhibition di Roma nel 2010 incrociai Thjis van Leer e gli feci vedere le immagini dei miei flautisti che ho nel cellulare: rimase stupefatto e incredulo, saltò  dalla gioia, mi abbracciò, mi dette la sua e-mail perché gli mandassi qualche foto. Certo Ian non sarebbe così espansivo, credo farebbe uno dei suoi enigmatici sorrisi e poi se ne andrebbe, ma sarei felice lo stesso perché sicuramente una particella infinitesimale di soddisfazione sarebbe penetrata attraverso la sua apparentemente coriacea scorza.






lunedì 14 ottobre 2013

OTEME-Il Giardino Disincantato


Stefano Giannotti è un artista attorno al quale ruota il progetto OTEMEun gruppo musicale che ha da poco rilasciato Il Giardino Disincantato”, un album che vede la luce dopo una lunga preparazione, contenente alcuni brani realizzati da oltre venti anni. Lo scambio di battute permette a Stefano di soddisfare qualche ovvia curiosità, mia e del potenziale lettore, ma soprattutto di delineare e chiarire un quadro abbastanza complesso se non si possiede la  giusta chiave di lettura.
L’Osservatorio delle Terre Emerse (OTEME) è un ensemble aperto, dinamico, focalizzato su quella che è definita Musica Contemporanea. Rimanendo in superficie possiamo tracciare una definizione legata al concetto di cultura avanzata e innovazione, avanguardia, perlustrazione ed utilizzo di vari linguaggi, fuga dalla semplicità a favore della ricerca - armonica, ritmica e compositiva. Ma certe immagini, applicate all’ascolto, possono risultare fuorvianti se non esiste preparazione adeguata, col rischio di perdere tracce di una musica che a mio giudizio non ha bisogno di alcuna etichetta: l’ascolto senza pregiudizi potrà riservare molte sorprese.
Questo suggerimento di approccio fa si che all’interno de Il Giardino Disincantato si possano trovare momenti di facile assimilazione - fatto non scontato, la metabolizzazione musicale riguarda ogni genere e ogni livello qualitativo -  e altri più complessi, tra rock, atmosfere cantautorali, etnia e contaminazione - riconoscibile o supposta -, con un racconto del quotidiano che si è soliti afferrare e accettare dalla musica “imposta”, e che diventa esperimento, novità e valore aggiunto quando arriva da chi decide di utilizzare la strada delle composizioni di assoluto impegno.
La lettura della strumentazione, visibile in parte a fine post, fornisce un indirizzo che per gli addetti ai lavori è più facile cogliere, una sintesi/traccia che stimola a proseguire nella conoscenza.
Si prende in mano il CD e prima dell’ascolto lo si legge nei dettagli, lo si sfoglia alla ricerca di immagini e crediti, si cerca di “annusarne” l’atmosfera e ci si prepara allo start up. E’ questa una condizione privilegiata di cui non tutti sentono la necessità, perché la  musica  - è questo il mio personale punto di vista - ha una forte componente istintiva, irrazionale, e diventa spesso uno spartito chiarissimo per chi non sa leggere una sola nota; Il Giardino Disincantato ha un po’ questa caratteristica, con una apparente - solo apparente - contraddizione che fa si che ciò che è sempre stato descritto come dedicato ad una elite di persone sia in realtà adatto ad ogni tipo di orecchio, purchè ci si trovi al cospetto di sensibilità personale e quindi virtuosismo ricettivo. Il lavoro di OTEME è realmente complicato, nella costruzione, nella scelta e nel lay out propositivo, ma diventa facilmente fruibile per chi si pone con semplicità nella condizione di ascoltare, facendo un piccolo sforzo per entrare in linea con una filosofia musicale e di vita che Giannotti e amici propongono… l’intervista sarà quindi un buon aiuto e potrà svolgere un piccolo ruolo preparatorio verso il contatto musicale.
Una vera sorpresa, per me, la musica di OTEME!



L’INTERVISTA

Partiamo da qualche delucidazione necessaria per chi non conosce te  e la tua musica: perché OTEME e che cosa racchiude “Il Giardino Disincantato”?
OTEME (Osservatorio delle Terre Emerse) nasce come un gruppo di amici e collaboratori a cui affidare le mie partiture ed i diversi progetti legati alla musica da camera, ma non solo. L'idea è quella di un ensemble a struttura variabile, dove si possano sperimentare contaminazioni varie fra musica contemporanea colta, canzoni, teatro musicale ed altro. E' anche un laboratorio dove confluiscono professionisti e studenti che vengono formati alla musica contemporanea.
IL GIARDINO DISINCANTATO sintetizza la mia visione globale della musica contemporanea. Una forma musicale compatta ed omogenea dove la canzone d'autore si incontra con Stravinski e Feldman, rock atonale e funky prendono a braccetto Steve Reich, il banjo collabora con il corno inglese... 

Al di là delle definizioni, potresti sintetizzare il progetto OTEME, raccontandone l’evoluzione?
Nel 2010 ho pensato che era tornato il momento di dedicarsi ad alcune partiture rimaste ferme da diversi anni, e ad un ciclo di canzoni che avevo iniziato nel 2002. Visto che avere esecuzioni da gruppi già esistenti è come scalare l'Everest a mani nude, ho pensato che era il momento giusto per radunare vecchi amici e al tempo stesso formare alcuni studenti a quel tipo di lavoro. Dopo un primo concerto, dove il nome non era stato ancora deciso, incontro Catherine Costanza, editrice  francese che ci propone un cd per la sua casa Edd Strapontins. Il progetto prende forma velocemente e diventa OTEME, ovvero un osservatorio su zone musicali inusuali, isole, terre emerse nel mare dell'omologazione. La lavorazione del CD è stata lunghissima e zeppa di difficoltà, ma anche di grandi soddisfazioni; e soprattutto è stata per tutti una grande scuola di vita, oltre che professionale.

La musica, la poesia, la pittura… espressioni differenti che possono trovare un unico e soddisfacente contenitore: pensi che il pubblico medio sia pronto? Che occorra sempre rivolgersi ad una nicchia  o che sia comunque stimolante l’elemento didattico e la diffusione del verbo musicale?
La nicchia esiste perché è voluta dall'alto. La cosa più difficile è riuscire ad arrivare ad un divulgatore di contenuti. Se i contenuti li divulghiamo noi, porta a porta, i contenuti arrivano e la gente reagisce (in genere positivamente, comunque è già positivo che la gente reagisca). Le persone sono pronte ad ascoltarti se le prendi per mano e le guidi. Questo sposta la nostra conversazione su di un altro piano, sveglia purtroppo un morto nell'armadio; cosa è successo alla cultura in Italia in questi ultimi venti anni di politica scellerata? E nel mondo? Parlando di società in generale, è successo che le grandi multinazionali hanno prodotto sistemi sempre più veloci che hanno succhiato come vampiri la capacità di attenzione e concentrazione delle persone; in questo modo abbiamo riempito  il nostro quotidiano di dati, spesso inutili, e non c'è più tempo di ascoltare, di fermarsi; i ragazzi a cui insegno musica non hanno tempo perché quando non stanno davanti al cellulare frequentano corsi su corsi, dal nuoto alla danza, dalla piscina al trinity, senza imparare un granché; alcuni studiano con la televisione accesa ed il cellulare davanti: nel mio piccolo sto cercando di educare la gente alla calma e ad ascoltare di nuovo. Educare alla riflessione. Al gioco. E non accontentarsi di ciò che si raggiunge senza fatica, immediatamente. Ti sembrerà strano, ma IL GIARDINO è solo una delle tante piccole pietre che dovrebbe avere una funzione educativa alla riflessione. La battaglia è persa in partenza, ma almeno ci si prova.

Sei il titolare del progetto OTEME, da dove nasce la tua passione per la musica?
La passione per la musica nasce quando nasci; si rivela presto e cresce con te, al punto che ti ammaleresti se tu non la praticassi. Impari ben presto che la musica è una sposa ideale, che non ti tradisce mai se non la tradisci, che ti perdona sempre se la curi, e soprattutto, il suo grande valore educativo sta (come quando vai in montagna) nel fatto che sei tu a regolarne l'andamento; se le dai, lei ti dà. Sempre. Ho cominciato ad inventare melodie quando ero piccolissimo. All'età di 10 anni immaginavo opere cantate da me su di un palco, con un gruppo formato da molti musicisti, una piccola orchestra rock; venivamo dallo spazio, ma la gente non lo sapeva, eravamo approdati in una grotta. Poi ad 11 anni, in prima media sono andato a lezione di chitarra e non ho più smesso di suonare. All'età di 20 anni avevo già realizzato 20 nastri di musiche mie, organizzati come concept album. Ho cominciato l'attività concertistica professionale con un trio di chitarre classiche e mi sono iscritto al conservatorio a Composizione. Dopo 10 anni mi sono diplomato, ma ero già inserito da diversi anni nel circuito della musica sperimentale.

Nell’album esistono tracce create nel passato, rimodernate dopo differenti passaggi evolutivi: come è avvenuta la scelta?
I brani più vecchi sono TEMA DEI CAMPI, più o meno del 1988 e BOLERO (Terre Emerse) del 1994. Entrambi i pezzi mi piacevano molto, ma non trovavo la via di crearne versioni definitive. A volte suonavamo TEMA DEI CAMPI con l'Ensemble IL TEATRO DEL FARO, ma i concerti erano sporadici, e in studio prediligevo materiali più sperimentali, visto che mi addentravo sempre più in ambiti di performance, radio, teatro musicale ecc. Ho perso il conto di quante versioni ho realizzato di molti pezzi, senza avere mai la possibilità di sentirne le esecuzioni (d'altra parte questa era paradossalmente una fortuna, perché le rarissime volte che qualcuno suonava la mia musica autonomamente, cioè senza che io seguissi i lavori, tali esecuzioni erano orribili). Per le canzoni il discorso è più delicato; impiego moltissimo tempo a realizzare una canzone, perché quando la propongo al pubblico voglio che il brano suoni allo stesso livello di un pezzo di musica contemporanea; vedi, sono cresciuto in un'epoca in cui se ti muovevi nella musica contemporanea non potevi scrivere canzoni, altrimenti ti tacciavano subito di banalità; in età giovane questa chiusura culturale mi ha influenzato perniciosamente, ed ho cominciato a pensare ad una canzone su cui nessuno potesse disquisire dal punto di vista del valore. Cioè la canzone doveva essere elevata al rango di musica contemporanea. Oggi questo problema non esiste più (e comunque il risultato è che in molti casi la musica contemporanea è stata abbassata al rango di canzonetta, esattamente l'opposto di ciò che volevo).

Possibile fornire un peso alle liriche ed uno alla musica nel tuo concetto di composizione, in funzione della creazione di un messaggio preciso?
Musica e liriche si muovono su piani paralleli. Sono parole e suoni, che poi si combinano secondo leggi contrappuntistiche. In entrambi i casi mi piace l'imprevedibilità dell'andamento, pur mantenendo una certa omogeneità di fondo. Ma tutti i miei lavori, anche quelli più sperimentali, senza l'impiego dei testi, parlano di relazioni, di quotidianità, di cicli vitali, di paesaggio, di linguaggi, contengono molta ironia e molta matematica. Direi che sono specie di viaggi geografici interiori; certo è che spesso associo le armonie (quasi sempre prevalenti sulle melodie) a paesaggi, a strutture di paesaggi, elementi di base, cioè punti, linee, geometrie semplici, stasi e movimento, ordine e disordine. E questo avviene anche nei testi, dove rappresento situazioni della vita quotidiana, le combino liberamente, spesso togliendole dal loro contesto usuale, le osservo con humour, malinconia, dolcezza, estraniamento, aggressività. Insomma in altre parole non so se esista un messaggio, ma sicuramente questi brani vogliono rappresentare il reale su di un piano metaforico.

Il Giardino Disincantato” è un concept album?
Forse no... l'80% dei miei lavori sono specie di concept album; mi riferisco alle opere per la radio tedesca, dove in qualche modo rappresento storie o concetti attraverso i suoni e le parole. Per il GIARDINO non saprei. Non c'è una storia, ma ci sono immagini che tornano a volte da un brano all'altro. Il fango (Per mano conduco Matilde, Sopra tutto e tutti), i campi, l'acqua, le memorie...

Come si muove OTEME in fase live? Esiste interazione con l’audience?
OTEME si muove con serietà ed ironia al tempo stesso. L'uso che facciamo degli strumenti è parecchio intrigante per il pubblico, che non è abituato a sentire oggetti sonori accostati a strumenti classici, in ambito pop e cantautorale. Non è abituato a sentire un'arpa suonata con lo slider, ed un carillon a scheda perforata; Nemmeno a sentire un corno inglese al posto del sax. E' un po' come elaborare De André attraverso Cage e il Novecento classico. Si crea dunque molto silenzio e attenzione. Ogni tanto ci sono trovate curiose, come la bottiglietta di plastica che soffia su DITE A MIA MOGLIE, o il sifone del WC suonato a mò di tablas nel progetto LOMAX; allora scappa qualche risata, subito lasciata a metà, perché il brano prende una direzione imprevedibile, magari incredibilmente seria e monumentale. Cerco di portare il pubblico lentamente ad una specie di catarsi, e per fare questo a volte racconto storie fra un brano e l'altro, e le racconto non in maniera teatrale, ma proprio rivolgendomi agli ascoltatori direttamente, cercando di farli partecipi con aneddoti, ricordi, sprazzi di nonsense.

OTEME è un ensemble dinamico: quanto conta l’amicizia e l’armonia quando si ha chiaro un obiettivo da raggiungere?
Conta moltissimo, perché se ci basassimo solo sui soldi non potremmo combinare alcunché. Si deve imparare a collaborare in maniera disinteressata. Allora i progetti si caricano di grande valore anche a prescindere dai risultati.

Qual è il tuo giudizio sull’attuale stato della musica, tra talento, business e web?
Manca il tramite fra noi ed il pubblico. Manca chi si rimbocca le maniche ed investe soldi sulla qualità. Prodotti buoni ce ne sono, ma non riescono a venire fuori perché manca la figura del produttore. Oggi fenomeni pionieristici come i PINK FLOYD dell'epoca, o come 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO sarebbero impensabili. Sperimentazione finanziata ad alti livelli non ce n'è più nel campo del pop, tanto meno nella musica contemporanea. Centri di ricerca se ne trovano in Germania e Austria (penso ad ARS ELECTRONICA o alle radio di stato tedesche) ma si parla di altri generi o discipline. Internet non solo non risolve il problema, ma non lo tocca minimamente. Internet esiste anche a prescindere dal problema, forse ne è la causa, fatto sta che se metto un video buono su youtube fra milioni di video spazzatura ho lo stesso problema che se non ce lo mettessi. Perché in realtà mancano personaggi che facciano ciò che hanno fatto Tony Stratton Smith con i Genesis, Tony Visconti con Bowie e (leggete bene) i  Gentle Giant (gruppo allora molto sperimentale). In particolar modo in Italia, oltre a queste carenze si deve aggiungere che mancano insegnanti preparati al contemporaneo in termini di cultura; il problema è gigantesco ed è molto sfaccettato. Se non si educano i bambini al contemporaneo quando cresceranno non sapranno cosa farne (a parte cercare di fare soldi facilmente), troveranno ostica ogni forma d'arte contemporanea e non produrranno più cultura, ma solo intrattenimento. E così via, la catena si guasterà e tutti ne avranno svantaggio.

Quale potrebbe essere un progetto che ci terresti a realizzare nell’immediato futuro?
Quando sarò grande vorrò cimentarmi nella creazione di un film come  BARRY LINDON. Manie di grandezza e scherzi a parte, in realtà ho talmente tanti interessi che qualsiasi progetto che mi piace lo vedo realizzabile. Fra i prossimi progetti ci sarà addirittura un Western radiofonico per la radio tedesca. Ho però un'urgenza pratica, e questa è la più impellente: dare una forma ad OTEME, una struttura che ci consenta di fare qualche concerto e magari iniziare a preparare un nuovo album,  da pubblicare, chissà,  fra un paio di anni. Cioè non svegliarsi subito dal sogno in cui viviamo; poter continuare ancora un po'.


Line-up di OTEME nel Giardino Disincantato:

Stefano Giannotti: voce, chitarra classica, chitarra elettrica, banjo, componium, teponatzli, armonica, metallofono.
Valeria Marzocchi: flauto, ottavino, voce.
Nicola Bimbi: oboe, corno inglese.
Lorenzo Del Pecchia: clarinetto, clarinetto basso.
Maicol Pucci: tromba, flicorno.
Valentina Cinquini: arpa, voce.
Emanuela Lari: piano, tastiere, voce.
Gabriele Michetti: basso, contrabbasso, voce.
Matteo Cammisa: batteria, xilofono, timpani.

Biografia tratta dal Comunicato Stampa

OTEME (Osservatorio delle Terre Emerse) nasce nel 2010 a Lucca per opera del compositore e performer Stefano Giannotti. L’obiettivo è la creazione di un ensemble da camera per interpretare composizioni che partano dalla canzone d'autore inglobando molteplici contaminazioni, come la musica classica contemporanea, l'art-rock, la sperimentazione sonora, il teatro musicale. Più che un gruppo, OTEME si configura come un laboratorio aperto con un nucleo fisso di musicisti ed alcuni collaboratori che possono cambiare di volta in volta a seconda dei progetti.
Alcune delle principali influenze includono David Sylvian, Igor Stravinskji, Art Zoyd, Penguin Cafè Orchestra, Fabrizio De André, King Crimson, Lucio Battisti, Frank Zappa, Magma, John Cage e Morton Feldman.
Dal 2011 al 2012 OTEME, in formazione di 9 musicisti, è occupato nella realizzazione del disco d’esordio Il Giardino Disincantato, che esce nell’autunno del 2013 per la casa editrice francese Edd Strapontins, con distribuzione internazionale Ma.Ra.Cash. Sempre nel 2013, OTEME in versione trio ha realizzato il Progetto Lomax in U.S.A. per lo Spazio Performativo ed Espositivo (SPE) della Tenuta dello Scompiglio (Lucca), presentando una serie di arrangiamenti di brani popolari americani fra folk, country e blues rivisitati in chiave contemporanea.
Attualmente OTEME è impegnato nella realizzazione di un’opera radiofonica firmata da Stefano Giannotti dal titolo Bürotifulcrazya, prodotta per la Deutschlandradio Kultur di Berlino.