Mentre
sta per partire il primo tour dal 2007, i Genesis
pubblicheranno la raccolta "The Last Domino?"che uscirà nelle versioni doppio CD e quadruplo
vinile.
In
Gran Bretagna sarà disponibile a partire dal 17 settembre, mentre negli Stati
Uniti dal 19 novembre.
La
band comunica ufficialmente: “Quando Tony Banks, Phil Collins e Mike
Rutherford hanno annunciato l’evento, il tour si è trasformato in uno dei più
venduti dell'anno.
Avrà
inizio il 20 settembre con due serate alla Birmingham Utilita Arena e suoneranno
un totale di 16 spettacoli nelle arene del Regno Unito, seguiti da un tour
nelle arene del Nord America.
"The
Last Domino?" è il compagno perfetto per il tour. Include 27 brani
selezionati con la band e la maggior parte verranno eseguiti durante il tour; è
un pacchetto che rappresenta il loro incredibile viaggio dall'essere una delle
band pioniere del rock fino al successo globale che li ha visti suonare in stadi
sold-out in tutto il mondo per decenni.
Il
set presentato su quattro vinili è proposto in una confezione cartonata
apribile come un libro, che include immagini rare e inedite della band dal loro
archivio e immagini delle prove del 'The Last Domino? Tour'.
L'evoluzione
dei Genesis è unica; il loro suono si è sviluppato e progredito durante la loro
carriera con molteplici variazioni di formazione nei primi anni.
La
line-up formata da Tony Banks, Phil Collins e Mike Rutherford ha preso forma
nel 1976”.
Il batterista degli Iron
ButterflyRon Bushiè mancato all'età di 79 anni
Il gruppo ha confermato la
morte di Bush in un post su facebook il 29 agosto. Sebbene la causa della morte
non sia stata ancora determinata, pare che lottasse da tempo contro una
malattia incurabile.
"Il nostro amato
batterista Ron Bush è morto pacificamente, con al suo fianco la moglie Nancy,
al Santa Monica Hospital il 29 agosto alle 12:05 p.m" - comunica la
band -,tutte
e tre le figlie erano con lui. Era un vero guerriero.
Dal 1968 al
1975, la band pubblicò sei album, e Bushi fu l'unico membro del gruppo ad
apparire in tutti e sei.
Nel 1968 furono
pubblicati l’album di debutto degli Iron Butterfly, “Heavy”, e il famoso
“In-A-Gadda-Da-Vida”. La title track di quest'ultimo diventò un successo
mondiale e il disco raggiunse la quarta posizione nella classifica Billboard
200.
Imperdibile l’assolo
di batteria di Bush.
“In-A-Gadda-Da-Vida”
ha venduto più di otto milioni di copie nel suo primo anno negli Stati Uniti.
Bushi si era
ritirato dalla musica a tempo pieno nel 2010.
Quando ho appreso
della prematura dipartita di Alberto Gaviglionon sono rimasto sorpreso, sapevo della sua malattia,
ma a certe perdite non ci si riesce ad abituare, anche se, come nel nostro
caso, il rapporto personale era di relativa recente costruzione,
paradossalmente legato alla fine della Locanda delle fate e all'epilogo del 2017.
Da allora sono
rimasto in contatto con lui e ho seguito alcuni suoi passi, rivedendolo dal
vivo col fido Luciano Boero nel corso di una esibizione ligure nell’agosto del 2019.
Ma i ricordi personali non mi sembravano adeguati per una ricostruzione fedele dell’uomo e
dell’artista, qualcosa che gli rendesse il giusto merito, e nell’immediato la frase
sintetica più rappresentativa l’ho catturata dal suo stesso pensiero:
"Architetto
per necessità, Musicista & Autore per vocazione".
Ho quindi pensato
di lasciare il passo a chi con lui ha vissuto e mi sono rivolto all’amico - di
entrambi - Boero, che oltre ad essere un grande musicista è scrittore, ed è stato il collante che ha permesso di far nascere e
coltivare un progetto durato 40 anni.
Ma i rapporti
personali non vanno mai in pensione, a discapito dell’età che avanza e
dell’evoluzione della vita.
Luciano ha
accettato di buon grado il mio invito - come da sempre fa - e mi ha inviato il
suo toccante mood a caldo.
Non mi sono quindi
accontentato della dichiarazione ufficiale a seguire, ma ho cercato la
profondità che è frutto di un percorso fatto fianco a fianco, condividendo
gioie e dolori, sino alla fine:
“Dopo lunga malattia, ieri sera Alberto ci ha lasciati. Con lui se ne
va il musicista, ma soprattutto l’amico che ha contribuito a realizzare il
sogno di sette ragazzi: uno dei più apprezzati album prog dei ‘70. Sua l’invenzione
delle lucciole, suoi quasi tutti i testi. Che tu possa, Alberto, continuare a
inventare favole volando su quei prati della fantasia dove, grazie a te, le
lucciole vivranno per sempre".
Ecco come
Luciano si rivolge al suo amico Alberto…
MENTRE VOLI
IN ALTO
(lettera
all’amico Alberto Gaviglio)
“Mentre voli
in alto, in braccio a comete venute per te…”
Non son passate ventiquattr’ore
dall’ultimo saluto e già mi tormenti per le frasi che avrei potuto dirti e che invece
non ti ho detto. Ultimo saluto per modo di dire, tra l’altro, perché mentre
fissavo quello scrigno di legno che ti racchiudeva, già lo sentivo vuoto. La
tua presenza l’avvertivo ormai eterea e fluttuante oltre i bei coppi d’argilla
del quartiere romano della tua Acqui.
Ne hai fatto di casino. Hai
radunato tanta bella gente. Persino ex locandieri scomparsi da anni
dall’orizzonte ottico. Ne sono stato oltremodo felice.
Per non parlare poi dei social,
dove ancor ora ti starai stupendo di quanta popolarità godessi.
“Siamo due gemelli separati
alla nascita”. Me l’hai detto tu infinite volte quando scoprivamo per
l’ennesima volta che nelle questioni più disparate avevamo lo stesso punto di
vista, che entrambi avevamo avuto un trascorso giovanile impastato con gli stessi
tormenti, le stesse emozioni.
Anche l’aspetto religioso ci ha
sempre visto collimanti: entrambi agnostici. Non atei, giammai. Ateismo è presunzione,
assoluta certezza al pari della fede. Tutti e due col rammarico di non essere
riusciti a trovare il bandolo che portasse illuminazione alle domande senza
risposta.
Ti ho sempre detto che ti
invidiavo il testo di Molecole, che in punta di piedi muoveva un passo
nell’infinito alla ricerca di Dio.
“Molecole
di Dio
Nell’universo,
nell’eternità
Dai
nostri sogni sparsi in tutti gli angoli
Al
grande volo verso l’aldilà…
Molecole
di noi
Noi
che facciamo la Sua volontà
Noi
particelle micro-indispensabili
Del
gran disegno che Lui solo sa…”
Ne parlavamo sovente, di queste
cose ed altre, nella telefonata del lunedì pomeriggio, che per me coincideva
col momento in cui la lavasciuga sfornava il bucato. Col telefono nella tasca
posteriore, indossati gli auricolari, era un piacere stirare parlando con te del
più e del meno.
Sì, è vero, si partiva sempre con
l’acciacco del giorno, ma non durava tantissimo. Era facilissimo slittare su
altri argomenti. La musica in primo piano. Magari annunciavi la nascita
dell’ultima creatura, il brano “perfetto” - lo facevi spesso -, quello che
avrebbe scalato le classifiche di mezzo mondo. Mi leggevi la frase “clou”,
quello che in gergo chiamavamo slogan, quello che, se non c’è, il tuo testo rimane
anonimo e non “funziona”.
Eri facile agli entusiasmi. Forse
mi raccontavi le tue cose perché sapevi che io, altrettanto sognatore, godevo però
di un pizzico di pragmatismo in più che faceva da giusto contrappeso alla tua
maggior spregiudicatezza artistica. Come me, hai sempre preferito una critica
sincera a un falso complimento.
Sai cosa pensavo proprio ieri
mentre ascoltavo osservando lo scrigno di legno a centro navata? Che in
un’occasione così si tende a pensare al passato, a ciò che di buono la persona
appena scomparsa ha fatto nella vita.
E lì ci sono stati fiumi di parole:
Architetto, Musicista, Compositore… Alberto, eccellevi in tantissimi campi e un
libro non sarebbe bastato a descriverti in toto.
Nella mia testa, mi veniva però di
sovvertire lo scontato - ti ricordi, lo facevamo spesso per gioco durante le
nostre conversazioni telefoniche - prendere il microfono e parlare invece di
futuro.
Perché, se è vero che nessuno di
noi muore veramente finché rimane nei pensieri di chi resta, allora tu vivrai ancora
a lungo.
Sai Alberto, prima di ogni
insegnamento artistico - e tu mi hai insegnato come ci si destreggia con le
parole coniugando il bel suono con un buon significato - con te ho imparato il
valore della lealtà e dell’amicizia. Valori imprescindibili, se ci si trova
all’interno di un gruppo.
Sembra semplice, scontato, ma non
lo è affatto e tu lo sai bene.
Vabbè, in campo artistico succede
che le parole a volte scappino di bocca, magari persino per augurarsi la morte,
per poi finire abbracciati dieci minuti dopo con un pace-carote-patate.
L’importante è ciò che si intuisce esserci “dentro” all’altro. La bella gente
la si fiuta e la si riconosce. Se la si perde, prima o poi la si ritrova.
Ebbene, in futuro, son certo
continuerai ad ispirarmi questi valori. Son certo che sarà lo stesso anche per
le persone a cui hai voluto - e che ti hanno voluto - bene.
Sarà il tuo modo di continuare a vivere
con noi, di seguirci dalla stanza accanto.
Sempre parlando di futuro, dato
l’agnosticismo che ci accomuna - il che equivale a un “non si sa mai” - se per
caso ti capitasse il brano perfetto, che può scalare le classifiche di mezzo
mondo, i piedi tirali pure a me. Non stare lì a disturbare nessun altro.
Ciao. Ci vediamo.
Lucky
A conclusione ho preparato un
medley a lui dedicato, un estratto dei due concerti di fine 2017: sarà facile
afferrare l’atmosfera che avvolge i “Locandieri”, e sarà altrettanto naturale immaginare
l’attuale dolore legato ad un percorso materiale che si è interrotto, mentre il
legame affettivo proseguirà nel tempo, indissolubile, sentimento che solo le
persone virtuose e sensibili possono provare.
Ecco la mia ricostruzione, con l’intenzione
di ricordarlo sul palco, immaginando che ci resterà per un tempo infinito…
La notte del 27
agosto 1990, dopo aver
partecipato ad un grande concerto all'Alpine Valley Music Theater di
Alpine Valley Resort, con Eric Clapton, Robert Cray, Buddy
Guy e il fratello Jimmie, Stephen
"Stevie" Ray Vaughan sale su un elicottero per tornare al suo albergo
di Chicago. Come dichiarato in seguito dallo stesso Clapton, Vaughan, stanco
per il concerto, chiede di prendere il posto di Clapton e partire per primo.
Poco dopo il decollo però il velivolo si schianta contro una collina a causa
della fitta nebbia e della poca esperienza del pilota in simili condizioni
atmosferiche. Nell'impatto oltre allo stesso Stevie Ray Vaughan muoiono il
pilota Jeff Brown e i membri dello staff di Eric Clapton, Bobby Brooks, Nigel
Browne e Colin Smythee. Nessuno si accorge dell'incidente fino alla mattina
seguente, quando l'elicottero non giunge a destinazione.
Stevie Ray Vaughan
viene sepolto il 31 agosto 1990 al Laurel Land Memorial Park di
Dallas, accanto al padre, morto quattro anni prima nello stesso giorno del
figlio. Aveva 36 anni.
Era nato a Dallas il
3 ottobre del 1954, ed è stato uno dei più grandi esponenti della chitarra
blues americana. Benché durante la sua breve vita abbia pubblicato solo quattro
album in studio e uno live, è noto come uno dei musicisti più dotati e
influenti del suo genere. Nel 2003, la rivista Rolling Stone lo mette al 7º
posto nella Lista dei 100 migliori chitarristi e Classic Rock Magazine lo mette
al 3º posto nella lista dei 100 Wildest Guitar Heroes del 2007.
Stevie
Ray Vaughan è il miglior chitarrista che abbia mai sentito suonare
(Eric Clapton)
Questo
disse Eric prima della sua scomparsa prematura.
Il nome
da solo vale una leggenda, in ambito blues, ed è così che l’ho sempre
considerato.
Ma conoscere un nome, sapere magari a quale viso sia abbinato, non significa
inquadrare il personaggio, e soprattutto non fornisce indicazioni sul suo
effettivo "lavoro".
Ciò che riesce ad uscire dalla sua Fender è quello che normalmente abbiniamo a
musicisti di colore, perfettamente a loro agio nella semplicità di struttura
del blues e nell’infinita complicatezza che deriva dal far emergere gioia e
dolore attraverso le sei corde.
Si dice che per fare il blues occorra avere sofferto, aver vissuto la strada, e
l’accostamento porta quasi sempre al popolo di colore, anche se i casi opposti
abbondano.
E Stevie Ray Vaughan ne è un esempio… purtroppo non più fisicamente presente.
Hanno detto di lui:
“È stato uno dei più grandi esponenti della chitarra blues americana.
Benché durante la sua breve vita abbia pubblicato solo quattro album in studio
e uno live, è noto come uno dei musicisti più dotati e influenti del suo genere.” Ho trovato nel sito ufficiale Fender una descrizione esaustiva...
La leggenda di Stevie
Ray Vaughan ha
squassato gli anni '80 con la forza di un tornado: il suo talento purissimo, il
suo playing caratteristico, la forte matrice blues hanno portato a dischi d'oro
e tour "tutto esaurito", prima del suo tragico decesso all'età di 35
anni. La sua fama giunge comunque inalterata ai giorni nostri attraverso i
puristi del blues e i fan del rock, che parlano di lui come uno dei più
influenti bluesman elettrici della storia.Vaughan ebbe il merito di fondere il
blues puro delle origini, di Albert King, Otis Rush e Muddy Waters,
con la vena rock della chitarra di Jimi Hendrix per creare uno stile nuovo,
sconvolgente, in grado di lasciare l'ascoltatore letteralmente senza fiato, in
un periodo storico, tra l'altro, in cui il blues non era decisamente all'apice
della sua popolarità come genere musicale. Nato e cresciuto a Dallas, Vaughan
cominciò a suonare da bambino, ispirato dal fratello più grande, Jimmie.
All'età di 17 anni abbandonò la scuola per concentrarsi esclusivamente sulla musica
e suonare in una notevole moltitudine di gruppi, che servirono da embrione alla
formazione, a fine anni '70, dei Double Trouble, chiamati così da un brano di
Otis Rush. A quel tempo, Stevie cominciò anche a cantare, e i Double Trouble si
ritrovarono a regnare sul fertile territorio musicale di Austin, Texas. Nel
1982, la performance al Montreux Festival catturò l'attenzione della leggenda
del rock David Bowie, che arruolò Stevie Ray per le registrazioni del disco di
quell'anno, "Let's Dance". I Double Trouble firmarono quindi con la Epic, e
l'anno successivo vide la pubblicazione del primo album, "Texas Flood". Quell'album
ebbe un successo immenso, riportò il blues nelle classifiche per la prima volta
dalla fine degli anni '60; inevitabilmente, fu immediatamente registrato un
nuovo album, e Couldn't Stand the Weather raggiunse posizioni ancora più alte
in classifica e un più grande successo, in generale, di "Texas Flood". Il terzo
album, "Soul to Soul", vide la luce nell'estate del 1985 e, nel 1987, dopo un intensissimo
tour americano, fu pubblicato il live doppio "Live Alive". L'abuso di alcol e
droghe minarono pesantemente la salute di Stevie, e lo costrinsero a un lungo
periodo di disintossicazione. Nel 1989 finalmente, i Double Trouble tornarono
più in forma che mai con "In Step", raggiunsero il 33° posto in classifica, e
vinsero un Grammy per il miglior disco di blues contemporaneo, ottenendo il
disco d'oro a soli sei mesi dall'uscita della nuova fatica discografica. Il 26
agosto 1990 i Double Trouble suonarono a East Troy con Eric Clapton, Buddy Guy,
Robert Cray e Jimmie, il fratello di Stevie Ray. Al termine del concerto,
Vaughan si imbarcò su un elicottero per Chicago, ma il velivolo si schiantò
pochi minuti dopo il decollo, uccidendo il chitarrista e altri quattro
passeggeri.Un disco di duetti col fratello Jimmie era stato registrato poco
prima della sua morte e, quando fu pubblicato quello stesso ottobre, entro
direttamente al numero 7 in classifica. Successivamente, le numerose uscite
discografiche postume e le collezioni di inediti giunsero alla stessa
popolarità dei dischi pubblicati da Vaughan da vivo. La Fender, nel 2002,
riprodusse la famosa Stratocaster Number One di Stevie e ne
fece un modello Signature.
Curiosità- Lo stile
Il
caratteristico stile di Stevie Ray Vaughan è spesso paragonato a quello diJimi Hendrix, dal quale Vaughan ha,
per sua stessa ammissione, tratto grande ispirazione. Altre influenze molto
evidenti derivano da Albert King,Chuck Berry, Buddy Guy, B.B. King, e da Kenny
Burrel, per i brani dalle atmosfere jazz.Lo stile è scandito da fraseggi
veloci e movimentati spesso ripetuti, con grande precisione ritmica, ma anche
di assoli lenti e melodici. Durante il corso degli anni il sound di Vaughan è
variato dall'uso di suoni e riff brillanti e taglienti (stile Albert King) dei
primi anni 80, a figurazioni più melodiche e corpose (stile Eric Clapton)
all'inizio del 1990.Una
particolarità del suono di Vaughan derivava dall'uso di corde di dimensioni a
volte molto superiori alla norma, di scalatura 0.13 e talvolta 0.14 fino ad
arrivare a scalature estreme come la 0.18/0.74. Renè Martinez, suo tecnico, lo
convinse ad abbandonare queste corde in favore di altre di dimensioni più
convenzionali per evitare danni alle dita (per ovviare a questi inconvenienti
ricopriva i polpastrelli di colla "Superglue", usata anche dai
soldatiamericani
in Vietnam per chiudere le ferite in attesa di soccorsi).
Sta nella logica delle cose veder appassire e poi morire le
persone che ci circondano, consci che prima o poi anche noi arriveremo alla
meta non desiderata, ma è grande l’effetto e il disagio quando la dipartita
riguarda un volto noto, storico, mitico, che da tutta la vita ti accompagna,
nel mio caso dalle scuole medie in poi.
In realtà il mio amore per i Rolling
Stones è finito presto e attorno a metà degli anni ’70 ho iniziato a perdere
interesse per quella che, credo giustamente, è stata definita la più grande Rock
and Roll band mai esistita.
Sino a quel momento ricordo bene come
i loro singoli rappresentassero per me la rivoluzione rock contrapposta alle meravigliose
melodie dei Beatles, brani - di entrambi i gruppi - che tutt’ora fanno parte della mia playlist… inutile
elencarli.
In quella fantastica e primitiva formazione
c’erano un paio di artisti illuminati e dal 1969, dopo la morte di Brian Jones, ne
rimase uno solo, Mick Jagger.
Ovviamente è solo il mio pensiero e so già che molti non saranno d’accordo; ho già avuto prova che i miti
non si possono contestare né scalfire ma solo osservare da lontano e
ringraziare, e quando si avanza qualche cauta critica il mondo intero si mobilita per
riportare al centro il pensiero ortodosso, quello che prevede un solo
punto di vista che ha a che fare con l’approvazione incondizionata, spesso
immotivata.
Negli Stones non ho mai riconosciuto
elementi geniali, salvo il già citato polistrumentista Jones e il frontman e
autore Jagger, ma in ogni caso la miscela è sempre risultata esplosiva e vincente: non è un caso
se sono ancora in pista dopo tutti questi lustri.
Ma il valore di un musicista deve tener
conto della sua capacità innovativa, del suo saper creare un modello nuovo,
inesistente in precedenza.
Prendiamo Keith Richards, chitarrista
dalla dimensione - e dalla vita - molto… criticata.
In tanti hanno descritto con veemenza
la sua pochezza tecnica ma se abbiamo potuto godere di brani come “(I Can't
Get No) Satisfaction”, “Brown Sugar” o “Honky Tonk Women” il
merito è proprio di Richards che, contaminato dai "suoi" musicisti blues, elimina
da subito il “MI” dalla sua Telecaster - divenuta così a 5 corde - e imposta una accordatura aperta in “SOL”,
aprendo la strada verso un mondo nuovo, quello che gli ha permesso di inventare i suoi famosi
licks.
L’uomo giusto al posto giusto, senza poi parlare della sua significativa capacità autorale.
Dopo Jones (mancato nel '69) arriva un grande bluesman, il chitarrista Mick
Taylor - che non resisterà molto in quel circuito pericoloso - seguito a ruota da Ronnie Wood,
il perfetto compagno di Richards, il pittore, da sempre amico degli Stones.
Non dimentico un certo... Bill Wyman, per oltre trent'anni parte della sezione ritmica della band, un bassista "regolare" e poco avvezzo alla teatralità.
E poi c’è…. c’era… Charlie Watts,
silenzioso, elegante, moderato, fuori dalla cornice maledetta che circonda la
super band inglese.
Oddio, anche lui passa dei brutti
momenti negli anni ’80, e l’alcol e l’eroina non lo risparmiano, ma ne esce
fuori e mantiene il contegno, con la regolarità che lo ha sempre
contraddistinto.
Ha origini umili, è un autodidatta
intelligente e appassionato di jazz e blues.
Sembrerebbe sempre sullo sfondo,
defilato, ma il suo carattere forte e la sua leadership sono evidenti e dichiarati dai compagni di viaggio, e i suoi
continui ammiccamenti da palco con l’amico Keith fanno pensare a rapporti solidi,
coltivati e rafforzati nel tempo, oltre gli obblighi professionali.
Lo tsunami da performance, quello che
spesso va on onda quando gli Stones sono in concerto, sembra non toccarlo, perché in
qualunque direzione vada la nave ci vuole sempre qualcuno capace di raddrizzare
la barra e tenere il tempo giusto, dall’inizio alla fine.
Ecco, Charlie Watts era, a mio giudizio,
l’unico batterista possibile in un gruppo di pazzi scatenati, un buon
batterista a cui non era richiesto di esagerare, di accelerare, di sorpassare, ma
solo di mantenere la rotta.
Insomma, dalle mie parole è facile
capire come Watts non mi abbia mai toccato più di tanto e, pur riconoscendone
il ruolo fondamentale, vederlo al dodicesimo posto tra i migliori batteristi di
tutti i tempi (classifica stilata dalla rivista “Rolling Stones”) mi pare azzardato.
Se invece discutiamo di funzionalità rispetto al
progetto, beh… Charlie Watts appare unico e insostituibile.
Ma parlare di skills davanti a chi ha
fatto la storia del rock è inutile e sicuramente impopolare ed è probabile
che i nuovi Stones, con un altro drummer, non avranno molta vita. Ma certamente verrò smentito, e un po' me lo auguro.
Charlie Watts non era quindi il mio
batterista del cuore, ma sicuramente l'elemento che più ho apprezzato tra gli Stones, perché la
visibilità comporta enormi responsabilità e l’immagine che la band ha sempre
regalato dal palco, fatta di trasgressione ad ogni costo, mi ha sempre
infastidito.
Cosa c’entra tutto questo con la musica? Lascio ad ogni lettore la propria valutazione.
Ciao Charlie, batterista di una band
che ho amato alla follia sino … al 1975, o giù di lì!
Dave Dee, I Dozy, Beaky, Mick &Tichfu un gruppo pop/rock britannico degli anni Sessanta.
Due dei loro singoli vendettero più di un milione di copie ciascuno, e raggiunsero
il numero uno nella UK Singles Chart con il secondo di loro, "The
Legend of Xanadu".
Un po' di storia…
Un giorno del 1961, cinque
amici di Wiltshire (contea inglese) - David John Harman (Dave Dee), Trevor
Leonard Ward-Davies (Dozy), John Dymond (Beaky), Michael Wilson (Mick) e Ian
Frederick Stephen Amey (Tich) -, decisero di formare un gruppo, originariamente
chiamato “Dave Dee and the Bostons”. Presto
rinunciarono al loro lavoro reale (ad esempio Dave Dee era un poliziotto) per provare
a guadagnarsi da vivere con la musica. Oltre ad esibirsi nel Regno Unito,
occasionalmente suonavano ad Amburgo (Star-Club, Top Ten Club) e a Colonia
(Storyville).
Nell'estate del 1964, i cantautori britannici Ken Howard e Alan Blaikley
si interessarono al loro lavoro, dopo che la band aveva iniziato a operare in
studio con con Joe Meek (produttore discografico, tecnico del suono e
compositore inglese), ma con scarsi risultati, e le sessioni di registrazione
non decollavano. Dave Dee raccontò un episodio significativo: “Meek aveva
tecniche di registrazione molto strane. Voleva che suonassimo la canzone a metà
velocità e poi incrementava e inseriva tutti i suoi trucchetti, e così non
riuscivamo a far quadrare le cose. Un giorno esplose, lanciò lontano il caffè
sporcando le pareti dello studio e se ne andò nella sua stanza. Il suo
assistente - Patrick Pink - entrò e disse che Meek non avrebbe più fatto registrazioni
per quel giorno. Finì così, prendemmo tutta la nostra attrezzatura e tornammo a
casa".
Il gruppo alla fine ottenne un contratto discografico con la Fontana
Records.
Ken Howard, iniziando a seguire il quintetto, dichiarò che: "Abbiamo
cambiato il loro nome in Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick e Tich perché erano
i veri soprannomi e perché volevamo sottolineare le loro personalità molto
distinte tra loro, in un clima che tendeva a considerare le band esistenti solo
come entità collettive”.
Il nuovo nome, unito alle canzoni ben prodotte e orecchiabili di Howard
e Blaikley, catturò rapidamente l'immaginazione del pubblico britannico, e i
loro dischi cominciarono a vendere in abbondanza. In effetti, tra il 1965 e il
1969, il gruppo trascorse più settimane nella UK Singles Chart rispetto alle
Beatles e fece un tour in Australia e In Nuova Zelanda, paesi dove avevano avuto
ottenuto un notevole successo di classifica.
Con "The Legend of Xanadu" superarono il milione di copie
vendute, ma realizzarono altre hits, come "Hideaway", "Hold
Tight!", "Bend It!", "Save Me!", "Touch Me, Touch
Me", "Okay!", "Abadak!" e "Last Night in
Soho".
La canzone "Bend It!" diventò un grande successo in Europa, numero
uno in Germania. La canzone fu ispirata dalla musica della colonna sonora del
film “Zorba il Greco”,e per ottenere un suono simile al bouzouki fu utilizzato
un mandolino elettrificato.
Le vendite combinate nel Regno Unito e in Europa furono notevoli, tuttavia,
nell'ottobre 1966, la rivista musicale britannica NME commentò che decine di
stazioni radio statunitensi avevano vietato il disco perché il testo era
considerato troppo… suggestivo. Il gruppo rispose registrando una nuova
versione, a Londra, con un diverso insieme di parole, e il disco fu rilasciato
negli Stati Uniti, poiché il singolo originale era stato ritirato dalla
vendita.
Negli Stati Uniti, il gruppo non riuscì a sfondare in modo uniforme,
anche se ebbero affermazioni regionali, in particolare nelle città
nord-orientali come Cleveland, Buffalo, Syracuse, Albany e Boston, dove sia
"Bend It" che "Hold Tight" ottennero un notevole ascolto ed
entrarono nella top 10 delle stazioni radio locali. Durante l'inverno 1967-68
incrementarono la loro presenza americana, ma non raggiunsero mai il consenso
di massa.
Nel settembre 1969 Dave Dee lasciò il gruppo per una breve carriera
solista, e il resto della band, rinominato D, B, M e T, continuò a pubblicare
dischi fino a quando non si sciolsero nel 1972.
Negli anni Ottanta il gruppo si riformò, sempre senza Dave Dee, che nel
frattempo era diventato produttore discografico per la Magnet Records.
Negli anni Novanta il gruppo si ripropone dal vivo, questa volta con
Dave Dee, che ha in ogni caso continuato le sue attività sino al 2008, nonostante
il precario stato di salute dovuto ad una brutta malattia diagnosticata nel
2001
Nel 2013, John Dymond (l'originale Beaky) è tornato nella band e nel
2014 Tich si è ritirato dopo 50 anni.
Con Ray Frost come nuovo "Tich", la band, che includeva ancora
due membri originali, si è impegnata a continuare, almeno sino alla morte di Trevor
Ward-Davies (Dozy), mancato il 13 gennaio 2015, all'età di 70 anni, dopo una
breve malattia.
Una storia che vale la pena ricordare!
Discografia:
Albums
Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich (1966) – UK #11
If Music Be the Food of Love ... Then Prepare for Indigestion
(1966) – UK #27
Golden Hits of Dave Dee, Dozy, Beaky, Mick & Tich
(1967) (solo UK )
Greatest Hits (1967) (solo US) – US #155
What's in a Name (1967) (Netherlands release)
If No One Sang, Time to Take Off (US Title) (1968)