mercoledì 30 aprile 2014

E' uscito MAT2020 di Aprile


E’ da oggi online il numero di Aprile di MAT2020.
Qualche nuova entrata tra i collaboratori occasionali porta una ventata di opinioni fresche, anche se chi le propone ha esperienza da vendere, come il giovane Jacopo Muneratti,  che si addentra nel mondo di Captain Beefheart, e il saggista Innocenzo Alfano, che ci racconta l’ultimo libro di Mox Cristadoro, I cento migliori dischi del progressive italiano.
Ritorna Claudio Milano che descrive l’album di OTEME, mentre Gianmaria Consiglio propone l’intervista realizzata con Sophya Baccini.
A proposito di botta e risposta, è con grande piacere che ritroviamo un mito televisivo di qualche anno fa, più che mai sul campo, Gianni De Berardinis, così come va sottolineato lo scambio di battute con Andrea Ferrante.
La sezione live è ridotta, ma di estrema qualità, per effetto del racconto di Alberto Sgarlato del concerto dei Camel, che mantiene comunque viva la sua rubrica mensile.
Tra quelli che non mollano mai possiamo ancora inserire Mauro Selis, titolare del “Prog del Sud America” e della sezione “Psicology”, Riccardo Storti, che rivista Alberto Radius, Fabrizio Poggi, titolare dell’angolo blues, e Gianni Sapia che sviscera l’opera prima di Marcello Faranna.
Per il side “Nuovi Album”, MAT2020 propone il nuovissimo Passio secundum Matthaeum, The Complete Work, dei Latte Miele.
E poi ancora qualche news… il cammino di Muovi La Musica, il progetto St'Art e i Glad Tree di Marcello Capra.
Per quanto riguarda il Tour Dates di Zia Ross, è ormai consolidata l’uscita sul blog di MAT2020 (http://mat2020.blogspot.it/), che ha ormai superato le 12000 visite dopo pochi mesi di vita.
Un instancabile lavoro fatto di passione quello di MAT, con la certezza di creare qualcosa che resterà nel tempo. 

MAT2020, IL WEB MAGAZINE FREE





martedì 29 aprile 2014

Gran Torino-“Fate of a Thousand Worlds”


I Gran Torino propongono un secondo album, dopo l’esordio del 2011 con “grantorinoProg”.
Sono passati un paio di anni - l’uscita è di alcuni mesi fa - ed ecco l’evoluzione, “Fate of a Thousand Worlds”, prodotto dall’etichetta MUSEA.
La musica contiene in se il concetto di viaggio; è unica la sua capacità di esser mera compagnia, che ci scegliamo a completo piacimento, così come appare elemento essenziale per i nostri journeys mentali, attraverso ere, spazi, stagioni, stili… si ritorna bambini o si fa il passo opposto, estremo, basta decidere.
Il viaggio è anche il tema del nuovo lavoro dei Gran Torino, che nell’occasione dipingono gli accadimenti di Velasquez, un uomo dotato di enormi poteri a cui è stata affidata una missione, quella di conquistare tutti i pianeti dell’universo, azione che provoca un aumento di energie derivante dalla distruzione di tutto ciò che si trova davanti. Ma è un uomo triste, capace di sconfiggere chiunque, ma impossibilitato nel comunicare. E nel suo iter distruttivo il dialogo interno cresce, e il vuoto che lo attanaglia trova un po’ di pace solo per un attimo, quando incontra l’amore, su un pianeta appena scoperto. Sarà però un breve momento perché un allarme improvviso lo porterà lontano, ad una distanza di sicurezza, e da quella posizione potrà osservare l’esplosione che solleciterà la sua memoria: era quello il suo pianeta, distrutto alla sua nascita. Non solo un viaggio nello spazio quindi, ma anche nel tempo, in un percorso fatto di solitudine e tristezza, immerso in un mare di stelle.
Il racconto è di Paolo Gadioli, e il significato appare spaventosamente attuale, se solo si riesce a focalizzare l’attenzione sull’incapacità tipica della nostra epoca di tessere relazioni corrette, immersi come siamo nella tecnologia che ci aiuta solo nell’invio del messaggio, senza che resti mai il tempo e la voglia di attendere una risposta, incapaci di chiudere il cerchio; evoluzione, potenza, ed energia, in questi giorni - e in questo racconto musicato - trovano un unico sinonimo: isolamento.
Questo piccolo riassunto era necessario, perché la proposta dei Gran Torino è strumentale, e per entrare in sintonia con chi ha creato musiche riferite ad uno svolgimento letterario, creandone quindi la colonna sonora, occorre un minimo di informazione di base.
I titoli da soli non bastano per raccontare una storia, ma unendo le varie componenti - tra cui  lo splendido art work tipicamente seventies - il profumo del disco cresce lentamente.
I sistemi utilizzati per comporre sono molteplici, ma credo che provare a tradurre i pensieri e le immagini in una musica che possa dare significato coerente, senza utilizzo di liriche, sia atto complicatissimo, carico di responsabilità, ma affascinante.
Cinquantatrè minuti, suddivisi su dieci tracce, sono quelli che servono a questa giovane band per compiere… la loro missione.
Vediamo i loro nomi e ruoli.
Alessio Pieri  alle tastiere, Fabrizio Visentini Visas  al basso, Gian Maria Roveda alla batteria e Leonardo Freggi alle chitarre.




L’idea di passare messaggi importanti senza l’utilizzo di testi è ambiziosa, ma la scommessa appare vincente.
Dal sito di riferimento si apprende come le esperienze passate siano state molto varie e diverse per i singoli componenti, e l’attuale formula appare quindi come la migliore sintesi possibile, che ha come zoccolo duro il rock, ma che recupera la difficoltà esecutiva della musica progressive prima maniera, non sfociando mai nell’autoreferenzialità e nella bellezza superflua, ma ricercando uno stile personalissimo fatto anche di melodie capaci di sposarsi ad una potenza fuori dalla norma.
La sfida è forse proprio questa, il tentativo di inventare il nuovo attraverso l’antico, filtrato dal vissuto e dalla didattica, che evolvono di pari passo e hanno anche a che fare, anche, col DNA, e quindi col talento.
Non c’è tregua, non c’è sosta, solo un attimo intimistico dedicato ad  “Arida”, ma il sound è potente, almeno quanto Velasquez, il ragazzo delle stelle.
Abbastanza facile e usuale appiccicare un’etichetta e un nome di approssimazione, ma onestamente non riesco, in questa occasione, a fornire immagini chiare che riportano al conosciuto, e credo sia questo un primo successo per i Gran Torino, immersi in una nicchia musicale che potrebbe dare loro grandi soddisfazioni. E anche questo è da considerarsi un viaggio…
La musica proposta a fine post permetterà di delineare meglio il quadro che ho provato a descrivere.

Le tracce…
1. Child of the Stars (6.46)
2. Absolute Time (5.17)
3. The Battle of Velasquez (5.23)
4. Dead Suns (6.25)
5. The Fog of Time (5.36)
6. Empty Soul (5.07)
7. Arida (4.24)
8. The Short Dream (5.22)
9. End of a Planet (5.50)
10. Fate of a Thousand Worlds (4.40)




lunedì 28 aprile 2014

NOT A GOOD SIGN


E’ da qualche mese uscito l’omonimo album di esordio di NOT A GOOD SIGN.
Mi sono avvicinato all’ascolto con un po’ di inconsueta - per me - titubanza, legata ad un giudizio di un autorevole musicofilo che, presente ad un live, mi raccontava di un estremo tecnicismo che poteva essere apprezzato… ma anche no!
E parto col dire che al primo giro di giostra ho trovato un album gradevole, il cui ascolto non richiede lo sforzo che spesso deve compiere l’addetto ai lavori quando si impone di arrivare alla fine di qualcosa che risulta da subito ostico; certamente un disco complesso nella struttura, ma decisamente coinvolgente, e alla fine si trova l’immediata spinta verso un ascolto successivo.
Non è poco… esistono album a cui non si regala una seconda chance.
Veniamo ai dati oggettivi.
Il progetto nasce in casa AltrOck, l’etichetta di Marcello Marinone, che assieme a Paolo SkeBotta e Francesco Zago - membri Yugen - inventa una nuova pista di lavoro, un nuovo sentiero su cui sperimentare.
Botta e Zago si mettono al lavoro nel 2011 e la band trova la completezza nel 2012, quando si uniscono Alessio Calandriello e Gabriele Guidi Colombi (La Coscienza di Zeno-CdZ), e il drummer Martino Malacrida.
E così nasce il team, due diramazioni che si fondono e sintetizzano le esperienze precedenti. Il concetto di gruppo aperto e dinamico - Yugen - trova dei paletti entro cui muoversi, annettendo una filosofia musicale più tradizionale, ben praticata dai membri della  C.d.Z., e in questo mix di know how nasce una forma espressiva internazionale, con una bella sorpresa, quella del cantato inglese di Calandriello, che conoscevo come singer nella sola versione nostrana. Personalmente credo che l’idioma inglese sia il più calzante per qualsiasi produzione all’interno della famiglia del rock.
Vediamo nel dettaglio la formazione e gli ospiti che hanno partecipato alle registrazioni:

Line up

Paolo «Ske» Botta, keyboards
Alessio Calandriello, vocals   
Gabriele Guidi Colombi, bass 
Martino Malacrida, drums
Francesco Zago, guitars

Fotografia di Enrico Rolandi


Guests

Maurizio Fasoli, grandpiano (Yugen)
Sharron Fortnam, vocals (North Sea Radio Orchestra, Cardiacs)
Bianca Fervidi, cello

Cinquanta minuti di musica suddivisi su nove tracce:

Track list

ALMOST I (6.37)
ALMOST2 (3.12)
NOT A GOOD SIGN (7.54)
MAKING STILLS (6.43)
WITCHCRAFT BY A PICTURE (7.37)
COMING BACK HOME (5.52)
FLOW ON (6.07)
THE DEFEANING SOUND OF THE MOON (4.33)
AFRAID TO ASK (3.08)

Le creazioni strumentali - Almost I, Making Stills e Afraid to Ask - si alternano a quelle cantate, ma ciò che a mio giudizio emerge è un utilizzo della vocalità il cui obiettivo primario non è il passaggio dei messaggi, ma il fornire una forma espressiva supplementare, integrata alla perfezione con le trame musicali.
Discorso a parte per Witchcraft by a Picture, che presenta un forte contrasto tra la durezza del rock proposto e una sezione sognante, legata al testo del poeta inglese  John Donne - vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600 - e alla soave voce di Sharron Fortnam. Nell’occasione troviamo un altro Yugen, Maurizio Fasoli al piano, e Bianca Fervidi al violoncello.
L’atmosfera generale, un po’ dark, riporta alla genialità dei seventies prog, con una buona commistione tra classico e rock, con una perizia tecnica di livello superiore, e variazioni ritmiche complicate ma avvolgenti. Feeling che spazia da Fripp ad Hammill, ma con l’idea fissa di sperimentare, di trovare alternative, di far evolvere un genere che ha un suo pubblico ben preciso, che attende sempre nuove soluzioni. E questo team sembra costruito apposta: un obiettivo, un deciso lavoro di squadra e una missione da compiere, possibilmente divertendosi.
Raccontavo inizialmente come NOT A GOOD SIGN sia un esordio discografico, concetto che racchiude in se un’immagine associabile all’inesperienza e ad un lungo percorso da vivere giorno dopo giorno: che il sentiero sia lungo e da esplorare è auspicabile, ma le idee e i talenti di questi musicisti sono notevoli, decisamente di livello superiore.
Una bella scoperta, un album da ascoltare a mente aperta, possibilmente anche dal vivo, e le occasioni di certo non mancheranno.

Domenica 18 Maggio i NAGS suoneranno al FIM (Fiera Internazionale della Musica), Genova, all’interno del Prog Riviera Festival.




domenica 27 aprile 2014

Roberto Gatto in concerto


Classe 1958, Roberto Gatto è uno dei più importanti batteristi jazz (ma non solo) in Italia, ha iniziato la sua carriera con il Trio di Roma insieme a Danilo Rea ed Enzo Pietropaoli, per poi sviluppare una vita musicale intensa e dalle tante sfaccettature. 

Le collaborazioni che hanno segnato la carriera di Roberto Gatto sono molte, passando per Pat Metheny, Billy Cobham, Enrico Pieranunzi, John Scofield e George Coleman, giusto per citare alcuni importanti nomi della scena jazzistica internazionale. Gatto ha avuto anche modo di lavorare in generi che esulano dal jazz, trovando ottimi successi anche insieme a nomi quali Mina, Ivano Fossati, Gino Paoli, Ornella Vanoni, Riccardo Cocciando o Ennio Morricone.

Il 10 maggio prossimo, nella splendida location di Musica Nuova a Genzano di Roma Roberto Gatto si esibirà in una strepitosa masterclass. L'evento avrà un costo d'ingresso di 20€ ed inizierà alle ore 19:30. Le prevendite sono già aperte e la prenotazione del proprio posto è consigliata. Lasciamo di seguito tutte le informazioni ed i recapiti di riferimento per l'evento.

Ore 19:30 
Ingresso € 20,00
Info e prenotazioni 06 41229745
Prevendita Via Carlo Arturo Jemolo 119 Roma




Biografia: 
Nato a Roma il 6 ottobre 1958, il suo debutto professionale risale al 1975 con il Trio di Roma (Danilo Rea, Enzo Pietropaoli). Ha suonato in tutto il mondo e l'Europa con i suoi gruppi e con artisti internazionali. Oltre a una ricerca timbrica raffinata e una tecnica perfetta, i gruppi sotto il suo nome sono caratterizzate da un calore che è peculiare cultura mediterranea.Questo rende sicuramente di Roberto Gatto uno dei più interessanti batteristi e compositori in Europa e nel mondo. 
Lui è sicuramente il più famoso batterista italiano all'estero, che vanta importanti collaborazioni con artisti all'interno e all'esterno del mondo del jazz. Molte sono le sue collaborazioni come sideman: Chet Baker, Freddy Hubbard, Lester Bowie, Gato Barbieri, Kenny Wheeler, Randy Brecker, Enrico Rava, Ivan Lins, Vince Mendoza, Kurt Rosenwinkel, Joey Calderazzo, Bob Berg, Steve Lacy, Johnny Griffin, George Coleman, Dave Liebman, Phil Woods, James Moody, Steve Grossman, Lee Konitz, Barney Wilen, Ronnie Cuber, Sal Nastico, Michael Brecker, Jed Levy, George Garzone, Tony Scott, Paul Jeffrey, Bill Smith, Joe Lovano, Curtis Fuller, Kay Winding, Albert Mangeldorff, Cedar Walton, Tommy Flanagan, Kenny Kirkland, Stefano Bollani, Mal Waldron, Ben Sidran, Enrico Pieranunzi, Dave Kikosky, Franco D'Andrea, John Scofield, John Abercrombie, Billy Cobham, Bobby Hutcherson, Didier Lockwood, Richard Galliano, Christian Escoudé, Joe Zawinul, Bireli Lagrene, Palle Danielsonn, Scott Colley, Eddie Gomez, Giovanni Tommaso, Paolo Damiani, Emmanuel Bex, Pat Metheny, Adam Rogers, Rita Marcotulli, Niels Henning Pedersen, Mark Turner, Lew Tabackin, Chris . Potter, Mike Moreno, Dado Moroni 
Come leader, ha registrato molti album: Notes, Ask, Luna, Jungle Three, Improvvisi, Sing Sing Sing, Roberto Gatto gioca Rugantino, Profondo, trappole, Gatto, Stefano Bollani Gershwin e di più, A Tribute to Miles Davis Quintet, Omaggio al Progressive, The Music Next Door, Roberto Gatto Lysergic Band, Remebering Shelly. 
Nel corso degli anni, ha composto musica da film, creando insieme a Maurizio Giammarco la colonna sonora di "Nudo di donna" per la regia di Nino Manfredi , e in collaborazione con Battista Lena le colonne sonore per i film "Mignon e Partita", che ha ottenuto cinque David di Donatello, "Verso sera" e "Il grande cocomero", tutti diretti da Francesca Archibugi. 
Nel 1983 era il numero uno in la rivista mensile Fare Musica sondaggio come miglior batterista italiano. Nel 1983 e nel 1987 con il gruppo Lingomania lui era il vincitore sondaggio Top Jazz della rivista Musica Jazz nella categoria miglior gruppo. Nel 1988, 1989, 1990 è arrivato primo nella categoria batterista dei "suoi preferiti" Guitar Club sondaggio. Nel 2007, 2009 e 2010 è stato votato come thebest batterista Jazz sondaggio Musica. Nel 1993 ha realizzato due video didattici "Batteria vol. 1 e 2 ". E 'stato il direttore artistico del Jazz in progetto progresso al Teatro dell'Angelo di Roma. Per oltre dodici anni ha insegnato batteria e musica d'insieme ai seminari di Siena Jazz. Ha frequentato Santa Cecilia Conservatoryin Roma e il Conservatorio di L'Aquila. È titolare della cattedra di batteria jazz al Conservatorio S. Cecilia di Roma.


venerdì 25 aprile 2014

Wegg Andersen e i Led Zeppelin


Questo post mi da l’occasione di raccontare cose musicalmente importanti, con qualche documento significativo, reperti che tanto appassionano chi segue la musica da sempre, e ha qualche anno sulle spalle.
Un piccolo passo indietro.

Era il 14 luglio 2012 e i TRIP, freschi di reunion, tornavano dopo una qurarantina d’anni a suonare nel luogo che aveva visto l'inizio del loro periodo luminoso, la Liguria.
L’Auditorium “Enrico Simonetti” di Alassio fu in quell'occasione testimone di un concerto emozionante, una location a pochi passi da Cisano sul Neva, entroterra di Albenga, dove la band ha vissuto per molto tempo.
Una festa macchiata dalla prematura e recente scomparsa del bassista Wegg Andersen, cofondatore del gruppo assieme a Joe Vescovi. E proprio a lui era stata dedicata la serata, superando il mero ricordo, tanto che la sua presenza era quasi tangibile.
Grande stupore quando Joe, dal palco, legge il testo di una mail, un pezzo di carta arrivato direttamente dalla Svizzera attraverso la famiglia Andersen, presente all’evento. Nelle poche righe qualche espressione formale, di circostanza, ma testimoniante un legame sopravvissuto al passare del tempo. E’ Jimmy Page che scrive, e si scusa per non poter essere presente all’avvenimento. Jimmy Page? Accidenti caro Wegg, mica un legame da ridere!

Ieri, 23 aprile 2014, ho chiuso il cerchio, nel senso che ho capito che il legame tra Led Zeppelin e Wegg Andersen non era poi così formale.
Una sua amica di sempre, Mirella Carrara, ed un amico più recente, Stefano Mantello, sono alla ricerca di materiale per ricordare la storia dei TRIP, attraverso documentazione e fotografie varie. Tra le tante cose mi mostrano un ticket che riporta ad un evento che ben conosco:
La reunion dei Led Zeppelin avvenuta a Londra qualche anno fa - con il giovane  Bonham al posto del padre, dietro ai tamburi - riproposta successivamente in contemporanea in molte sale cinematografiche di tutto il pianeta.

Location: O2 Arena
Città: Londra
Data: 10 Dicembre 2007
Motivazione: tributo ad Ahmet Ertgun a distanza di un anno dalla morte
Musicisti: Paolo Nutini, Foreigner, Paul Rodgers e Rhythm Kings di Bill Wyman
Star della serata: Led Zeppelin

Tutto esaurito per un giorno che si aspettava da tempo, due ore di musica, 20000 presenti a fronte di un milione di richieste, sedici fra le loro canzoni più famose.

Setlist
1. Good Times Bad Times 
2. Ramble On 
3. Black Dog 
4. In My Time of Dying 
5. For Your Life 
6. Trampled Underfoot 
7. Nobody's Fault But Mine 
8. No Quarter 
9. Since I've Been Loving You 
10. Dazed And Confused 
11. Stairway To Heaven 
12. The Song Remains The Same 
13. Misty Mountain Hop 
14. Kashmir 
Encore: 
15. Whole Lotta Love 
16. Rock'n Roll



Per chi non lo ricordasse Ahmet Ertegün, assieme al fratello Neshui, fu uno dei fondatori dell’Atlantic Records; negli anni 60 fu scopritore di talenti del calibro di Led Zeppelin e YES. Fu lui a convincere Crosby, Stills e Nash ad accogliere nella loro formazione Neil Young, così come riuscì a convincere Mick Jagger a far distribuire alla Atlantic i dischi prodotti dall'etichetta indipendente dei Rolling Stones, la Rolling Stones Records.

Che c’entra questo con Wegg Andersen?
Il biglietto che mostro a seguire è stato inviato a Wegg dai Led Zeppelin, che lo hanno invitato per l’occasione storica.


Rapporto formale? Niente affatto, un sentimento consolidato, nato nei primi anni ’70, racchiuso in uno stralcio di ticket che riporta dati oggettivi e interessanti, così come colpisce la reazione di Wegg che scrive di suo pugno un commento.
A seguire qualche altro ritaglio di quei giorni, per rivivere con la memoria una serata a cui tutti avremmo voluto partecipare, ma concessa a pochi. Wegg era tra questi!



Un ringraziamento a Mirella Carrara e Stefano Mantello per la documentazione messa a disposizione.






martedì 22 aprile 2014

Museo Rosenbach-Live in Tokyo



Per anni si è parlato del capolavoro prog Zarathustra e di chi lo realizzò, il Museo Rosenbach. Opera prima e unica - sino alla recente reunion - era considerato un caposaldo del genere, e ha assunto maggior quota col passare del tempo, dopo aver superato qualche iniziale “falso” problema ideologico inventato, da terzi, ai danni della band.
E poi accade che si ritrova lo spirito per ricominciare, spinti da tante motivazioni di natura diversa, così come sono tante, probabilmente, quelle che avevano stoppato l’inizio di una promettente carriera musicale.

Il sunto è che, in un paio di anni, lo sviluppo discografico prende una via inaspettata, e di fatto nei primi sei mesi del 2013 gli appassionati e seguaci del prog si ritrovano tra le mani ben due album: Zarathustra, Live in Studio, rivisitazione del disco del ’73, e Barbarica, un album nuovo di zecca che sancisce la rinnovata voglia di proporre immacolate creazioni, con una formazione che, come vedremo, miscela l’originale al nuovo.

Per chi fosse interessato ecco qualche nota relativa alle due uscite precedenti:


http://athosenrile.blogspot.it/2013/01/museo-rosenbach-zarathustra-live-in.html

http://athosenrile.blogspot.it/2013/06/museo-rosenbach-barbarica.html

 

Ma ciò di cui parlerò oggi è qualcosa di diverso, che non necessita di particolari considerazioni dal punto di vista dei contenuti, perché una performance live va trattata per quello che è nella sua natura, e anche se è obiettivamente impossibile captare l’esatta atmosfera del momento, se non si è presenti, alcuni particolari indicano la piena riuscita di una serata probabilmente storica, memorabile per chi aspettava il Museo da una vita, e altrettanto per la sezione primitiva della band, riconoscente per il costante supporto. E credo indimenticabile anche per i più giovani componenti, pronti a tuffarsi nella storia.
Ma di cosa sto parlando?
L’aprile 2013 ha visto lo start up dell'Italian Progressive Rock Festival, realizzato al "Club Citta'" di Kawasaki, a Tokyo. Da quel contenitore sono scaturiti album legati ai Maxophone, al Rovescio della Medaglia, ed ora il “Live in Tokyo” del Museo Rosenbach ci riporta alla registrazione del giorno 26.
Quasi un atto dovuto verso un pubblico che, seppur distante, non ha mai abbandonato la band, nonostante la produzione limitata. Il “seppur distante” ha oggi ben poco valore, ma se si pensa a cosa poteva essere la diffusione delle informazioni, tre o quattro decenni fa, qualche riflessione va fatta.
Live in Tokyo” è la perfetta sintesi di una vita di musica.
Doppio CD che simbolicamente potrebbe rappresentare il lato A e il B di un vinile, con una prima parte dedicata in toto a Zarathustra, e la seconda alla più recente Barbarica. Di questo ultimo album fa parte anche Fiore di vendetta, che è l’unico brano che è stato registrato al Rosenhouse Studio il 10 Febbraio 2013, ed è presentato come bonus track.
Accennavo prima a come un disco dal vivo debba essere considerato secondo canoni differenti rispetto all’originale in studio. I significati sono già noti, ed è più interessante capire le analogie, le sfumature differenti, le innovazioni da palco e il coinvolgimento dell’audience: in uno studio di registrazione, potenzialmente, tutto è possibile, ma la prova live non mente. Esiste poi nello specifico il problema della lingua, perché se è vero che il linguaggio di Albione è il denominatore comune (ma in ogni caso il cantato non permette di capire al volo) l’idioma utilizzato dalla band è quello italiano (e non potrebbe essere diverso, vista l’importanza delle liriche proposte), una lingua impossibile per un popolo orientale.
Eppure dall’ascolto emerge l’alchimia, l’atmosfera, il feeling tra i due poli, opposti solo per posizione all’interno del club.
Il sound appare potente, una solida base per il racconto vocale di Stefano “Lupo” Galifi, ed il susseguirsi degli episodi di Zarathustra fanno sorgere nell’ascoltatore un piccolo grande rimpianto, quello di aver perso una vita di possibili perle musicali, rimaste colpi in canna di una pistola poco usata, ma sempre efficiente, come gli attuali accadimenti dimostrano.
Certamente gli innesti giovano, la nuova linfa cresce mentre aiuta a rigenerare quella più matura, ma ciò che interessa al fruitore musicale è il risultato, che in questo caso ha valenza superiore al normale disco.
Provo a disegnare il percorso: una musica antica (a cui sarebbe impossibile dare un’età) si siede accanto ad un’altra appena realizzata, e l’ampio spazio temporale si annulla, tanto che, se non lo si dichiarasse, verrebbe da pensare ad una normale consequenzialità evolutiva.
E i protagonisti sono anch’essi bilanciati: gli originali Stefano “Lupo” Galifi (voce solista), Giancarlo Golzi (batteria) e Alberto Moreno (tastiere) interconnessi con Fabio Meggetto (tastiere), Sandro Libra (chitarra), Max Borelli (chitarra e voce) alle chitarre e Andy Senis (basso).
L’entusiasmo del popolo giapponese - ma vale anche per altri paesi dell’estremo oriente - per la musica progressiva italiana è sorprendente, e la loro curiosità verso il nuovo fa il paio con la perfetta conoscenza del pregresso, e immagino quindi la soddisfazione provata dal Museo Rosenbach nel corso dell’esibizione. Certo è che il positivo della serata è rimasto racchiuso in questo Live in Tokyo che mi pare sia al contempo un testamento e una dichiarazione di intenti per il futuro.
Sono certo che tutto ciò è molto chiaro alla band e quindi la marcia continuerà, non solo difendendo nello scrigno il masterpiece anni’70, ma anche preparando nuove creazioni e nuove possibilità di incontro col pubblico.
Un album che non può mancare nelle raccolte degli amanti della buona musica.
Da non dimenticare che il progetto, analogamente ad altri già citati è da attribuire all’etichetta Immaginifica by Aereostella (distribuzione: Self/Pirames International).


CD1
Intro/Dell'eterno ritorno
Degli uomini
Della natura
Zarathustra:
-L’ultimo uomo
-Il re di ieri
-Al di là del bene e del male
-Superuomo
-Il Tempio delle Clessidre

CD2
La coda del diavolo
Abbandonati
Il respiro del pianeta
Il re del circo
Fiore di vendetta (Bonus track)




domenica 20 aprile 2014

Blues



Ogni volta che imbraccio una chitarra mi viene da svisare, alla ricerca di qualche passaggio blues. Ciò non significa che io sia autorizzato a farlo, che la mia abilità e le mie competenze siano quelle giuste, ma perché usare il freno? Avrà pure un significato preciso il gesto d’impulso e quindi… lascio che sia l’istinto a guidarmi.
Ho conosciuto molti uomini di blues, e ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie cosa accade a Beale Street, nella calda Memphis. Ma è in Italia che ho scoperto qualcosa di più. Il mio avvicinamento al mandolino e ai sui molteplici impieghi, mi ha portato alla conoscenza di un bluesman italiano famoso negli States, Fabrizio Poggi. Partecipare ai suoi concerti significa anche ricevere in dono perle di saggezza che riguardano le nostre esistenze. Deve avere sofferto molto, Fabrizio, perché è scandito nella pietra l’assioma “No pain… no blues”, niente blues senza sofferenza, e se tanto mi da tanto…
Un giorno lo sentii dire al pubblico, nel corso di una performance:”… venite avanti…non abbiate timore, la differenza tra me e voi è solo nella posizione, uno di fronte ad altri!”. Ma tutto ciò presuppone che esista sempre e comunque della musica.
In uno dei tanti fatti casuali quotidiani, favoriti enormemente dalle nuove tecnologie, ho elaborato una teoria che dona significato al blues, senza obbligatoriamente rifarsi alle note e agli strumenti che le generano.
Un tempo diventai “americano”, nel senso lavorativo del termine, e ciò  provocò un difficile mutamento nelle abitudini, essendo d’obbligo un adeguamento culturale. Uno dei primi risvolti riguardò un’ossessionante e capillare condivisione delle informazioni, anche le più insignificanti… share it!
Curiosa fu però la mail che trovai un mattino: recava in oggetto la parola “blues”. Blues? E che c’entra col lavoro?
Dopo la prima lettura niente era chiaro. Non era la traduzione della lettera che complicava le cose, ma il soggetto, talmente inusuale che… sembrava impossibile, così come non era chiaro, inizialmente, l’obiettivo e lo stato d’animo dello scrivente. 
Ciò che propongo a seguire è una cosa inedita, mai pubblicata, mai musicata, mai cantata in pubblico; eppure un americano, uno del posto, con radici profonde su quella terra, non ha esitato nel chiamarla “blues”, essendo il suo un grido di dolore e di forte delusione. L’uomo in questione era appena stato licenziato e da li a poco avrebbe intrapreso un viaggio che, dall’Ohayo lo avrebbe portato in Florida. Il suo ultimo pensiero era stato quello di far sapere a tutti i colleghi attorno al mondo che lui era ferito, perché licenziato, e che avrebbe urlato il suo dolore (e forse curato qualche ferita), creando un testo che per lui era blues, e lo avrebbe cantato durante il suo lungo tragitto. Blues come sofferenza. Blues come pianto. Blues come speranza. Anche senza musica.
E chissà che a qualcuno, leggendo queste righe, non venga in mente qualche strana idea!

Ain’t gonna sing the blues no more…

There is a train running through my brain
An acid reflux in my trout
It makes me wanna vomit
I feel I’m gonna choke
My mind won’t turn-off
To let me sleep
I feel so helpless I want to weep
But I ain’t gonna sing the Blues no more
Uncle Owens gave me the boot
They say I cost them quite a lot
The projects they gave me are all wrong
Because they take to long
To reach the commercial stage
And by-the-way
I should be more positive
But I ain’t gonna sing the Blues no more
It may not be fair
It may not be SMART
To expect the Sales
Before the programs start
But it’ s the new way
You find in the USA
elimination, for better said:
But I ain’t gonna sing no Blues no more…
My darling wife tells me:
“God will provide for you and me
You have a whole year to think an decide
You have been lamenting day and night
It’s time for a different song
The next chapter won’t be wrong
Is yet to be written you know
Yes, but I still feel a rolling stone
I am not sure what to do
But I ain’t gonna sing the blues for two
Some gave me scorn
For not being re-born
But this white two-headed eagle
Is not a parrot or a sea-gull
The cage they said was gold
Is really solid brass, so cold
Finally, it opens
And I am free
To be the best Drago
I could possibly be
So, I ain’t gonna
Sing the blues no more
What’s coming in 2008?
The bean counters will not hesitate
To rootlessly cut costs, big and small
For the benefit of a few
Not for all
I wish you well in this rumble
‘Cause I do not want the stock to tumble
But if it does, it’s only money
Which we will find quite funny
Let’s not sing the Blues no more…
There will be no party
Perhaps not even a cake
Recognition is slow to come of late
For 30 years and 210 days
The millions this old solder made
For the only company he ever knew
Not many of us old timers left
Just a few…
But I ain’t gonna sing the blues no more…
No more BB, Eric or Stevie Ray
Or Balasevic to make me cry
To all of you I say good-bye
With a tear in my eye
But my pink heart beats so strong
For a happier song – My friends, so long…