Sono solito unire ai miei commenti su un nuovo album
un’intervista ai musicisti, che possa rappresentare il lato oggettivo e il vero
pensiero di chi ha sudato e pianto dietro qualcosa che poi sarà commentato con
qualche riga “obbligata”. Il limite e il pregio di questo gioco al rimbalzo è
che i quesiti via mail (molto più comodi rispetto ad altre soluzioni), magari
posti in maniera criptica (mea culpa), possono portare a interpretazioni
alternative, con risposte che alla fine risulteranno utili- forse anche di più-
alla causa, anche se deviate rispetto al punto di partenza.
La situazione “cromatica” a cui faccio accenno nello
scambio a seguire è tesa ad evidenziare uno stato d’animo generale, il vero
mood dell’intero album, che ho percepito immediatamente sfogliando il booklet
interno, quindi prima dell’ascolto. La risposta permette di conoscere qualche
interessante risvolto dell’argomento Art-Work, e questo contribuisce a creare
un quadro più completo del mondo di “LA MONCADA”.
Il loro album, “Torino Sommersa”, autoprodotto, è
il primo lavoro in studio, e come ogni atto iniziale è il bilancio di un
percorso di vita, il primo “punto a capo” che permette di fotografare una
situazione personale e renderla pubblica. Non è importante l’esperienza dei
musicisti, magari artisti navigati, ma in un esordio si rovescia generalmente
la parte più istintiva- e magari repressa- che
si attendeva di fare “esplodere”. Da quel momento in poi si può pensare
al futuro.
Da anni non visito Torino, forse 20, forse 30, ricordo
solo che ero molto giovane. E le rimembranze giovanili sono pesanti mattoni che
non cadranno mai più. La Torino che ricordo è quella che ho visto nelle pagine
dell’inserto allegato al CD. Solo bianco e solo nero, colori che in realtà
appartenevano a qualsiasi luogo, e che dipingevano stati d’animo angosciosi.
Basta guadarsi attorno e valutare le “situazioni attuali” per capire che ogni
assioma tendente ad unire i malesseri dell’uomo ai meri colori è del tutto
errato.
Ma, chissà perché, ho inserito il CD nel lettore e già
avevo le idee chiare.
Sette tracce di… rock cantautorale. Cosa significa?
Riflessioni, messaggi, denuncia sociale e poesia con un
abito che definirei folk/ rock, anche se le etichette e la suddivisione in
generi servono solo per dare indicazioni e informazioni a chi fa opera di
avvicinamento, ma non rendono mai completa giustizia ai veri protagonisti, i
musicisti.
Un album come questo non può prescindere dal pieno
godimento dei testi in lingua italiana (che fatica sarebbe decodificare liriche
piene di metafore e sensi nascosti se ci fosse anche il problema della
comprensione immediata!).
Un album come questo avrebbe altra valenza se non ci
fosse la necessità/genialità di escursioni ritmiche e trame a tratti prog.
E ancora… un album come questo ha il pregio di scuoterti
nell’intimo, farti riflettere e contare le volte in cui hai pensato le stesse
cose ma… non ti venivano fuori e in “Torino Sommersa” le vedi scritte da altri.
Sarebbe facile fare esercizio di “citazione” ed elencare
esempi d’oltreoceano, ma nessuna comparazione potrebbe dare valore aggiunto,
che al contrario si percepisce godendo in ogni sua parte “Torino Sommersa”,
musica, testi e “confezione”.
Nient’altro da commentare, certe cose vanno scoperte in
piena solitudine. Il passo successivo è la condivisione che, sono certo, sarà
azione spontanea e diffusa.
L’INTERVISTA
Partiamo dal nome della band. Spesso è casuale, ma molte volte
ha un significato, magari inconscio, che si lega alla filosofia musicale del
gruppo. Perchè “LA MONCADA”?
La Moncada è il nome
della caserma che venne assaltata il 26 luglio del '53 da Fidel Castro e i suoi
ribelli. Questo episodio diede il via alla rivoluzione cubana e al movimento
stesso (il" Movimento 26 luglio"). Il nome è stato proposto da Frank
e ci è subito piaciuto perché condividiamo i valori che portarono a quegli
eventi .Tra l'altro Fidel ritorna in uno dei pezzi più rappresentativi del
disco(Revolucion).E per concludere La Moncada mi sembra molto meglio di
"Mattia Calvo band", che è il nome con il quale abbiamo iniziato.
Il luogo in cui si vive ha risvolti importanti che incidono
sulle nostre attività, qualunque esse siano. Avreste potuto scrivere “Torino
Sommersa”- e mi riferisco a spirito e contenuti- se vi foste “formati” in altre
parti d’Italia? Ha ancora senso parlare di “scuola genovese, napoletana” and so
on?
In realtà solo tre di noi (io, Gian e Carlo) vivono a Torino e
tutti e tre siamo "torinesi d'adozione", ma la nostra provenienza
rimane la provincia. Personalmente adoro Torino per molti aspetti… penso di averne tratto ispirazione in qualche
modo, e non credo che tornerei mai a fare il percorso inverso. Detto ciò non
credo che La Moncada appartenga alla scena torinese, che a quanto mi risulta
attualmente spicca soprattutto per i suoi cantautori e in generale più che alla
scuola genovese o napoletana o torinese io guardo alla musica che mi piace
senza distinzioni di sorta.
Nel vostro album le liriche sono fondamentali, ma esiste un
equilibrio con la parte musicale (istintivamente si può arrivare invece a
privilegiare un aspetto piuttosto che un altro). In fase di composizione,
esiste per voi una priorità che, almeno inizialmente, vi sbilancia verso uno
dei due aspetti citati?
Generalmente io arrivo in sala prove portando uno spunto del
pezzo chitarra e voce che sottopongo alle orecchie dei ragazzi. Da qui ciascuno
contribuisce con le proprie idee per arrangiarlo nella sua forma definitiva. Il
concetto base con il quale ci siamo mossi fin dall'inizio infatti è quello di
svestire le mie canzoni della tradizionale forma cantautorale.
Cosa significa per voi la parola “sperimentazione”?
La sperimentazione è alla base di tutta la musica passata e
presente che abbiamo sempre ammirato. Bisogna però, dal mio punto di vista,
fare attenzione a non cadere nella tentazione di esagerare per colpire chi
ascolta con delle stranezze fini a se stesse. Quella più che sperimentazione è
onaninsmo intellettuale.
Esistono linee guida musicali, esempi del passato, su cui tutti
vi trovate d’accordo?
Ne esistono moltissime, ma senza il bisogno di guardare al
passato sicuramente siamo tutti accomunati dalla grande ammirazione per i Wilco
e i Radiohead.
Cosa è più gratificante per voi, il lavoro in studio o le performance live?
Sono due momenti molto diversi tra di loro, ma in entrambi i
casi si vivono emozioni molto forti. In studio si può dare sfogo alla parte
creativa ed è veramente indescrivibile la gioia che si prova a vedere
"nascere" un pezzo. D'altra parte sul palco ci si sfoga a tutto tondo
e poi non bisogna nascondere che se si fa musica, in qualche modo è per
arrivare alla gente, e ricevere un applauso o un consenso è sicuramente
gratificante.
C’è mai stato un momento in cui avete pensato che i vostri
sforzi dovevano essere indirizzati verso
qualcosa di più easy, rinunciando magari all’estrema qualità e all’impegno a favore di una
visibilità più facile?
Assolutamente no, anche perché non ne saremmo in grado. Quando
abbiamo iniziato a suonare insieme non ci siamo mai posti altri obiettivi se
non quello di arrivare ad un risultato che in primo luogo ci rappresentasse e
ci gratificasse, senza l'ossessione di essere più o meno mainstream.
Qual è l’essenza di “Torino Sommersa”?
Torino Sommersa è il nostro disco d'esordio, quindi racchiude
canzoni che sono state concepite in momenti differenti. Non credo che ci sia un
filo conduttore particolare che le leghi una all'altra se non l'urgenza che ha
mosso la loro composizione. Alcune di queste nascono da esperienze personali e
altre da riflessioni più generali, compagne di un unico giro dove le istantanee
del mio immaginario si trasformano in parole alle quali la musica della band da
voce.
L’art work in bianco e
nero del vostro album colpisce e… da suggerimenti all’acquirente. Nella vostra
musica c’è spazio per altre situazioni cromatiche?
Per l'art work ci siamo affidati alle cure di Elisa Quaglia,
fotografa torinese dotata di una grande sensibilità artistica che, conoscendo
molto bene la nostra musica, ha saputo cogliere lo spirito
"desaturato" di questo disco. Nei prossimi lavori non escludiamo di
esplorare altre giustapposizioni cromatiche. Visto che parliamo di art work
dobbiamo ringraziare anche Edoardo
Vogrig e Jon Lacaronia per l'ottimo lavoro di impostazione e rifinitura.
Provate a sognare e ad
immaginare il vostro futuro da qui al 2015… cosa vorreste che accadesse?
Dato il gran numero di musicisti che a vario titolo hanno fatto
parte di questo gruppo sarebbe già più che sufficiente se nel 2015 fossimo
ancora tutti e cinque insieme appassionatamente.
Note
LA MONCADA è il progetto 5 musicisti cuneesi in cui
Mattia Calvo, cantautore fossanese, presenta i suoi pezzi contaminati da nuove
influenze musicali portate dai musicisti che lo accompagnano, tutti provenienti
da differenti esperienze.
Infatti LA MONCADA possiede membri di Mr. Steady Dudes, Treehorn e Fuh. Realtà
contrapposte che si miscelano in un percorso di ricerca musicale che va a
scavare negli ambienti folk-rock di Chicago, nell’indie di Boston e nel
post-rock di Louisville, passando da Wilco a Califone, da Karate a Slint.
Freddi venti d’oltreoceano che vengono a condensarsi con l’aria calda e
tradizionale del cantautorato italiano, dal sapore dei campi di grano secchi
sotto il sole li brucia, del bar di provincia dove regnano vecchi e ubriaconi,
delle otto ore di fabbrica e domenica al mare.
Il risultato è un temporale di atmosfere instabili e avvolgenti, correnti
ascensionali inarrestabili e turbolenze d’umore, città sommerse.
Members:
Mattia :
voce, chitarra acustica.
Audrey : chitarra elettrica, elettronica
Johnny : chitarra elettrica.
Juda : basso.
Frank: batteria.