domenica 30 giugno 2013

La Nuova Raccomadata con Ricevuta di Ritorno al Piper 2000



La Nuova Raccomadata con Ricevuta di Ritorno
in concerto
Al Piper Club di Viareggio


VENERDI’ 19 LUGLIO, ORE 22

Dopo la reunion e l'uscita dell'album "Il Pittore Volante" avvenuta nel 2010, dopo 36 anni dallo scioglimento della Raccomandata con Ricevuta di Ritorno nel 1973, La Nuova Raccomandata con Ricevuta di Ritorno si presenta al Piper Club di Viareggio con un nuovo chitarrista di prestigio, Rocco Zifarelli, attuale chitarrista dell'Orchestra di Ennio Morricone e collaboratore internazionale di vari progetti, tra cui il Mahavishnu Project. Al basso Nanni Civitenga della originale formazione degli RRR e bassista dell'Orchestra di Ennio Morricone. Maurizio Pariotti alle tastiere è l'arrangiatore del nuovo album in uscita all'inizio del prossimo anno. Cristina Cioni figlia, d'arte del grande tenore Renato Cioni, sarà cantante e corista in supporto a Luciano Regoli. Al sax e flauto Alessandro Tomei, richiestissimo session man. Alla batteria il giovane Andy Bartolucci, batterista attuale di Alex Britti.


IL PIPER 2000


 Per chi ama la musica Viareggio vuol dire … Piper, Piper e ancora Piper 2000.
Il fascino è ancora intatto: entrare nel Piper è come entrare nella storia.
Nasce quindi un nuovo progetto, con un indirizzo preciso, nei tempi, nei modi e nei protagonisti, una svolta rock capace di creare un ponte con il periodo d’oro; non un’operazione nostalgia, ma un idea, una filosofia di vita che cammina in parallelo con l’andamento della nostra società.
C’è voglia di tornare alla semplicità, ai sentimenti puliti, alla serenità, scommettendo sui giovani, abbinandoli ai miti, cercando di dare visibilità a chi spesso resta nell’ombra per mancanza di opportunità.
Accorrete numerosi per ricreare assieme attimi di pura magia!

Piper DiscoClub
Terrazza della Repubblica, 2
Viareggio(Lucca)
Inizio concerto ore 22.00 (dalle 21.00 alle 4.00)
Biglietto € 15.00
Per info e prenotazioni- cene e tavoli:
389 0073121
3664320803
347 6412826

 Mat Service srl


sabato 29 giugno 2013

UT NEW TROLLS AL PIPER DI VIAREGGIO


SABATO 13 LUGLIO
Serata da non perdere, dopo 40 anni un ritorno al passato
Ut New Trolls in concerto, tutto live
Per ritornare grandi come allora il Piper 2000 mette le ali!


"Qualcuno ci associa ai New Trolls o agli Ibis: niente di tutto questo. Non rinneghiamo il nostro passato che ha contribuito a farci crescere, ma il progetto che abbiamo in mente vuol prendere la sua strada, si configura come un laboratorio: un “work in progress” in cui, naturalmente, “Ut”, “Searching for a land”, “Canti d’innocenza – Canti d’esperienza” avranno il loro spazio ma rivisitate, al di là di un gruppo che ha avuto mille vicissitudini, mille nomi, mille facce diverse… Perché, alla fine, quello che conta in un gruppo e lo fa esistere è la musica. Noi speriamo che trovi l’istante per toccare il cuore della gente e per restituirci il volto umano di tutti”. Del resto, neanche noi non siamo più quelli di allora, sia anagraficamente, sia nei volti, nelle situazioni e, naturalmente, nella musica che suoniamo. Resta, però, il desiderio di rivisitare quel periodo che ha così profondamente segnato la nostra gioventù.


IL PIPER 2000



Per chi ama la musica Viareggio vuol dire … Piper, Piper e ancora Piper 2000.
Il fascino è ancora intatto: entrare nel Piper è come entrare nella storia.
Nasce quindi un nuovo progetto, con un indirizzo preciso, nei tempi, nei modi e nei protagonisti, una svolta rock capace di creare un ponte con il periodo d’oro; non un’operazione nostalgia, ma un idea, una filosofia di vita che cammina in parallelo con l’andamento della nostra società.
C’è voglia di tornare alla semplicità, ai sentimenti puliti, alla serenità, scommettendo sui giovani, abbinandoli ai miti, cercando di dare visibilità a chi spesso resta nell’ombra per mancanza di opportunità.
Accorrete numerosi per ricreare assieme attimi di pura magia!

Piper DiscoClub
Terrazza della Repubblica, 2
Viareggio(Lucca)
Inizio concerto ore 22.00 (dalle 21.00 alle 4.00)
Biglietto € 15.00
Per info e prenotazioni- cene e tavoli:
389 0073121
3664320803
347 6412826

 Ufficio Stampa: Mat Service srl


venerdì 28 giugno 2013

THE TRIP-ATLANTIDE RIMASTERIZZATO + LIVE IN TOKYO 2011


Il corriere è appena partito dopo la sua consegna, e mi ritrovo tra le mani l’oggetto del desiderio, esattamente come 40 anni fa, quando le 3000 lire sudate, spesso frutto di una colletta familiare, mi davano la possibilità di acquistare un nuovo vinile, magari mangiato con gli occhi sulle pagine di CIAO 2001.
Mi emoziono ancora per queste semplici cose, anche se l’avvento del digitale ha tolto molto del fascino connaturato all’LP, ma la musica di cui mi appresto a parlare seguirà due vie parallele, due filosofie, due modalità per assecondare un mondo un tempo in auge, successivamente ridotto a nicchia ed ora sulla via della nuova fruizione in larga scala: mi riferisco al Rock Progressive; questa logica ha portato alla realizzazione di un doppio CD e… udite udite, un doppio vinile!
Nell’occasione provo la strana sensazione di toccare al contempo il conosciuto - il materiale risale al 1972 - e l’assoluta novità, ed in parte è vero, perché ciò che viene proposto è una doppia veste, che non è solo il confronto tra il passato e l’attualità, ma anche la comparazione tra “studio” e “live”, tra line up differenti, tra generazioni non allineate.
Sveliamo l’arcano, sto parlando di una versione lussuosa di una pietra miliare del prog italiano - e non solo - che nasce nei primi anni ’70 ad opera dei The Trip: Atlantide.
Il primo CD è l’originale, rimasterizzato, e quindi tecnicamente perfetto, anche se la lacrimuccia simbolica per la mancanza di fruscio potrebbe arrivare, se non si decide di acquistare anche il vinile: si sa, certi riti mantengono la forza di un tempo, sfuggendo alla razionalità.
Il secondo è una novità assoluta, l’inedito Live in Tokyo 2011, realizzato nel mese di novembre all’interno del contesto “Italian Progressive Rock Festival”. Nell’essenza una riproposizione di Atlantide, sei tracce su otto, con la compensazione che avviene attraverso “Caronte” e “L’ultima ora ode a Jimi Hendrix”, sostituti di Leader ed Energia.

Non mi soffermerò sul valore dell’opera all’interno del corretto contesto temporale, ma è forse più utile rivedere la proposta dei Trip come confronto tra situazioni lontane, pensando magari alla potenzialità di arrivare al pubblico di oggi, e non mi riferisco a chi, per molteplici motivi, possa essere già entrato in contatto con la musica di … impegno.
Dice Furio Chirico, successore di Pino Sinnone dopo i primi due dischi: “ Il Prog  deve essere inserito nel contenitore della musica Classica, perché ne fa parte, con la differenza che presenta un’anima rock…”, e con questo concetto si potrebbe pensare ad una proposta musicale scolastica un po’ più intelligente, mio vecchio pallino.
Lasciamo sullo sfondo la validità di messaggio legato al mito di Atlantide, concetti e storie che pare siano sempre all’avanguardia, e che, se analizzate a fondo, diventano potenti strumenti didattici.
Pensiamo invece a cosa voglia dire poter confrontare realmente la stessa musica, che nel caso del live - secondo CD -  evidenzia i medesimi protagonisti di un tempo con l’aggiunta di alcune forze nuove, fatto che permette di realizzare un ponte temporale di oltre 40 anni.

Foto di Enrico Rolandi, scattata alla Prog Exhibition del 2010

Il disco giapponese, ripropone Joe Vescovi alle tastiere, Furio Chirico alla batteria e Arvin Wegg Andersen alla voce, ovvero i tre musicisti presenti sul “vecchio” Atlantide; la reunion del 2010 ha visto l’entrata di Fabri Kiareli alla chitarra e voce e di Angelo Perini al basso.
Doveroso sottolineare come questo secondo album sia interamente dedicato a Wegg, scomparso prematuramente lo scorso anno, ma sempre presente nei cuori e nelle menti dei partecipanti alle performance dei Trip. Aver condiviso - anche - con lui attimi privati nel corso del Prog Hexhibition del 2010 mi ha fatto toccare con mano il valore umano e l’affetto che riusciva a suscitare in chi lo circondava. E poi sul palco il suo carisma era intatto.
Due formazioni diverse che portano a filosofie musicali distanti tra loro, perché l’aggiunta di una chitarra elettrica in un trio classico - organo, basso e batteria - richiede una rivisitazione della suddivisione dei compiti con un taglio più rock di quello della genesi.
Kiareli e Perini danno nuova forza e idee affinanti, che si uniscono all’ incredibile freschezza di Vescovi - saranno pure sue creazioni melodiche, ma stupisce il suo essere sempre sul pezzo - e all’energia  di Chirico, capace di condurre il gruppo verso gli umani limiti ritmici.
Da questo piccolo accostamento nasce il futuro, la novità Trip, che ci si auspica possa avere come fine prossimo la realizzazione di un album inedito: i mezzi e la materia prima non mancano.
Dal 2010, Roma, ho visto i Trip tre volte, con e senza Wegg, e ciò mi permette di comprendere a fondo il “side B” del digipack celebrativo, potendo associare l’ascolto alla parte visiva, e posso testimoniare il forte impatto che la loro musica scatena, come se il tempo si fosse arrestato ad un’epoca antica,  che si vuole a tutti i costi rivivere, non per la nostalgia che prima o poi attanaglia l’uomo nel momento della maturità, ma per la comprensione che la qualità resiste ad ogni tipo di passaggio temporale.
Tutto questo coinvolgimento emerge chiaramente dall’ascolto di Live in Tokyo 2011 (meglio se il volume è sostenuto!).
Per realizzare progetti come questo occorre avere alla spalle gente capace che… ci crede, e un ringraziamento speciale va a Pino Tuccimei, nuovamente manager dei Trip dopo svariati lustri, e alla Sony Music, etichetta discografica e distributrice del cofanetto/vinile.
Tutto questo fa sperare che la retta via sia stata ritrovata, o almeno l'imbocco di essa.
E noi ammalati di musica aspettiamo fiduciosi!
Nel frattempo godiamoci Atlantide,  e… diffondiamo il verbo, un po’ del cambiamento auspicato passa anche attraverso la nostra singola azione.

Un ricordo personale di Wegg e dei TRIP…

giovedì 27 giugno 2013

Museo Rosenbach-Barbarica


In uno spazio temporale ridottissimo il Museo Rosenbach rilascia un nuovo album, il secondo, se si considera che il recente Zarathustra, Live in Studio, è di fatto la riproposizione ammodernata del disco seminale creato quarant’anni fa.
Barbarica è un altro concept, nel pieno rispetto dell’ideologia prog, con una lunga suite iniziale e quattro brani a seguire, una quarantina di minuti utilizzati per lanciare un nuovo forte messaggio.
Tracciare un bridge tra le idee antiche e quelle attuali è d’obbligo, anche se la sintesi, il “tirare le somme”, fa paura, e la scelleratezza delle nostre scelte di vita, dirette o indotte, presenta ora il conto da pagare, e nessuno sa se se esista un efficacie punto di svolta.
Con Zarathustra il ritorno alla semplicità  è più che un consiglio: solo attraverso il rispetto per noi stessi e per il mondo circostante si arriva alla serenità, coltivando i rapporti umani e l’ambiente in cui le anime si muovono.
Ma quanto il profeta auspicava non è avvenuto, e Barbarica si trasforma nella fotografia del risultato che siamo stati capaci di ottenere: degrado ambientale, morale, economico… umano. Visione pessimistica? Apprezzabile raccontare la verità, senza filtri che possano addolcire l’amara pillola.
Resta la speranza, piccola, che possa arrivare una forte reazione… ma saremo ancora in tempo?
La provocazione letterale contenuta nel titolo dell’album si affianca all’art work, un capolavoro di immagini e significati: evidente il contrasto tra la gioiosità della cover e la tristezza/durezza delle pictures che costituisco il booklet… le due facce di un mondo che piace poco… una facciata da immortalare ed una sostanza da condannare.

Museo Rosenbach presenta due poli temporali anche attraverso la line up: tre elementi storici (Stefano “Lupo” Galifi, Alberto Moreno, Giancarlo Golzi) sommati a forze nuove  (Sandro Libra, Max Borelli, Fabio Meggetto e Andy Senis), sono garanzia di  continuità e rappresentatività.
Un anno di lavoro è servito per fondere la band, per limare le asperità, per capirsi al volo, e l’ascolto di Barbarica da la forte idea di continuos improvement.
Anche dal punto di vista strettamente musicale non ci sono dubbi o fughe nell’approssimazione del genere: in un periodo in cui tutti sfoderano sfumature variegate per descrivere la musica che propongono, si può affermare che la proposta del M.R. non è cambiata, coerente col credo iniziale, e Barbarica lo si può considerare senza dubbio alcuno un album di musica progressiva, almeno secondo le linee guida della definizione. Questo significa brani articolati, con variazioni di tempi e temi sonori, con un rock che si fonde a momenti di atmosfera, con una certa rigorosità di copione al cui interno c’è spazio per la libertà espressiva.
Elemento caratterizzante è la voce di “Lupo”, che pare non senta l’inesorabile passaggio del tempo.
Un'altra perla, un altro disco destinato a restare nella storia: la speranza è che ora, ritrovata la strada della passione comune, il Museo Rosenbach si presenti ai suoi sostenitori - e sono tanti -  con una certa continuità.


L'INTERVISTA

Ci siamo lasciati da pochissimo con il commento del “Live in studio”.
Nell’occasione mi raccontasti della genesi di un nuovo concept di cui ora è noto il   nome: che sapore ha Barbarica rispetto alla recente rivisitazione di Zarathustra?
Barbarica ha il sapore del presente quindi aspro e pungente; Zarathustra in studio richiama invece i ricordi, le immagini, le sensazioni del passato. Abbiamo tentato di “piegare” il linguaggio musicale a queste due diverse dimensioni del tempo cercando di mantenere il nostro sound identificativo.

Di fatto Barbarica è il secondo album del gruppo, che mi pare avete realizzato in un  lampo: cosa significa ritrovarsi dopo tanti anni e creare in piena comunione di intenti?
Proprio in un lampo… ma in quest’attimo abbiamo condensato un lavoro di circa un anno durante il quale Giancarlo, Stefano ed io abbiamo rafforzato la nostra amicizia con Fabio, Sandro, Max e Andy. E’ difficile formare una band così numerosa ed eterogenea per quanto riguarda l’età e gli impegni. I buoni risultati ottenuti mi fanno capire che l’amalgama, musicale ed umano, sia riuscito.

La nuova linfa  - i giovani introdotti - hanno avuto un ruolo determinante?
Il nuovo, se non ha cattive intenzioni, arricchisce sempre il vecchio: gli fa sentire l’entusiasmo senza disillusioni, lo spinge verso strade che il camminatore abituale non conosce; lo rimprovera quando si attarda nella troppa riflessione. Il nuovo è slancio.

Veniamo al disco, perché Barbarica? Qual è il tema dominante?
Il tema dominante è il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente (Il respiro del pianeta) e tra l’uomo e i suoi simili ( le altre quattro tracce); “Barbarica” si chiede se abbiamo un futuro in questo mondo inquinato e acciaccato dalla nostra avidità di risorse; la risposta è una speranza: che il pianeta sia talmente forte da non subire danni irreversibili. Si confida nella sua dimensione astronomica che rende la distruzione ambientale una malattia di stagione. La speranza si affievolisce quando ci si chiede se l’uomo sarà capace di cancellare lo scandalo della guerra, la terribile ombra che inquina dolorosamente i nostri cuori. Il titolo è una provocazione, sintetizza  la condizione della nostra civiltà in cui il progresso appare discutibile, ancora  prigioniero della mentalità di dominio sulla natura. Qualunque intelligenza tecnologica è inutile se i popoli si considerano reciprocamente pericolosi. Forse siamo preistorici!

Prova a tracciare un ponte concettuale tra i vostri due lavori, separati da enorme spazio temporale.
Il ponte c’è: come se Zarathustra, dopo aver lanciato il suo messaggio, tornasse per verificarne i risultati. E’ ovvio che non sarebbe contento! “Ama la tua terra …” diceva… e noi, sordi, la soffochiamo. Il profeta si augurava una liberazione dai dogmi e dalle ipocrisie, e non sembra che ciò sia avvenuto. Ritrova soltanto una sua frase: “ Come l’autunno il mondo vuol sfiorire... cresce ed uccide nel tempo la sua umanità”. Scuote la testa ma guarda sempre verso nuove aurore.

Trovo particolarmente convincente l’art work, ma mentre la cover colpisce - anche - per il colore, le fotografie interne evocano sentimenti angoscianti: mi racconti la scelta delle immagini?
Dalle risposte precedenti fluisce questa. La cover, colorata e astrale, è serena; lo sfondo vuole trasmettere la meraviglia del cosmo. La testa in primo piano è il profilo multicolore e variegato di una sola umanità. Come dire… lo scrigno è la bellezza di ogni diversità che esiste. Le fotografie interne sono il contenuto dello scrigno: i colori svaniscono, i contorni sono aspri, il messaggio è venato di tristezza. Le due facce di Barbarica.

E’ già pronta l’impalcatura live di Barbarica?
Per forza… perché l’abbiamo quasi inciso dal vivo!

mercoledì 26 giugno 2013

Periferia Del Mondo-Nel Regno dei Ciechi

  


Nel Regno dei Ciechi è il nuovo album della Periferia Del Mondo, band giunta al quarto album in studio, con oltre tre lustri di attività alle spalle.
Circa un anno fa avevo raccontato di uno step del loro percorso, e appare quindi evidente la voglia di presentare rapidamente l’evoluzione, personale e di insieme.
Poco più di cinquanta minuti di musica, suddivisa su nove tracce, forniscono la forma di una band difficilmente catalogabile.
E se su di una struttura ben delineata si decide di essere espressivamente liberi, può accadere di trovarsi tra le mani un disco che per certi versi spiazza - in positivo - dove le linee melodiche  e ritmiche mutano da brano a brano, dove la lingua scelta oscilla tra l’inglese e l’italiano - in funzione della necessità contingente - dove gli stilemi prog (Suburban Life) si miscelano ad atmosfere “sognanti”,  e l’etnia (A rutta u jelu) … a tanto rock. Sì, è un album rock, di quello a volte tosto (Sakura zensen, I need U, Alibi), che istiga al movimento del corpo.
Un primo elemento di sintesi risulta quindi la varietà della proposta, un contenitore free dentro il quale le influenze singole diventano sound compatto.
Rilevo, come già fatto in passato, la capacità di queste sonorità di incidere e condizionare lo stato d’animo, diventando una base di partenza per le riflessioni personali: credo sia lo scopo della musica fornire stimoli che permettano di intraprendere un viaggio intimo, e possibilmente interagire e annusare influenze di tracce che fanno parte della nostra storia, sarebbe strano il contrario; in questa ottica ho trovato toccante la drammaticità “Hammilliana” di Purity, il tratto vocale di Derek Shulman nella già citata Suburban Life e… l’ascolto di The Bridge’s resilience mi ha trascinato in una dimensione che avevo quasi dimenticato, quella sognante, onirica, eterea di Angel’s Egg e quindi dei Gong.
Queste sono emozioni! Ritrovare sfumature antiche in tanta sostanza attuale è cosa che auguro a tutti di provare. Nel Regno dei Ciechi facilita e predispone la sintonia tra passato e presente, creando un ponte, probabilmente involontario, che si cristallizza nel concetto di originalità.
Art work di forte impatto, incentrato sulla metafora del mondo secondo PDM.

Scivola via la mia coscienza, cerca segnali di demenza, e carica informe una sentenza:  “Siamo frustrati dai ceti, vinti da aborti di fedi, salvi nel regno dei ciechi”.

La cecità è la salvezza del mondo? Forse la musica, questa musica, potrà darci sostegno, o forse solo un po’ di serenità, e la soddisfazione non potrà che essere unanime.


L’INTERVISTA

Esattamente un anno fa dal mio blog raccontavo qualcosa sul vostro terzo album; qual è l’essenza del nuovo “Nel regno dei ciechi”?

Alessandro Papotto “Nel regno dei ciechi” ha rappresentato in questi ultimi anni la nostra nuova sfida: tentare percorsi espressivi più diretti, attraverso i quali descrivere la realtà che ci circonda, senza però rinunciare alla libertà compositiva offerta dal Rock Progressive. Sin dall'inizio ci siamo resi conto che quello che avevamo voglia di fare era sostanzialmente un disco Rock, così abbiamo cercato di semplificare le architetture musicali del materiale, senza risparmiare sulle idee, ma evitando tutto ciò che ci sembrava superfluo. Dal punto di vista dei testi invece è rimasto intatto quello stile ermetico nella sintassi, ma diretto nella forma, che contraddistingue le nostre canzoni.

Giovanni Tommasi Siamo alla ricerca di essenzialità, e questa ricerca ci ha regalato suoni più energici, più compatti. Questo è evidente in tutti i brani, alcuni dei quali, rispecchiando l’intenzione che pervade il lavoro, sono decisamente più duri che in passato, come I need U, Alibi, o la stessa title-track.

Bruno Vegliante
Trovo che questo disco rimanga comunque molto legato al Rock Progressive. Le idee musicali contenute nei vari brani sono veramente molte, quasi trasbordano dalla superficie del disco. Forse però il mio modo di intendere il Prog è un po’ differente dall’accezione che il termine ha nell'uso comune. Penso che i contenuti principali debbano essere un buon numero di idee, tante sonorità diverse e tanto rock, mentre penso che la miscela di forme musicali usate debba invece essere legata solo al gusto personale.

 Esiste una linea concettuale che unisce i due dischi?

Alessandro Papotto In questo disco abbiamo coscientemente applicato e sviluppato le scelte espressive e stilistiche che tutto sommato erano già presenti nel disco precedente: un sostanziale alleggerimento delle strutture dei brani, essenzialità negli arrangiamenti, e maggiore cura nello scrivere testi ispirati alla realtà che ci circonda. Ci sono alcuni trait-d’union che riguardano gli stili dei brani, ad esempio A rutta u jelu rimanda alle sonorità etniche di Suite Mediterranea, ma anche a quelle atmosfere world che ci sono sempre state care. Penso che la nostra sia una linea concettuale molto simile a quella dei gruppi progressive degli anni ’70: come loro infatti non ci preoccupiamo affatto che il nostro nuovo disco sia in qualche modo simile al precedente, piuttosto ci preoccupiamo invece di mantenere intatto una sorta di marchio di fabbrica che contraddistingua la band rendendola unica.

Giovanni Tommasi Anche in questo disco come nel precedente lavoro sono presenti timbriche più moderne e suoni elettronici. Ad esempio in un brano come Purity potremmo in fondo trovare delle affinità con Come un gabbiano, ma l’aggiunta di quegli elementi tipici del rock d’autore che tanto ci ha ispirato negli ultimi anni lo rendono unico e allo stesso tempo ideale per questo nuovo disco. Ancora una volta l’esperienza del passato ci aiuta a vivere meglio il presente.    

Bruno Vegliante Suburban Life invece è una classica suite nella più tipica accezione del Rock Progressive, e forse proprio per questo potremmo dire che più che al disco precedente rimanda a brani del nostro primo disco, come The ghost in the shell. Ma anche questa nuova suite rimane fortemente ancorata al presente grazie ai tratti duri e aggressivi che pervadono tutto il nostro nuovo lavoro.

Tra i due esiste una differenza di utilizzo della lingua inglese: quale il motivo della scelta?

Giovanni Tommasi Riprendo un concetto di cui abbiamo già parlato nella precedente intervista e che vale sia per il nostro lavoro in generale, sia nello specifico per questo nostro ultimo disco: la lingua inglese ci permette di utilizzare una metrica che, secondo noi, risulta a volta più efficace dell’italiano a livello musicale. Di solito per ogni nuovo brano scegliamo ad istinto la lingua che pensiamo si adatti meglio al caso specifico. In particolare possiamo dire che a nostro avviso la lingua inglese si adattava meglio alle sonorità energiche della maggior parte dei brani di Nel regno dei ciechi.

Dal punto di vista strettamente musicale quali sono le novità più importanti?

Claudio Braico Una maggiore immediatezza delle idee, negli arrangiamenti e nei suoni. Credo che questo sia dovuto alla nostra voglia di respirare aria un po' diversa dal solito. Il risultato è un rock puro, sanguigno, duro, viscerale, insomma per definirlo con una parola direi “impetuoso”. Ad esempio la canzone che apre il disco, Sakura Zensen, dedicata alle vittime e ai sopravvissuti dello tsunami del 2011 in Giappone, nonostante le atmosfere decisamente floydiane, e quindi una certa eleganza, o dolcezza timbrica di fondo, ha un incedere incisivo e trascinante. La stessa cosa si avverte in un brano più progressive come The Bridge’s Resilience, che ha un’apertura scarna, nervosa, eppure imperativa, per poi sciogliersi in atmosfere più rarefatte.

Tony Zito Inoltre il disco è stato registrato praticamente live dall’intera band, con l’aggiunta di pochissime sovraincisioni, a differenza di come avevamo lavorato in passato. Insomma abbiamo fatto un lavoro di squadra anche in studio, abbiamo usato pochissimo l’editing, e abbiamo invece dedicato molto tempo al mixaggio, alla ricerca del giusto equilibrio di volumi, equalizzazione e ambiente, alla ricerca del  suono finale più adatto alle composizioni. Penso che tutto ciò conferisca al prodotto finito un senso generale di naturalezza. Ringraziamo per questo l’etichetta “Immaginifica-Aereostella” nelle persone di Iaia De Capitani e Franz Di Cioccio che ci hanno dimostrato ancora una volta la loro fiducia verso il nostro lavoro producendo interamente il disco, e poi anche gli amici fonici dello studio di registrazione "Locomotore - LRS Factory" di Roma, degli ottimi professionisti con cui è nata anche una bella amicizia.

 Avete previsto una promozione live dell’album?

Bruno Vegliante Tutti i brani del disco sono stati pensati per poter essere eseguiti dal vivo con il massimo risultato. Questo è purtroppo un momento storico in cui le opportunità di suonare dal vivo, per band del nostro target, sono poche. Però voglio dare un consiglio a tutti gli amici che vogliono ascoltarci dal vivo (e mi piace pensare che ce ne siano molti): fatevi sentire, gridate forte, e noi risponderemo con tutti i decibel in nostro possesso.

Nella recensione precedente sottolineavo un senso generale di velata tristezza che mi provocava l’ascolto, e anche in questo caso le trame musicali mi spingono verso … la riflessione; sono questi stati d’animo che colpiscono anche chi crea, o è un fatto personale tra me e la vostra musica?

Alessandro Papotto Secondo me lo scopo principale di un artista è spingere chi fruisce della sua opera verso la riflessione per cui possiamo dire di aver centrato l’obiettivo. Le melodie, le armonie, i ritmi e le parole che scriviamo cercano di esprimere i nostri sentimenti riguardo ad un argomento, per cui puoi percepire una sensazione di disagio, un momento di felicità, della rabbia o dell’euforia, la condivisione della gioia per una notte d’amore o del dolore per una perdita. Insomma i sentimenti che pervadono ciascun essere umano e in cui ognuno di noi può riconoscersi.  

Giovanni Tommasi Per noi ogni brano esprime un mondo a se, frutto di esperienze o riflessioni personali, un mondo che riflette uno o molti nostri stati d'animo. Ma non possiamo sapere quali di questi stati d’animo riescono ad arrivare intatti all'ascoltatore, ne quante e quali parti di questo mondo vengano percepite o comunque percepite nella forma che noi volevamo cercare di esprimere. Sicuramente nelle opportune differenze tra l’artista musicista e l’ascoltatore che “accoglie” la sua opera entrano in gioco aspetti fortemente legati all’inconscio individuale, che rendono l'intero processo insondabile.

Claudio Braico Credo che la tristezza di cui parli sia legata al nostro stato d’animo odierno, parlo di sensazioni che sono la naturale conseguenza dei tempi che stiamo vivendo. Però nelle nostre canzoni puoi trovare anche molto altro: ad esempio tanta energia e tanta voglia di libertà. E poi naturalmente, speriamo, tanti altri ingredienti sconosciuti al nostro Io conscio.

Mi riaggancio all’ultima risposta della vecchia intervista, in quella che avete definito “la preghiera del buon rockettaro”: avete ottenuto soddisfazioni di pubblico e seguito nell’ultimo anno?

Tony Zito Oggi la situazione del mercato musicale rende tutto molto difficile. Noi però ci crediamo ancora e pensiamo che il risultato finale del nostro lavoro sia facilmente commerciabile in Italia come all’estero. Scrivere una canzone immaginando un ipotetico ascoltatore dall'altra parte del mondo è un piacere tutto nostro (d'altronde siamo la Periferia Del Mondo). Nell’ultimo anno siamo stati molto impegnati con il lavoro per questo disco per cui anche i riscontri sono stati pochi, a parte alcune occasioni con i concerti dal vivo. Ora il lavoro è terminato e rimaniamo quindi in attesa di nuovi riscontri.

Bruno Vegliante Lavoriamo in maniera promozionale anche sulla rete anche se in questo ambito è più difficile valutare. Penso però che, nella nostra discografia, Nel regno dei ciechi sia il più facilmente reperibile su Internet, in tutte le forme, fisiche, virtuali ed eteree. Personalmente, avendone la possibilità, mi piacerebbe molto togliermi la soddisfazione di andare a comprarne una copia a Tokio, dove mi risulta essere reperibile in alcuni negozi (ad esempio http://www.gardenshedcd.com/). Nel frattempo abbiamo cominciato con una bella intervista a Rai Stereonotte in compagnia di Duccio Pasqua che ringraziamo, cosi come ringraziamo anche te Athos per aver realizzato (ancora una volta) questa bella intervista dedicata al nuovo disco, che siamo sicuri porterà ottimi risultati sul lungo termine. Speriamo e crediamo nel futuro…

martedì 25 giugno 2013

Peppe Giannuzzi-Violinizer


Violinizer è l’album di fresca uscita realizzato da Peppe Giannuzzi.
Oltre quaranta minuti di musica strumentale suddivisa su dieci tracce, dove emergono due elementi: la voglia di rock e l’utilizzo del violino come mezzo caratterizzante… non uno strumento al di sopra delle parti, ma integrato e, semmai, conduttore di un team amalgamato.
L’appellativo che viene attribuito a Peppe, “Stariani del violino”, è per certi versi fuorviante, perché riconduce all’estremo tecnicismo, alla capacità personale piuttosto che all’anima: Satriani è unico, e la schiera di chitarristi che cercano di imitarlo cadono frequentemente sull’esibizione effettistica, fatta di rapidità e rincorse sulla tastiera.
Giannuzzi è altra cosa. Intanto suona il violino, uno strumento che riporta alle origini, all’austerità musicale, ad un mondo sdoganato oltre quarant’anni fa dall’avvento della musica progressiva. Lunga la lista dei suoi illustri predecessori rock, ma non ricordo altri album di genere - rock - registrati avendo come strumento leader il violino.
Come succedeva in tutti i dischi di “movimento”, esistono tracce che se avessero liriche potrebbero essere definite “balllad”, come Wind of Africa, o Eddy Smile o Hotel Laguna, così come la ritmica prog fa capolino in Strings of Fire, e tutto questo rende estremamente diversificato, ma omogeneo, Violinizer.
Raccontare un percorso, rilasciare un messaggio, senza l’utilizzo di testi, non è semplice, anche se la lettura dei titoli è un primo segnale degli intendimenti di chi ha composto, ma esiste un forte pregio legato all’assenza di parole, che è quello dell’interazione tra artista e ascoltatore, dove il secondo diventa parte attiva ed inventa la propria storia, magari chiudendo gli occhi e lasciandosi andare.
Giannuzzi non vuole definirsi virtuoso, ma ama misurarsi con le difficoltà (godibile la sua reinterpretazione di Canon Rock, tratta dalla famosa versione dell’Orientale Jerry C, fruibile su youtube), e la sua filosofia chitarristica applicata al violino è qualcosa che, oltre a rendere in sala di incisione, dovrebbe essere uno spettacolo nello spettacolo in fase live: fase da scoprire!
Un bell’album e una grande sorpresa.


L’INTERVISTA

Come nasce, artisticamente parlando, Peppe Giannuzzi?
Nonostante I molti anni di musica alle spalle, nasce veramente il giorno in cui venne chiamato a suonare con Stewart Copeland e “La Notte della Taranta”, in un Tour nel 2009. Trovarmi a suonare con Stewart, Vittorio Cosma e tutti gli altri grandissimi musicisti mi ha fatto capire che potevo e volevo stare in determinati contesti, e ho incominciato a pormi obiettivi più importanti. 

Esiste un musicista che hai sempre considerato un esempio da seguire?
Non uno in particolare, oltre al “Capo”, Joe Satriani, seguo e apprezzo molti musicisti, la maggior parte chitarristi, tipo Mark Knopfler (Dire Straits) o Carlos Santana o Steve Vai, ognuno di loro ha delle caratteristiche diverse che mi attirano. Come violinisti  ascolto Jean Luc Ponty, Lino Cannavacciuolo e Stephane Grappelli, ma per il  concetto che ho io del violino preferisco avere una visione più “chitarristica” negli ascolti.

Come considereresti la tua musica, al di là dei generi precostituiti?
Questa è una bella domanda, perché ormai si tende ad etichettare tutto. Credo che Violinizer venga catalogato nella “World Music”, io posso dirti che come “piglio” è un album di musica rock, perché io parto sempre dal rock come concetto di base. Poi avendo la fortuna di muovermi in diversi generi musicali, probabilmente c'è un po' di mescolanza, l'importante (per me) è che ci sia una base rock, nel ritmo, nei suoni o nell'arrangiamento.

Ho letto una definizione che ti riguarda e che di dipinge come “il Satriani del violino”, ovvero un virtuoso dello strumento: cosa serve oltre alla tecnica sopraffina per diventare un grande musicista?
Premettendo che io non mi considero assolutamente un virtuoso, la tecnica deve essere solo un mezzo per arrivare allo scopo finale, che è quello di arrivare allo “stomaco” dell'ascoltatore, e per arrivare alla gente serve che la musica abbia un'anima.

E’ da poco uscito il tuo album Violinizer: che tipo di percorso musicale hai voluto raccontare?
Come dicevo prima, ho avuto la fortuna nella mia vita artistica, di muovermi attraverso diversi generi musicali, dal folk al blues al country all'etnico. Credo che Violinizer sia un sunto di tutto questo, con un filo conduttore comune a tutti i pezzi, il rock.

Chi sono stati i tuoi compagni di viaggio in questa avventura?
Cominciamo dal più importante, il mio manager, Giovanni Pollastri, credo che senza Giovanni Violinizer sarebbe uno dei tanti album che nessuno si filerebbe; poi tanti altri amici, tra cui Francesco Moneti (Modena City Ramblers), che ha messo la sua chitarra in tre pezzi, Roberto Gemma, storico fisarmonicista della Notte della Taranta, che ha fatto tutte le parti di tastiera e piano, e Angelo Fumarola, altro chitarrista che probabilmente, se fosse nato in Inghilterra, farebbe una concorrenza spietata a Mark Knopfler.

E’ prevista una promozione live del disco?
Stiamo valutando delle situazioni; io mi auguro che ci siano tantissimi concerti con Violinizer, anche perché la mia dimensione preferita rimane sempre il live.

Quali sono i tuoi progetti futuri
Quante pagine hai a disposizione?
Nel breve sicuramente vorrei avere la possibilità di suonare i miei  pezzi dal vivo, anche perché live hanno tutto il sapore rock che voglio trasmettere, poi sicuramente fare un altro album nel quale avere altre guest star... anzi a questo proposito ho un'idea abbastanza folle della quale per ovvi motivi scaramantici non voglio parlare!


Un po’ di storia estratta dal comunicato stampa.

Peppe Giannuzzi, classe 1971, è stato definito il Satriani del violino. La sua verve e la sua creatività lo hanno portato ad andare oltre i confini del tipico suono dello strumento, creando quindi una personalissima sonorità, senza tralasciare comunque un uso tradizionale del violino.
Diplomato in Viola presso il Conservatorio T. Schipa di Lecce, nel '95 ha scelto quindi  una "via alternativa di una proposta musicale non consueta" coniugando le influenze musicali "rockettare" di gioventù con sonorità World e Ambient, il tutto unito alle influenze della terra natia, la musica tradizionale salentina (pizzica).
Un percorso che gli ha permesso di condividere il palco con Stewart Copeland (batterista dei Police), con il quale ha suonato, oltre che nelle maggiori città dItalia, anche in alcuni grandi festival internazionali con lensemble de La Notte della Taranta toccando la Spagna, la Svizzera, il Portogallo e recentemente il Brasile, esibendosi al rinomato PercPan Festival di San Paolo.
Tra le altre collaborazioni troviamo i nomi di Vittorio Cosma e Mauro Pagani, sempre nel progetto de La Notte della Taranta (nelledizione del 2007, che ha visto partecipare anche Massimo Ranieri e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro), e i Modena City Ramblers, con i quali ha condiviso il palco sempre nel 2008.
Ha collaborato inoltre con alcune tra le realtà folk-rock di richiamo tra cui FRACMIRE, con cui tuttora suona, con SU' d'EST Cantierisuoni, ARTETIKA, AVLEDDHA (con i quali ha inciso il cd Ofidèa) e ha collaborato al brano "POLVERE E SILENZIO" insieme a Treble aka Lu Professore, inserito nella colonna sonora del film FINE PENA MAI (2007, regia di Davide Barletti).

INFO
Peppe Giannuzzi suona:

Violino Silent Yamaha sv 100
Violino elettrico 5 corde Cantini VRT Series
Pedaliera BOSS GT-10

Hanno suonato: Roberto Gemma alle tastiere
                          Angelo Fumarola alla chitarra (acustica ed elettrica)
                          Francesco Fry Moneti alla chitarra elettrica nei brani 1,4 & 6

Voce recitata:    Francesca Tomai;  Eddy Giannuzzi (brano 5)

www.facebook.com (Violinizer)
http://www.myspace.com/peppegiannuzzi
Management & Promozione:
LowCoost Mgmt c/o Giovanni Pollastri