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martedì 29 novembre 2011

LA MONCADA-"TORINO SOMMERSA"



Sono solito unire ai miei commenti su un nuovo album un’intervista ai musicisti, che possa rappresentare il lato oggettivo e il vero pensiero di chi ha sudato e pianto dietro qualcosa che poi sarà commentato con qualche riga “obbligata”. Il limite e il pregio di questo gioco al rimbalzo è che i quesiti via mail (molto più comodi rispetto ad altre soluzioni), magari posti in maniera criptica (mea culpa), possono portare a interpretazioni alternative, con risposte che alla fine risulteranno utili- forse anche di più- alla causa, anche se deviate rispetto al punto di partenza.
La situazione “cromatica” a cui faccio accenno nello scambio a seguire è tesa ad evidenziare uno stato d’animo generale, il vero mood dell’intero album, che ho percepito immediatamente sfogliando il booklet interno, quindi prima dell’ascolto. La risposta permette di conoscere qualche interessante risvolto dell’argomento Art-Work, e questo contribuisce a creare un quadro più completo del mondo di “LA MONCADA”.
Il loro album, “Torino Sommersa”, autoprodotto, è il primo lavoro in studio, e come ogni atto iniziale è il bilancio di un percorso di vita, il primo “punto a capo” che permette di fotografare una situazione personale e renderla pubblica. Non è importante l’esperienza dei musicisti, magari artisti navigati, ma in un esordio si rovescia generalmente la parte più istintiva- e magari repressa- che  si attendeva di fare “esplodere”. Da quel momento in poi si può pensare al futuro.
Da anni non visito Torino, forse 20, forse 30, ricordo solo che ero molto giovane. E le rimembranze giovanili sono pesanti mattoni che non cadranno mai più. La Torino che ricordo è quella che ho visto nelle pagine dell’inserto allegato al CD. Solo bianco e solo nero, colori che in realtà appartenevano a qualsiasi luogo, e che dipingevano stati d’animo angosciosi. Basta guadarsi attorno e valutare le “situazioni attuali” per capire che ogni assioma tendente ad unire i malesseri dell’uomo ai meri colori è del tutto errato.
Ma, chissà perché, ho inserito il CD nel lettore e già avevo le idee chiare.
Sette tracce di… rock cantautorale. Cosa significa?
Riflessioni, messaggi, denuncia sociale e poesia con un abito che definirei folk/ rock, anche se le etichette e la suddivisione in generi servono solo per dare indicazioni e informazioni a chi fa opera di avvicinamento, ma non rendono mai completa giustizia ai veri protagonisti, i musicisti.
Un album come questo non può prescindere dal pieno godimento dei testi in lingua italiana (che fatica sarebbe decodificare liriche piene di metafore e sensi nascosti se ci fosse anche il problema della comprensione immediata!).
Un album come questo avrebbe altra valenza se non ci fosse la necessità/genialità di escursioni ritmiche e trame a tratti prog.
E ancora… un album come questo ha il pregio di scuoterti nell’intimo, farti riflettere e contare le volte in cui hai pensato le stesse cose ma… non ti venivano fuori e in “Torino Sommersa” le vedi scritte da altri.
Sarebbe facile fare esercizio di “citazione” ed elencare esempi d’oltreoceano, ma nessuna comparazione potrebbe dare valore aggiunto, che al contrario si percepisce godendo in ogni sua parte “Torino Sommersa”, musica, testi e “confezione”.
Nient’altro da commentare, certe cose vanno scoperte in piena solitudine. Il passo successivo è la condivisione che, sono certo, sarà azione spontanea e diffusa.




L’INTERVISTA

Partiamo dal nome della band. Spesso è casuale, ma molte volte ha un significato, magari inconscio, che si lega alla filosofia musicale del gruppo. Perchè “LA MONCADA”?
La  Moncada è il nome della caserma che venne assaltata il 26 luglio del '53 da Fidel Castro e i suoi ribelli. Questo episodio diede il via alla rivoluzione cubana e al movimento stesso (il" Movimento 26 luglio"). Il nome è stato proposto da Frank e ci è subito piaciuto perché condividiamo i valori che portarono a quegli eventi .Tra l'altro Fidel ritorna in uno dei pezzi più rappresentativi del disco(Revolucion).E per concludere La Moncada mi sembra molto meglio di "Mattia Calvo band", che è il nome con il quale abbiamo iniziato.
Il luogo in cui si vive ha risvolti importanti che incidono sulle nostre attività, qualunque esse siano. Avreste potuto scrivere “Torino Sommersa”- e mi riferisco a spirito e contenuti- se vi foste “formati” in altre parti d’Italia? Ha ancora senso parlare di “scuola genovese, napoletana” and so on?
In realtà solo tre di noi (io, Gian e Carlo) vivono a Torino e tutti e tre siamo "torinesi d'adozione", ma la nostra provenienza rimane la provincia. Personalmente adoro Torino per molti aspetti…  penso di averne tratto ispirazione in qualche modo, e non credo che tornerei mai a fare il percorso inverso. Detto ciò non credo che La Moncada appartenga alla scena torinese, che a quanto mi risulta attualmente spicca soprattutto per i suoi cantautori e in generale più che alla scuola genovese o napoletana o torinese io guardo alla musica che mi piace senza distinzioni di sorta.
Nel vostro album le liriche sono fondamentali, ma esiste un equilibrio con la parte musicale (istintivamente si può arrivare invece a privilegiare un aspetto piuttosto che un altro). In fase di composizione, esiste per voi una priorità che, almeno inizialmente, vi sbilancia verso uno dei due aspetti citati?
Generalmente io arrivo in sala prove portando uno spunto del pezzo chitarra e voce che sottopongo alle orecchie dei ragazzi. Da qui ciascuno contribuisce con le proprie idee per arrangiarlo nella sua forma definitiva. Il concetto base con il quale ci siamo mossi fin dall'inizio infatti è quello di svestire le mie canzoni della tradizionale forma cantautorale.
Cosa significa per voi la parola “sperimentazione”?
La sperimentazione è alla base di tutta la musica passata e presente che abbiamo sempre ammirato. Bisogna però, dal mio punto di vista, fare attenzione a non cadere nella tentazione di esagerare per colpire chi ascolta con delle stranezze fini a se stesse. Quella più che sperimentazione è onaninsmo intellettuale.
Esistono linee guida musicali, esempi del passato, su cui tutti vi trovate d’accordo?
Ne esistono moltissime, ma senza il bisogno di guardare al passato sicuramente siamo tutti accomunati dalla grande ammirazione per i Wilco e i Radiohead.
Cosa è più gratificante per voi, il lavoro in  studio o le performance live?
Sono due momenti molto diversi tra di loro, ma in entrambi i casi si vivono emozioni molto forti. In studio si può dare sfogo alla parte creativa ed è veramente indescrivibile la gioia che si prova a vedere "nascere" un pezzo. D'altra parte sul palco ci si sfoga a tutto tondo e poi non bisogna nascondere che se si fa musica, in qualche modo è per arrivare alla gente, e ricevere un applauso o un consenso è sicuramente gratificante.
C’è mai stato un momento in cui avete pensato che i vostri sforzi dovevano essere indirizzati  verso qualcosa di più easy, rinunciando magari all’estrema  qualità e all’impegno a favore di una visibilità più facile?
Assolutamente no, anche perché non ne saremmo in grado. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme non ci siamo mai posti altri obiettivi se non quello di arrivare ad un risultato che in primo luogo ci rappresentasse e ci gratificasse, senza l'ossessione di essere più o meno mainstream.
Qual è l’essenza di “Torino Sommersa”?
Torino Sommersa è il nostro disco d'esordio, quindi racchiude canzoni che sono state concepite in momenti differenti. Non credo che ci sia un filo conduttore particolare che le leghi una all'altra se non l'urgenza che ha mosso la loro composizione. Alcune di queste nascono da esperienze personali e altre da riflessioni più generali, compagne di un unico giro dove le istantanee del mio immaginario si trasformano in parole alle quali la musica della band da voce.
L’art  work in bianco e nero del vostro album colpisce e… da suggerimenti all’acquirente. Nella vostra musica c’è spazio per altre situazioni cromatiche?
Per l'art work ci siamo affidati alle cure di Elisa Quaglia, fotografa torinese dotata di una grande sensibilità artistica che, conoscendo molto bene la nostra musica, ha saputo cogliere lo spirito "desaturato" di questo disco. Nei prossimi lavori non escludiamo di esplorare altre giustapposizioni cromatiche. Visto che parliamo di art work dobbiamo  ringraziare anche Edoardo Vogrig e Jon Lacaronia per l'ottimo lavoro di impostazione e rifinitura.
Provate  a sognare e ad immaginare il vostro futuro da qui al 2015… cosa vorreste che accadesse?
Dato il gran numero di musicisti che a vario titolo hanno fatto parte di questo gruppo sarebbe già più che sufficiente se nel 2015 fossimo ancora tutti e cinque insieme appassionatamente.

Note


LA MONCADA è il progetto 5 musicisti cuneesi in cui Mattia Calvo, cantautore fossanese, presenta i suoi pezzi contaminati da nuove influenze musicali portate dai musicisti che lo accompagnano, tutti provenienti da differenti esperienze.
Infatti LA MONCADA possiede membri di Mr. Steady Dudes, Treehorn e Fuh. Realtà contrapposte che si miscelano in un percorso di ricerca musicale che va a scavare negli ambienti folk-rock di Chicago, nell’indie di Boston e nel post-rock di Louisville, passando da Wilco a Califone, da Karate a Slint. 
Freddi venti d’oltreoceano che vengono a condensarsi con l’aria calda e tradizionale del cantautorato italiano, dal sapore dei campi di grano secchi sotto il sole li brucia, del bar di provincia dove regnano vecchi e ubriaconi, delle otto ore di fabbrica e domenica al mare.
Il risultato è un temporale di atmosfere instabili e avvolgenti, correnti ascensionali inarrestabili e turbolenze d’umore, città sommerse.

Members:

Mattia : voce, chitarra acustica.
Audrey : chitarra elettrica, elettronica 
Johnny : chitarra elettrica.
Juda : basso.
Frank: batteria.